C’era il Tempo in cui le emozioni e le passioni governavano su ogni cosa, ogni giorno, tutti i giorni.
L’Universo conosceva una melodia e gli uomini si adattavano al ritmo dell’Anima Mundi, subendola.
La Stirpe immortale, nata da Eros, figlio di Caos e Notte, si affacciava a condurre la propria vita tra gli elementi.
Crono volle emergere dalle profondità della terra ed evirò Urano, suo padre. Dalla spuma delle onde fecondate dai suoi genitali nacque Afrodite.
Nacque da una ferita e dall’amore profondo verso il mondo, rappresentando così l’armonia tra il dentro e il fuori.
Era bella Afrodite, di una bellezza elegante e sinuosa, fatta di sapori, odori, colori, accompagnata dal fremito delle eccitazioni sciolte nel petto, petto che aveva un cuore forte e intriso di sentimenti.
Era l’Amore e quest’amore coinvolse Ermes e Afrodite stessa.
Dalle loro alchemiche nozze nacque Ermafrodito, l’Indifferenziato sessuale che, svelando e coprendo il suo corpo e la sua anima alla ninfa Salmace, simbolo della voluttà, sprofondò nelle acque vuote.
Platone, nel Simposio, sostenne un’origine androgina dell’uomo: “In principio tre erano i sessi del genere umano, e non due come ora, maschile e femminile, ma ve ne era anche un terzo comune a entrambi, di cui è rimasto il nome, mentre esso è scomparso; questo era allora il genere androgino, e il suo aspetto e il suo nome partecipavano di entrambi, del maschile e del femminile, mentre ora non è rimasto che il nome che suona per dileggio… la forma di ogni uomo era tutta rotonda, …e due facce sopra il collo rotondo, in tutto simili; e su entrambe le facce, orientate in senso opposto, un’unica testa, e quattro orecchi, e due sessi … il maschio traeva origine dal sole, la femmina dalla terra, e quello che partecipava di entrambi i generi della luna, dal momento che la luna partecipa del sole e della terra”.
C’era una volta e c’è ancora una meravigliosa usanza che mescola sacro e profano e che abbraccia i sessi in un’unica fusione rendendo i generi cosa sorpassata: la juta dei femminielli al santuario di Montevergine, in provincia di Avellino, in devozione a Mamma Schiavona.
La Madonna nera, stupenda, maestosa, del monte del Partenio, che protegge gli ultimi, i deboli, i poveri, gli emarginati, ebbe pietà dei due giovani uomini che si amavano, che furono banditi, legati a un albero, nei boschi e lasciati morire di fame. Li salvò e, salvando loro, ha protetto e accolto ogni giorno tutti coloro i quali sono “indifferenziati” come Ermafrodito.
C’era una volta Afrodite.
C’era una volta la Madonna.
Entrambe simboli di un amore differente, di bellezza, di splendore, di sensibilità, di forza, di vita.
C’era una volta la donna, manifestazione del pensiero divino, consapevole del ricongiungimento col cosmo, fragile e dotata del potere spaventoso della nascita, simbolo e metafora dell’anima, del tempo, dello spazio, del tutto.
C’era una volta la Donna e c’è ancora, tutti i giorni, ogni giorno.