RIGOLETTO AL TEATRO DEL GIGLIO DI LUCCA 17 GENNAIO 2020
Rigoletto al Teatro del Giglio di Lucca, in una sera uggiosa di gennaio, sfidando un po’ la superstizione, per via di una prima che cade di venerdì 17 nell’anno bisestile. Quanti Rigoletti ho ascoltato, cantato, diretto? Eppure cammino con gioia tra la gente diretta al teatro. Amo quest’opera come forse nessun altra, non vado quindi alla scoperta di una musica sconosciuta, né mi curo dei confronti con altre edizioni; voglio incontrare lui, Rigoletto, questo immenso, folle padre, scaturito dalla pena di Victor Hugo; voglio incontrarlo perché non mi bastano le volte che ci siamo incrociati per conoscere tutta la ricchezza positiva e negativa che si porta nell’anima. Amo infatti il teatro ed amo l’opera che sia nello stesso tempo teatro e voce, non solo uno dei due elementi a discapito dell’altro; voglio vederlo vivere questo gigantesco personaggio sulla scena, animato dall’immortale musica verdiana.
La presenza di due solidissimi professionisti alla guida di questa produzione, Aldo Sisillo sul podio e Fabio Sparvoli in regia, sono garanzia di un prodotto curatissimo ed efficace, ma mi chiedo, raggiungendo il teatro, se incontrerò il mio amico Rigoletto e se scoprirò qualcosa di nuovo.
Dal punto di vista musicale quest’edizione si è distinta per precisione e pulizia, accuratezza dei colori e delle intenzioni, cura estrema delle strette, mai bandistiche, e delle dinamiche, con un quartetto mirabilmente equilibrato. Se il maestro Sisillo ha permesso, o forse condiviso a livello artistico, tutte le gigionerie vocali possibili da parte degli interpreti, soprattutto del protagonista, rifacendosi ad una tradizione ben consolidata nel passato, la soddisfazione del pubblico per gli acuti impiegati a piene mani, dilatati nel valore fino a rasentare l’esagerazione, gli ha dato ampiamente ragione. Inutile nei nostri difficili tempi di poca cultura disquisire su misura, stile, eleganza e verosimiglianza drammaturgica: meglio stupire il pubblico con gli effetti, suscitando quell’entusiasmo che può sicuramente aiutare l’opera a rifiorire, invogliando il pubblico a riempire i teatri. Con un’orchestra così preparata e sicura (Orchestra Filarmonica Italiana) capace di seguire il maestro direttore in tutte le indicazioni agogiche e dinamiche, mai sovrastando gli interpreti e mai lasciandoli in apparente abbandono, l’esecuzione musicale non poteva che essere davvero convincente ed il pubblico è stato trascinato all’euforia, al di là dell’effettivo valore di qualche interprete.
Dal punto di vista scenico “Rigoletto”, tradizionalmente, richiede una bella e costosa scenografia, perché, insomma, si tratta del palazzo del duca di Mantova (alias re di Francia), richiede un incontro nei vicoli bui di Mantova, una lunga scena presso la casa di Rigoletto ed un’altra presso la capanna di Sparafucile sul Mincio. Solo pochi teatri scelgono questa via, costretti gli altri dai propri bilanci a ripieghi spesso dolorosi, seppur comprensibili. Così da anni si vede la reggia ridotta ad una grande stanza nera con tante porte e poca luce (vedi tra le altre le regge delle recenti edizioni di Rovigo, Novara e Pisa), anche in teatri di primo livello. Figurarsi cosa possono fare i Teatri di Tradizione, che non godono certo di altrettante sovvenzioni! Quello che amo del regista Fabio Sparvoli è che almeno, pur condizionato da questo limite di budget, parte da un’idea, conosce l’opera e tenta di dare una chiave diversa, una lettura originale che desti interesse. Così, se da un lato abbiamo l’immancabile stanza nera come reggia, il regista prende decisamente poi una strada psicanalitica, trasformando la casa di Rigoletto in una cella con le sbarre, la gobba in una finzione che egli si appone sulla schiena per far ridere i cortigiani ma viene tolta quando esce dal palazzo, il rapimento di Gilda (operato da provocanti signorine) in un allontanamento volontario di Gilda che le segue, senza apparente violenza, come scegliendo il mondo erotico e la vita “fuori della gabbia”. La rinuncia alla difformità di Rigoletto sicuramente ha svuotato in parte il personaggio, spostandolo verso la “normalità”; potrebbe essere una lettura interessante: l’abbiamo già vista molte volte, con Rigoletti senza gobba, la cui difformità non era fisica, ma morale. Idee, condivisibili o meno, ma benedette in un teatro dove spesso scarseggiano o diventano stravolgimenti offensivi. E’ una regia di particolari e questi sono stati in gran parte disattesi, perché catapultare nel mezzo di una regia un protagonista differente da colui che nell’edizione originaria della coproduzione, a Modena, era il titolare, purtroppo indisposto, significa rinunciare di fatto all’accurata regia di particolari, condannando tutto il resto del cast ad adattarsi ai movimenti inattesi dell’artista in oggetto: è stata sicuramente una necessità, ma ovviamente ha avuto ripercussioni sull’azione scenica senza responsabilità diretta del regista.
