Domenica 1° luglio, si svolgeranno le elezioni presidenziali in Messico, l’undicesimo Paese più popolato al mondo con i suoi 117 milioni di abitanti (quasi il doppio dell’Italia) ed il quattordicesimo più grande del pianeta per estensione (oltre sei volte l’Italia). In programma anche le elezioni legislative per il rinnovo dei 128 membri del Senato (Cámara de Senadores del Honorable Congreso de la Unión) e dei 500 membri della Camera dei Deputati (Cámara de Diputados).
I CANDIDATI ALLA PRESIDENZA
Come previsto dalla Costituzione messicana, il presidente uscente Enrique Peña Nieto non potrà chiedere un secondo mandato, al pari di tutti i parlamentari eletti nel 2012, anche se, in base alla riforma costituzionale approvata nel 2014, sarà possibile chiedere un nuovo mandato a partire dal 2024, data nella quale – salvo elezioni anticipate – si dovrebbe tornare alla urne.
Al governo quasi ininterrottamente sin dal 1924, con un’unica interruzione tra il 2000 ed il 2012, il PRI (Partido Revolucionario Institucional – Partito Rivoluzionario Istituzionale) tenterà di mantenere le redini del potere candidando alla successione di Peña Nieto il quarantanovenne José Antonio Meade, che in passato ha ricoperto diverse cariche ministeriali. Nato negli anni ’20 con il nome di PNR (Partido Nacional Revolucionario – Partito Nazionale Rivoluzionario), il PRI era emerso in seguito agli avvenimenti della rivoluzione messicana, al fine di consolidare le conquiste di questo importante avvenimento storico, che aveva addirittura preceduto cronologicamente la rivoluzione russa. Tuttavia, nel corso dei decenni, il PRI ha assunto posizioni sempre più liberiste, portando ad una netta contraddizione in termini, visto che il partito è ancora oggi membro dell’Internazionale Socialista. Nella sua corsa alla presidenza, Meade è appoggiato anche dal PVEM (Partido Verde Ecologista de México) e dal PNA (Partido Nueva Alianza), che insieme al PRI formano la coalizione Todos por México (Tutti per il Messico).
Come abbiamo detto in precedenza, il predominio politico del PRI ha subito una battuta d’arresto solamente dal 2000 al 2012, quando alla presidenza si sono succeduti Vicente Fox e Felipe Calderón, che hanno spostato ulteriormente verso destra la politica economica messicana, entrambi esponenti del PAN (Partido Acción Nacional – Partito d’Azione Nazionale), forza di ispirazione conservatrice e liberale. Il PAN si presenta a queste elezioni all’interno della coalizione Por México al Frente, dalla composizione assai curiosa, visto che include anche partiti che si dichiarano di sinistra come i socialdemocratici del PRD (Partido de la Revolución Democrática) ed il Movimiento Ciudadano. Il candidato di questa coalizione sarà Ricardo Anaya, trentanovenne che ha già ricoperto la carica di Presidente della Camera dei Deputati.
Proprio il Movimiento Ciudadano aveva visto tra i suoi primi leader Andrés Manuel López Obrador, il quale però ha ben deciso di smarcarsi dal movimento quando questo si è avvicinato al PAN. AMLO, come viene chiamato il sessantaquattrenne López Obrador, sarà dunque il candidato della coalizione Juntos Haremos Historia (Insieme Faremo la Storia), composta dai partiti di sinistra MORENA (Movimiento Regeneración Nacional – Movimento Rigenerazione Nazionale) e PT (Partido del Trabajo – Partito del Lavoro), un tempo di ispirazione maoista, ma anche dalla formazione cristiano-evangelica PES (Partido Encuentro Social – Partito Incontro Sociale).
Il quadro dei candidati alla presidenza è completato da due indipendenti: Margarita Zavala, unica donna tra i pretendenti alla massima carica messicana, cinquantenne moglie dell’ex presidente Felipe Calderón, e Jaime Rodríguez Calderón, sessantenne già governatore dello Stato di Nuevo León.
AMLO FAVORITO PER LA PRESIDENZA
I sondaggi pubblicati fino ad ora lasciano presagire una storica novità nella politica messicana, che potrebbe ritrovare una guida di sinistra in Andrés Manuel López Obrador. AMLO, infatti, viene dato al comando in tutti i sondaggi diffusi negli ultimi giorni, con una media del 49.6% delle preferenze, numeri che risulterebbero più che sufficienti, visto che in Messico non è previsto il secondo turno.
Molto distanti gli altri candidati, con Anaya che si attesta intorno al 27.4% e Meade al 20.2%, mentre sono molto distanti i due candidati indipendenti, con Zavala al 4.9% e Rodríguez Calderón al 2.7%.
