Sabato 6 ottobre si sono tenute le elezioni legislative in Lettonia, repubblica baltica entrata a far parte dell’Unione Europea nel 2004.
I cittadini della piccola ex repubblica sovietica sono stati chiamati a rinnovare i cento seggi della Saeima, il parlamento unicamerale del Paese, composto da cento seggi ed eletto con il metodo proporzionale in cinque circoscrizioni e sbarramento su scala nazionale fissato al 5%.
Il Paese arrivava alle elezioni reduce da quattro anni di governi di coalizione, guidati prima da Laimdota Straujuma e poi, a partire dal gennaio 2016, da Māris Kučinskis. Nonostante la vittoria alle elezioni del 2014, il Partito Socialdemocratico “Armonia” (in lettone Sociāldemokrātiskā Partija “Saskaņa”, in russo Социал-демократическая партия «Согласие») era rimasto escluso dalla coalizione di governo, della quale facevano invece parte i conservatori di Unità (in lettone: Vienotība), i ruralisti dell’Unione dei Verdi e dei Contadini (in lettone: Zaļo un Zemnieku savienība – ZZS) ed un altro partito di destra come Alleanza Nazionale (in lettone: Nacionālā Apvienība – NA).
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Anche questa volta, i socialdemocratici hanno ottenuto la prima posizione, attestandosi sul 19.91% . Nonostante la perdita di tre punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni, il partito di Vjačeslavs Dombrovskis ha mantenuto inalterata la propria rappresentanza parlamentare, con ventiquattro deputati eletti, ma anche in questo caso non ha affatto la certezza di poter far parte del prossimo esecutivo. Partito filorusso che ha la sua base elettorale proprio nella popolazione di etnia russa (circa un quarto dei due milioni di abitanti della Lettonia), Armonia paga proprio per questo il suo isolamento politico, nonostante i successi alle urne.
Come oramai sta accadendo in tutto il continente, la vera novità di queste elezioni è rappresentata da una forza populista ed anti-establishment ed antieuropeista come A chi appartiene lo Stato? (Kam pieder valsts? – KPV LV), fondata nel 2016, che proponeva Aldis Gobzems (nella foto in alto) come proprio candidato alla guida del governo. KPV ha ottenuto un risultato sorprendente per un nuovo partito, raggiungendo il 14.06% dei consensi ed affermandosi come seconda forza politica del Paese, con quindici deputati eletti. KPV ha chiaramente eroso parte dei consensi del governo uscente, collocandosi nell’area di centro-destra, ma allo stesso tempo criticando aspramente l’operato del precedente esecutivo ed attestandosi su posizioni euroscettiche.
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Il Nuovo Partito Conservatore (Jaunā konservatīvā partija – JKP) realizza a sua volta un’importante operazione, ottenendo il 13.58% dei suffragi e sedici seggi, grazie alla divisione delle cinque circoscrizioni elettorali. Il partito di Jānis Bordāns, al contrario di KPV, fa parte dell’ala conservatrice filoeuropeista, ed a sua volta ha potuto pescare consensi tra gli elettori delusi dal precedente esecutivo.
Seguono poi le due forze confluite nella lista Attīstībai/Par!, con il 12.04% delle preferenze e tredici seggi, stesso numero di rappresentanti eletti da Alleanza Nazionale, una delle forze facenti parte del governo uscente. Con l’11.03%, NA ha perso cinque punti percentuali e tre seggi, limitando comunque i danni rispetto a ZZS, il partito del premier Māris Kučinskis, che ha perso quasi dieci punti percentuali (9.96%), passando da ventuno ad undici seggi.
Unità, ribattezzata per questa campagna elettorale Nuova Unità (Jaunā Vienotība), ha subito le conseguenze peggiori, crollando dal 22% sfiorato quattro anni fa al 6.67%, e passando da ventitré ad otto deputati. Senza rappresentanza parlamentare, invece, resteranno l’Associazione Lettone delle Regioni (Latvijas Reģionu apvienība) e Dal Cuore per la Lettonia (No sirds Latvijai), che nella precedente legislatura avevano ottenuto rispettivamente otto e sette seggi.
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Il verdetto certo di queste elezioni in Lettonia resta dunque la netta bocciatura del governo uscente, mentre ora si apriranno le contrattazioni per la formazione del nuovo esecutivo e raggiungere la maggioranza assoluta dei cinquantuno seggi. Il compito si annuncia arduo e saranno necessari compromessi, come oramai sta diventando abitudine in tutta Europa (Italia, Slovenia, Svezia, dove non c’è ancora un governo un mese dopo le elezioni, per citare solo gli ultimi casi).