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Clamoroso: l’austerity è nata da un errore di calcolo

Postato il Dicembre 2, 2015 Germano Milite 0

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Già nel 2013, come raccontato anche da Micromega, gli studi economici e finanziari che avevano portato ad elaborare il “dogma” dell’austerity, che tante lacrime e tanto sangue (in senso letterale) hanno causato all’Europa, sono stati clamorosamente smentiti da Thomas Herndon, un dottorando all’epoca 28enne che, praticamente per caso, scoprì alcuni errori tra il grossolano ed il clamoroso commessi da due dei più stimati economisti a livello mondiale, ovvero Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff. I due esperti globalmente accreditati, entrambi docenti nella prestigiosissima Harvard, avevano infatti elaborato una corposa ricerca che avrebbe dovuto dimostrare in maniera “scientifica” (mai virgolette furono più sacrosante) che l’applicazione delle cosiddette “politiche d’austerity” avrebbero portato giovamento all’economia colpita dalla “crisi” del 2008. La ricerca è uscita nel periodo tra il 2012 ed il 2013, quando cioè c’erano già fortissime pressioni (ideologiche e per nulla scientifiche) a sostegno delle manovre d’austerità. Reinhart e Rogoff, con il loro documento, diedero la spinta finale e definitiva ai vari Mario Monti e a tutti gli alienati disumani convinti che un foglio Excel e qualche tabella potessero sostituire il dibattito intorno alle persone, alla loro qualità della vita ed alle loro prospettive future.

MILIONI DI NUOVI POVERI A CAUSA DI UN FOGLIO EXCEL

Vi sembra esagerato? Complottista? Dietrologico? Poco “scientifico”? Eppure, come racconta anche La Repubblica e come a suo tempo raccontarono moltissimi organi d’informazione (soprattutto americani), il giovane dottorando riscontrò proprio degli errori marchiani nella compilazione di alcuni fogli Excel. Come infatti si legge su Micromega: “La coppia di grandi economisti aveva banalmente commesso una svista di “allineamento” nelle colonne delle cifre da addizionare usando il software Excel della Microsoft. Sicché alcuni calcoli erano sbagliati. In più — questo forse è lo sbaglio più imperdonabile — Reinhart-Rogoff avevano omesso di includere tra le nazioni esaminate ben tre casi (Canada, Australia, Nuova Zelanda) in cui la crescita economica non è stata affatto penalizzata da un elevato debito pubblico”.

Insomma: l’ossessione per il rapporto “debito/pil” e quel numeretto divenuto tristemente famoso soprattutto in paesi come la Grecia, si sono mostrati clamorosamente infondati e privi di ogni riscontro scientifico e quindi autorevole. I due economisti si sono dovuti scusare, con grande imbarazzo, addirittura sulle colonne del New York Times, discostandosi anche dalla ferrea e cieca applicazione delle manovre lacrime e sangue nei paesi europei.

EPPURE SI DISCUTE DEL PAREGGIO DI BILANCIO IN COSTITUZIONE

Eppure, in maniera forse ancor più clamorosa, nonostante questa incredibile e scandalosa scoperta, oramai alla fine del 2015 stiamo ancora discutendo sull’introduzione del pareggio in bilancio in Costituzione. E non serve essere biechi populisti o pericolosi keynesiani per comprendere quanto sia folle, dopo la stagnazione e la regressione provocata da certi approcci ideologici, preoccuparsi ancora in maniera tanto ottusa e miope dei numeri, della ragioneria di stato a discapito delle persone, della disoccupazione crescente, dei trentenni di oggi che o non avranno alcuna pensione o avranno una pensione che non potrà garantire sussistenza.

Continuiamo a cianciare di meri numeri, di grafici, di tabelle, e statistiche che poi non sottostanno neppure a rigorose verifiche portate avanti con il collaudato metodo scientifico. Insomma: proseguiamo verso il baratro, nonostante il fallimento sia teorico che pratico di certe politiche economico-finanziarie, quando oramai anche un tardo di mente comprenderebbe che senza stati che spendono a deficit il pil non crescerà come dovrebbe e la disoccupazione non si ridurrà; che questa “crisi” che ha in prevalenza solo spostato i capitali verso i già straricchi non finirà e continuerà ad auto-alimentarsi.

AVEVA RAGIONE BARNARD, CON IL MMT?

