Travolto da una crisi economica che affonda le sue radici più al di fuori del Venezuela che all’interno del Paese sudamericano, il governo di Nicolás Maduro corre ai ripari e vara un piano per riportare il Paese alla stabilità.
Ha avuto inizio lo scorso 20 agosto il piano annunciato dal capo di Stato venezuelano, volto a riportare il Paese alla normalità nei prossimi due anni. Travolto dall’inflazione e dalla crisi economica, assediato con una nuova forma di guerra economica su tutti i fronti, il Venezuela sta cercando di correre ai ripari per risanare la propria situazione interna ed allo stesso tempo tentare di distaccarsi dal sistema economico internazionale, fondato sul primato degli Stati Uniti e del dollaro statunitense.
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Come noto, Nicolás Maduro ha già messo in atto la creazione di una criptovaluta alternativa, il Petro, e dal 20 agosto ha avuto inizio l’applicazione di un nuovo regime salariale e dei prezzi ancorati allo stesso Petro. L’obiettivo è quello di legare, attraverso la criptovaluta, i salari ed i prezzi interni non al mercato internazionale, ma alle riserve di petrolio del Venezuela, che – vale sempre la pena ricordarlo – è il maggior possessore mondiale di giacimenti petroliferi, stimati in oltre trecento miliardi di barili (contro i 266 miliardi dell’Arabia Saudita).
Con questa mossa, Maduro ha promesso “un miglioramento sostanziale, una stabilità delle entrate dei lavoratori”, grazie alla possibilità di fissare i prezzi massimi dei beni di prima necessità. “Tutte le istituzioni vincolate ai sistemi di distribuzione e prezzo saranno garanti della loro effettività. Non ci saranno scuse di speculazioni perché i prezzi saranno ancorati al Petro”, ha aggiunto il capo di Stato.
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Il nuovo sistema monetario venezuelano sarà dunque basato su due valute: il già citato Petro, una criptovaluta digitale, ed il Bolívar Soberano (Bs.S.), la nuova valuta corrente che andrà progressivamente a sostituire il vecchio Bolívar Fuerte, oramai altamente svalutato. Un Bolívar Soberano varrà 100.000 volte la precedente valuta. Il Bolívar Soberano prevede monete da cinque centesimi e da un Bolívar, oltre a banconote da 2, 5, 10, 20, 50, 100, 200 e 500 Bolívar. Un Petro, invece, ha assunto il valore di 3.600 Bolívar. Questa politica monetaria ha l’obiettivo di correggere determinate distorsioni dell’economia di mercato, su tematiche come l’inflazione, la liquidità monetaria, la riduzione del potere d’acquisto. Maduro, a tal fine, ha ordinato alle banche di assumere entrambe le nuove valute come unità monetaria, ed inoltre il Petro sarà la valuta ufficiale della Petróleos de Venezuela (PDVSA), la compagnia petrolifera nazionale.
Lanciando questo ambizioso piano, Maduro ha promesso che entro il 2020 il Paese tornerà ad una situazione di normalità e di ripresa della crescita, ma il progetto venezuelano non si ferma solamente a questo. Se dovesse avere successo, infatti, l’introduzione delle due nuove valute rappresenterebbe un’importante esempio per tutto il mondo su come distaccarsi dal sistema basato sul primato della valuta statunitense, che, pur restando la moneta più utilizzata al mondo, sta sempre più perdendo quote di mercato. “Sconfiggeremo la guerra pervesa del capitalismo neoliberale e metteremo in atto un-economia virtuosa, bilanciata, salutare e produttiva”, ha detto a tal proposito Maduro, proprio nel giorno dell’entrata in vigore del nuovo sistema monetario.
Parlare di guerra contro il Venezuela, del resto, non è affatto errato. Il Paese sudamericano, infatti, è stato negli ultimi anni vittima di una delle più complesse operazioni messe in atto dall’imperialismo statunitense, anche se Washington si è ben guardata dal mettere in atto un’operazione militare all’interno del continente latinoamericano, dove il sentimento anti-yaqui è fortemente radicato.
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Per capire la tattica utilizzata per attaccare il Venezuela, vale la pena di sposare l’analisi di Ignacio Ramonet, giornalista spagnolo già direttore del periodico francese Le Monde diplomatique dal 1991 al 2008. In un articolo apparso sul sito Venezuela Infos, Ramonet spiega che il Venezuela si trova oggi sotto attacco su ben quattro fronti, in un assalto senza precedenti nella storia:
1) l’insurrezione interna, che però trova le sue radici organizzative al di fuori dei confini venezuelani e che spesso vede l’uso di mercenari;
2) la guerra mediatica attraverso una propaganda mirata, che grazie ai mezzi di comunicazione moderni è la più vasta mai messa in piedi contro uno Stato sovrano;
3) la guerra diplomatica, attraverso le organizzazioni internazionali fedeli agli Stati Uniti d’America, come l’OSA (Organizzazione degli Stati Americani), già utilizzata in passato per delegittimare Cuba, o il “Gruppo di Lima”;
4) la guerra economica e finanziaria, che si esplica attraverso la carenza artificiale e sistematica di cibo e medicine per la popolazione venezuelana, la manipolazione del tasso di cambio, l’inflazione indotta ed un pesante blocco bancario ai danni del Paese, cercando di addossare la colpa del tutto al governo di Maduro.
Proprio quest’ultima modalità di assalto è quella che grava maggiormente sui venezuelani, ed infatti è quella sulla quale Donald Trump ha puntato con più vigore, rincarando la dose con le sanzioni ufficiali e sperando di gettare il popolo nella disperazione a tal punto da insorgere contro il governo, ma senza riuscirvi. La tattica messa in atto da Trump non ha nulla di nuovo, ma fu già spiegata da Lawrence Eagleburger, ex Segretario di Stato di George W. Bush, che pianificò un attacco contro il Venezuela di Hugo Chávez. In un’intervista a Fox News, Eagleburger dichiarò: “Dobbiamo usare gli strumenti economici per far peggiorare l’economia venezuelana in modo che l’influenza di Chávez nel Paese e nella regione diminuisca. Tutto ciò che può essere fatto per far sprofondare l’economia venezuelana in una situazione difficile, è ben fatto”.
Naturalmente, ai tempi di Chávez il piano non ebbe successo, in quanto il Venezuela era sostenuto dall’elevato prezzo del petrolio sul mercato internazionale, ma si è invece rivelato effettivo quando il prezzo del barile ha raggiunto i suoi minimi in tempi recenti, considerazione che – ancora una volta – ci porta a sottolineare come la sopravvivenza della rivoluzione bolivariana passi per la capacità del governo di differenziare l’economia e le fonti d’entrata del Paese, fino ad oggi eccessivamente condizionate dal valore del greggio sul mercato. Chávez, inoltre, poteva contare su un assetto geopolitico favorevole nel continente, quando in tutto il Sud America imperversavano governi progressisti, ad eccezione della solita Colombia e dell’ambiguo Perù.
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Al contrario, oggi, la situazione non è altrettanto favorevole: molti Paesi sudamericani hanno subito cambiamenti repentini di governo, quasi sempre con la regia occulta degli Stati Uniti, mentre il prezzo del barile ha raggiunto negli ultimi tempi i minimi. Non è casuale, dunque, che Nicolás Maduro, nel momento più difficile nella storia del Venezuela bolivariano, abbia deciso di dare la proprità alla risposta sul quarto tipo di guerra, quella economico-finanziaria. Il nuovo sistema monetario rappresenta sicuramente un piano tutt’altro che semplice, ma allo stesso tempo potrebbe assestare un duro colpo all’imperialismo statunitense ed alla supremazia del dollaro come valuta di scambio internazionale, già messa a repentaglio da Cina e Russia, che tendono sempre più ad utilizzare le proprie monete nazionali negli scambi.