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Somaliland: lo stato democratico non riconosciuto dalla comunità internazionale

Postato il Gennaio 17, 2018 Giulio Chinappi 0

Per leggere questo articolo ti servono: 3 minuti

In un continente africano dove in molti Paesi si susseguono dittature, colpi di stato ed elezioni irregolari, il Somaliland rappresenta una rara eccezione, vista la democraticità e la trasparenza che ne caratterizzano i processi elettorali. Tuttavia, questo territorio che conta poco più di tre milioni e mezzo di abitanti, non è riconosciuto come stato indipendente dalla comunità internazionale, anche se intraprende relazioni diplomatiche informali con alcuni Paesi africani, mediorientali ed occidentali.

LA NASCITA DEL SOMALILAND

Ex protettorato britannico fino al 1960, il Somaliland divenne indipendente congiuntamente con il protettorato italiano della Somalia: le due entità diedero così vita alla Repubblica di Somalia. Il Somaliland, tuttavia, non si allineò mai completamente al governo centrale di Mogadiscio, così negli anni ‘80 venne fondato il Somali National Movement (SNM), un movimento per l’indipendenza del Somaliland.

Dopo aspre battaglie, l’entità autonoma del Somaliland dichiarò unilateralmente la propria indipendenza nel maggio del 1991 con il nome di Repubblica del Somaliland. Nessuno stato della comunità internazionale, tuttavia, riconobbe la nuova entità politica, ed ancora oggi il Somaliland viene considerato come una regione autonoma all’interno della Repubblica Federale di Somalia. La realtà, però, è che il Somaliland ha un proprio governo autonomo, oltretutto ben funzionante rispetto ad altri Paesi della regione, tanto da essere riuscito ad arginare il gruppo estremista islamico Al-Shabaab, che invece continua a mietere vittime in Somalia.

Temendo l’azione dei numerosi gruppi terroristici della regione, ma anche un possibile conflitto con il governo di Mogadiscio, il Somaliland, la cui capitale è Hargeisa, ha impegnato il 70% del proprio budget nazionale nel settore della sicurezza, sacrificando dunque altri settori che sarebbero fondamentali per lo sviluppo del Paese. Il riconoscimento da parte della comunità internazionale, al contrario, potrebbe permettere una diversa allocazione delle risorse nazionali, ma, nonostante ciò, gli standard di vita del Somaliland restano ben più elevati rispetto a quelli registrati nelle aree sotto il controllo di Mogadiscio. E questo nonostante la Somalia abbia accesso, come stato indipendente, agli aiuti internazionali che invece vengono negati al governo di Hargeisa.

LE SFIDE PER IL NUOVO PRESIDENTE MUSE BIHI ABDI

A dimostrazione della democraticità di questo Paese invisibile, i cittadini del Somaliland sono stati chiamati alle urne lo scorso 21 novembre, ed hanno eletto il quinto presidente in ventisei anni di indipendenza proclamata. A vincere la tornata elettorale è stato Muse Bihi Abdi, sessantottenne del partito Kulmiye (nome completo Kulmiye Nabad, Midnimo iyo horumar, ovvero Partito della Pace, dell’Unità e dello Sviluppo), con un passato da comandante delle forze aeree nella lotta per l’indipendenza.

Bihi Abdi, eletto con il 55.10% delle preferenze, succede dunque a Ahmed Mohamed Mohamoud “Silanyo”, anche lui membro del partito Kulmiye, mentre ad uscire sconfitto dalla sfida elettorale è stato Abdirahman Mohamed Abdullahi, che ha ottenuto il 40.73% dei suffragi a capo del partito Waddani.

Il nuovo presidente ha incentrato la propria campagna elettorale sulla lotta alla corruzione, uno dei problemi principali in Somaliland insieme alla forte inflazione che caratterizza l’economia del Paese ed all’alto tasso di disoccupazione. Allo stesso tempo, il Somaliland sta acquisendo un ruolo sempre più importante nella regione dell’Africa Orientale, infatti il governo di Hargeisa ha già stretto un accordo con gli Emirati Arabi Uniti per la costruzione di una base militare e di un porto a Berbera.

Bihi Abdi spera di utilizzare quest’alleanza informale con Abu Dhabi per portare il Somaliland al rango di protagonista della politica estera regionale, soprattutto a discapito del piccolo stato di Gibuti, che nonostante le ridotte dimensioni è uno dei porti più frequentati dell’Africa Orientale, situato strategicamente nel mezzo del Golfo di Aden. Il porto di Berbera, costruito dagli Emirati Arabi Uniti, potrà fare concorrenza a quello dell’ex colonia francese, che al momento ospita il 95% del traffico marittimo destinato all’Etiopia, Paese privo di sbocco al mare e dunque costretto ad appoggiarsi sui porti degli Stati limitrofi.

Una volta completato il porto di Berbera, il governo di Addis Abeba potrebbe decidere di dirottare il proprio traffico verso il più vicino Somaliland, un affare che risulterebbe molto importante per uno stato non riconosciuto ufficialmente, visto che l’Etiopia è un Paese dalle ingenti importazioni, necessarie per soddisfare i suoi 90 milioni di abitanti, attualmente controllate quasi interamente da Gibuti. Per il Somaliland, questa potrebbe essere una grande opportunità di sviluppo economico, e la crescente importanza del Paese potrebbe anche aprire le porte al riconoscimento ufficiale.

di GIULIO CHINAPPI

#Muse Bihi Abdi#Somalia#Somaliland

Pubblicato da

Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato in "Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale" all'Università "La Sapienza" di Roma, e successivamente in "Scienze della Popolazione e dello Sviluppo" presso l'Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate online. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, "Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam", Paese nel quale risiede tuttora.


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