In effetti non mi spiacerebbe stare dalla parte del “può”. Ma al giorno d’oggi non è facile salvarsi e, soprattutto, bisognerebbe capire da chi. Il buon Erich Fromm studiò la cosa già dopo la prima guerra mondiale e, dopo una attenta analisi storica e psicologica, giunse alla conclusione che la società moderna era malata (questo già negli anni ’30) ed irrecuperabile.
Non era un pessimista alla Schopenhauer (che ritengo più depresso che pessimista), ma un sociologo/psicologo che agiva scientificamente (quasi un ossimoro) e per questo molto interessante da ascoltare. Personalmente lo ritengo un ottimo designer, nel vero senso del termine, perché già negli anni ’20 analizzava i problemi legati all’emotività ed alla psiche umana in maniera scientifica e procedendo lungo la catena di causa-effetto. Probabilmente lui pensava di essere tutt’altro che un designer (figura all’epoca non ancora esistente, ma già allora non retribuita adeguatamente), ma la sua metodologia scientifica di analisi per capire le ragioni di ogni problema, a mio avviso dovrebbe essere alla base dell’azione di chiunque voglia risolvere davvero un problema. Agendo non sul problema stesso ma sulle sue cause, realizzando che le cause sono, a loro volta, effetti dovuti ad altre cause.
Analizzando ogni causa che crea ogni effetto ( a cascata), Fromm arriva a dirci che se il mondo faceva schifo nel 1941 – esce “ Fuga dalla libertà” – è a causa di quei farabutti di Calvino e Lutero – ovvero le cause prime furono 400 anni prima dell’effetto deleterio. La sua analisi, logica e dimostrabile, ritrae una società psicologicamente malata o, più precisamente, con parole sue, “alienata”.
Una volta individuata la “causa primordiale” e messa in pratica la sua teoria saremmo stati in grado di raddrizzare la suddetta società ripristinando le buone pratiche generatrici di cause positive con nuovi effetti positivi e così via. Se per Galileo ( in questo post non mi faccio mancare nulla) una sfera rotola solo in discesa e preferirà sempre quest’ultima alla risalita, è purtroppo risaputo che la discesa non può che accelerarne la caduta. Leggi fisiche che possono ben adattarsi anche alla società che, indipendentemente dalla nostra volontà, non potrà che rotolare verso il basso ( e in questo, almeno, ci riusciamo benissimo).
Perché sciorinare tutti questi nomi illustri? Per due ragioni. Nominarli mi fa l’erudito della situazione e serve alla causa della mia tesi. Ovvero che:
- il design serve a risolvere i problemi – non a fare le belle forme: quello è stile e non è calzante
- i problemi si risolvono andando alla radice della cause e alla causa delle cause fino al nocciolo della causa primordiale che servirà a sciogliere tutti i nodi dell’attualità
- per fare design (e risolvere veramente i problemi) occorre prima fare un’accurata e scientifica analisi della catena causa-effetto che ha portato all’attuale problema
Voi direte: bravo!
E invece no: il mondo mi dice “pirla!”, segui il flusso, smetti di fare analisi, risolvi i problemi alla bohémien (alla sans facon in pratica). La mia cultura, sensibilità, educazione, esperienza, mi ha portato a vivere una vita molto interessante in un periodo storico di vera transizione, di quelli che si verificano ogni due millenni. Ho incontrato persone affascinanti, letto libri illuminanti, fatto lavori unici nel loro genere mentre davanti a me si apriva una visione sempre più chiara della vita. Tutto in 35 anni.
Esagerato? Mais non!
Nel marzo del 1990 ho iniziato a lavorare sul tecnigrafo e nel’ottobre dell stesso anno sui primi computer CAS che permettevano di creare tridimensionalmente oggetti virtuali ( non robetta ma capaci di creare intere automobili) . So di essere stato uno dei primi designer di questo genere al mondo. Ho avuto fortuna: ero nel momento giusto, al posto giusto ed ero la persona giusta. La mia posizione lavorativa mi ha permesso già da giovanissimo di conoscere dei mondi invisibili da fuori. Industria, politica, sviluppo tecnologico, internazionalizzazione, rapporti lavorativi, mafia.
