Adriana Lecouvreur di Cilea al Teatro Carlo Felice di Genova 16-12-2020
Il recensore non ha un compito facile, perché, dando per scontato che scriva senza pregiudizi e secondi fini volti a screditare o ad esaltare a seconda di un proprio personale interesse, gli viene chiesto comunque di raccontare con imparzialità, senza condizionamenti emozionali. Molti recensori in realtà non hanno preparazione musicale reale, sono studiosi, musicologi, non hanno mai eseguito musica e nel migliore dei casi possiedono una passione per il melodramma che li agita e sospinge. E’ più facile per costoro essere distaccati, misurati, non partecipi, calcolando spesso con furbizia i termini con i quali costruirsi una rispettabilità di giudizio, facendosi temere ma omaggiando i potenti, colpendo ma non troppo, non con suggerimenti, ma con giudizi inappellabili. Ma l’oggettività è una chimera in chi valuta e recensisce: si è già visto il fallimento letterario del mito del verismo e dello scrittore-testimone imparziale.
Tutto questo sproloquio per dire che, invece, non ho nessuna intenzione, in questo mio breve scritto, di dimenticare chi sono mentre scrivo e di non lasciarmi condizionare dall’ondata emotiva che ha fatto seguito allo spettacolo cui ho assistito nel teatro genovese.
“Ex abundantia cordis os loquitur”. Voglio quindi lasciar volare liberamente il mare di sensazioni che la Bellezza (con la B maiuscola) incontrata nella produzione in oggetto mi ha suscitato a partire dalle prime note dell’orchestra e non importa se il moto di questo mare provenga da lontano, da un mio passato non dimenticato e non dimenticabile.
Lo stacco orchestrale con cui l’opera ha avuto inizio è stato folgorante: non avessi saputo che alla direzione c’era il maestro Valerio Galli, l’avrei riconosciuto subito da quello stacco, dall’impeto, dalla foga e dalla precisione trasmessa ad un’orchestra, quella della Fondazione Teatro Carlo Felice che ho sempre recensito molto bene, perché la considero una delle migliori formazioni in attività.
Lo stacco iniziale di Adriana Lecouvreur è pericoloso e affascinante, deve dare subito l’atmosfera frenetica di un camerino a pochi istanti dall’andata in scena, ma non deve essere troppo veloce, né troppo trattenuto da insicurezze ritmiche del direttore, agitato ma non troppo, per poter poi fare intendere gli interventi dei quattro attori e dell’impresario; deve essere pulitissimo e chiaro per l’orchestra, deve dare insomma subito il carattere di un’opera intera.
Per me però quello stacco ha avuto l’effetto di un colpo al cuore: lo ricordavo così, esattamente così, in una sera meravigliosa di qualche anno fa, a Skopje; dirigeva proprio Valerio Galli ed io interpretavo Michonnet; accanto a me, una grandissima Adriana, che voglio ricordare perché è nel cuore di tantissimi, Daniela Dessì, in una delle sue ultime apparizioni prima che ci fosse rapita prematuramente. C’erano a Skopje tanti amici che ieri erano presenti con me al Carlo Felice nella serata che mi accingo a raccontare e come me e con me l’hanno ricordata.
Ecco perché sentire l’orchestra della Fondazione genovese iniziare l’opera con quel piglio sicuro, con quei tempi, (i tempi di allora!) mi ha riempito il cuore di nostalgia per l’amica che non c’è più e gli occhi di lacrime di sincera commozione.
Valerio Galli conosce a meraviglia quest’opera e ne ha fatto un gioiello di raffinatezza; dinamico e trascinante nei momenti di agitazione, liricamente devoto nei momenti più delicati (Come “Ecco, respiro appena”), rispettoso, innamorato e profondamente pervaso di quell’arte che lo trascina e che ne fa uno dei migliori direttori del panorama internazionale. La sua conoscenza della vocalità ed il suo profondo rispetto per i cantanti lo aiutano a mantenere sempre udibile la melodia del canto anche in un tessuto orchestrale ampio ed elaborato, con una scrittura strumentale spesso pronta all’esplosione dinamica. Magistrale la tavolozza di colori che il maestro, complice un’orchestra di altissimo livello, ha saputo donare agli spettatori.
Della regia di Ivan Stefanutti (che ha curato come di consueto anche scenografia, suo primo amore, e costumi) devo scrivere, ancora una volta, su come il maestro sia capace di creare una novità visiva ed espressiva in opere di grande repertorio, molto conosciute. Come per la recente Tosca di Lucca dove riuscì a creare l’illusione magica di ambienti immensi in un teatro dal palcoscenico piccolo, così in questa occasione, disponendo di un teatro dai mezzi e dalle dimensioni assolutamente imparagonabili alla circostanza citata, ha trovato il modo di creare con monotematismi tematici, elementi non eccessivi, ma usati in modo ineccepibile, gestualità se non vere per lo meno assolutamente verosimili, un racconto nel quale lui, in quanto regista è scomparso per lasciar parlare i “suoi” personaggi. Nessuna infedeltà al testo, nessuna violenza traspositiva, nessuna volontà di “far parlare di sé” facendo scandalo. Ma, e per chi lo conosce bene come me è un autentico godimento, quanta cura del particolare, della piccola espressione facciale, del movimento, dell’interpretazione del testo, di quel piccolo gioco per iniziati, che solo pochi possono cogliere e raccontare! Intelligente, vivo, teatralmente perfetto, con questo allestimento Stefanutti è ancora una volta maestro dei sogni, come sempre senza sprechi visivi, con un calcolo appassionato della misura e del messaggio. Tutto era in funzione della storia di “Adriana”, alla quale Stefanutti crede e che ama e rispetta profondamente.
Per fare una buona produzione di “Adriana Lecouvreur” bisogna necessariamente disporre di interpreti di grande livello e non vi è dubbio che Barbara Frittoli appartenga a questo ristretto novero di eletti. Semplicemente magistrale nel dominio della voce, senza correre mai il rischio di forzare, ha costruito un personaggio commovente, affascinante sia nei momenti dell’amore come in quelli dell’ira. Un fraseggio elegante ed una personalità avvincente hanno completato il quadro di un’interpretazione assolutamente eccezionale. Ma, mi perdonerà l’artista, ciò che più mi ha colpito, ciò che non pensavo potesse essere perfezionato a questi livelli, è stato l’aspetto recitativo, sia nel recitato tout-court, senza i “birignao” tipici delle cantanti liriche quando recitano, evidenziando anzi una fusione incredibile di parlato e cantato, che nei movimenti scenici. La signora è in grado di passare dal parlato-recitato, proiettato, potente e chiarissimo, al cantato più impegnativo senza tradire la minima fatica ed ha interpretato il personaggio con una sicurezza ed una “verità scenica” tali da regalarci una delle “morti” più commoventi mai viste in teatro.
Degno collega l’ottimo Marcelo Alvarez che ha avuto su tutti un merito predominante, quello di ricercare, aiutato certamente da direttore e regista, quel po’ di intelligenza, ben nascosta, che si cela nel personaggio di Maurizio, degno compare di Pinkerton e di altri tenori incapaci di amare veramente a fondo la propria donna. Per la prima volta ho udito un fraseggio morbido, laddove suoi colleghi, perfino su “L’anima ho stanca” impongono una voce stentorea da guerriero. Il Maurizio di Alvarez ha un po’ perso l’”Allure” del combattente e quando racconta dei duelli e dei successi militari appare un po’ mendace, ma nella relazione con Adriana, riesce a dare credibilità al personaggio dell’innamorato. Gli acuti precisi, a volte un poco spinti, ma sempre a posto, il fraseggio elegante, una scioltezza scenica naturale in chi ha calcato tanti e tali palcoscenici: tutto ha funzionato a dovere nella sua interpretazione.
Judit Kutasi è stata una grandiosa Principessa: è impossibile non rimanere colpiti ed affascinati dalla sua prorompente vocalità mezzosopranile autentica. Se si può far fatica ad immaginarla riempita di baci dal buon Maurizio, per via dei suoi scatti di nervi e della sua spiccata attitudine al comando, riesce tuttavia a dipingere un personaggio cattivo a tutto tondo, prepotente ed omicida senza un solo cedimento della concentrazione dal punto di vista vocale o scenico. Una prestazione vocalmente e teatralmente maiuscola, applauditissima dal pubblico.
