Tutte queste voci che mi premono dentro- Editoriale Scientifica, Napoli 2021
Nella seconda metà degli anni ottanta, subito dopo gli esami di Maturità da commissario in un liceo scientifico della Capitale, mi catapultai a Scalea, Calabria, sul tirreno, per dare una mano a mio fratello, che da qualche tempo gestiva un pub, in via Laura, il Cabaret Voltaire. Le notti si allungavano sino all’alba e spesso andavo direttamente al mare, proprio alla foce del fiume Lao o sugli scogli di L’Ajnella, portandomi un panino con formaggio e wurstel, inzuppato di salsa zingara, tartara e Tabasco, una ceres, quasi sempre una canna e a volte una canna da pesca per tentare di prendere un cefalo o almeno dei pescetti di scoglio, molto saporiti: le marmorelle.
Una mattina mi portai un libro, che avevo da tempo, ma non avevo mai sfogliato, né letto: ” Il re della pioggia” , di Sal Bellow.
Fui subito affascinato, rapito, dal protagonista del romanzo, Eugene henderson, al punto che riuscii a leggerlo, divorandolo e digerendolo, in tre pomeriggi, e la leggerezza e le riflessioni profonde provocatemi, durano sino a questo giorno.
Una storia analoga mi accadde a Roma, nella seconda decade del 2000, a San Lorenzo, a casa mia, con un libro che stava lì sullo scaffale, comprato in una bancarella, impolverato, inutilizzato: “Storia leggendaria della musica rock”, di Riccardo Bartoncelli e Gianni Sibilla. Cominciava con la prima canzone di Elvis presley, ” It’s Alright mama” , del 1954 e terminava con “Wondewall” degli Oasis, con il grunge di Kurt Cobain e I Nirvana, di ” Nevermind”.
Avvincente, strabiliante, fui subito traghettato in un Trip che mi apparteneva, con l’ascolto sfrenato di musica e i concerti dal vivo, a Roma, in Italia, a Londra, al Reading festival, nel 1975, al “Primo Raduno pop calabrese”, 15 e 16 Giugno, 1974, a Castrovillari, con il Rovescio Della Medaglia, Acqua Fragile, aktuala, Quella Vecchia Locanda, il Perigeo, Francesco De Gregori, Angelo Branduardi, Mauro pelosi e tanti altri gruppi e cantautori, organizzato da me, mio fratello Osvaldo e Tonino Pesce.
Fu in questo clima di esperienze, continuate nel tempo, che lessi in un baleno e rilessi per qualche mese, in modo vorace, il libro di Bartoncelli. Quel flusso narrativo. quelle immagini, tantissime delle quali, vissute personalmente, sono ancora vive in me, sino a questo tempo.
Tantissimi ancora, sarebbero gli Incontri con autori che hanno lasciato un’impronta indelebile nella mia persona, ma ci soffermeremo a dire dell’ultimo, dell’attualissimo, preziosissimo, indescrivibile, mio corregionale lucano, Andrea Di Consoli, che con il suo ultimo lavoro “Tutte queste voci che mi premono dentro”, acquistato alla Feltrinelli nella ex galleria Colonna ora Alberto Sordi, letto in un pomeriggio e mezzo, sulle rive del Tevere, Isola Tiberina, sull’autobus 71, nel parco dei caduti, a San Lorenzo, mi ha fatto rivivere le stesse sensazioni di quando lessi il “Re della pioggia” e ” Storia leggendaria della musica Rock”.
Già nel titolo, ci sono tutti gli ingredienti, pronti a soddisfare l’urgenza di narrare, di dire ciò che le “voci di dentro”, in modo sinfonico o in profondi assoli, hanno necessità di far conoscere.
Dunque, una storia dell’intimo o l’intimo della storia, che non si esalta nel suo stare inerte, ma vuole sconfinare e danzare oltre gli orli del pozzo in cui sono spesso confinati i pensieri dell’umano intelletto.
Il realismo di Di Consoli supera ogni finzione e scava nei solchi gnindri dei ricordi, nominando luoghi e persone incontrati durante i suoi viaggi nella psiche, nella tradizione, nei paesi del sud, nella storia.
I racconti che costituiscono il libro precipuo e originale, viaggiano in modo indipendente l’uno dall’altro, ma sono intimamente legati tra di loro come fossero inseriti in una indissolubile connessione tra ordo idearum e ordo rerum.
Nelle odierne letterature, l’episteme e la gnosi stanno via via scemando per cedere il trono al consumismo e l’ enorme cornucopia di frattaglie di informazioni fasulle che precipitano incandescenti quotidianamente nei crani imputriditi da miriadi di anni di Insipida solitudine nelle dune dell’immondizia cosmica, a volte creano stalli mentali e si incuneano come modernissimi distruttivi hacker dentro gli ormoni e i cinque sensi, impedendoci di discernere il grano dalla pula, l’erba buona dalla gramigna… letteratura trash che vale meno dei copechi di un pitocco, direbbe Majakovskij
Andrea Di Consoli e i suoi scritti, non possono essere confusi, né passare inosservati, poiché escono dalle mode, si elevano toccando i punti umani più bassi, le velate distonie, per consentire poi, a ogni cosa di provare l’ebbrezza del volo, e lungi dai canoni, riescono a crearsi una statura umile e potente, autonoma, autarchica.
Il primo racconto sul G8 di Genova, trova un DI Consoli giovanissimo, che parte con M. per andare a pugnare, ma si trova, invece, alloggiato in una lussuosa stanza d’albergo, ad amoreggiare tra le braccia della compagna di viaggio, nella cittadina ligure, dove hanno trascorso parte della loro vita, il poeta dell’Idaho, Ezra Pound e la nostrana Annamaria Ortense, preferendo l’amore e la letteratura, alla rivoluzione.
” Ma c’era un’ atmosfera che non mi piaceva. Ovunque sentivo rabbia, violenza, e sapevo perfettamente – come tutti, del resto- che sarebbe finita male. Era ormai notte, e sentivo che quella marea di giovani che stava affollando Genova era sovraeccitata, e che era consapevole di avere un appuntamento con la storia. A me la storia piaceva, ma fino a un certo punto. Già allora infatti preferivo la vita privata, i destini individuali, i sentimenti più reali e intimi delle persone. “
Tali dichiarazioni anticipano ciò che il Di Consoli più maturo,diventerà , passando da comunista a socialista liberale, libertario, preferendo le comodità di una vita più agiata, nel capitalismo, ai sacrifici proletari, alla lotta di classe, in un sistema comunista.
I racconti, le prose di sapore zen, centripetano l’attenzione del lettore facendolo viaggiare in luoghi sperduti della Lucania, del sud e nei luoghi della mente, della memoria.
L’ attesa del viaggio, anche se viaggio breve, crea nello scrittore, momenti di tensione e di aspettative, che dopo aver esperito, spesso lasciano l’amaro in bocca, la delusione, come nel caso dell’andare alla scoperta di padre Pio.
La sua “On the Road” è limitata, regionale e si svolge sulla sinnica , sulla basentana, non sulla infinita route 66, degli USA, ma le sorprese e le avventure e disavventure sono sempre alle porte, sono il carburante necessario, per procedere, come nei grandi spostamenti.
I viaggi di Andrea Di Consoli, non sono i viaggi di Gulliver, di Jack London, di Salgari, di Jack Kerouac, di Carlos Castaneda, di Gerhard Rohlfs, di Carlo Levi, di Ernesto De Martino, eppure nella loro intrinseca natura, hanno qualcosa di simile, con questi enormi topoi della letteratura mondiale.
La ricerca spasmodica delle piccole cose, delle storie assurde e celate nel silenzio, nell’oblio, diventa il punto focale della narrazione, che cerca di sondare le scorie della psiche, rendendo la scrittura anche un momento catartico, terapeutico. La visita all’ex manicomio di Aversa, dove i fantasmi degli ammalati mentali, presenziano con il loro dolore, nei lunghi corridoi, nelle stanze desolate, dimenticati, il padre di Giuseppina, nel piccolo paese di appena 327 abitanti, di San Lorenzo albanese, gli attraversamenti veloci delle statali lucane, gli incontri con persone umili, con intellettuali e poeti, come Vito Riviello, di Potenza, con Walter Pedullà e infine con Franco Scaglia, che ha propiziato la sua collaborazione con la Rai, hanno modificato la sua vita, aprendolo a nuove prospettive, nel mondo del lavoro, della cultura, senza mai, tuttavia, mutare la sua indole terragna, agreste, saggia e realistica, e via via, quelli che sono stati i suoi mentori iniziali, scompaiono, mentre egli si avvia, motu proprio, verso le sue naturali inclinazioni.
Ben lungi dall’individualismo malsano e becero, lo scrittore Lucano, è un cultore accanito e assoluto della sana individualità, di quella propria e di quella degli altri. In questa avventura vivacissima e spesso intrisa anche di solitudini e sofferenze, Eros e Thanatos, camminano aggiogati , trovando un punto di accettazione in ciò che di funesto deve accadere, e non si può evitare, perché accadrà.
Un’attrazione per il gotico e il noir, trova spazio per l’io narrante, sotto le vesti del cronista, che tira fuori storie dimenticate, di scrittori, poeti, artisti tabagisti, di stelle della pornografia planetaria, che in declino dopo il successo, hanno fatto una fine atroce, suicidandosi, e a cui, lo scrittore cerca di trovare il perché, anche laddove un perché non esiste.
Le voci, sono la voce di dell’autore, della sua coscienza, le voci di tutte le persone e personaggi e delle loro coscienze, che ha conosciuto e che continuano a vibrare nell’aria, aspettando di riconquistare un corpo, in una risurrezione dei corpi, In cui, in modo laico, Di Consoli sembra credere.
Non Importa quando né dove si vada, l’importante è andare, sia pure perdendosi, nel tragitto, ma sempre pronti a ritrovarsi e “Stare seduti e in viaggio”.
Lo scrittore di Rotonda è sempre in movimento anche quando sta fermo e racconta le sue ansie, i suoi insuccessi, le sue ipocondrie, in prima persona, condivise fraternamente con l’amico poeta-paesologo, Franco Erminio.
La pagina scritta lo raffina, lo purifica da ogni sorta di mancato obiettivo, di peccato.
” Tutte queste voci che mi premono dentro“, è un libro da avere brevi manu, da leggere, da meditare, perché è impastato di odori e sapori veri, di presenze umili e intellettuali del sud, tra realtà e magia, che pervadono le sue pagine, offrendo un involucro e uno spirito, lodevoli.
Forse la curiosità, l’invito a leggere dei testi importanti e il desiderio di conoscere l’altro da sé, risalgono già alle scuole medie, al primo approccio iniziatico propiziato da una professoressa supplente di italiano, le cui domande insistenti: “Sai chi è Freud? Sai chi è Nietzsche? Sai chi è Keynes? Sai chi è Marx?”, continuano ancora a echeggiare nella mente di Andrea Di Consoli, nel tempo, come un mantra infinito e apotropaico, della cui linfa benefica, l’uomo e lo scrittore hanno bisogno.
” Era come se quella professoressa avesse avuto come unica missione quella di occuparsi della mia redenzione“.
Roma 2 ottobre 2921