“Don Giovanni” di Mozart al teatro Verdi di Pisa 24 gennaio 2020
Qualche giorno fa feci un sogno strano: mi trovavo al museo del Louvre di Parigi e mi portavano a vedere “La Gioconda” di Leonardo da Vinci. C’era una gioiosa ansietà in tutto il gruppo dei visitatori, ma quando arrivammo di fronte al ritratto quale non fu il nostro stupore! Un pittore parigino vi aveva dipinto sopra e la Gioconda era bionda, aveva due grandi baffi rossi e un vistoso tatuaggio. Ricordo la nostra rabbia, la nostra delusione. Come gli avevano permesso questo? La guida ci spiegò che si trattava di un grande pittore e che ciò che aveva fatto era modernizzare il ritratto. Mi svegliai sudato e pensai che tutto sommato a me “La Gioconda” non è che sia mai piaciuta troppo e che potevo vivere benissimo anche con quel sogno stupido.
Al teatro di Pisa la sera del 24 gennaio ho vissuto, questa volta da sveglio, la stessa sensazione: ma come? Don Giovanni trattato in quel modo? A Pisa, dove si è fatto nel 2015 un festival dedicato a don Giovanni con otto opere di autori diversi sul tema, con lavori teatrali, proiezioni cinematografiche, un mare di conferenze a cura dell’università? Dove si sa non dico tutto, ma tanto del personaggio ideato da Tirso da Molina? Uno dei più grandi miti della letteratura mondiale è stato trattato come un personaggio da opera buffa, senza profondità, senza percorso spirituale: nessuna traccia del rapporto con il divino in un personaggio le cui origini sono nel monon Giovanni do gesuitico, nessuna ribellione all’assoluto, sparito il dolore dell’umanità geniale e dell’intelligenza superiore che si elevano sino all’esaltazione di sé senza ottenere una risposta da un Cielo muto ed assente, solo una volgare bramosia di sesso, in un personaggio che volgare non è mai stato, rappresentandolo come puro istinto, pura animalità. Avevano dipinto sopra la Gioconda.
Io rispetto ogni parere, ogni persona, e per questo non ho scritto queste righe a caldo, per non lasciarmi prendere dalla delusione profonda come musicista e come uomo di cultura. Non si tratta di rimanere scandalizzato per un’interpretazione diversa di un soggetto o per un’idea diversa dalla mia del teatro e dei suoi linguaggi, ho visto spettacoli soprattutto in Germania che avevano solamente l’intenzione di scandalizzare il pubblico; vorrei invece essere capace di esprimere lo stupore di non essere riuscito in questo infelice “Don Giovanni” a capire le ragioni delle scelte registiche, e in parte anche musicali, di non aver capito la logica di un travisamento per me offensivo verso l’opera d’arte e chi l’ha creata. “Don Giovanni” di Mozart è un capolavoro dell’umanità, ricevere l’incarico di realizzare una produzione con questo capolavoro, deve essere sentito come un’immensa responsabilità e non come un giocattolo da avere per le mani per il proprio divertimento. Tentiamo dunque di raccontarlo.
Scena minimalista, nessun elemento di scenografia, solo attrezzeria. L’ouverture è a sipario aperto, coreografata molto bene con un angelo bianco e un corpo di ballo dai costumi (circensi?) simili a zombies. Bravissimi i ballerini del Nuovo balletto di Toscana coreografati da Arianna Benedetti e valida l’idea di impiegarli per tutta l’opera come supporto ai cantanti, spostando i pochi elementi presenti in scena, e divenendo essi stessi un elemento, come quando si trasformano nelle statue del cimitero. I cambi di situazione avvengono all’istante senza stasi narrative e questo è un bene in un’edizione nella quale la stasi narrativa la faceva da padrona, vista la scellerata decisione della regista, avallata dalla direttrice di orchestra e dalla direzione del teatro, di interrompere continuamente la musica di Mozart, per fortuna per lo più nei recitativi, per inserire inutili rumori e suoni vari incisi su nastro magnetico, forse a significare un’attività di pensiero in personaggi privati di ogni intelligenza. Logico aspettarsi, come è stato, le urla degli spettatori che chiedevano la musica di Mozart per la quale avevano pagato il biglietto. I costumi di Giacomo Andrico superano, credo volontariamente, il concetto di tempo e di epoca: i personaggi sono vestiti da XXI secolo, da XVIII, da XX, da XIX contemporaneamente dando l’impressione, non vera, di un allestimento fatto con i costumi rimasti in magazzino, molto brutti per altro. Sin dalla sinfonia, rappresentata, come detto, scenicamente, ci viene data l’immagine di un don Giovanni violentatore che non corrisponde assolutamente al personaggio mozartiano, per il quale l’avventura erotica non è soddisfazione di istinti, ma ribellione alle regole e all’ordine superiore, terreno o divino, ed è mossa da una filosofia di altissimo livello, pensiamo alle sfide sempre più estreme del don Giovanni di Dargominskji-Puskin.
La regista commette un grave errore che è quello di lasciare completamente aperto il palcoscenico lateralmente, cosa che al teatro Verdi di Pisa si sa che non va fatto: il palcoscenico è molto grande e pertanto il suono delle voci viene letteralmente “mangiato” dal retropalco e dalle quinte se non si provvede a chiuderlo (nessuno l’ha avvisata?). A parte la poca grazia di vedere, durante l’opera, tecnici, macchinisti ed attrezzisti al lavoro (tra l’altro in abiti normali, nemmeno in tuta nera) al lato degli attori, questo errore ha avuto una ripercussione seria su tutto lo svolgimento della rappresentazione. I cantanti si sono sentiti poco (e qui ci sono responsabilità anche della direttrice d’orchestra che avrebbe dovuto adeguarsi a questa necessità) soprattutto don Giovanni e Leporello: tutti gli artisti poi hanno dovuto ricorrere ai microfoni per i recitativi, una microfonazione ostentata con aste collocate ai lati del proscenio come se i personaggi uscissero dalla situazione teatrale per prendersi in giro. Poteva essere un’idea divertente realizzata una volta, ma siccome si è ripetuta per tutta l’opera è risultata molto stucchevole ed estraniante. Negli anni settanta Ken Russell aveva risolto così il problema del Sabba classico nel Mefistofele di Boito. La regista Cristina Pezzoli qui ha l’idea di trasportare don Giovanni in un circo. L’idea è già di per sé avvilente per un soggetto così elevato che prese le mosse in ambito gesuita con il “Promontorium Malae Spei Periculose Navigantibus Propositum” di Paolo Zehentner (1643) e che, dopo la creazione del celeberrimo “Burlador de Sevilla” di Tirso da Molina, ha affascinato generazioni di letterati alla ricerca di un approfondimento costante di un mito divenuto in breve tempo solidissimo. Citiamone alcuni di questi signori: Molière, Goldoni, Corneille, Dorimon, De Villiers, Baudelaire, Shadwell, Acciaioli, Biancolelli, Merimée, Lenau, Hoffmann, Grabbe, Puskin, MIlosz e potrei continuare per molte pagine. Dunque la regista di questa produzione, che sicuramente ha la cultura per conoscere bene la vicenda che ha scelto di mettere in scena, ha pensato di fare di don Giovanni un personaggio da circo e le dobbiamo rispetto in questa scelta. Ma, se la sua libertà di creare e di essere artista va rispettata, e la signora Pezzoli è un’artista ed anche di valore, deve essere rispettata anche la sua volontà di alterare il lavoro di un altro artista? Sarebbe interessante un dibattito su questo tema. Mozart, se fosse stato seduto in prima fila, cosa avrebbe esclamato?
Davanti alla scena nella quale il Commendatore sorprende don Giovanni con Donn’Anna e i due, entrambi disarmati, giocano con un’altalena finché il commendatore si accascia sull’altalena stessa e muore per una gravissima ferita al braccio, senza che nessuno gliel’abbia inferta, cosa avrebbe detto Da Ponte?
