Carmen di Bizet al teatro del Giglio di Lucca 22-02-2020
Rappresentare oggi la “Carmen” di Bizet è impresa non semplice: essa è infatti collegata ad un immaginario collettivo che ci parla di una Siviglia assolata, di taverne tipiche, di costumi sgargianti e gonne coloratissime svolazzanti al ritmo della danza, di rocamboleschi attraversamenti notturni delle Sierre iberiche e della più cartolinistica delle corride.
Sono andato, quindi, al teatro del Giglio ad assistere alla “Carmen”, prodotta dal Ravenna Festival, aspettandomi ben poco dal punto di vista scenico: il palcoscenico lucchese è piccolo e non può certo ospitare scatenati balletti spagnoli o grandi scene di massa. Infatti, all’apertura del sipario, dopo un’ottima ouverture interrotta a metà da un inopportuno scroscio di applausi da parte di spettatori neofiti, mi è apparsa, laddove il libretto richiederebbe un’assolata piazza sivigliana in piena estate, una scena notturna invasa da un fumo spesso ed acre, quinte nere, scenografia nera, abiti di scena neri. Mi è venuta in mente l’alzata di sipario de “Les miserables” di Schoemberg con la nebbia densa della cava dei forzati del carcere di Toulon e non sarà la prima volta in questa recensione che azzarderò un paragone con il mondo del musical.
Mi sono spiritualmente raccolto, dunque, preparandomi ad un’altra trasposizione dissennata, come quella di un recente improponibile don Giovanni di altro teatro toscano, o peggio ancora come quella del Maggio fiorentino nella quale alla fine era Carmen ad uccidere don Josè e non viceversa. E invece no.
Ho incontrato il lavoro di un regista intelligente e coerente, che ha costruito uno spettacolo sicuramente dark, ma sensato, geniale, funzionale, accattivante. Luca Micheletti ha certamente violentato il libretto originario con ambientazioni non previste e non prevedibili da Meilhac e Halévy, ma ha risposto ad ogni problema scenico che potesse porsi con un progetto lucido e ben elaborato. Desidero fargli i complimenti anzitutto per la cura della recitazione: la gestualità dei singoli e tutte le situazioni dell’intreccio si sono delineate con una naturalezza inusuale per i palcoscenici lirici. Ha costruito dei cantanti attori, capaci di gestire i personaggi, pur nelle loro diverse sfaccettature, come interpreti consumati, nelle ricerca costante di una fusione tra le loro giovani identità e quelle dei loro giovani personaggi. I parlati sono stati scorrevoli, da attori ripeto, senza alcun “birignao” e alcuna “impostazione” lirica del parlato, solo un’efficace proiezione del suono in un francese sorprendentemente buono per un cast quasi tutto italiano. Nei dialoghi parlati non ho dovuto mai alzare gli occhi ai sovratitoli, comprendevo perfettamente l’articolazione delle parole e, anche se non avessi conosciuto l’opera, avrei potuto perfettamente individuare i caratteri dei protagonisti. Solamente a fine primo atto, con la soppressione dell’intervallo, ho capito che il regista aveva dovuto affrontare il problema di una suddivisione in due atti anziché quattro, con il raggruppamento a due a due ed un solo intervallo. La soluzione implicava ovviamente una cospicua riduzione dei tempi di permanenza in teatro del pubblico e degli artisti rendendo più sciolta la narrazione (ed evitando gli straordinari al personale), ma riduceva al minimo i tempi per i cambi di scenografia. Ecco il perché di un’ambientazione iniziale così scura, preparatoria alla taverna di Lilas Pastia dell’atto secondo. Non tutto ha funzionato a dovere: a Lucca la grande scala laterale che si scinde e ricompone nell’allestimento creando varie situazioni sceniche era troppo imponente e nel piccolo palcoscenico era d’ingombro, incombente come era, tanto da essere costretta a sostituirsi alla piazza come luogo dei movimenti corali e del cast. L’idea di fare della manifattura di tabacco un bordello stile Amsterdam con tanto di maîtresse è una grande forzatura del libretto, ma ci ha immerso in un’altra atmosfera molto accattivante e più vicina alla nostra epoca, quella delle donne esposte in vetrina lungo i Graats olandesi o, per ritornare ancora al musical, l’atmosfera del club Dreamland di Saigon o del Moulin Rouge di Bangkok di “Miss Saigon” dello stesso Schoemberg. I costumi delle ragazze e dello stesso don Josè ricordavano assolutamente quelli di Kim, Chris, Gigi e di tutti gli altri protagonisti di quel musical e si riferivano alla stessa epoca storica. Il gioco d’ombre e di luci ha invece caratterizzato la seconda parte dell’allestimento, con immagini bellissime e molto poetiche. Su tutte, la dolcezza infinita con la quale Carmen accetta ed aspetta l’abbraccio, quasi tenero, di José nel quale lui la uccide. Ho visto molte Carmen gettarsi sul coltello quasi spingendo don José a farlo. Ho visto Carmen disperatamente in fuga per evitarlo. Per la prima volta a Lucca ho visto Carmen piangere e rimanere rassegnata in modo commovente, con le lacrime al ciglio, ad accettare ciò che le carte già le avevano predetto.
