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Giornalismo online: perché Facebook e Fanpage mi inquietano

Postato il Agosto 19, 2015 Germano Milite 0

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Su Facebook, i suoi algoritmi, la sua posizione sempre più dominante nel mercato dell’informazione online e le sue pratiche discriminatorie e di scarsissima trasparenza nei confronti dei suoi clienti (ovvero dei suoi iscritti che pagano per ottenere visibilità), ho già discusso numerose volte, scatenando sempre non poche reazioni tra gli addetti ai lavori.

Oggi però il social più popolato al mondo pubblica la storia di Fanpage.it e la racconta come “case history” di successo ottenuto proprio grazie alla sapiente gestione delle pagine fan. Non c’è che dire: i ragazzi di Ciaopeople nel 2010 ebbero un’intuizione geniale e furono tra i primi a mettere “a sistema” un meccanismo in grado di drenare un numero crescente di visite da Facebook ad un portale, professionalizzando l’attività sui social e massimizzandone i benefici (all’epoca la reach organica dei post condivisi sulle fanpage era molto più alta di oggi). Grazie alle grandi competenze del team tecnico ed al lavoro instancabile dei suoi community manager e dei suoi autori, che facevano poco giornalismo e tantissimo content curating  finalizzano all’aumento costante del traffico, la creatura di Gianluca Cozzolino è cresciuta esponenzialmente fino a superare un gigante come Il Fatto Quotidiano in termini di visite e pagine viste giornaliere, piazzandosi tra i portali più seguiti non solo in Italia ma in tutta Europa.

Sintomatico un altro dato, ovvero che uno dei pochissimi progetti d’informazione digitale a quanto pare economicamente sostenibili, sia stato lanciato da uno staff senza editori e composto in prevalenza da esperti d’informatica e comunicazione. Ma, come si suol dire, il successo dipende anche dalla prospettiva che decidi di utilizzare per osservarlo e…valutarlo.

COSA SIGNIFICA IL 95% DI TRAFFICO REFERRAL DA FACEBOOK

E, al netto delle cifre spaventose (200 milioni di pagine viste al mese, al momento) e degli introiti pubblicitari che sicuramente non mancano, stando a quanto scrive lo stesso Facebook, l’ultima poderosa campagna di post sponsorizzati ed acquisizione fan ha portato 1,3 milioni di visite al giorno. Numeri da capogiro, che provengono, udite udite, al 95% proprio Facebook (immagino con una bounce rate vicina al 90%). Non ci sono altri dati pubblicati, per comprendere l’effettiva qualità di queste visite ottenute, considerando ad esempio il tempo medio sul portale, la precentuale di visite da altri referral, la percentuale di rimbalzo, quella di uscita, gli utenti che da Facebook si sono poi registrati e diventati di fatto utenti di Fanpage e quindi non più solo del social di Zuckerberg ecc.

Fabrizio Barbato, CFO del noto portale napoletano, si dice però molto soddisfatto della campagna fatta e dei risultati in termini di “nuovi fan” acquisiti e di interazione creata. Del resto proprio il CEO Cozzolino, un paio d’anni fa, già ammetteva di spendere “decine di migliaia di euro” in Facebook ads ogni mese, per mantenere e poi alzare il trend di visite e le pagine viste. Considerando la strategia social di Fanpage, che si fonda molto su spam selvaggio e clickbait spinto, viene da chiedersi quanto sia saggio esultare per una dipendenza da social referral pari al 95%, a distanza di 5 anni dal lancio della piattaforma e quanti siano sul serio gli utenti/lettori fidelizzati. Cioè, di fatto, il gruppo editoriale Ciaopepole, senza Facebook quasi non esiste. E quanto vale, di fatto, un progetto editoriale così tanto dipendente da aziende e policy esterne? In cinque anni di lavoro, dati alla mano, il sito non è infatti riuscito a guadagnare un minimo di credibilità ed autorevolezza a livello di brand, ha un traffico diretto ridicolo e milionate di fan non suoi, gestiti da un soggetto esterno (Facebook, appunto) che può cambiare regole quando e come vuole (come ha già fatto, fa e farà) e decidere vita e morte anche di grandi realtà, con decine di dipendenti e fatturati importanti. E questo nonostante siano stati inseriti nel calderone di pezzi riempitivi di scarsissimo valore, anche i contributi di qualità di autori come i The Jackal, Giulio Cavalli, Saverio Tommasi ed affidando la parte redazionlae alla sapiente direzione di un collega esperto come Francesco Piccinini. 

SPAM/CLICKBAIT O INFORMAZIONE?

Ora non occorre un grande imprenditore o un genio del marketing per capire che, soprattutto oggi, affidare il 95% della propria azienda ad un unico soggetto, poggiando tutto su un solo canale che tra l’altro è gestito da multinazionali senza volto abituate ad agire in mercati volatili e senza regole, è non poco rischioso. Ma sinceramente il destino di Fanpage è affare di Ciaopeople, non certo mio. E poi, fino ad oggi, il modello ha dimostrato di funzionare bene e di saper produrre risultati considerevoli anche in termini di revenue. Ad oggi, Fanpage ha vinto molte sfide e si è tolta non poche soddisfazione, commercialmente parlando.

C’è anche da dire che, nel 2015, un po’ tutti i player (più o meno “pure”) sono dipendenti in diversa forma da referral esterni, in primis proprio da Facebook, utilizzano molto il clickbait ed hanno poco traffico diretto. Ma il quasi 100% di utenti provenienti da un’unica fonte social sono un aspetto potenzialmente patologico, a mio modesto avviso, ed un risultato per cui forse non c’è poi tanto da festeggiare.

E se Barbato ha pienamente ragione quando dice che “puoi ottenere risultati straordinari facendo pubblicità su Facebook”, non riesco a condividerlo altrettanto quando sostiene che “il futuro è puntare su Facebook”, sottintendendo il puntare così tanto solo su Facebook. Non credo sia così, almeno per chi vuole fare informazione vera e di qualità senza essere schiavo di spam, clickbait, Facebook Ads e cambi di policy imprevedibili e spesso devastanti. Ora sicuramente Ciapeople ha un canale perferenziale aperto, visto che pagine come Fanpage Napoli erano verificate già al raggiungimento dei 1000 fan, mentre tanti altri penano con pagine che sfiorano il milione di iscritti, sono evidentemente collegati a realtà editoriali esistenti ma evidentemente non hanno investito abbastanza per “acquistare” il privilegio della verifica ufficiale da parte di mister Fb. 

IL FUTURO? PICCOLI NUMERI, ALTE CONVERSIONI ED ALTA CREDIBILITA’ EDITORIALE

Penso, infatti, che oggi non sia replicabile un “caso Fanpage”, soprattutto in Italia. Penso anche che investire 200.000 euro l’anno per acquistare fan che vedranno sempre meno i post da noi pubblicati non sia una mossa geniale nel medio-lungo periodo. Credo che invece la svolta, la vera innovazione coraggiosa, sia rappresentata dal tentativo di creare una community attiva all’interno del giornale stesso, disposta inoltre a pagare cifre simboliche per fruire di contenuti specializzati e di qualità e non più generalisti ed inutilmente numerosi. Credo che, già oggi, valga molto di più un progetto editoriale con 30.000 iscritti profilati e paganti che un portalone da 200.000 visite uniche al giorno bisognoso di investire cifre sempre più alte per comprare fan sui social network.

Del resto i dati parlano chiaro: i ricavi da adv canonico crollano, gli utenti sono sempre più insofferenti alla pubblicità vecchio stile, al clickbait ed alla stampa che mescola contenuti di buona qualità con il trash più deprimente. Onore e merito a chi, da Napoli, è riuscito a costruire un progetto editoriale tanto seguito (e a quanto si dice remunerativo). Ma l’informazione ed il giornalismo del presente e del futuro spero siano altro e spero, soprattutto, non dipenderanno mai al 95% da qualcuno che sia diverso dai lettori.

Autore

  • Germano Milite
    Germano Milite

    Giornalista professionista. Partendo dalla televisione, ha poi lavorato come consulente in digital management per aziende italiane ed internazionali. E' il fondatore e direttore di YOUng. Ama l'innovazione, la psicologia e la geopolitica. Detesta i figli di papà che giocano a fare gli startupper e i confusi che dicono di occuparsi di "marketing".

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#adv#Facebook#Fanpage#Giornalismo online#Innovazione

Pubblicato da

Germano Milite

Giornalista professionista. Partendo dalla televisione, ha poi lavorato come consulente in digital management per aziende italiane ed internazionali. E' il fondatore e direttore di YOUng. Ama l'innovazione, la psicologia e la geopolitica. Detesta i figli di papà che giocano a fare gli startupper e i confusi che dicono di occuparsi di "marketing".


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