Paradiso di Giorgio Linguaglossa – Croce editore
“Il buon giorno si conosce dal mattino!”
E’ proprio il caso di applicare questo popolare detto, all’opera poetica di Giorgio Linguaglossa “Paradiso”, dove già nel primo verso, l’autore condensa e dichiara
il suo intento, la sua poetica, munendosi di arditi e sicuri strumenti per intraprendere una navigazione importante e consapevole nella scrittura..
“Affidarsi a più solida barca, traghettare!
Una fede, un mezzo, una meta, un epicentro, sembrano essere gli elementi essenziali di cui egli necessita per esplorare la storia, il mito, se stesso, nell’attraversare l’inevitabile scorrere del tempo, fermato solo nell’attimo e solo dall’arte, dalla poesia. Pur adornando le atmosfere, con il caldo velo della poesia, Linguaglossa , immette sul nudo palcoscenico la storia, nel suo essere, nel suo essere stato, nel suo divenire, e fa recitare i suoi personaggi, liberandoli dal tremendo giogo della staticità, della temporalità.Senza una meta precisa, essi si muovono come “ vermi nel formaggio quaglino” : scivolano su stessi, senza centri gravitazionali,direzionali. La struttura del poema si costruisce strato su strato e si dilata attraverso salti nei secoli, riempiti da parallelismi e insistenti e marcate reiterazioni di versi e strofe, tendenti a ricucire stearnianamente le faglie e le distanze di pensiero, in un magico teatro di danza delle idee.
“L’ uomo cammina col bambino.
Una ringhiera di ghisa e il mare..
Due mele di sonno ha il secolo sovrano.” (pa.II)
“Una donna nuda davanti allo specchio
si spalma il rossetto sulle labbra,
sorride e guarda il bambino.
Fruscio di palpebre.
Due mele di sonno ha il secolo sovrano. (pag.12)
Il richiamo a luoghi reali e metafisici, a personaggi mitici e storici, semplici e letterari, centripeta l’attenzione e l’energia della scrittura verso un fulcro dinamico a cui ci si può ricongiungere solo per mezzo del pensiero volato alto, l’erudizione, la parola poetica. Come gli scrittori antichi, dei testi sacri,la preoccupazione del poeta non è tanto quella di inserire i personaggi e le vicende nelle atmosfere e nei tempi storici in cui essi sono veramente vissuti, bensì quella di citarli, di riplasmarli, per parlare anche attraverso di loro, assumendoli come simboli.
Varie e lontane sono da noi e tra di loro, le epoche toccate nel suo sapiente excursus.
Linguaglossa, in modo certosino, procede nell’incastonatura dei tasselli per creare il suo mosaico, sempre sicuro nella scelta del suo lessico, delle sue tematiche,
convinto che l’operazione che sta compiendo sia di grande importanza; deve dunque continuare, quali che siano i risultati finali,sapendo bene che, tutta la scrittura è una continua riscrittura. Nulla in verità, si inventa: è tutto preesistente.Il primo Omero compilò l’Iliade e il secondo l’Odissea, mettendo insieme narrazioni orali e documenti precedenti. Virgilio parti da queste due opere, per allestire alcuni canti della sua Eneide. Dante da Virgilio, per costruire l’inferno della sua commedia.Linguaglossa da Dante,per ricostruire alcune ambientazioni del suo poema. E cosi fecero gli scrittori antichissimi della bibbia, del Gilgamesh, delle Upanishad, dei vedanta.. Ognuno Di questi autori, ispirati o meno, ha elaborato, allungato una traccia che giaceva nei solchi sperduti della tradizione e ha cercato di codificarne il patrimonio culturale, religioso, epico, del tempo in cui viveva, con lo scopo primario di tramandarlo ai posteri, affinché servisse da monito e insegnamento.
Nei secoli, la sacralità della scrittura è andata scemando e il ciclo della tradizione sembra essersi interrotto; comunque non vi è un solo poeta o scrittore, nel mondo, che non abbia attinto e non attinga alle opere citate. Dall’autore del Beowolf, a Chaucer, a Spenser, a Milton, a Pope, a Byron, Slelley, Keats, a Eliot, Pound , a Pulci, Boiardo, Ariosto,Tasso, Marino, Parini, a Rimbeau, a Whitman, Ginsberg, a Propato, a Linguaglossa, la forma poema ha terminato il suo viaggio per dare posto al frammento. Il novecento non ha più eroi positivi o negativi da cantare e precipita in una forma di scrittura che vuole farsi sintesi, per interpretare con i suoi brandelli la ripetizione delle gesta umane prodotte da un uomo che non ha più radici, ma si muove sulle sabbie mobili, pieno di inquietudini e incertezze, di domande paradossali e tautologiche. Giorgio Linguaglossa, accanito e dichiarato oppositore del minimalismo casalingo e banale imperante, e delle poetiche epigoniche che costellano l’ultimo periodo del secolo da poco trascorso, fa un’operazione audace.Si riallaccia alla forma antica poematica ,come il Lord Gordon Byron nell’ottocento, con il suo Don Juan, cercando i suoi eroi o antieroi nel passato, per meglio e più oggettivamente criticare il presente.
“I want a hero: An uncommon want,
when every year and month sends forth a new one, (Byron)
till, after cloyng the gazettes with cant,
the age discovers he is not the true one:”
“Affidarsi a più solida barca, traghettare,
l’inconfutabile eutimia offrire agli stolti, (Linguaglossa)
un vento divino ci condurrà.
“Dimmi Caronte, è grave disaccortezza
negare all’ospite l’ingresso?La verità
o è nella polvere della superficie
o nelle profondità del Tempo?”
Paradiso, come il Don Juan e altre opere di tale genere, è un libro controcorrente, una ulteriore picconata al presente già quotidianamente picconato, e necessita di un approccio radicale con il terreno della letteratura, della cultura, per essere compreso in tutte le sue valenze simboliche, nei suoi richiami, nelle sue citazioni. Enucleare dei versi, quando si procede a una lettura critica, è un modo per mettere in evidenza la potenzialità dell’opera, il suo humus e indicare l’iter del poeta. In “Paradiso”,nonostante si proceda per processi di accumulazione, ogni verso ha una sua immagine autonoma, un suo peso specifico e un percorso, un suo suono, e tutti questi ingredienti,tenuti insieme da una sintassi calibratissima e ricercatissima, mostrano la lucidità e la visionareità con cui il poema prende forma unitaria, anche se picchettato e sezionato da puntelli e strati, nella sua architettura, dalle fondamenta, al tetto. Qualsiasi persona saggia, quando intraprende una nuova avventura, cerca di calcolare i costi e i rischi dell’impresa. Linguaglossa, nel procedere nella stesura di “Paradiso”, ha dovuto certamente misurarsi con tutto ciò che lo precede e quello che esiste allo stato attuale, esponendosi a critiche maggiori.
Ha certamente osato, è stato temerario, come scrive Dante Maffìa nella prefazione.Ma
Scomodare tutta la storia dei tempi andati, la mitologìa: ne valeva veramente la pena?
Cui prodest, direbbe il profano. Noi,comunque, anche se profani, pensiamo che il libro in questione, semini un seme che germoglierà discussione, meditazione, quando il lettore occidentale troverà il tempo e saprà addentellare nella sua mente pigra, sconvolta, piena di niente, il senso dei segni che l’autore ha voluto lasciare. Lo scrittore di “Paradiso” ha
Un senso aristocratico dell’arte, della poesìa.
Il poeta è una sorta di Ierofante in grado di vaticinare, e non ha bisogno di semplificare
la sua voce, per essere compreso, ma di innalzarla, sino a toccare corde blu che lo portino verso lo scrigno dove sono raggruppati e svelati i misteri. Il linguaggio di Paradiso è alto anche quando il tono tocca argomenti di routine quotidiana. Immagini reali e metafisiche si susseguono per creare ambienti esterni-interni , proiettati verso un epicentro misto che accoglie tutti i resoconti dei viaggi, le divagazioni, tutto l’esperito. L’andamento anabatico e catabatico dell’opera raggiunge cime elevatissime e tocca fondali infernali;tutto, comunque, governato da un capitano la cui voce sa stemperarsi, ma sa diventare anche potente e rigorosa, decisa, profetica, quando occorre.
“Fermami nell’attimo, arrestami
nel ciclo del cielo stellato, come il Cristo pantocratore
che riceve la spada dall’angelo.
Guarda,il trionfo rappresenta l’imperatore bizantino Commeno
E la moglie Irene, nient’altro che apparenza musiva, simulacro.
Chiudimi nel salterio, nel mosaico.Ieratico, circonfuso
Di angeli e intreccio teriomorfico di serpenti. (pag.17- Il poeta parla)
Con cori e assoli, Linguaglossa fa cantare angeli e uomini, eoni e demòni,poeti e pittori, in atmosfere apocalittiche terrene, nella Prima navigazione, nella città di Lite, nella città di Dite o nella Città dei sentieri che si biforcano, rendendosi parte di questi cori, di questi assoli, anche se è difficile scorgere dove e quando egli subentri interamente, direttamente,come persona, come personaggio.. Piuttosto, ama impastarsi con i fenomeni della natura, con gli eventi della storia, trasformandosi, per diventare quell’infinità di esseri e cose che, dopo aver esperito, ritornano ad essere la stessa natura che erano. Polverizzare il proprio io, parlare attraverso gli altri, divenire pulviscolo atmosferico trasportabile ovunque,da un leggero vento, (un vento divino ci guiderà) consente di essere se stessi in ogni cosa e in ognuno, e crea la conditio sine qua non, per esplorare il cosmo nella sua infinitudine, l’uomo nel suo microcosmo, nel suo farsi storia, parte dell’universo,monade comunicante con le altre monadi e con la Monade per eccellenza. Tuttavia, nonostante i voli della mente, la natura dell’essere umano è strettamente connessa all’nvolucro materico che la contiene e non vi possono essere né fughe, né evasioni. Tutto si risolve senza risolversi,(come nel caso dei vermi nel formaggio quaglino).. se un problema si può risolvere, non esiste.Se un problema non si può risolvere, non esiste.. Esiste l’essere che deve saper sentire di essere: e basta.
Sinora, tutti hanno detto bugie,perché la verità è una bugia:quindi, tutti hanno detto la verità.Tutti,finora hanno detto verità, perché la bugia è una verità: quindi tutti hanno detto bugie.Ergo:la verità è bugia,bugia verità! Mimetizzazioni, metamorfosi,rinascite
In corpi altri, trasporti empatici simulano universi in continuo divenire ,creando e ricreando luoghi asimmetrici, entità ibridate da un continuo incrostarsi di strati materici a pulviscoli eterei.
“Ho studiato per diventare pioggia
ma la voce del tuono mi ha svegliato
all’improvviso scagliandomi tra i
chiodi del calzolaio perché fossi
un solo corpo con la suola terrestre
e la nobile tomaia.
Tutte le direzioni ho percorso e tutti i sensi
Sollevando l’architrave del Tempo.
In altra vita sono stato topo,
pesce di mare e semplice cespuglio
di me irrorando il suolo, l’aria campestre.