Il tutto interconnesso: nulla è a sé stante. Ma non è questo il cambiamento bimillenario: abbiate pazienza, ci sto arrivando. Ho superato l’iniziale convinzione che il mondo stesse cambiando grazie ai computer. Sono solo un mezzo, non la causa. Nel 1982 nasceva il concetto di delocalizzazione grazie alla Swissair, che aveva trasferito il suo settore amministrativo in India, per spendere meno. Otto anni dopo stavo contribuendo alla nascita della delocalizzazione anche progettuale. E’ verso la metà degli anni ’90 che ho cominciato a capire cosa stesse accadendo.
Il cambiamento vero era nel linguaggio universale dei computer: un linguaggio univoco e non fraintendibile.
Spiego meglio: prima, col tecnigrafo, si disegnava su un foglio bidimensionale degli oggetti che poi dovevano essere costruiti nella realtà in una moltitudine di righe bidimensionali che però dovevano anche indicare la tridimensionalità dell’oggetto disegnato, e questo avveniva attraverso degli artifici sulle linee differenti a seconda di quello che indicavano: tratteggiate, puntiformi, continue… Insomma, non si capiva un tubo; anche perché per disegnare un’auto non usavi i fogli A4, ma dei lenzuoli di svariati metri quadrati con migliaia di linee intrecciate.
Morale, per capirti con gli ingegneri, eri costretto a sdraiartici sopra, con effetti spesso esilaranti. Con i computer in 3D i rischi di fraintendimento erano pressochè azzerati . Ognuno poteva finalmente immedesimarsi nelle forme concepite dal’altro e trasformarle in sinergia. Queste “forme” sono più giustamente chiamate “matematiche”, e sono l’insieme dell’oggetto virtuale. Se oggi dici a qualcuno di mandarti le “matematiche” dell’oggetto, solo se è del settore progettuale capisce (e neanche tutti). Se parli in giro di “matematiche”, ben pochi ti capiscono: figuratevi nel 1990!!
Eppure il trucco sta proprio lì; nelle “matematiche”, perché rappresentano il “tutto”.
Con la matematica puoi progettare, puoi confrontarti con altri specialisti, le puoi “renderizzare” e hai dei magnifici disegni, le puoi fresare ed hai degli oggetti fisici, le puoi “sinterizzare” e creare ciò che desideri, del materiale che vuoi, senza bisogno di modelli e, soprattutto, puoi creare meccanismi funzionanti in un pezzo unico (non bisogna più comporre diversi componenti, ma li disegni e li “crei” in un unico colpo (o matematica) . La matematica è diventato il linguaggio universale con cui dialogare. “Dialogare”, ricordate questa parola. Ma con le matematiche potevi anche fare delle animazioni.
Inizialmente ti limitavi a far ruotare sul monitor la “matematica” renderizzata del prodotto, in maniera da farlo vedere in tutte le sue viste, con i colpi di luce ed i colori che lo rendevano comprensibile perfino agli amministratori delegati (ora detti CEO). Poi l’oggetto poteva interagire con l’ambiente che gli creavi tu, sempre a matematica.
Senza farla lunga, puoi creare la quella stessa “realtà” mostrata in tv o sul pc che non è distinguibile dalla Realtà che tocchiamo col nostro corpo, a bituati come siamo a giudicare reale ciò che è percepito alla vista . L’illusionismo avrebbe dovuto smuoverci da questa incrollabile convinzione e non portarci a credere tutto ciò che è proiettato da uno monitor o una tv. Anche laddove non siamo presenti fisicamente, siamo portati a credere che ciò che vediamo sia reale.