Il successo di AMLO si può spiegare con la crescente povertà registrata in Messico negli ultimi anni di forte liberalizzazione, in particolare da quanto il Paese ha stipulato il trattato di libero scambio con Stati Uniti e Canada (NAFTA – North American Free Trade Agreement), che si è rivelato naturalmente più svantaggioso proprio per l’economia più vulnerabile delle tre, quella messicana. Secondo gli ultimi dati, l’85% dei messicani vive in uno stato di povertà relativa o assoluta ed il potere d’acquisto è sceso del 71.3% negli ultimi trent’anni, mentre la ricchezza è andata sempre più accentrandosi nelle mani delle famiglie della grande oligarchia industriale e fondiaria, rendendo il Messico uno dei Paesi con il tasso di diseguaglianza più elevato al mondo (48.2%).
Non è un caso che il programma di López Obrador si ispiri alla figura di Lázaro Cárdenas, presidente dal 1934 al 1940, considerato dagli oppositori come un populista, ma ricordato da molti messicani come il miglior presidente di sempre, che ha saputo incarnare veramente i valori della rivoluzione. Pur non essendo un programma puramente socialista e non prevedendo un ribaltamento del sistema vigente, quello di AMLO rappresenta sicuramente un punto di rottura con i tre decenni di sfrenato neoliberismo: i punti forti della sua campagna elettorale sono stati la lotta alla corruzione, l’istruzione pubblica per tutti, l’assistenza sanitaria universale, le politiche di occupazione e l’aumento delle pensioni e dei sussidi alla maternità.
I critici, invece, hanno affermato che nel programma di López Obrador si respirerebbe un’eccessiva aria di nostalgia dei tempi che furono, quelli appunto di Lázaro Cárdenas e di altri presidenti come Luis Echeverría, in carica dal 1970 al 1976, periodi nei quali le condizioni materiali di vita dei messicani erano sicuramente migliori, ma – affermano sempre gli oppositori – vigeva un autoritarismo contrario ai principi democratici. I sostenitori di AMLO, dal canto loro, hanno giustamente fatto notare come gli ultimi trent’anni di liberismo economico non abbiano affatto rappresentato un’epoca democratica, ma solamente un periodo di democrazia di facciata e di sofferenze per le classi sociali meno abbienti, in particolare quelle delle zone rurali, e come il miglioramento delle condizioni materiali di vita delle persone sia una priorità assoluta.
Dal nostro punto di vista, vogliamo sottolineare ancora una volta, al fine di non essere fraintesi, come quello proposto da López Obrador e dalla coalizione Juntos Haremos Historia non sia un cambiamento radicale, ma allo stesso tempo AMLO rappresenta al momento l’unica alternativa concreta per tentare quanto meno di arginare il neoliberismo che sta imperversando in Messico. Sebbene in programma non vi siano né riforme agraria né nazionalizzazioni, una vittoria di López Obrador rappresenterebbe comunque un risultato epocale e segnerebbe un’importante inversione di rotta rispetto all’ultimo trentennio, ponendosi in questo modo come possibile inizio per la costruzione di un Messico più attento alle esigenze delle classi popolari e meno genuflesso agli interessi delle oligarchie.
LE ELEZIONI LEGISLATIVE
Come anticipato, insieme alle elezioni presidenziali si terranno anche quelle legislative per il rinnovo dei 128 membri del Senato (Cámara de Senadores del Honorable Congreso de la Unión) e dei 500 membri della Camera dei Deputati (Cámara de Diputados).
Per quanto riguarda la Camera dei Deputati, trecento seggi vengono assegnati in base ai risultati degli altrettanti collegi elettorali con il metodo del first-past-the-post, mentre i restanti duecento seggi vengono distribuiti proporzionalmente sulla base di cinque collegi regionali, con il metodo del quoziente e dei più alti resti. Secondo la Costituzione, nessun partito può superare i trecento seggi, indipendentemente dal numero di voti ottenuti.
Anche il Senato viene eletto con un sistema elettorale misto. Novantasei senatori, infatti, vengono eletti su base statuale, con ognuno degli Stati federati messicani che ne elegge tre, ed i restanti trentadue che vengono eletti su base nazionale con un sistema proporzionale. In ciascuno Stato, due seggi vengono assegnati al partito che riceve il maggior numero di voti, ed un seggio finisce alla forza politica che si classifica seconda.
Anche in questo caso, i sondaggi danno la coalizione Juntos Haremos Historia al comando, nonostante le critiche rivolte a MORENA per la sua alleanza con la formazione cristiano-evangelica PES.