Devid Cecconi, Rigoletto, è stato benedetto da Dio con una voce ragguardevolissima, potente, facile, con acuti spettacolari ed entusiasmanti, ma non con una scioltezza scenica che pur dovrebbe aver acquisito con i molti Rigoletti interpretati in molti teatri. Riesce in modo pervicace a non essere mai illuminato dalle luci che pure, nel terzo atto, occupavano una posizione precisa e chiara, vicino al corpo di Gilda morente; avanza continuamente al proscenio ed è regolarmente al buio. Pensa a cantare, Cecconi, come se fosse un concerto. Non guarda altro che il maestro, costretto dalle poche prove (ma aveva già debuttato a Ferrara), si relaziona pochissimo con gli altri cantanti e quando lo fa ci dà un repertorio di mossettine standard spesso slegate da quello che si sta dicendo, tipiche di un teatro di molti anni fa, quando i cantanti facevano se stessi sul palcoscenico e non si aveva cura di altro che del canto. Cecconi canta, affronta la parte con sicurezza, quando la melodia sale è un re assoluto, riesce a fare dei piano molto buoni, accompagnati però da un’espressione artificiosa che fa perdere qualunque nesso con il personaggio. Il viso è, sin dalla prima entrata in scena, lo stesso che ha in strada mentre aspetta l’autobus, il viso di un bravo ragazzo, che non ha avuto voglia o tempo o modo di studiare chi fosse Triboulet e che ha in mente solo di fare dei gran bei “sol” ma della storia del mio amico non se ne cura o forse non la conosce abbastanza. Non posso rimproverargli nulla: ce ne fossero di voci così generose e belle in giro! Mi dico solo che è un peccato che il lavoro non sia condotto a termine, che un artista che ha ricevuto un dono simile non lo sfrutti diventando un numero uno, che nessuno lo inviti a studiare le proprie espressioni, che nessuno gli dica che se ha la figlia morente in braccio, lui, che è padre, in qualunque dimensione planetaria non la lascerebbe mai cadere a terra per cantare una frase importante e non la riprenderebbe su strattonandola appena finita la frase, perché nessun padre lo farebbe mai.
Dico queste cose con profondo rispetto per un artista dalla voce così bella e per una persona che intuisco piena di valori e di qualità: migliori il fraseggio, così disuguale, rinunci alle note fuori intonazione, ai respiri in mezzo alla parola, studi il personaggio fino a “diventarlo” in quelle tre ore nelle quali lo interpreta. Siamo stati abituati ad anni di baritoni dalla voce esile che interpretavano Rigoletto con una grande recitazione per sopperire alle lacune vocali; lui che ha una voce che chiunque gli invidierebbe non si accontenti dell’applauso della folla per un sol acuto, diventi il numero uno, lo può fare.
Una vocalità tanto straripante nel protagonista ha scatenato i commenti del pubblico verso il duca di Mantova, Oreste Cosimo, che sono felice di aver sentito così migliorato dopo tanto tempo. La sua esecuzione vocale è stata perfetta, fluida, elegante, padrona degli acuti, tecnicamente esemplari per morbidezza e proiezione. Eppure in platea, gli “esperti di canto” dei nostri tempi commentavano che la sua voce fosse adatta ad un Nemorino o ad un conte d’Almaviva e non al duca. Io, che considero Alfredo Kraus il miglior interprete del Duca di tutti i tempi, ho rabbrividito in silenzio immaginando un Duca con la voce adatta ad un Otello. Dove questi signori avevano invece un po’ di ragione è stato sull’aspetto scenico: Cosimo era veramente un Nemorino, dimesso, pareva davvero innamorato e non restituiva la protervia, la prepotenza del Duca disegnato da Verdi. Anche lui avrebbe bisogno, per essere davvero un interprete completo, di dedicarsi ad approfondire il personaggio, anche lui non faceva parte del cast originale.
