La crescita di un business è sempre in qualche modo correlata alle strategie messe in atto. Strategie che per essere efficaci devono arrivare al target in modo funzionale. Arrivare al target, che sia l’utenza o l’obiettivo finale, è possibile solo se si riesce a far tesoro dei dati a disposizione, leggendoli e interpretandoli correttamente.
Un’ulteriore premessa è doverosa. Sarebbe sbagliato parlare di semplici step da osservare in maniera meccanica. Una strategia data-driven, e a maggior ragione una che sia vincente, è figlia di una cultura radicata in un contesto aziendale. Non sono sufficienti né la teoria né la pratica. Occorre dunque creare e rinforzare quotidianamente una cultura che metta i dati al centro. Ma di quali dati stiamo parlando? Approfondiamo l’argomento, passando al vaglio i 10 passi per creare una strategia data-driven di successo.
1.
Dati oggettivi, non soggettivi
Ancor prima di pensare di avviare una strategia, è importante partire da un assunto: i dati da analizzare devono essere obiettivi. Ma cosa significa questa cosa? I dati oggettivi sono quelli derivanti da indagini di mercato, dall’andamento delle vendite, dalle reazioni dei clienti, e così via. Dati dunque non soggetti a interpretazioni personali che possono essere fuorvianti.
Se chi sta ai vertici di un’azienda ragiona in questo modo, a catena anche tutto il team di lavoro imparerà a far proprio questo approccio.
2.
Scegliere le metrics con accuratezza
Cosa bisogna misurare? E chi deve misurarle? Tutti, a partire dai leader fino ai dipendenti. Un aspetto appare fondamentale: riuscire in qualche modo a fare previsioni sui movimenti degli utenti. A cosa è interessato? Cosa acquista solitamente? Quante volte ha abbandonato il carrello? Questo significa monitorare costantemente i comportamenti dei clienti e, nel contempo, anticipare le fluttuazioni dei prezzi dei competitor. Creando metriche dettagliate sia sulle prestazioni di un servizio che sulle esperienze dei clienti, si può, ad esempio, effettuare un’analisi quantitativa dell’impatto sui consumatori dell’offerta proposta.
3.
Collaborazione tra data analyst e le altre figure aziendali
Acquisire questi dati non è sufficiente, se non vi è un Data Analyst in grado di dare loro un senso. Si tratta di una figura chiave in grado di applicare correttamente la Data Integration, incrociando tutte le sorgenti dati per una lettura dei dati corretta e finalizzata efficacemente all’obiettivo. Non può operare svincolato dalle altre figure (web developer, marketing specialist, customer care, social media manager, ecc…). La decisione della strategia da adottare, l’ottimizzazione delle tecnologie, l’applicazione del machine learning alle campagne, e tanto altro, passano necessariamente attraverso la sinergia di tutti questi attori.
4.
Prediligere piattaforme di business intelligence
Uno dei problemi più comuni è l’accesso ai dati. Questo può essere farraginoso, frammentario e si corre il rischio che ogni figura analizzi dati non funzionali all’obiettivo. Sono dunque da preferire piattaforme di business intelligence che permettano un’efficace organizzazione dei dati e che possano essere usate da tutti in maniera semplice e intuitiva.
5.
Dati certi VS dati incerti
Non esistono dati certi e inconfutabili in maniera assoluta. Un certo grado di incertezza va messo in conto. I dati sono affidabili? Ci sono esempi di un modello affidabile al 100%? Come possono essere incorporati i fattori quando non ci sono dati per loro, come le dinamiche competitive emergenti? Controlli periodici e statistiche rigorose sui cambiamenti del mercato possono aiutare a ridurre i margini di dati incerti, che potrebbero influire negativamente sulla strategia.
6.
Ragionare su singole parti del progetto per arrivare al Tutto
Spesso alle buone idee non fa riscontro una pratica altrettanto valida. Un approccio migliore consiste nell’ingegnerizzare prove di concetto in cui una parte fondamentale del concetto è la sua fattibilità nella produzione. Un buon modo è ragionare per singole componenti e non sul tutto, in modo tale da avere a che fare con modelli semplici, da perfezionare poi progressivamente.
7.
Fare formazione continua
Una formazione relegata a periodi di tempo limitati non è mai funzionale. L’azienda cresce, le criticità aumentano, ma soprattutto il mercato si evolve. I dati che sono fondamentali per una strategia oggi potrebbero essere del tutto inutili domani. Mentre le abilità di base dovrebbero far parte della formazione fondamentale, non si può prescindere dal formare il personale su concetti e strumenti analitici appena diventano disponibili.
8.
L’analisi dei dati per i dipendenti
L’analisi dei dati va usata anche per aiutare i dipendenti, non solo i clienti. La gestione facile e veloce dei dati può portare a grandi vantaggi per l’intera azienda. Questo farà in modo che l’attività di analisi dei dati non sia qualcosa di meccanico ma un vero e proprio modus pensandi e agendi. I dipendenti in questo modo vengono stimolati a trovare autonomamente soluzioni ad eventuali criticità.
9.
Metriche e linguaggi di programmazione canonici
Molte aziende possono essere inghiottite da moli di dati ingenti e spesso insostenibili. Nel contempo, ogni figura coinvolta nella strutturazione di una strategia data-driven può prediligere specifiche fonti di informazione, metriche personalizzate e linguaggi di programmazione. Le aziende dovrebbero invece scegliere metriche e linguaggi di programmazione canonici.
10.
Spiegare le scelte analitiche
Dovrebbe diventare prassi la spiegazione delle scelte analitiche. Questo perché non esiste un unico approccio, universalmente valido, ai problemi analitici. I componenti di un team di lavoro andrebbero costantemente coinvolto, soprattutto per capire come hanno affrontato un determinato tipo di problema, quali opzioni hanno vagliato, se hanno accettato qualche compromesso e cosa li ha portati a fare una scelta piuttosto che un’altra. Ciò può offrire loro una comprensione più profonda degli approcci e spesso li spinge a considerare una serie più ampia di alternative o a ripensare ai presupposti fondamentali.
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