Verrebbe dunque da dar ragione a quel “pazzo” di Paolo Barnard, almeno su questo aspetto: non può non esserci un disegno di neofeudalesimo post-capitalista nella pedissequa e reiterata (oltre che violenta e dittatoriale) applicazione di certe politiche del rigore. Non può che esserci una volontà appunto politica volta a generare e mantenere nel tempo l’impoverimento della classe media e nella nuova schiavitù semi-consenziente della quale ho già parlato numerose volte qui su YOUng. A questo punto sorge spontanea una domanda, almeno ai meno maliziosi: perché mai si vorrebbe colpire proprio la cosiddetta classe media, ovvero la colonna portante dell’economia capitalista? La risposta, anzi le risposte le trovate intorno a voi, ogni giorno. La strategia è difatti quella di fiaccare l’avversario senza però ucciderlo. Portarlo al limite della sopportazione, concedergli il tanto che basta per sopravvivere senza nuocere al nuovo equilibrio creato. Un equilibrio che fa incredibilmente comodo a quella categoria di autentici malati di mente e megalomani che agiscono a vari livelli, con magari meno coordinazione ed infallibilità di ciò che il complottista tipo immagina, ma a quanto pare con ottima efficacia generale.

PERCHE’ LA “CRISI” NON FINISCE, ANCHE GRAZIE A NOI

Chiariamoci: come ho scritto e ribadito fino allo sfinimento, non immagino banalmente una torva élitte composta da 20-30 persone che controllano il mondo e le sue sorti. Immagino questa élite avere dei piani e delle strategie, calate nel complesso universo del mondo post-capitalista e della società liquida nella quale ci muoviamo, che trovano alleati più o meno consapevoli a tutti i livelli, dall’impiegato pubblico al free lance, finendo al piccolo imprenditore/evasore, al grande capitano d’industria.

Del resto è chiaro: non si esercita un controllo tanto radicato e duraturo sulle masse, senza la cooperazione indiretta e diretta delle masse stesse. Tutto sta, come detto, ad indebolire l’asse portante della società senza distruggerla completamente. La maggioranza delle persone crede alle favole sulla crisi, sul “posto fisso” (o minimamente tutelato) che oramai “non esiste più” per qualche fantomatica ragione para-economica e a tutte le varie amenità che fanno sentire “privilegiato” chi guadagna 1400 euro al mese e dovrà lavorare fino alla morte (75 anni secondo gli ultimi calcoli INPS, quando in Italia la vita media di un uomo è di 79 anni).

UN MONDO MIGLIORE E’ POSSIBILE

Il realtà non è che c’è meno denaro o che stiamo appunto vivendo una crisi: la ricchezza si è semplicemente spostata in enormi quantità verso meno soggetti, sempre più avidi ed alienati dal resto del mondo. Così, l’accumulazione infinita del profitto, è divenuta la divinità alla quale si piega ogni altra regola d’umanità, etica e buon senso. Un mondo migliore di questo è possibile, con valori fondanti diversi. Se non lo vediamo all’orizzonte, è perché c’è una precisa volontà politica globale che vuole precluderlo, vuoi per fondamentalismo ideologico, vuoi per errori di calcolo fatti magari in buona fede. E come ogni impero che giunge al suo apice e non sa accontentarsi ed auto-correggersi, anche quello neoliberista si ravvedrà solo quando sarà troppo tardi. Ciò che ci aspetta dopo, è difficile prevederlo. Da adesso, intanto, sarebbe opportuno che negli innumerevoli talk show e giornali, notizie come questa risalente al 2013 trovassero spazio quasi ossessivo, proprio come lo hanno trovato le varie “morali” sui conti in ordine ad ogni costo e sulla ragioneria di stato tanto cara a milionari privi di scrupoli come l’ex premier abusivo Mario Monti.

Autore

  • Germano Milite
    Germano Milite

    Giornalista professionista. Partendo dalla televisione, ha poi lavorato come consulente in digital management per aziende italiane ed internazionali. E' il fondatore e direttore di YOUng. Ama l'innovazione, la psicologia e la geopolitica. Detesta i figli di papà che giocano a fare gli startupper e i confusi che dicono di occuparsi di "marketing".

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Germano Milite

Giornalista professionista. Partendo dalla televisione, ha poi lavorato come consulente in digital management per aziende italiane ed internazionali. E' il fondatore e direttore di YOUng. Ama l'innovazione, la psicologia e la geopolitica. Detesta i figli di papà che giocano a fare gli startupper e i confusi che dicono di occuparsi di "marketing".


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