Invece no! Ho un buon amico che, di professione, fa il “ foto- palpatore”: ovvero, durante le sfilate di moda i fotografi immortalano su macchine “digitali” le immagini delle modelle. La macchina foto è in contatto diretto con un monitor. Davanti al monitor c’è un regista. In tempo reale il regista sceglie le foto che più gli interessano. In tempo reale le spedisce al mio amico che, con Photoshop, “palpa” le modelle; ovvero toglie i difetti fisici, fa cadere bene i vestiti, aggiusta i colori, cambia le ombre, migliora le proporzioni, trasforma lo sfondo. Appena (ri)fatta ogni immagine è inviata in tempo reale all’impaginatore del giornale o del catalogo. All’alba il giornale o il catalogo ha il reportage in edicola e tutte le immagini sono FALSE o, meglio, “migliorate”. Se pensiamo che la stessa cosa può essere applicata – e con un ritardo calcolabile in millisecondi anche ai filmati- capirete bene che ciò che vediamo solo con i nostri occhi, raramente corrisponde alla realtà.
Il potere della comunicazione era noto già a Fromm: egli conosceva il suo nefasto rovescio della medaglia. Già allora era conscio che fossimo ” dominated by the advice of experts and the influence of advertising”. Anche il più innocuo Carosello aveva in sè il germe della malizia moderna. L’olandesina e Calimero ci facevano già vivere una realtà lontana dalla nostra percezione fisica. Che Fromm fosse un anticipatore si evince anche dalla sua scelta di espatriare negli Stati Uniti e decidere di trascorrere la sua vecchiaia in Svizzera. Era ben conscio di come la comunicazione fosse strumentalizzata e piegata alle logiche della propaganda della seconda guerra mondiale. Non poteva certo arrivare a concepire un personaggio come Berlusconi, che sul bell’eloquio e sulla buona comunicazione ci ha costruito un impero. Personaggio discutibile, certo, ma anche fine interprete dei cambiamenti in atto.
Peccato che, come già accaduto in guerra, le armi della comunicazione diventino mortali. Non trovo molti altri esempi di geni altruisti, come Meucci e Tesla, che , grazie alle loro scoperte, intendessero favorire l’evoluzione dell’uomo e non del loro portafoglio.
Io cominciai ad intuirlo durante una gita nei boschi, parlando con una persona qualunque, a fine anni ’90. Erano gli anni dei “tagliatori di teste”, ovvero manager che venivano assunti dalle grandi aziende per licenziare il più possibile, senza perdere produttività, ma ridurre i costi fissi (i lavoratori assunti lo sono). A quel punto la delocalizzazione diventò frenetica: tutti delocalizzavano ogni parte aziendale che si poteva, portando le funzioni dove costava meno, ovvero i paesi poveri (e possibilmente senza sindacati). Il telefono, internet, teleconferenze, le famose “matematiche”, divennero l’ossatura del nuovo commercio.
Le grandi industrie si svuotavano di personale e ricerca e si appoggiavano a consulenti esterni, pagati SOLO durante il momentaneo rapporto, e a piccole società che, grazie alla comunicazione, potevano essere de localizzate, piccole, snelle, poco costose (e pagate SOLO per l’effettivo tempo di collaborazione) e a loro volta potevano affidarsi per compiti specifici a ulteriori consulenti esterni (pagati SOLO ad ore per ogni singola consulenza). Negli ultimi anni ’90 mi era molto chiaro questo, e lo andavo insegnando nei master e nelle università, dove avevo iniziato a contribuire.
Mi era così chiaro che, complice anche una litigata con l’industria nella quale ero cresciuto per oltre 9 anni e che mi ha dato l’ossatura e l’esperienza principale su cui ora posso basare la mia capacità di capire lo sviluppo della società, me ne andai in Svizzera a lavorare in uno di questi studi snelli, piccoli, ma che progettavano auto per mezzo mondo e, soprattutto, dove già nel 2000 imparai il telelavoro. L’azienda aveva sede in un bosco in cima ad una collina, eppure lavoravamo anche più di un centro stile, con industrie in tutto il mondo. Ormai a me era chiaro che la “comunicazione” era la nostra vita del futuro e che tutto sarebbe cambiato. Non cambiava solo il modo di lavorare, ma anche il modo di vivere, di fare commercio, affari, spostamenti, turismo, guerra, economia. Io nel 2000 capii che sarebbe successo qualcosa di grosso, di universale. Pensavo ingenuamente che sarebbe stato possibile utilizzare questo cambiamento anche per una nuova evoluzione culturale e psicologica della gente comune. Anche i designer avevano in mano la possibilità di restituire una visione della realtà in un periodo di crisi identitaria, orientare in un paesaggio dove non v’erano più certezze; o meglio: tutto era “possibile” e ugualmente “verosimile”. L’oggetto di design che fa acquisire identità a chi lo possiede nell’epoca del “mostrare”.
Sono figo perché ho l’auto X, la lampada Y, lo scaldabagno Z. Non più ostentazione di ricchezza ma status . Oltrettutto era questa anche l’unica soluzione ipotizzata dal buon Fromm per guarire dall’alienazione, anche se sapeva che non sarebbe avvenuta mentre era ancora in vita.
Fu a quel punto che ci fu la spaccatura.
Nella seconda metà del 2000 le tecnologie digitali subirono uno sviluppo impressionante, parallelo ad un crollo dei costi dell’elettronica. Tutto divenne digitale. E ciò che è digitale è molto più facile, conveniente e veloce da “comunicare”. La gente normale, le industrie, i politici, le banche, i finanziatori, i governi non si resero del tutto conto di quello che stava accadendo. Alcuni giovani, che non avevano retaggi mentali sui processi passati, capirono al volo le potenzialità. Un fiorire di comunicazione social, vendite on-line, servizi, browser, compagnie telefoniche. Ora si è sfoltito il mazzo e sono rimasti quelli che si sono riusciti ad organizzare meglio, che hanno fagocitato gli altri e hanno più pelo sullo stomaco (Tesla, dove sei??). Ma ora gestiscono le loro intuizioni con una mentalità da vecchio imprenditore: soldi, tanti, maledetti e subito! Non sono il futuro; sono solo un passaggio verso esso; sono il prezzo da pagare! Vi ricordate quando vi ho detto di ricordare la parola “dialogare”.
Ecco; il cambiamento bimillenario, che il 98% della gente non vede, è questo!
Io non intendo “dialogare” come “parlarsi al telefono o chattare”; io intendo dialogare come “comunicazione” in tutte le sue accezioni.
Comunicare è quello che permette di progettare un’auto senza dover stare dentro ad un’azienda e ad un unico continente.
Comunicare è quello che ti permette di lavorare in una foresta in cima ad una montagna alle ore che vuoi con clienti in tutto il mondo.
Comunicare è quello che ti permette di sfogliare l’enciclopedia sul tuo cellulare.
Comunicare è non aver bisogno di prendere l’aereo o la macchina per una riunione di lavoro.
Comunicare è avere sotto controllo ogni genere di traffico; dalla circolazione stradale, al passaggio dati, allo smistamento merci che deve arrivarti a casa, al traffico della comunicazione stessa!
La comunicazione gestisce se stessa.
Questo la gente comune, le industrie ed i governi non l’hanno ancora capito.
Ma c’è anche qualcuno che ha capito che “comunicare” è un forte potere, perché non devi convincere la gente di quello che vuoi sia convinta, basta farglielo vedere su un monitor e la gente è automaticamente e animalescamente convinta che quello che VEDE è la Realtà. Che nessuno glielo ha imposto, che la cosa è così come l’ha vista e basta, anche se è tutto DIGITALE e falso. Ma cosa vuole dire falso? Se vieni indotto a credere che le colombe sono nere perché LE VEDI IN TV COSI’, allora la Realtà diventa che sono nere, e chi dice il contrario (se è la minoranza) viene deriso. Se non ti adegui alla maggioranza, sei fuori. Conviene anche adeguarsi, è più comodo.
Colombe nere, colombe nere!!!
Ecco perché paragono l’avvento della comunicazione all’avvento di 2000 anni fa delle nuove tecnologie che permisero di costruire strade in maniera più standardizzata ed organizzata. Successe nel giro di poche centinaia di anni, e nei continenti principali si svilupparono quasi in contemporanea la capacità di fare tante strade, in fretta, e con poca fatica. L’avvento delle strade cambiò il mondo: cambiò il modo di fare commercio, la guerra, l’economia, il trasporto merci, la società umana e la vita in generale.
Con le strade, nacque la capacità di spostamento veloce, capace di dare vantaggi strategici a chi poteva muoversi più in fretta (arrivare per primo sul campo di battaglia e scegliersi la posizione migliore, arrivare prima al mercato e vendere prima dei concorrenti, portare notizie prima degli altri, spostarsi in luoghi dove coltivare, pescare, vivere meglio, ecc…). E questi vantaggi durarono fino a pochi anni fa; fino alla seconda guerra mondiale (Blitzkrieg e le tecniche di Gauderian).
Velocità di spostamento=Vantaggio!
La velocità di spostamento cambiò il mondo in meglio o in peggio? Non ha senso chiederselo adesso: lo cambiò e basta, e noi siamo gli eredi di quel cambiamento. E adesso sta cambiando il mondo con la stessa radicalità; ma lo sta facendo in alcuni decenni, non secoli. E lo strategico non è più il MUOVERSI più velocemente, ma il COMUNICARE il più velocemente possibile e, probabilmente tra poco, solo il fatto di COMUNICARE e basta!
I governi, le industrie, la gente continuano a pensare con gli stereotipi di 50 anni fa, ma 50 anni fa sono il passato remoto. C’è un’inerzia spaventosa. E viene chiamata crisi: sono tanti anni che ci sono tante crisi in atto, ma non sono scollegate. E’ la Realtà che ci sta cambiando sotto i piedi. Serve gente giovane ed onesta, che conservi degli ideali e che sia pronta a vivere in Nuovo Mondo , che non è un luogo fisico ma affermazione di identità .
Molte startup, nuovi modi di fare musica, nuovi modi di aggregazione nascono in maniera casuale e disorganica da gente giovanissima; prime avvisaglie di una nuova massa di cittadini del Nuovo Mondo. E per questi nuovi cittadini servirà continuare a vivere in città? Quali sono le nuove esigenze??? Ecco quello che auspico e quello per cui adesso sto lottando: voglio far capire che visto che tutto cambia, se crei dei prodotti o dei servizi che soddisfano le nuove esigenze, avrai un grande vantaggio commerciale: cavalcherai l’onda! Non sono così ingenuo da pensare che per fare qualcosa per il futuro, le aziende non debbano guadagnare. Ma agire con acutezza e previsione permette anche di averne un giusto guadagno per un giusto contributo al benessere del mondo. Ma chi è disposto più ad investire sulla ricerca e su tempi più lunghi?? L’attuale parola d’ordine è: ASAP! Ma con le vecchie metodologie! Un accrocchio micidiale! Non ci sono più certezze, l’economia è basata su bolle speculative e non su prodotti concreti, le banche si sono impossessate dei governi, tanto guadagno viene dalla destabilizzazione organizzata.
Mai come adesso così pochi hanno potere su (praticamente) tutti. Non sono ottimista per la mia vita futura, perché ancora riesco ad intravedere la Realtà, che è diventata proprio il contrario di quello che io penso sia il bene. Ho fatto il mio tempo, so che nessuna organizzazione che possa avere un minimo di influenza darà seguito alla mia proposta di organizzare un’analisi comparata sullo sviluppo in atto e sulle esigenze che è lampante stanno modificandosi, anche se questo può dargli un vantaggio commerciale immenso. Perché ancora oggi si pensa come nel passato recente: niente pianificazione, serve il ritorno (economico) immediato (anche se questo si riduce sempre più).
ASAP! ASAP!
Ora si è come quelli che, in una stanza affollata, spintonano per guadagnare qualche centimetro e non vedono che il salone è vuoto, libero e più confortevole ed è proprio lì di fianco. Mia figlia Fiamma è nata nel momento giusto per contribuire alla gestione del nuovo mondo: abbastanza giovane per non essere legata al passato e contribuire attivamente e con capacità al raggiungimento del Nuovo Mondo, abbastanza matura per aver appreso l’importanza dell’etica e dei sentimenti e per viversi questi ultimi anni di agonia e, nella sofferenza, imparare ad essere migliore di noi.
Arcangelo Jeker
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Italo Calvino