Ed eccomi a raccontare di Devid Cecconi, baritono del quale non ebbi a scrivere proprio benissimo in un recente passato, per di più alle prese questa volta con un ruolo che io ho tanto cantato in passato (Michonnet) e che amo tanto nella sua fragilità, nella sua timidezza e generosità che lo costringono a rassegnarsi ad amare senza essere riamato. Ebbene cosa posso dire se non che è stato assolutamente perfetto? Tutto in lui era Michonnet, da come camminava alle espressioni del viso, alla dolcezza del fraseggio, alla tenerezza della sua discreta presenza accanto ad Adriana. Vocalità morbida e pastosa, buona precisione ritmica in un ruolo non semplice, acuti come sempre straordinariamente belli essendo lui un baritono acutista che a tratti lascia sfuggire un colore da tenore drammatico. Non ho mai scritto di un collega che lo consideravo perfetto, ma non posso recensire diversamente una prestazione che mi ha insegnato tanto, con la semplicità del movimento scenico, con la naturalezza di un cantato facile e di una pronuncia perfetta, con la bontà d’animo sua e del personaggio. Grazie!
Sono a buon punto della recensione e non ho mosso critiche allo spettacolo. Chi mi conosce sa che questa è la prima volta in assoluto, perché mi offendono banalità, impreparazione, faciloneria, mancanza di rispetto per l’opera e voglia di modernizzarla perché non ci si crede più, tecniche vocali improbabili e musicalità non educate e si sa anche che scrivo sempre ciò che penso, sempre in modo molto educato e rispettoso della persona.
Ma questa recensione è davvero dettata dalla citazione evangelica collocata all’inizio: “Ex abundantia cordis os loquitur”: ho scritto mosso da gioia, soddisfazione e consapevolezza che meglio di così, difficilmente si sarebbe potuta rappresentare un’ “Adriana” e pazienza se qualche piccolo particolare non è stato adeguato al trend generale.
Non pago, proseguo. Un po’ troppo giovane e bello per il ruolo del Principe il basso Federico Benetti, ma inappuntabile vocalmente, con un timbro brunito e accattivante che, se coltivato, potrà aprirgli ruoli più di soddisfazione. Spigliato sulla scena e dotato di una tecnica che gli permette una dizione molto valida, se non ha potuto per questioni anagrafiche essere un credibile vecchio Principe, ha dato vita comunque ad un personaggio efficace, un po’ simile al conte di Almaviva delle Nozze Mozartiane. Spero di riascoltarlo presto in altri ruoli.
Benissimo anche L’abate dell’ottimo Didier Pieri, una sicurezza dal punto di vista della vocalità e della caratterizzazione.
Ed infine preciso e partecipe il quartetto degli “attori”: Marta Calcaterra, Carlotta Vichi, John Paul Huckle e Blagoj Nacoski. Molto affiatati e puntuali nei movimenti scenici, hanno saputo ricostruire benissimo, grazie al regista, l’euforia dell’andata in scena in teatro e la piccola festicciola improvvisata, risultando assolutamente credibili nella teatralizzazione dei loro personaggi.
Molto bene il coro della Fondazione Carlo Felice, preciso musicalmente e dotato di voci molto valide, capaci di esprimere una vasta gamma di colori. Ben istruito dal maestro Francesco Aliberti.
Unico neo il balletto!! Purtroppo Cilea ha voluto collocarlo nella festa e, per carità!, è un momento di grande importanza dal punto di vista tersicoreo, ma, se un tempo veniva coreografato con tutto il balletto stabile dei teatri, oggi si impiegano solo tre ballerini, su una musica che non dà loro agio di esibire le proprie qualità, né al coreografo di turno di inventare qualcosa di interessante, con per di più, forzatamente, tutto il coro presente ed immobile. Bravi i danzatori, ma davvero limitate le possibilità espressive offerte dalla musica.
Eccomi alla conclusione: ho espresso la gioia, la commozione, la soddisfazione che ho provato in teatro; non mi sono nascosto, né vergognato di aver ricordato un’amica che ci ha lasciato troppo presto. Sono stato dunque personalistico e poco severo, quindi non un vero commentatore “comme-il-faut”, in queste righe così diverse da ogni altra mia recensione. La Bellezza mi ha preso! Vorrei mi succedesse sempre quando vado in teatro!
MARCELLO LIPPI
Autore e Critico Musicale per la Cultura di Young diretta da David Colantoni
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio già a Rovigo, Alessandria, Udine, Ferrara e ora al prestigioso conservatorio di La Spezia
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS a cura di da Alessandra Lischi, Maria Antonella Galanti e Cristiana Torti dell’Università di Pisa. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa