Lo scorso 30 luglio si sono tenute le elezioni presidenziali e legislative in Zimbabwe, le prime dopo i trentasette anni di potere da parte di Robert Mugabe. Quelle che sono state generalmente celebrate come le prime “elezioni libere” del Paese africano, hanno in realtà portato ad una situazione di stallo.
L’ANTEFATTO: LE DIMISSIONI DI ROBERT MUGABE
Divenuto primo ministro dello Zimbabwe nel 1980, sotto la presidenza di Canaan Banana, e poi presidente dal 1987, Robert Gabriel Mugabe ha mantenuto il suo potere fino al novembre del 2017, diventando uno dei capi di stato più longevi per una repubblica, nonché il più anziano capo di Stato al mondo, essendo nato due anni prima rispetto alla Regina Elisabetta. Il 21 novembre scorso, tuttavia, a seguito di numerose tensini interne, Robert Mugabe ha ufficializzato le proprie dimissioni dal ruolo di primo cittadino, annunciate dal presidente del Parlamento, Jacob Mulenda, dopo l’avvio di una procedura di impeachment nei confronti del capo di Stato. Dopo trentasette anni di potere incontrastato nello Zimbabwe, occupando le due cariche politiche più importanti del Paese, l’ultanovantenne è stato dunque sostituito dal suo ex vicepresidente Emmerson Mnangagwa, divenuto capo di stato ad interim dal 24 novembre.
[newsletter]
“Io, Robert Gabriel Mugabe, sulla base dell’articolo 96 della costituzione dello Zimbabwe, presento formalmente le mie dimissioni. La mia decisione di dimettermi è volontaria e nasce dalla mia preoccupazione per il bene del popolo dello Zimbabwe, e il mio desiderio di assicurare una tranquilla, pacifica e non violenta transizione di potere a sostegno della sicurezza, pace e stabilità della nazione”, leggemmo allora nella lettera scritta dall’ormai ex capo di stato, che ha così ottenuto la sospensione della procedura d’impeachment.
La fine della presidenza di Mugabe ha sicuramente rappresentato un cambiamento epocale per lo Zimbabwe, senza dimenticare che il leader del Paese africano, nel corso della sua lunga carriera politica, ha anche ricoperto ruoli importanti in ambito internazionale, come quando, tra il 1986 ed il 1989, ha assunto la segreteria generale del Movimento dei Non Allineati. La popolarità di Mugabe negli anni ’80, che lo ha poi portato nelle alte sfere del potere, ebbe origine soprattutto grazie al suo ruolo all’interno della guerriglia che combatteva il regime di apartheid presente nell’allora Rhodesia, dove vigeva una segregazione razziale non dissimile da quella del Sudafrica. La sua vita politica era però già iniziata negli anni ’60, con la formazione della ZANU (Zimbabwe African National Union), il partito di cui è rimasto leader fino alla fine della sua presidenza (chiamato dal 1987 ZANU-PF, ovvero Zimbabwe African National Union – Patriotic Front).
Ai tempi dei suoi esordi poltici, Mugabe si batteva contro il governo segregazionista di Ian Smith. Arrestato per le sue attività sovversive, passò dieci anni in carcere, tra il 1964 ed il 1974. Dopo il rilascio, abbandonò il Paese, per poi tornarvi da leader della guerriglia. Proprio il suo ruolo nella lotta armata, lo fece divenire un eroe agli occhi dei suoi compatrioti e degli africani in generale. Alla fama, seguirono le vittorie elettorali, che lo portarono a ricoprire il ruolo di primo ministro e poi quello di Presidente.
Già negli anni ’80, però, iniziarono ad emergere gli elementi di violenza e brutalità che caratterizzeranno il regime di Mugabe per i successivi decenni. Il primo conflitto fu quello con l’opposizione comunista della ZAPU (Zimbabwe African People’s Union), il partito guidato da Joshua Nkomo. Migliaia di oppositori furono eliminati fisicamente, e i sopravvisutti della ZAPU furono costretti a fondersi con il partito di Mugabe, dando vita, nel 1987, proprio alla tuttora esistente ZANU-PF.
Da allora, la politica interna di Mugabe fu sempre caratterizzata da violenza e repressione, il che contribuì a forgiare la fama negativa di cui ha a lungo goduto l’ormai ex Presidente dello Zimbabwe nei Paesi occidentali. Solo negli ultimi anni, Mugabe ha operato una leggera apertura, attraverso riforme sulla via della democratizzazione e tentativi di migliorare la distribuzione delle ricchezze, dopo una vita passata ad accaparrarle. Un tentativo, forse tardivo, per preparare il Paese alla transizione del post-Mugabe.
[coupon id=”17552″]
Non va dimenticato, infine, che, proprio nell’ultimo anno della sua presidenza, Mugabe aveva manifestato l’intenzione di mettere in piedi un piano di nazionalizzazione delle miniere di diamanti, che costituiscono la principale risorsa dello Zimbabwe, fortmemente ambita dalle multinazionali di tutto il mondo. “Non abbiamo ricavato molti soldi dall’industria di diamanti. Il nostro popolo non è stato in grado di vedere quello che stava accadendo, attraverso i furti e il contrabbando perpetrati dalle compagnie minerarie”, aveva dichiarato un anno e mezzo fa alla televisione nazionale, annunciando l’intenzione di “monopolizzare questo settore e di assegnare solo allo Stato l’attività mineraria”. Ma non basta: puntando il dito accusatorio verso le compagnie occidentali, Mugabe aveva espressamente dichiarato: “Ci hanno derubato della nostra ricchezza”. Secondo molti analisti, non è un caso che l’impeachment nei suoi confronti sia arrivato proprio quando Mugabe si è risvegliato dal torpore, ritrovando una piccola parte di quello che era stato il suo ardore politico giovanile.
L’ELEZIONE DI EMMERSON MNANGAGWA
Ex braccio destro di Mugabe, per il quale ha ricoperto numerose cariche ministeriali ed il ruolo di vicepresidente, il settantacinquenne Emmerson Dambudzo Mnangagwa, soprannominato “il coccodrillo” ai tempi della guerriglia, è stato tra i “traditori” di Mugabe, ovvero coloro che hanno condotto le operazioni di impeachment verso l’ex presidente. Membro storico della ZANU–PF, Mnangagwa ha infatti approfittato della debolezza di Mugabe per cambiare gli equilibri all’interno del partito: in ossequio al suo soprannome, ha creato infatti una fazione interna chiamata “Lacoste” (dal nome della casa francese che ha come simbolo proprio un coccodrillo), portando così dalla sua parte la maggioranza della ZANU-PF. Nell’arco di pochi giorni, dunque, Mnangagwa ha strappato a Mugabe la leadership del partito e la presidenza del Paese, assumento la carica ad interim dopo le dimissioni del secondo.
Con il coltello dalla parte del manico, Emmerson Mnangagwa si è presentato dunque alle elezioni del 30 luglio con il coltello dalla parte del manico, potendo sfruttare tutta l’architettura del potere del partito, ben radicata in tutto il Paese dopo quasi quattro decenni di potere incontrastato. Certo, in teoria lo Zimbabwe è un Paese nel quale c’è la libertà di formare partiti e di presentarsi alle elezioni, tant’è che di candidati alla presidenza se ne sono registrati ben ventitré. Tuttavia, lo scontro per la vittoria si è ridotto alla sfida tra Mnangagwa ed il principale leader dell’opposizione Nelson Chamisa, quarantenne candidato della MDC Alliance (Movement for Democratic Change), un insieme di partiti di centro-sinistra.
A mettere a repentaglio la vittoria di Mnangagwa è stata soprattutto la presa di posizione da parte di Mugabe, che ha invitato la popolazione a votare per Chamisa: per il presidente di lungo corso, il trionfo di un nemico sarebe comunque stato migliore rispetto a quello di un traditore come Mnangagwa.
[community]
Alla fine, però, le urne hanno dato il loro responso, seppur criticato sia dalle opposizioni che dagli osservatori internazionali: Mnangagwa ha ottenuto il 50.8 delle preferenze, superando la soglia del 50% e venendo dunque eletto alla presidenza al primo turno, mentre Chamisa si è fermato al 44.3% e tutti gli altri candidati non hanno superato il punto percentuale. La ZANU-PF ha inoltre ottenuto 170 seggi sui 270 che compongono la House of Assembly e 34 su 80 al Senato, mentre la MDC Alliance ha eletto rispettivamente 86 e 25 rappresentanti. L’affluenza registrata è stata del 70%.
A poco sono servite le proteste di Chamisa, che ha depositato anche un ricorso ufficiale, sottolinenado come in alcuni seggi siano risultati tra i votanti persone di 141 anni ed in altri siano state registrate fino a cento persone con residenza presso lo stesso indirizzo, a testimonianza dei brogli. Probabilmente vi saranno dei ritardi per accertamenti burocratici, ma alla fine Emmerson Mnangagwa potrà godersi il suo primo quinquennio di presidenza seduto sul trono che fu di Mugabe, potendo usufruire di tutto l’impero costruito dal suo predecessore.