Guglielmo Tell di Rossini al teatro Verdi di Pisa 22-02-2020
“Un’idea, un concetto, un’idea finché resta un’idea è soltanto un’astrazione. Se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione” cantava Giorgio Gaber in “Far finta di essere sani”. Già, l’idea, ciò che sta alla base di una produzione, che la genera e giustifica, che l’anima dall’interno: tutto cambia in funzione di un’idea, se si è capaci di averne una. L’idea però può essere di due tipi, parlando di produzione lirica: nel primo caso il pensatore crede al prodotto che ha tra le mani, crede che sia valido e che sia un mondo messo sulla carta cui dare solo un soffio vitale, riportando sul palcoscenico il lavoro del compositore con fedeltà, così come lui avrebbe voluto; nel secondo caso il pensatore non crede che il prodotto sia valido e ritiene che occorra metterci mano per renderlo tale in quanto che, per questioni storiche (pensiamo ad un’opera del seicento per esempio), per evoluzione del gusto, per trasformazioni nel comune sapere e pensare, per un concetto del teatro che è mutato nei secoli, non sia più in grado d’incontrare il pubblico del XXI secolo essendo persuasivo e quindi gradito. L’idea, nel secondo caso, espone il pensatore ad un rischio potente, perché in base a quel punticino collocato nello sviluppo della trama, tutto cambia, tutto si trasforma, tutto viene rimodellato, come se si ridesse nuova linfa ad un tronco considerato defunto. Ma quel punto, come detto, condiziona tutto ed il pensatore deve essere bravo a porlo e toglierlo, come in gioco di prestidigitazione, apparizione e sparizione, perché guai se quell’idea, stravolgente o meno che sia, prende la forma di un dogma, prende il sopravvento e decide lei, non più il regista o il compositore, cosa deve succedere sulla scena. A quel punto si sarebbe tradito l’oggetto del proprio lavoro, si sarebbe fatto “altro” da esso.
Di fronte ad un soggetto antico, desueto, fatto di interminabili arie con il “da capo”, recitativi ancor più interminabili scritti alla bell’e meglio da allievi del compositore, con una trama complicatissima, divinità desuete sulla scena ed una povertà di eventi scenici da ingenerare sonno nell’ascoltatore , come nelle opere del seicento-primo settecento, composte per essere ascoltate stando a conversare o cenare nei palchetti riservati e chiusi da tende, uscendo di tanto in tanto per ascoltare il divo di turno, la “modernizzazione” scenica ritengo sia d’obbligo. Penso anche che si possa tentare un rinnovamento scenico di soggetti sovraesposti, opere conosciutissime e molto eseguite nelle quali si possono introdurre piccoli elementi di modernità. Infine ci sono le opere da non toccare, se non per abbellire, dove l’idea deve stare riposta nel taschino e se il pensatore non è particolarmente dotato creativamente è meglio che vesta il saio dell’umiltà e si accontenti di fare ciò che va fatto, cioè mettere in scena un capolavoro come il compositore avrebbe voluto, con rispetto e gratitudine per aver avuto tale responsabilità: sono le opere considerate a torto o ragione dei capolavori assoluti. Piuttosto d’imporre un’idea dissacrante ad un lavoro nel quale tutti credono e che tutti amano, credo sia meglio rinunciare ammettendo di non crederci, piuttosto che tradire il pubblico e magari offenderlo.
A quale categoria appartiene “Guglielmo Tell” di Rossini? Qual è stata la reazione iniziale del pensatore di turno? Ci credeva o no in quest’opera?
Guglielmo Tell è un’opera che si fa poco, perché, pur essendo validissima dal punto di vista musicale, non è così totalmente accattivante da quello scenico, con situazioni coinvolgenti come la gara con l’arco, due feste di paese, arresti, punizioni, uccisioni, ribellioni ed una tempesta finale sul lago che prelude all’uccisione del governatore tiranno, ma anche con momenti molto lenti in cui la musica prende il sopravvento (e non è un delitto) sulla vicenda drammatica. La musica è incantevole soprattutto per chi è colto e può assaporare le differenze tra il Rossini precedente e questo Rossini così rivoluzionato nell’ultima sua opera. Ma la maggior parte del pubblico al Verdi di Pisa non conosceva l’opera, si limitavano a muovere la testa a tempo ogni volta che partiva un ritmo particolarmente scandito; perfino alcuni colleghi recensori consumavano avidamente il libretto per comprendere la non facile trama.
Dunque il pensatore, che non è a Pisa perché la produzione è del circuito lombardo, ha pensato che quest’opera non potesse essere fatta come Rossini l’aveva scritta, ma andasse trasformata e rivoluzionata, privando così il pubblico dell’occasione di vedere nella sua forma originale un’opera che raramente viene rappresentata, anche per la difficoltà di trovare un tenore capace di reggere l’improba tessitura. La direzione di Pisa ha comunque fatto un’operazione lodevole riportando al Verdi l’opera che lo aveva inaugurato!
