Quando il saggio indica la stagnazione dei salari in Italia, lo stolto guarda il reddito di cittadinanza. Potremmo liquidare in questo detto rivisitato, il (deprimente) dibattito estivo sugli imprenditori che non trovano manodopera non qualificata a causa del suddetto reddito di cittadinanza.
Eppure, persino agli stolti, dovrebbe bastare questo grafico di open polis che rielabora i dati OCSE sulla variazione dei salari in Europa, dal 1990 al 2020, dove a fronte di una Lituania che ha visto una crescita vicina al 300% (partendo ovviamente da compensi molto bassi), abbiamo l’Italia che, unico paese in Europa, fa registrare un avvilente -3%.
Sì, esatto: gli stipendi nel nostro paese sono addirittura diminuiti, in media, negli ultimi 30 anni. E, guardando anche ad economie più strutturare e ricche e dunque naturalmente meno propense a balzi in avanti con tre cifre, vediamo la Germania sfiorare un 34%, la Finlandia il 32% e la Francia il 31%.
Prima di noi ci sono persino la Grecia (+24%) ed il Portogallo (quasi 14%).
Naturalmente, le cause di un’effettiva difficoltà nel reperire lavoratori stagionali facendo quello che si è sempre fatto e quindi senza alcuna cognizione di causa sulla realtà sociale e professionale profondamente mutata, soprattutto dopo la pandemia, sono molteplici, complesse e da analizzare con profondità e cura per i dettagli.
Prima di tutto, un lavoratore stagionale, per definizione dovrebbe avere paghe decisamente più alte di chi può contare su impieghi più stabili (e di base meno stressanti). Lavorare durante una stagione ad alta densità turistica, significa infatti dover sostenere turni di solito massacranti e non poter contare su quel lavoro per un periodo di tempo lungo.
LA DRAMMATICA CARENZA DI MINATORI DAL 1820
Va da sé, quindi, che dopo anni di vacche grasse e consapevolezze/pretese anoressiche da parte dei lavoratori, ora la situazione sia molto mutata. Può piacere o meno, ma sbraitare perché nessuno vuole più lavorare in miniera fino a morire non servirà a convincere le persone ad impugnare una picca e tornare alle condizioni di lavoro ritenute congrue nel 1820.
Tra l’altro, se questo problema, a certi livelli, esiste praticamente solo in Italia, perché non interrogarsi sulle cause, invece di indicare un sussidio che in media è di 500 euro al mese, risultando ovviamente temporaneo e vincolato (molto) nelle spese possibili?
Sul serio preferiamo pensare che, l’esercito di giovani e meno giovani che negli anni passati era disposto a lavorare in nero, a 3-4 euro l’ora, senza assicurazione, all’improvviso sia diventato tutto insieme percettore di un sussidio? E, ancora, vogliamo capire che pessima figura fa un commerciante/imprenditore che, pubblicamente, ammette che la propria offerta di lavoro subisce la concorrenza diretta e così impattante di uno strumento di lotta alla povertà assoluta?
LA PACCHIA FINITA, PER MOLTI
Semmai, dobbiamo comprendere che per anni molti (forse troppi) pseudo-commercianti e pseudo-imprenditori hanno goduto di condizioni di reclutamento favorevoli, dove il nero come regola e la disponibilità infinta di turnover li ha fatti illudere di aver avuto un qualche tipo di “successo”; di essere bravi e competenti.
In realtà, molti di loro, hanno giocato in un mercato “truccato”, dove la concorrenza sleale verso chi rispettava la legge era l’unica regola da seguire per riuscire a fare anche ottimi profitti.
Pur comprendendo le oggettive difficoltà di chi lavora con un socio occulto al 50% (il fisco italiano) che di fatto ben poco concede in cambio dell’enorme pressione fiscale imposta. Pur essendo totalmente solidale con chi sostiene un costo del lavoro tra i più alti d’Europa, al contempo non si può (proprio per questi dettagli) ignorare che altrettanti imprenditori e commercianti sono riusciti ad andare avanti essendo in regola, assumendo e pagando con contratti regolari i propri dipendenti.
Non a caso, nessuna realtà seria, lamenta la concorrenza diretta del reddito di cittadinanza nelle attività di ricerca di personale. Sarà un caso? Naturalmente no.
IL REFERENDUM DI MATTEO RENZI
Il dibattito veramente interessante, che dovrebbe ossessionare tutti gli italiani che non vivono di rendite intoccabili e privilegi, non riguarda però un sussidio dato a chi non ha nulla (con una percentuale fisiologica e sempre più ridotta di “furbetti”) e che esiste in ogni paese europeo civilmente ed economicamente evoluto, ma appunto il decremento generale dei salari medi. Uno dei problemi primari, da richiedere dibattiti ed interventi urgenti, è infatti questo. Non un sussidio che costa infinitamente meno di tutto l’indotto mancato che ruota intorno a cose come la corruzione e l’evasione fiscale.
Lo si dica anche a Matteo Renzi, che non mancando occasione per dimostrare il suo esile spessore politico, si inventa un fantomatico “referendum” per abolire proprio il reddito di cittadinanza. Paradossalmente, una delle misure che ha contribuito a ridurre gli effetti devastanti della pandemia tra il 2020 ed il 2022.
Persino un neoliberista convinto, che si traveste da “democratico” in stile USA, dovrebbe capire che un capitalismo che funziona è quello che si preoccupa anche degli ultimi e non li lascia annegare nell’illusione che i primi redistribuiranno volontariamente le proprie già enormi ricchezze, se ne avranno ancora di più a disposizione.
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