Ed ora ti parlo come cenere sulla sella
Degli alisei o come carta topografica
D’un impero decrepito.” (pag. 118 –Monologo del poeta ab solutus)
Navigare nel poema di Linguaglossa è come navigare in internet. I suoi versi conducono attraverso cunicoli e labirinti, in cui, a volte, è difficile districarsi, poiché la ragnatela si fa sempre più intrigante dopo le prime connessioni, ma quando sembra di aver perduto il senso della rotta nel grande oceano del logos, ecco che il poeta venuto a galla dopo i grandi tuffi, riporta ogni cosa lucidamente al ragionamento, tramite un assolo dove l’io riprende il timone e tira le somme. Linguaglossa, pur di raggiungere il suo scopo estetico,di verità, sacrifica la poesia o meglio la contamina con altre forme altrettanto nobili di espressione quali la filosofia, la teologia, la teosofia ,creando una sua personale disciplina, eclettica e sincretica, che è la sintesi di tutta la sua erudizione, la sua inventio. Per cui, il lettore stitico e il critico lasso, abituati a leggere una poesia lineare e scorrevole, musicale e armonica, troveranno faticoso l’approccio con “Paradiso” e forse diranno fra sé e sé o ad altri ad alta voce:” ma qui, la poesia, dov’é?” Coloro che si interrogano così, sono una moltitudine, ma la moltitudine, non è detto che abbia sempre ragione sui pochi. La poesia è meta e viatico insieme, è suono e silenzio, è nella prosa, è nel teatro, è nel saggio, ha innumerevoli stati allotropici: è ovunque la si sappia cogliere. O, per dirla con Eliot : “ …La poesìa non è uno sfogo di emozioni,ma un’evasione da
esse;non è l’espressione della personalità, ma un’evasione dalla personalità”. E ancora: “ Il poeta non ha una personalità da esprimere, ma un mezzo particolare,solo un mezzo e mai una personalità,nel quale esperienze e espressioni si combinano in modi singolari e inaspettati.” Quindi :” Più perfetto è l’artista, più netta sarà nella sua opera la separazione tra l’uomo che soffre e la mente che crea”. (Tradition and the individual talent- T. S. Eliot- 1917) .Forse avvertendo tutte queste nostre considerazioni, e facendo sua la lezione proveniente dai metafisici, l’autore si mette al riparo dai pericolosi gusti e sentimenti che sciorinano putrescente omologazione e avvizzite romanticherie in ogni angolo e ambito del nostro presente dal ventre molle e impantanato, ed esordisce con un verso potente di salvataggio affinché lo proietti verso giudizi altri:
“Affidarsi a più solida barca, traghettare”.
Come Joyce o Pound, attento analista delle temperie culturali, della storia e del pensiero dei suoi tempi, Linguaglossa procede nelle connessioni incedendo motu proprio in una nuova sfida, sfida per un incontro, facendosi interlocutore con i navigatori nell’oceano delle idee, che hanno attraversato i secoli. Fratture,cadute, voli e approdi, scogli, pendii, alte e basse maree, caratterizzano il poema,partorito in modo lucido e visionario, da un
valente fabbro aiutato da un mentore invisibile ma pantocràtore, che alla fine ritira le reti dopo una lunga pesca, per vedere e selezionare i frutti del suo lavoro lungo e paziente, laborioso.Anch’egli ha cercato una sua Beatrice, una sua Atena, una sua Didone,una Sua Minerva, un suo Virgilio, comunque un nume, che lo accompagnasse e vegliasse su di lui nel suo viaggio.Viaggio che secondo la prospettiva di alcune voci del poema, vede il suo culmine in una totale apocatastasi e che vede realizzata la visione di Isaia,la visione di Milos nella sua “Canzone per la fine del Mondo”. Linguaglossa opera una sommatoria di tutte queste voci, per cui, i punti di vista sono molteplici e mai si giunge a una chiara identificazione del luogo o del senso del luogo, che dà il titolo al poema.
“Quot homines tot sentetiae”, ma alla fine, ci sarà una sintesi, un qualcosa che includa tutti e tutto? L’assenza di una sintesi, di un centro è la caratteristica di questo viaggio linguaglossiano nel topos e nel logos.
“Non ci sarà altra fine del mondo.
Il contadino pianterà carote e pomodori
Il botanico gigli e fiori
L’assassino sgozzerà la sua vittima
Ed il poeta mangerà un pasticcio di lamponi.
Tutti saremo più felici nel prossimo mondo,
non ci saranno più guerre né carestie
semplicemente perché non ce ne sarà più bisogno”. (Pag. 107- Enesidemo
E’ chiaro che quando le divagazioni rasentano il perdersi in una babilonia di idee e di linguaggi, a nulla servirebbe la navigazione, se non si fosse in grado di fermarsi un momento per riflettere sull’accaduto e magari cambiare rotta.A nulla sarebbe servita la peregrinazione di Odisseo, se non fosse arrivato prima che a Itaca, presso la corte dei Feaci, dove il racconto delle sue gesta diventa patrimonio collettivo.Vano sarebbe stato il Viaggio inimitabile della “Parola”, se non vi fosse stato un rientro, un ricongiungimento all’origine.Con la voce di un poeta dannato, linguaglossa, ridà una rotta al suo andare nei mari della conoscenza, dell’esperienza.
“Riprendiamo il filo del discorso dal punto
in cui eravamo rimasti. Ripercorriamolo
a ritroso, cerchiamo il bandolo della matassa
e gettiamolo giù, nell’abisso del tempo.
Siamo estranei ormai, distanziati dalla notte.
Per altre vie giungerò anch’io allo stesso
Punto, interrompendo l’attesa, intrecciando
Divagazioni e sospetti.Non sono mutato,
ho il medesimo naso aquilino.Oggi ho compiuto
trentotto anni.Non mi vedi? Dimenticavo
che hai gli occhi ciechi, no te preoccupes
anch’io ho cieco l’occhio della coscienza”. (pag. 119- Parla un poeta dannato)
Come il poeta stesso ci suggerisce, cercheremo di riprendere il filo di questa nostra divagazione, partendo come Yeats, verso una Bisanzio” catartica”, per approdare a una Bisanzio” falsa “ e “ incimurrita “, dove Linguaglossa ha avuto i suoi natali.In questa poesia epicentrica, rivelatrice, è l’autore stesso a comunicarci che sta operando in un teatro,in cui le marionette possono essere una, nessuna e centomila, tutte agenti in uno scenario privo di fili che vogliano connetterle, dirigerle. La Bisanzio antica e moderna, descritta con toni non del tutto eloquenti, diventa epicentro dei movimenti che costituiscono gli infiniti scorrimenti endoreici ed esoreici del poema : è il sito del ritorno. . . ma è il sito vero, bramato, del ritorno?
“Questa falsa Bisanzio incimurrita
inghirlandata dai trofei delle cupole
della cattolicità, dai parlamenti
d’un potere eterno, spettrale, è la mia città,
il mio luogo devastato, il teatro
della mia marionetta, il mio necrologio,
il mio orologio, la mia cecità.” (Pag. 126-Questa falsa Bisanzio)
Più che di poesia del cuore, qui si può parlare di poesia della mente, ma cuore e mente non sono separati, c’è un legame invisibile e indissolubile tra di loro, e mai si naviga seguendo solo la rotta di uno o dell’altra. La tendenza ossimorica di “Paradiso”, non lascia intravedere nessun satana che, consapevole della sua condizione potente ma peritura, possa ergersi in mezzo a tanti dannati spiaggiati oltre il lete e miltonianamente lanciare il suo urlo per affermare che: ”E’ meglio regnare nell’inferno che servire in paradiso”. Lo scenario di Paradiso mostra invece, un eden eslege, pieno di esseri che lo
albergano inconsapevoli. Non lo si può situare né nello Shat El Arab, né in Armenia, né nella terra dove scorre latte e miele. Il paradiso di Linguaglossa non è mentale, né fisico, né spirituale: è l’isola che non c’è. Esso è inesistente.E’ dunque tutto un gioco: si, ma un gioco serio,che tende a superare nietzschianamente la condizione eterna del bene e del male, in cui versa la stolta e malcapitata umanità da un eterno. In questo suo lavoro poderoso e sapiente, denso di segni, il poeta, seguendo l’influsso di teorie acmeiste, per alcuni aspetti e forse delle teorie di T. E. Hulme, dei modernisti, della “New Age”, dell’imagismo, per altri, ha cercato di restare lontano dalle proprie emozioni, spersonalizzandosi, astraendosi, per consentire alle idee di essere il più oggettive possibili,senza tuttavia abbandonarsi a una sola e mera costruzione oggettiva, ma affidandosi anche alla musica, alla musicalità del verso, che si coglie maggiormente in alcune poesie, meno contaminate dal vocio incandescente ora babelico, ora cristallino che caratterizza l’intero andamento dell’opera.
Pag.9
“Nel mio giardino il giallo limone risplende
e tra le araucarie e le acacie il gallo cedrone
ridacchia con la sua cresta d’oro.
Nel recinto, all’ombra d’una quercia,
depongo la mia eternità.
Siamo in prossimità del mare che verdeggia.
Il pappagallo sull’asse, la cornacchia
Che prende alto il volo, la zattera dei lémuri.
L’universo, il rovescio della giacca di dio,
mi è indifferente.
Forse tra le poltrone dell’aldilà anch’egli
Si cruccia dell’universale.
Luniverso si ritrae nel giardino,
il giardino nell’albero di limone.
E il mattino contemplo il frutto oscillare,
risplendere in accordo con la ruota”. (Pag. 123-Il poeta bianco)
Poema controcorrente, come dicevamo, che saprebbe scuotere il sonno dei dormienti assuefatti dai sonniferi di Morfeo,se il risveglio fosse veramente la sola via per l’illuminazione.
Per quanto ci riguarda,se il mondo continuerà a essere, immaginando un ipotetico
scopritore del “ Rotolo “ di Linguaglossa, siamo convinti che,aprendolo, troverà segni importanti per la comprensione dell’epoca dell’autore, dei suoi gusti, della sua ricerca di connessioni con l’assoluto.Se è vero che – nomen omen -, Linguaglossa ha tutti i requisiti necessari per candidarsi alla Scrittura. Avevamo cominciato questa modesta disamina con un detto e, durante il cammino, abbiamo assaporato la parte acerba e il nettare del frutto coltivato nei campi di Linguaglossa. Campi in pianura, in collina, in montagna, vicini al mare, campi dell’anima, della fantasia, del corpo, della parola, dello spirito, convincendoci che un altro Otted si può applicare alla notevole, meditata scrittura – riscrittura
Biagio Propato Blasius Nasce in Basilicata ma si trasferisce giovanissimo a Roma, dove tuttora risiede. Laureatosi in Lingue e Letterature straniere, sarà per trent’anni insegnante di inglese.
A partire dagli anni ottanta lavorerà anche come critico letterario, collaborando a note riviste del settore, come Inchiostri e Il battello ebbro. Intanto intreccia profonde amicizie con poeti del calibro di Dario Bellezza, Dante Maffia e Vito Riviello.
Il 1986 è l’anno della sua prima pubblicazione: il poema Gobi – Viaggio nel negativo (Edizioni Moloch), con prefazione di Maffia. Il libro racconta di una traversata al di là del tempo e dello spazio, una ricerca attraverso i sentieri nascosti che compongono la trama letale del deserto interiore, nel quale il Poeta si sente un disperso e al contempo un invincibile padrone. Particolare attenzione va rivolta al linguaggio di questo poema, che propone una struttura metrica assolutamente originale, e che presenta un continuo ricorso alla metafora e al simbolo, come strumenti mistici e visionari attraverso i quali svelare il senso del Vero e dell’Assoluto. Il libro risente dell’influsso dei modelli letterari che accompagnano Biagio Propato sin dalla giovinezza, ovvero gli autori della Beat Generation (l’autore definisce Allen Ginsberg come il suo “maestro”), i romantici inglesi (John Keats) e i grandi poeti dell’Ottocento francese (Baudelaire e Rimbaud).
Negli anni seguenti sarà molto attivo soprattutto come promotore di cultura, organizzando nel noto quartiere romano di San Lorenzo, una lunga serie di serate letterarie, a cui partecipano i più grandi nomi della letteratura contemporanea.
Nel 2009 Propato realizza, insieme al giovane regista Toni D’Angelo, un documentario dal titolo Poeti, presentato con successo alla Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia[1]. Il film si interroga sulla possibilità di ripetere in epoca odierna un evento simile al grande Festival poetico che ebbe luogo nella località di Castel PorzianoMostra nel 1979 (a cui Propato stesso prese parte). In seguito il dubbio diventa ancora più forte e importante, riferendosi al senso stesso della Poesia. Roma è la vera protagonista del documentario, in cui appare una vasta e suggestiva gamma di interpreti letterari, dai cosiddetti poeti “underground” a quelli “ufficiali” (come l’amico Dante Maffia, Maria Luisa Spaziani ed Elio Pecora).
Le più recenti pubblicazioni di Biagio Propato sono Solo un poema rotolante (2009) e Ora e plutonio (2010), edite dalla casa editrice Nuova Cultura.