L’idea registica era chiara e coerente, bisogna ammetterlo: un bambino in una casa borghese ottocentesca legge il libro con la storia di Guglielmo Tell e se ne appassiona, tanto che quella vicenda diventa oggetto dei suoi giochi, delle sue fantasie e dei suoi sogni. Un’idea intrigante, bella, ma che avrebbe dovuto essere gestita meglio. Invece è diventata sempre più forte, togliendo sempre più spazio alla storia del Tell fino all’inaccettabile: i cantanti costretti a cantare fuori scena nell’ultimo atto, per lasciare in scena il bambino che gioca da solo con i due servitori. Mai nella mia lunga frequentazione di teatri avevo assistito ad una cosa simile. Nell’opera si racconta il naufragio della nave sulla quale quel cattivone del governatore Gessler ha imbarcato a forza Tell per portarlo a morire nel lago, una tempesta (fatta con un lampeggio del lampadario mentre il bambino gioca a fare le onde con teli azzurri ed i cantanti restano fuori scena) costringe la nave all’approdo forzato, Tell scappa, il cattivo lo raggiunge, ma viene trafitto da una freccia, i buoni trionfano ed abbiamo il lieto fine sospirato. Tutto ciò non lo abbiamo visto. Un po’ troppo, mi sembra.
L’idea che tutto sia un sogno, una fantasia del bambino, è un’idea forte, dicevamo, di quelle che cambiano tutto. Dopo la conosciutissima ouverture, a sipario aperto, con i protagonisti-doppelgänger nelle parti di borghesi intenti in una faticata mimica, ideata per prepararci a quanto avremmo visto trasportando la situazione all’epoca che si è detta, avremmo dovuto trovarci in un piccolo villaggio tra i monti della Svizzera, con Heidi e suo nonno a farci compagnia, ed invece è stato subito evidente, a chi ha esperienza di teatro, che quella monumentale scenografia ricostruente una bellissima sala borghese ottocentesca non ci avrebbe lasciato facilmente, visto il lavoro che sarebbe servito per smontarla e spostarla. Infatti tutto il Guglielmo Tell che sto raccontando si è svolto in ambiente chiuso in quella sala! L’idea si dimostra da subito molto intrigante, con la bellissima immagine del coro che entra uscendo parzialmente da un armadio e parzialmente dal caminetto come creature benefiche, gnomi, immaginazioni ad occhi aperti del bambino protagonista (la bravissima, deliziosa Barbara Massaro, che è rimasta in scena per tutta l’opera muovendosi come un bimbo e cantando come un’incantevole giovane soprano). Sono rimasto conquistato ed il primo atto è stato tutto una meravigliosa successione di sorprese sceniche per cui mi sono sentito trasportato nel mondo di quel bambino, diventato bambino anche io. Ma in questo stupore nel vedere la scena prendere corpo, con finte montagne e finte nuvole piazzate dai “popolani” stessi, ho cominciato ad avvertire da subito un disagio: l’atmosfera da fiaba nuoceva alla narrazione, i personaggi erano snaturati, rimpiccioliti, ridotti a giocattoli nelle mani del Puer Creator.
L’idea aveva iniziato a lavorare contro Guglielmo Tell, il cui eroismo e la cui grandezza erano annientati dal fatto di essere ridotti a giocattoli nelle mani di un bimbo, fantasie, sogni, mai reali. Ecco che una buona idea non è stata dominata, ma ha dominato il pensatore, Arnaud Bernard, buon regista per carità, capace di affondare con coerenza assoluta e purezza intellettuale estrema nel profondo status onirico della sua evocazione fantastica fino a perdere il contatto con Rossini e ciò che il compositore aveva voluto dire, nel suo romantico lavoro pieno di temi patriottici. Un gioco di bambini?
Quattro atti riproponendo sempre la stessa situazione del bambino che muove gli avvenimenti sono risultati veramente stucchevoli, fino alla sconfitta di dover tenere fuori scena i cantanti che stavano cantando, espulsi dalla presenza ormai dominante dell’idea-bimbo, così potente da mandare fuori scena ciò che sarebbe parso in contrasto con lei ed avrebbe potuto sminuirla.
Avrei voluto vedere Guglielmo Tell come l’aveva voluto Rossini, certo, si è ormai capito, proprio perché non mi è capitato molte volte di poterlo vedere dal vivo e perché credo in quell’opera. Andando a teatro pregustavo le immagini forti che le proiezioni multimediali, oggi così facili da creare, avrebbero potuto darci della scena della tempesta, di quella del combattimento, della famosa scena della freccia che attraversa la mela messa in testa al figlio. Immaginario mio, non quello dell’idea-bimbo.
Bellissime le improvvise statuarietà del coro e dei protagonisti nei momenti in cui il bambino fermava la vicenda: illuminati da una luce proveniente dal camino davano l’effetto fiabesco di un magico presepe di sogno. (Bravissima la light designer Fiammetta Baldiserri).
In buca un’orchestra meravigliosa, quella dei Pomeriggi Musicali (quanti ricordi del mio passato di cantante!), con solisti d’eccezione ed una sezione fiati, soprattutto i corni francesi, di una precisione assoluta nei suoni e di una cura meravigliosa dei colori. Un piacere assoluto ascoltarli, grazie anche ad un ottimo Carlo Goldstein, che li ha guidati dal podio con un gesto chiaro, sapendo trasmettere ogni più piccola intenzione con la facilità e la semplicità dei grandi.
Già ho detto che non si può pensare di rappresentare validamente Guglielmo Tell se non si ha un tenore acutista nel ruolo di Arnoldo: gli acuti sono talmente spericolati in questo ruolo che ovviamente il tenore che vi si cimenta tende ad avere una vocalità più leggera, quella del tenore rossiniano tipico, e quindi fa storcere un po’ il naso ad una fetta di pubblico aduso ai tenori dal timbro metallico ed eroico. Giulio Pelligra mi ha invece sorpreso per come sia riuscito ad irrobustire il suono rispetto al “Romeo et Juliette” di qualche anno fa, pur mantenendo acuti di una precisione e facilità assoluta. Con un fraseggio elegante ed una proiezione del suono soddisfacente ha interpretato musicalmente un eccellente Arnoldo, permettendoci di comprendere perfettamente ogni parola grazie ad una dizione validissima.
Molto buona anche la performance di Marigona Qerkezi nel ruolo della di lui innamorata Matilde. Ha compensato lo spiazzamento scenico che spesso l’ha costretta a sembrare fuori posto a causa della riduzione a bambola nelle fantasie del bambino (l’avremmo detta la fatina di Pinocchio se l’abito fosse stato azzurro) con un cantabile valido, sicuro, accattivante, soprattutto nella “Selva opaca” nella quale ha strappato un grande applauso del pubblico con un filato finale da brividi come bellezza sonora, un po’ meno come precisione dell’intonazione, ma comunque da grande artista nell’emissione. La sua voce è molto bella ed il fraseggio molto morbido.
Non posso dire altrettanto del protagonista Gezim Mishketa che ha peccato proprio nel fraseggio, con suoni non precisamente italiani, richiamati all’indietro e con un’articolazione eccessiva delle vocali che ingenerava automaticamente una frammentazione della frase. Il colore è molto bello, la zona acuta sicura, ma, specialmente sulle “a”, decisamente troppo aperte, tradisce una necessità di ulteriore elaborazione linguistica della vocalità italiana. A suoni belli, dolci e profondi nel colore, ha accostato suoni presi dal basso ed altri con un eccessivo innalzamento del palato molle. Rimediabilissimo in poco tempo con un po’ più di cura nella dizione. Bene il personaggio con tutti i condizionamenti registici già raccontati. Molto valida l’aria “Resta immobile”.
Molto soddisfacente il Leutoldo di Luca Vianello, dalla validissima presenza scenica, supportata da una vocalità baritonale di prim’ordine. Troppo aperto nell’emissione e con una vocalità approssimativa nell’uso del timbro il Rodolfo di Giacomo Leone, valido scenicamente, ma bisognoso di qualche correttivo nella proiezione, perché è stato spesso sovrastato dall’orchestra.
Che dire della già citata Barbara Massaro se non che è stata di una generosità e disponibilità assoluta accettando di dilatare il suo ruolo (Jemmy) assumendosi la responsabilità di essere il bambino deus-ex-machina, muovendosi in modo maschile ed infantile in maniera eccellente e cantando con grande qualità di suono e facilità di acuti? Deliziosa.
Molto maturata ed ormai artista completa Irene Savignano, che con morbidezza di canto e sicurezza scenica ha disegnato un’Edwige intensa. Un po’ troppo giovane ma molto valido il Mechtal di Pietro Toscano, mentre il cattivo cameriere, pardon! Il potente governatore Gessler di Rocco Cavalluzzi, ha bisogno di più espansione, anziché privilegiare, come molti bassi purtroppo fanno, la chiusura del suono e la spinta muscolare alla proiezione naturale. Deve lavorare con maggior attenzione sull’emissione Nico Franchini (il pescatore) che prende molti acuti dal basso, quando deve raggiungere gli acuti falsetta improvvisamente con uno stranissimo colpo della glottide e poi negli assieme svetta esageratamente uscendo dall’ensemble (quella che si chiama “sforatura”). Il materiale è molto valido, deve trovare un po’ di autocontrollo ed un po’ più di eleganza nell’emissione. Bene il Gualtiero di Davide Giangregorio, artista interessante come vocalità ed attorialità.
Molto belli i costumi di Carla Galleri, sia quelli medievali che quelli ottocenteschi. Bellissima la scena unica di Virgile Koering.
MARCELLO LIPPI
Autore e Critico Musicale per la Cultura di Young diretta da David Colantoni
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio già a Rovigo, Alessandria, Udine, Ferrara e ora al prestigioso conservatorio di La Spezia
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS a cura di da Alessandra Lischi, Maria Antonella Galanti e Cristiana Torti dell’Università di Pisa. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa