La Georgia, come pure le altre repubbliche del Caucaso, occupa una superficie modesta sulla carta geografica globale (solo 69.700 kmq) ed ha una popolazione tutto sommato ridotta (4,9 milioni di abitanti), ma ciò non significa che non svolga un ruolo fondamentale nello scacchiere geopolitico mondiale. Come sappiamo, infatti, il Caucaso rappresenta un crocevia fondamentale per le forniture di gas e petrolio che giungono dall’est verso l’Europa, ma anche un’area dove si giocano gli equilibri delle rivalità tra gli Stati Uniti e la Russia, con due potenze regionali, la Turchia e l’Iran, che pure non mancano occasione per esercitare la propria influenza, senza dimenticare i conflitti tra le stesse repubbliche caucasiche, con il coinvolgimento delle innumerevoli minoranze etniche che le abitano.
Divenuta indipendente nel 1991, in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Georgia è presto caduta nell’orbita di Washington, applicando nei propri confini una delle liberalizzazioni più sfrenate che si siano viste, privatizzando tutto quello che si poteva privatizzare. In questi giorni, a Tbilisi e dintorni si organizzano quelle che saranno le ultime elezioni presidenziali nella storia del Paese: In base ad un emendamento alla Costituzione passato lo scorso anno, infatti, il capo di Stato non verrà più eletto in maniera diretta, bensì da un collegio di elettori composto da trecento membri. Per questa ragione, il presidente eletto quest’anno resterà in carica per sei anni, e non per cinque come avvenuto in precedenza. Queste modifiche renderanno de facto il primo ministro l’uomo politico più importante del Paese, mentre verranno decurtati pesantemente i poteri presidenziali, ponendo dunque fine al sistema semipresidenziale esistente fino ad oggi.
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Il primo turno di queste elezioni presidenziali ha avuto luogo domenica 28 ottobre, facendo registrare un’affluenza alle urne assai bassa (46.74%, 1.6 milioni di elettori su 3.5 milioni di aventi diritto). Sulla scheda consegnata ai cittadini georgiani figuravano ben venticinque nomi, il numero più alto nella storia del Paese. Tra questi mancava però quello di Giorgi Margvelashvili, il presidente uscente, che, pur avendone il diritto, ha rinunciato ad un eventuale secondo mandato.
Come previsto dai sondaggi, e come facilmente prevedibile per via della grande frammentazione delle candidature, nessuno degli aspiranti presidenti ha raggiunto la fatidica soglia del 50%, e dunque sarà necessario un ballottaggio tra i due candidati più votati, previsto per il 28 novembre, al fine di eleggere il nuovo capo di Stato.
A partire in vantaggio sarà la sessantaseienne Salome Zurabishvili, candidata come indipendente, ma con un passato da ministro degli Esteri sotto la presidenza del discusso Mikheil Saakashvili, oggi in esilio, e leader fattuale del partito La Via della Georgia (საქართველოს გზა, Sak’art’velos gza), forza fortemente liberista, come le politiche che hanno caratterizzato il Paese sin dalla sua indipendenza. Zurabishvili ha ottenuto il 38.64% dei consensi, e spera di diventare la prima donna georgiana eletta alla presidenza (in passato, Nino Burjanadze ha ricoperto l’incarico ad interim a due riprese). La candidatura di Salome Zurabishvili è stata inoltre appoggiata dal partito più importante del Paese, Sogno Georgiano – Georgia Democratica (ქართული ოცნება – დემოკრატიული საქართველო, Kartuli ocneba – Demok’rat’iuli Sakartvelo), la forza fondata dal miliardario ed ex primo ministro Bidzina Ivanishvili ed alla quale appartiene anche l’attuale premier Mamuka Bakhtadze.
La sfida sarà comunque apertissima con Grigol Vashadze, che ha ottenuto solo quattordicimila consensi in meno della rivale, fermandosi al 37.74% delle preferenze. Il sessantenne ha a sua volta un passato da ministro di Saakashvili, sia alla Cultura che agli Esteri, funzione che ha ricoperto dal 2008 al 2012, risultando così uno dei più longevi ministri degli Esteri nella storia del Paese. Vashadze ha inoltre ricevuto l’investitura ufficiale come erede di Saakashvili, essendo candidato per il partito fondato nel 20012 dall’ex presidente, il Movimento Nazionale Unito (ერთიანი ნაციონალური მოძრაობა, Ertiani Natsionaluri Modzraoba – ENM), forza liberal-conservatrice e filo-occidentale, tanto da fare del possibile ingresso nell’Unione Europea uno dei punti cardine del proprio programma.
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Filoeuropeista era anche la candidatura di Davit Bakradze, che con Zurabishvili e Vashadze condivide il fatto di essere stato a sua volta ministro degli Esteri di Saakashvili, seppur per soli cinque mesi nel 2008, mentre più lunga è stata la sua esperienza come presidente del Parlamento. Il suo partito, fondato nel 2017, si chiama – non a caso – Georgia Europea (ევროპული საქართველო, Evropuli Sakartvelo), ma la candidatura di Bakradze, considerato come il possibile terzo incomodo, ha raccolto solamente il 10.97% dei consensi.
Aneddotici i risultati degli altri candidati, con Shalva Natelashvili che ha ottenuto il 3.74% per il Partito Laburista Georgiano (საქართველოს ლეიბორისტული პარტია, Sakartvelos Leiboristuli Partia – SLP), unica forza organizzata di centro-sinistra in un Paese che dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica si è votato ad una delle forme di liberismo più sfrenato.
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Per conoscere il nome del nuovo presidente georgiano bisognerà il ballottaggio di mercoledì 28 novembre, ma sia Zurabishvili che Vashadze promettono un sostanziale mantenimento dello status quo: iperliberismo in politica economica, posizioni filoeuropeiste, filostatunitensi ed antirusse in politica estera, con la mai celata ambizione di entrare nell’Unione Europea e nella NATO, progetto pienamente sposato da Washington, che tende ad estendere sempre più le frontiere della propria zona d’influenza fino ai confini con la Russia. Per la cronaca, gli ultimi sondaggi danno Vashadze in vantaggio di circa cinque punti percentuali sulla rivale (41% contro 36%), ma rimane ancora importante la quota di elettorato indeciso (23%).