Abbiamo assistito ad un’intelligente operazione di “modernizzazione” (e non è detto che in “Carmen” ce ne fosse bisogno, meglio forse rivolgerla ad opere del seicento e settecento meno conosciute) coerente e coinvolgente, con un’arte della recitazione molto buona da parte di tutti gli interpreti, se non veri, molto credibili nei loro personaggi.
Il rispetto sostanziale delle situazioni, con un accenno di doppio da parte di Carmen, Micaela e José bambini nella prima parte dell’opera, poi abbandonato, e con la presenza costante di un mimo fenomenalmente bravo, Ivan Merlo, impegnato in molti personaggi, soprattutto in Lilas Pastia come deus ex machina delle situazioni e come alter ego del regista nella manipolazione degli eventi, ci ha permesso di ascoltare la Carmen” di Bizet dal punto di vista musicale con una correttezza esemplare.
Mi fa piacere aver ascoltato l’orchestra “Cherubini”, che è un’orchestra giovanile, eseguire così bene una partitura che, se non è di difficoltà insormontabile, pure presenta parecchi trabocchetti. Vladimir Ovodok ha dato un taglio tradizionale e preciso e, forse proprio perché si rivolgeva ad un’orchestra giovane, ha puntato sulla chiarezza ritmica e dinamica più che su strappate improvvise o su varietà agogiche che alimentassero l’originalità dell’interpretazione. Ci sono alcuni punti dell’opera nei quali viene allo scoperto la qualità del direttore d’orchestra e sono il quintetto “Nous avons en tête” e l’accelerazione orchestrale nella coda del terzetto “Les tringles des sistres”, eseguiti entrambi magistralmente in questa circostanza.
Meraviglioso il coro di voci bianche del teatro del Giglio, incantevole come preparazione musicale, arte attoriale ed anche bellezza. Chiamati al difficile “Avec la garde montante” e a molti altri interventi, sono stati inappuntabili. Complimenti alla loro maestra Sara Matteucci, grazie a lei questa formazione è diventata un’eccellenza lucchese: speriamo di vederli presto agire non solo a supporto di artisti adulti, ma protagonisti in un’opera a loro dedicata come potrebbe essere per esempio “Pollicino” di Henze. Molto bene anche il Coro Lirico Marchigiano Vincenzo Bellini, ben istruito da Antonio Greco. A parte una lieve divergenza ritmica con l’orchestra nel primo intervento maschile della Guardia Civil, questo coro, costituito globalmente da elementi giovani e di bell’aspetto, ha ben supportato l’idea registica: molte belle ragazze si sono potute unire in abiti succinti ai DanzActori Trilogia d’autunno, istruiti da Lara Guidetti, partecipando validamente ai movimenti scenici.
Il cast mi costringe a parlare ancora di musical, non perché siano cantanti da musical, tutt’altro, è un ottimo cast lirico, ma per il loro aspetto: tutti giovani e tutti molto belli. E’ raro trovare in un’opera una tale aderenza fisica degli interpreti al personaggio e tutti con una voce giusta per l’opera che stavano rappresentando. Nei corridoi del teatro, durante l’unico intervallo, ho fatto questa considerazione con il maestro Angelo Nicastro, direttore artistico del teatro Alighieri di Ravenna, produttore dello spettacolo, manifestando la mia ammirazione per la bellezza e giovinezza degli interpreti, scelti evidentemente con grande cura e competenza. Mi ha risposto che ci sono moltissimi giovani preparatissimi, bravi, capaci di cantare e recitare bene, al caso anche ballare e questa affermazione mi ha un po’ intristito pensando a quante eccellenze del nostro paese vengano sprecate a causa dell’ignoranza di molta parte della classe politica italiana.
Tornando al cast, Martina Belli è un’eccellente Carmen, perfettamente a suo agio nel personaggio ed impegnata in scena con grande dispendio di energie, visto che copre con la sua presenza in proscenio durante gli entr’acte i momenti di attesa scenica a sipario chiuso in un gioco metateatrale molto ammiccante al pubblico. Donna affascinante, molto bella e dotata di una vocalità sicura e perfettamente dominata, dà una versione Falcon del ruolo, sopraneggiando un poco timbricamente (ma non guasta) e giocando più su espressioni del viso che su un interiorità da belva come molte Carmen hanno fatto; ne scaturisce un personaggio più elegante, più educato nei movimenti, più allusivo: insomma ha sacrificato la zingara ad una conturbante donna molto italica nel modo di gestire l’attorialità. Il fascino della persona era in un certo senso più nobile che selvaggio. Mai in difficoltà musicalmente e vocalmente, ha disegnato un personaggio giovanile e molto sensuale. Le consiglierei solo, se me lo permette, di usare un tono più basso nel parlato, perché parlando su un registro alto come quello che usa, immediatamente sposta il fulcro attoriale su un’educazione ed un’innocenza che il suo personaggio non ha e non deve avere. Non esprime odio, solo frivolezza e quindi le suggerirei di approfondire lo studio scenico vedendo le prove di artiste del passato, che avevano interpretato questo ruolo concentrandosi sull’aspetto zingaresco, una su tutte Denyce Graves. Un po’ più d’istintualità aiuterebbe a completare il già eccellente percorso svolto finora.
Ugualmente belli e perfettamente nel ruolo tutti gli altri, a partire da Antonio Corianò che ha disegnato un don José assolutamente credibile sulla scena con una vocalità correttissima ed un’estrema sicurezza in zona acuta. Moltissimi i pianissimi inseriti nel suo cantabile con grande gusto e raffinatezza; se non convince fino in fondo la sua rabbia omicida è per gli occhi che tiene costantemente rivolti al direttore, anche nei momenti più drammatici. Ma avrebbe avuto bisogno di più rabbia da parte della partner, per poter sfogare meglio la sua. Se nel primo atto è stato un poco contenuto negli acuti, prendendoli un pochino dal basso e raggiungendoli spesso con qualche decimo di secondo di ritardo, dal secondo atto in poi ha dato prova di assoluta sicurezza. La sua voce non è stentorea, ma proprio per questo ha accenti di morbidezza molto buoni nei momenti di commozione. Perché non tentare allora di fare in futuro il sib su “Et j’étais une chose à toi” nell’aria de “La fleur” se non pianissimo, come scrive Bizet, almeno piano? So che anche molti grandi interpreti piazzano un fortissimo su quella nota, ma forse non erano in grado di fare altrimenti. Lui lo è. La sua presenza scenica, poi, è dominante.
Buono l’Escamillo di Andrea Zaupa la cui voce è molto interessante e ben proporzionata a quella degli altri. Meno istrionico di tanti Escamillo visti, punta su un’ironia sottile, ma non dà veramente l’impressione di provare una passione fatale per Carmen, scegliendo un torero più riflessivo, meno spaccone e meno interessato a Carmen di quanto forse Bizet avesse inteso. Sicuro vocalmente e preciso musicalmente.
Splendida scenicamente anche Micaela, Elisa Balbo, attrice perfettamente calata nel ruolo, ci ha regalato un personaggio tenero, indifeso e coraggioso, perdutamente ed invano innamorato del suo Josè. La sua voce non è grande e stranamente il punto in cui si è trovata più in difficoltà è stata proprio la sua aria “Je dis que rien ne m’épouvante” laddove a tratti è stata sovrastata dall’orchestra, sicuramente non strabordante dinamicamente in quel punto. Bella anche lei, è stata capace di un’interpretazione struggente in un ruolo che viene spesso interpretato in maniera melensa, la buona fanciulla devota e pia del paesello natale, in contrasto con Carmen. Invece nei suoi tratti c’è stata una vitalità ed una decisione che ha dato, finalmente, vita vera a Micaela, ragazza giovane sì, ma capace di raggiungere Josè nel covo dei briganti pur di dirgli che sua madre è in punto di morte. Con la magnifica interpretazione di Elisa Balbo ci si aspetta che da un momento all’altro Micaela si sciolga i capelli e con uno sguardo da pantera gli salti in braccio come fece la Janis Clementi mirabilmente disegnata da Kasia Smutniak nel film “Benvenuto Presidente!”. Brava davvero.
Christian Federici mi ha colpito sin dal primo istante per imponenza scenica, fascino attoriale, bellezza e potenza della voce. Un perfetto Escamillo confinato in questa circostanza a interpretare Moralès. Spero di ascoltarlo presto come torero, perché la sua voce sicuramente è adattissima a quel ruolo. E’ riuscito comunque a fare di Moralès un grande ruolo.
Corretto, anche se non troppo autorevole sulla scena, lo Zuniga di Adriano Gramigni, con il quale andava fatto forse un piccolo lavoro registico in più, non tanto per lui ma per i colleghi: si sa che l’autorevolezza è data più dall’atteggiamento timido e pauroso degli altri che da una recitazione personale. Dotato di buona voce e buona tecnica ha coperto validamente il ruolo.
Incantevoli le due “girls” dei contrabbandieri, Frasquita e Mercedes, belle e brave, precisissime musicalmente, capaci di caratterizzare il proprio personaggio perfettamente in linea con lo stile dark-poledancegirls richiesto dal regista. Un pochino incerta in zona acuta Frasquita, Alessia Pintossi, ma il ruolo non è semplice, meravigliosa come potenza e bellezza di suono la nostra Mercedes, alias Francesca Di Sauro.
La coppia maschile dei malfattori era composta da Rosario Grauso e Riccardo Rados, che sono i capi della banda di contrabbandieri. In quanto tali avrebbero dovuto, anche nella trasposizione voluta dal regista, avere autorevolezza e forza, uomini d’arme facili a risolvere i problemi “à coups de couteaux”. Rosario Grauso non ha una vocalità autorevole e purtroppo sarebbe il caso che rivedesse un poco la sua tecnica vocale, perché il suono è troppo schiacciato con vibrato caprino in un ruolo che richiede fermezza della voce e degli atti. Anche scenicamente è stato deficitario, ma non del tutto per colpa sua: il costume con cui lo avevano vestito riusciva benissimo a metterlo in ridicolo moltiplicando le sue “pancette” in tanti rivoltini, alcuni scoperti. In questo il costumista non lo ha certo aiutato. Preciso scenicamente invece il Remendado di Rados, voce pungente e musicalità sicura, adattissimo al ruolo.
A parte l’orrendo costume del povero Grauso, i costumi di Alessandro Lai erano appropriati al taglio registico ed incrementavano la bellezza dei cantanti, sottolineandone le caratteristiche in funzione narrativa, mentre per le scene di Ezio Antonelli devo forzatamente sottomettere qualunque tipo di valutazione alla comprensione dei problemi che deve aver incontrato l’artista nell’adattare il suo lavoro al palco del Giglio. Molto compressa la scenografia dei primi due atti, molto poetica quella dei secondi due, con bellissimi effetti di proiezione d’ombre, il tutto vitalizzato dalle ottime luci di Vincent Longuemare.
MARCELLO LIPPI
Autore e Critico Musicale per la Cultura di Young diretta da David Colantoni
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio già a Rovigo, Alessandria, Udine, Ferrara e ora al prestigioso conservatorio di La Spezia
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS a cura di da Alessandra Lischi, Maria Antonella Galanti e Cristiana Torti dell’Università di Pisa. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa