Domenica 7 maggio, gli elettori del secondo Paese più popoloso dell’Unione Europea, la Francia, saranno chiamati a scegliere il nome del loro nuovo capo di stato per i prossimi cinque anni. I due candidati del secondo turno delle elezioni presidenziali ed aspiranti successori del socialista François Hollande sono Emmanuel Macron, trentanovenne fondatore di En Marche! (EM!), e Marine Le Pen, quarantottenne leader del Front National (FN).
MACRON E LE PEN: DUE VOLTI DELLA CLASSE DOMINANTE
Oggi in Francia come ieri negli Stati Uniti: le elezioni presidenziali stanno portando ad un ampio dibattito internazionale circa i possibili scenari che seguirebbero l’elezione dell’uno o dell’altra, eppure nulla di sostanziale sembra porsi tra Macron e Le Pen. Certo, i modi di fare ed il linguaggio utilizzato sono apparentemente diversi, ma nascondono in realtà l’appartenenza di entrambi i candidati alla classe dominante, proprio come lo erano Hillary Clinton e Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca.
Gli oppositori di Macron sono abbastanza espliciti, seppur riduttivi, quando lo definiscono come il “candidato del CAC 40” (la Borsa di Parigi). Presentatosi un po’ come il giovane liquidatore della vecchia politica (vi ricorda qualcuno?), il candidato di En Marche! punta a proseguire la demolizione dei diritti dei lavoratori iniziata sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy e proseguita poi con il quinquennato di François Hollande, soprattutto con l’entrata in scena di Manuel Valls come primo ministro. La “loi travail” di Hollande, osteggiata da Macron perché non abbastanza liberista, rischierebbe addirittura di essere sostituita con misure ancor più sanguinose per i lavoratori, il tutto ovviamente nel nome di quel mantra che è la competitività a tutti i costi. Macron, quanto meno, ha il pregio di palesarsi come esponente della classe dominante, ed utilizza quel linguaggio da cretinismo economico di gramsciana memoria (la dogmatizzazione dell’economia capitalistica) che va tanto di moda oggi.
Dall’altra parte, Marine Le Pen, che si appella agli istinti più primitivi degli elettori: una xenofobia mascherata con la scusa della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale, ma che in realtà sfocia in pericolose derive ultranazionaliste. Molti testimoni hanno fatto presente di come il linguaggio utilizzato in pubblico sia in realtà ben più blando rispetto a quello che si sente negli ambienti ristretti e ben più radicali del FN, dove non mancano i saluti romani e le svastiche. Le Pen tende dunque a dividere le classi subalterne con antagonismi, quali quelli tra stranieri ed autoctoni o tra omosessuali ed eterosessuali (sua la proposta di cancellare i matrimoni per le coppie gay), che nascondono la vera dicotomia, ovvero quella tra classe dominante e classi dominate. Non è la rappresentante del popolo, come alcuni dei suoi sostenitori italiani ingenuamente credono e come lei stessa ha voluto suggerire utilizzando lo slogan “Au nom du peuple” (“Nel nome del popolo”) in campagna elettorale, ma solamente un’altra faccia della stessa medaglia.
Naturalmente, l’alta borghesia finanziaria preferisce l’elezione di un Macron più politically correct e presentabile a livello internazionale, mentre un’elezione di Le Pen rischierebbe di creare nocumento all’immagine della Francia nel mondo: insomma, il primo riuscirebbe a difendere meglio gli interessi ed i privilegi della classe dominante. Ecco, allora, che dopo aver utilizzato Le Pen come finta paladina degli ultimi nel primo turno, con il chiaro fine di eliminare dalla corsa Jean-Luc Mélenchon, unico candidato realmente temuto dalle élite, ora i media gridano l’appello a votare in massa contro la stessa candidata del Front National; dopo essersi dimenticati di avere a che fare con un partito ultranazionalista e xenofobo, se ne ricordano al momento più opportuno, demonizzando Marine Le Pen ed incensando Emmanuel Macron.
MA ALLORA, CHI VINCERÀ?
Sul fatto che a vincere sarà comunque la classe dominante, siamo già stati chiari. Se invece vogliamo sapere chi sarà il prossimo presidente francese, molto probabilmente sarà Marcon. Le barricate anti-Le Pen sembrano infatti avere una grande efficacia, come già accadde nel caso – che abbiamo richiamato spesso – delle elezioni presidenziali del 2002. Jean-Marie Le Pen, padre di Marine, affrontava allora Jacques Chirac: in quell’occasione, i due furono molto vicini al primo turno (19.88% per Chirac e 16.86% per Le Pen), ma Chirac si impose al secondo turno con uno schiacciante 82.12%, grazie alla grande campagna mediatica contro il Front National. Questa volta, il margine dovrebbe essere meno netto, anche per via del delicato momento politco ed economico che si vive in Europa e che tende a radicalizzare l’elettorato, ma Macron resta comunque il grande favorito secondo tutti i sondaggi: il giovane candidato di En Marche! viene accreditato da tutti gli istituti di una percentuale non inferiore la 58% nella sfida con Le Pen. Se si considerano solamente i sondaggi effettuati dopo il primo turno, Macron dovrebbe vincere addirittura con una percentuale tra il 59% ed il 65%, e quelli più recenti si attestano tutti sul 60%.
La classe dominante francese si prepara dunque ad esultare e ad iniziare una serie di riforme che, con la scusa dell’ammodernamento economico del Paese, andranno ulteriormente a ledere i diritti residui dei lavoratori e ad aumentare il divario di ricchezza tra l’élite finanz-capitalista ed il resto della popolazione. Il pensiero dominante farà naturalmente credere che le misure prese siano nell’interesse di tutti, negando invece l’esistenza di una vera e propria lotta di classe condotta dall’alto verso il basso, quella dei ricchi contro i poveri, dei dominanti contro i dominati, dell’élite contro le masse: “un marxismo volgare e rovesciato”, come direbbe Noam Chomsky.
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Per la citazione di Chomsky:
Noam Chomsky, The prosperous few and the restless many, 1993