Non elencherò la successione di trovate clownistiche e circensi di questa regia, anche per rispetto verso chi le ha ideate; mi devo limitare in questa difficilissima recensione a ciò che è più importante e quindi sforzarmi di dimenticare Mozart e ciò che ha creato per cercare di capire fino in fondo quello che ho visto. Ci sono state soluzioni registiche molto buone: ad esempio ho molto apprezzato l’aver ideato il monumento funebre del commendatore in posizione seduta su una poltrona e su ruote in modo che è arrivata a cena da don Giovanni spinta dai ballerini. Ciò ha brillantemente evitato il solito problema del far camminare una statua. Ma allora perché farla scendere dal piedistallo e farla muovere come un robot? Bravi i ballerini, ma usati spesso a sproposito. Una delle prime cose che si insegna a chi intraprende la carriera di regista d’opera è che durante le arie non si devono creare movimenti che distraggano il pubblico dall’ascolto, quando questi non siano giustificati da un’azione prevista dal libretto; in questa produzione invece c’era un costante agitarsi dei danzatori che da un ipotetico secondo piano divenivano in realtà piano principale di narrazione. Nel recitativo di Elvira prima del “Mi tradì” addirittura la cantante è stata lasciata al buio completo per illuminare una ballerina sulla sfondo. Tra le cose più brutte da ricordare ci sono l’imitazione della voce di Fantozzi che Leporello fa quando rimane solo con donna Elvira e non sa cosa dirle per giustificare il padrone, la trasformazione della scena in una palestra di pugilato, il recitativo tra don Giovanni e Leporello inframmezzato da pernacchie tra una frase e l’altra e da melodie estranee all’opera eseguite con dei kazoo dagli stessi interpreti. Tra le cose più belle le luci di Valerio Alfieri che hanno saputo creare in vari momenti un’autentica bellezza, usando lo schermo di fondo per la diffusione cromatica e le prestazioni di alcuni cantanti, che hanno saputo ridare un po’ di dignità all’opera. Brava l’orchestra Arché diretta da Erina Yashima. Sono sempre stato un fautore delle direzioni d’orchestra e delle regie al femminile e mi piace poter dire che la direttrice ha validamente assolto il suo compito, guidando con piglio sicuro l’orchestra, che ha acquisito in questi anni una grandissima professionalità. La Yashima deve ancora un pochino migliorare con la mano sinistra, ossia quella che controlla il palcoscenico, mentre ha saputo ben imprimere la sua visione dell’opera ai professori d’orchestra. Alcuni tempi (per esempio nel recitativo accompagnato di “Mi tradì” o nella lentezza funebre di “Vedrai carino”) non erano condivisibili, ma almeno chiari e non irrispettosi. Quanto peso ha avuto la direttrice in questa produzione? Se è vero che nei recitativi la mano del regista si fa spesso sentire e magari un po’ troppo, è pur comunque sempre musica di Mozart. L’aver acconsentito all’inserimento del nastro magnetico con gli effetti sonori, l’aver permesso ai cantanti interruzioni, fuori nota e stonature, l’uso dei kazoo e di variazioni stilisticamente discutibili e soprattutto non aver saputo mantenere l’orchestra ad un volume che permettesse di sentire bene i cantanti è comunque di sua competenza.
Veniamo al cast, premettendo che la scelta degli interpreti non è stata fatta sulla base di una conoscenza della vocalità mozartiana e che alcune voci erano pertanto inadatte, o messe nella condizione di non risultare efficaci.
Don Giovanni era Daniele Antonangeli, dotato di un bellissimo timbro. Si è potuto apprezzare la sua vocalità soprattutto nel finale, quando la posizione sul palcoscenico ed un po’ di maggior robustezza nell’emissione hanno permesso al pubblico di ascoltare bene la sua bella voce, per parte dell’opera sovrastata dall’orchestra. Non ha la potenza necessaria per brillare nelle condizioni di cui si è detto, con il palcoscenico aperto ai lati che “divora” i suoni gravi. Bello il suo fraseggio, elegante la dizione, ha dovuto avvilire il suo personaggio, ma non è colpa sua. Nella canzonetta esagera un po’ con i respiri e nei recitativi “in palestra” non riesce quasi a cantare a causa dei movimenti pugilistici.
Ancora più seri i problemi di volume di Nicola Ziccardi, Leporello. Dotato di una voce chiara, in un personaggio generalmente affidato ad un basso o ad un baritono scuro, è stato spesso sovrastato dall’orchestra. Inudibile nel finale, è emerso poco nel primo arioso e nell’aria. Il suo personaggio, che prova ammirazione segreta per don Giovanni, del quale rimane al servizio nonostante non venga retribuito, con l’incarico, per lui di soddisfazione, di essere il narratore delle sue imprese; il servo che invidia le capacità amatorie del padrone, il suo coraggio, la sicurezza in ogni situazione, è scomparso dietro un personaggio da circo debole ed indefinito, così come la voce dell’interprete è stata troppo spesso difficilmente udibile. Nela lettura del catalogo ha sottolineato il testo con movimenti scontati e banali ed è stato coperto dall’impianto orchestrale. Non c’è stata cattiveria o sadismo nella sua aria, come non si sono comprese le reazioni di Elvira. Nei recitativi, complici i rumori del nastro magnetico ed il suono spesso distorto proveniente dall’amplificazione del fortepiano, ha perso spesso l’intonazione.
Non ha avuto problemi né di volume, né di intonazione Diego Godoy nel ruolo di don Ottavio. Dotato di una voce molto più scura dei colleghi che normalmente affrontano questo ruolo, ci ha regalato un’interpretazione più virile del consueto, regalando un timbro pastoso eppur non andando mai in difficoltà nella zona acuta, dove solo in un’occasione ha sfiorato il falsettone.
Impeccabile Paolo Pecchioli nel ruolo del Commendatore. Voce scura e ben proiettata, ha vinto il duello con i potenti accordi dell’orchestra. Scenicamente, a parte la morte “circense”, non ha convinto perché la regia lo ha costretto, nella scena più drammatica, a muoversi a scatti come un robot, perdendo ogni caratteristica terrifica.
Molto bene la donna Anna di Sonia Ciani, voce sicura e ben proiettata, ha affrontato con morbidezza la vocalità del ruolo e anche se il colore non è forse sufficientemente pastoso, pur ha compensato con l’eleganza del fraseggio. Nel secondo atto ha accusato un po’ di stanchezza ed è stata periclitante in alcune frasi nelle quali ha preteso effetti eccessivamente raffinati come per esempio su “Abbastanza per te”, senza riuscire a ben collocare i suoni. Prova positiva anche dal punto di vista scenico, a parte le mani al basso ventre nella scena seguente alla morte del padre, al fine di lordarsi di sangue in modo allusivo quella zona del costume. Ma non è sua scelta, immagino.
La Donna Elvira di Raffaella Milanesi è deficitaria dal punto di vista vocale, non perché l’artista non canti bene, tutt’altro, ma a livello timbrico e tecnico affronta la musica mozartiana come si canterebbe un autore barocco, sfumando tutti gli acuti senza mai una proiezione sicura come invece l’ira di Elvira richiederebbe. Personaggio stravagante, si presenta con la pistola e con la sigaretta, portandoci di colpo in un’altra epoca incongrua con il resto. Appena l’orchestra ha uno scatto dinamico la sua voce purtroppo si sente a stento e non si riesce quindi ad apprezzare l’indubbia bellezza dei suoi suoni. Anche lei cade vittima delle intemperanze sonore degli “effetti” nei recitativi e perde a tratti l’intonazione. Incomprensibile la sua reazione alla lettura del catalogo, o meglio alla visione di esso sullo schermo nel fondale dove l’ombra di don Giovanni riceve l’abbraccio delle donne e non si capisce bene cosa da alcuni uomini.
La Zerlina di Federica Livi è condizionata da una snaturalizzazione del personaggio pressoché totale, che forse allude all’elaborazione goldoniana del ruolo di Elisa, un vero don Giovanni in gonnella, ma che non le dà corpo. La Livi ha la voce più leggera di tutto il cast e pertanto forse è seconda solo a Leporello in quanto a difficoltà nel rapportarsi al suono orchestrale. Precisa musicalmente, si adopera per dare credibilità al proprio personaggio, riuscendoci in parte.
Ottimo il Masetto di Francesco Vultaggio, voce potente e caratterizzazione credibile.
Molto bene il coro Ars Lyrica diretto dal maestro Marco Bargagna.
Tornando alla regia, belle le scene di “Là ci darem la mano” e soprattutto la scena del boschetto nel quale si nasconde Zerlina, ottimamente realizzato con i ballerini che muovono gli “alberi” creando una magia poetica; ottima l’aria di donna Anna e la gestione degli spazi nella festa, come pure la scena di Elvira sull’altalena (ora non più arma letale). Molto brutte le parrucche colorate dei camerieri. Molti i non-sense: quanto è credibile una situazione nella quale due combattenti si affrontano armati (don Giovanni e don Ottavio) uno di una spada e l’altro di una pistola? Oppure Don Giovanni che canta “ se non sorgete non resto in pié” comodamente seduto in poltrona?
Fastidiosa la scena nella quale si presenta un uomo tenuto al guinzaglio come fosse un cane, pretesto necessario per le frustate nella scena delle percosse a Masetto, in un recitativo nel quale i rumori del nastro magnetico prevalgono ampiamente sulla musica del Salisburghese interrompendo continuamente la musica.
Al termine di questa lunghissima recensione, lunghezza della quale mi scuso, mi si permetta ancora alcune brevi e serie considerazioni: viviamo in una società dove faticosamente le persone più illuminate, tra le quali mi colloco, combattono perché ci sia rispetto della diversità, di qualunque tipo essa sia; sta finalmente affermandosi la necessità di combattere il bullismo contro i deboli e i disabili, l’omofobia, la violenza sulle donne, l’odio verso il diverso per motivi religiosi o razziali. Il teatro deve aprire le menti ed invitare alla tolleranza ed al rispetto. La regista, che immagino pronta a difendere giustamente il suo diritto di donna di svolgere la professione che svolge, non si è fatta alcun problema nell’usare una grande croce, simbolo importante per la religione cristiana e coloro che la professano, come tavola per il banchetto di don Giovanni e quando giunge donna Elvira, che lei vuole vestita da suora perché è entrata in convento, non si preoccupa di far mimare un rapporto sodomitico a don Giovanni con lei vestita da suora e appoggiata sulla croce e infine, per rappresentare l’inferno non si fa preoccupazione di far mettere don Giovanni con le braccia aperte come fosse sulla croce e di far bruciare la croce stessa, simbolo che ricorda pericolosamente le messe nere e i riti satanici del Ku-Klux-Klan. Credo sia diritto dei cristiani, tra i quali mi annovero, chiedere ragione di questo gratuito messaggio d’odio.
Alla fine dello spettacolo il pubblico ha sommerso di fischi il povero maestro al fortepiano, uscito a prendere gli applausi dopo la direttrice e per questo scambiato per il regista. La regista Pezzoli ha scelto di non uscire, secondo alcuni per evitare di essere fischiata, avendo sentito i fischi rivolti al povero maestro al fortepiano, secondo altri perché la sua regia sarebbe stata “censurata” dopo la prova generale e sarebbe stata tolta, da qualcuno molto saggio, la scena in cui don Giovanni avrebbe dovuto urinare sulla croce. Non conosciamo la verità, comunque sia il non uscire a fine spettacolo non è un bel gesto di rispetto verso il pubblico che ha diritto di manifestare il proprio consenso o dissenso.
MARCELLO LIPPI
Autore e Critico Musicale per la Cultura di Young diretta da David Colantoni
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio già a Rovigo, Alessandria, Udine, Ferrara e ora al prestigioso conservatorio di La Spezia
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS a cura di da Alessandra Lischi, Maria Antonella Galanti e Cristiana Torti dell’Università di Pisa. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa
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