Daniela Cappiello era Gilda ed ha disegnato un personaggio non chiaro; apparentemente rinunciando all’innocenza si è presentata al padre sin dal primo duetto, che lui ha cantato quasi ignorandola, con un’aria furba e disinvolta, interessante se sviluppata, ma invece abbandonata subito dopo per un disagio nel rapportarsi ai movimenti, sconclusionati, del collega. Vocalmente adatta al ruolo, deve migliorare sicuramente nella zona acuta dove le note non sfogano mai, richiamate come sono verso l’arco palatale. Il suo agire sulla scena è troppo condizionato dai movimenti altrui per essere analizzato; cerca costantemente un rapporto con il padre e con l’amato nel primo atto, senza trovare credibilità più per problemi altrui che propri. Quando, in casa propria, si sente improvvisamente cingere alle spalle da un uomo, lei che mai aveva visto entrare in casa un estraneo prima d’allora, non ha nessuna reazione e ciò non aiuta lo spettatore a vivere la vicenda con partecipazione.
Magnifico vocalmente e scenicamente lo Sparafucile di Ramaz Chikviladze, lui sì completamente compenetrato nel personaggio e capace di rendere le tinte fosche dell’assassino con convincente partecipazione e voce imponente.
Altrettanto valida la Maddalena di Antonella Colaianni che non riesce ad essere del tutto convincente nella sua prorompente sensualità solo a causa dell’atteggiamento tutt’altro che disinvolto del suo duca, apparentemente interessato più ai suoni che alle sue grazie. Ha una voce bella, rotonda e benissimo proiettata. Ho sempre sostenuto che Verdi non avesse valorizzato molto il mezzosoprano in quest’opera scrivendole una linea di canto nel quartetto difficile da rendere udibile e lo stesso pensavo del duetto della tempesta con Sparafucile, ma nella recita in oggetto, complice la magnifica direzione del maestro Sisillo, ho finalmente potuto ascoltare un mezzosoprano la cui voce era sempre perfettamente udibile e ottimamente rapportata all’ensemble. La Colaianni ha un’emissione facile e una dizione molto chiara e proiettata. Sparafucile aveva una grande voce eppure lei è riuscita a uguagliarne il volume, pur nell’agilità.
Non si può proprio dire che la voce di Fellipe Oliveira sia “qual tuono” come la parte di Monterone richiederebbe. E’ stato fatto avanzare in proscenio, cosa scenicamente abbastanza incredibile, perché nessun uomo che si presenti con intenti minacciosi verrebbe lasciato libero di agire ed avvicinarsi al duca in simil modo, e questo certamente per “aiutare” la sua voce nel rapporto con il fortissimo dell’orchestra, ma la sua tecnica basata sull’”affondo”, consistente cioè nel cercare ossessivamente il muscolo addominale, gli rende impossibile quegli acuti sicuri e forti che dovrebbe fare per essere minaccioso. Ne scaturisce un personaggio spento, peggiorato dalle faccine da Ping, Pang, Pong con le quali vorrebbe aggiungere minaccia ad una voce insufficiente nei suoni cardine. Affaticato nel respiro dalla tecnica discutibile, non riesce ovviamente a fare il grande legato verdiano che il suo dignitosissimo personaggio richiederebbe. Per giunta scarica l’inesperienza sul lato scenico e strattona così violentemente il povero usciere che lo tiene legato, che costui riesce a combinare un disastro con le due piccole frasi che deve eseguire mentre lo accompagna la patibolo.
Sufficiente l’ampia schiera dei ruoli minori, con voci spesso esili laddove sarebbe stato richiesta più “presenza” sonora. Buona la prova del coro Lirico di Modena diretto da Stefano Colò, scenicamente troppo statico per scelta registica. Delle scene di Giorgio Ricchelli si è detto, adeguati i costumi di Alessio Rosati.
Vinicio Cheli ha dovuto illustrare un Rigoletto molto “scuro” per ragioni psicanalitiche e lo ha fatto con il consueto garbo.
Lo spettacolo complessivamente può essere catalogato con un buon successo, il pubblico è uscito veramente contento e quindi la missione di questa produzione può dirsi compiuta. Ma la mia ricerca di Rigoletto continua….
MARCELLO LIPPI
Autore e Critico Musicale per la Cultura di Young diretta da David Colantoni
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio a La Spezia, Alessandria, Udine, Ferrara e ora a Rovigo
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS a cura di da Alessandra Lischi, Maria Antonella Galanti e Cristiana Torti dell’Università di Pisa. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa