EMPIO PUNITO DI MELANI AL TEATRO VERDI DI PISA, 12/10/19
Mi è difficile iniziare questa recensione dello spettacolo del 12 ottobre scorso a Pisa. Non devo lasciarmi condizionare da stati d’animo contrari, da sentimenti come il grande amore per il teatro nel quale ho passato anni meravigliosi della mia vita, né dall’amicizia che mi lega ai molti protagonisti della sua attività. Ma senza un inizio non si ha un seguito e dunque tentiamo: in questa esecuzione pisana della sconosciuta opera prototipo di tutta una lunghissima genia di opere ispirate al Burlador de Sevilla di Tirso de Molina, alcune cose mi hanno dato profonda gioia, altre profonda malinconia, altre mi hanno divertito, altre rattristato. La prima cosa che mi ha dato gioia vera è il semplice fatto che quest’opera a Pisa si sia fatta, il che dimostra che l’impegno, la dedizione e la testardaggine, in questo caso del maestro Carlo Ipata, sono vincenti e dopo tanti anni di pressione sulla direzione artistica del teatro (vana purtroppo ai miei tempi: si fece solo una versione semiscenica ed antologica) il maestro ha trovato un direttore nuovo, più coraggioso, più dinamico, più spregiudicato, che ritiene che investire tanto in un’opera che più elitaria non si potrebbe sia un buon affare per la città e per il teatro. Ecco allora che finalmente l’”Empio punito” ha avuto il palcoscenico grande e perfino la gloria dell’inaugurazione della stagione, un tempo riservata all’opera più importante e conosciuta della stagione secondo l’antica regola del management che insegna di iniziare sempre in modo potente una programmazione. Ma il nuovo direttore artistico dimostra (già lo fece l’anno scorso con “Beggar’s Opera” ) di sentirsi libero da queste considerazioni e forse avrà ragione lui.
Sono partito dal maestro Ipata e ci rimango: che meravigliosa esecuzione!! Il suo entusiasmo, il suo studio della partitura lungo anni, la sua fatica di trascrizione, gli hanno dato certo una conoscenza inusuale del materiale, che in realtà, tranne alcune pagine bellissime, consta di un lentissimo pastrocchio di recitativi e ariette cui si potrebbe fare volentieri a meno e dimostra tutti i suoi anni e anche il motivo per cui in tutti questi anni nessuno abbia disturbato il suo sonno. Affidato alla conduzione di Ipata, l’EMPIO è stato rivitalizzato: stacchi di tempo perfetti e tenuta del cantabile lento inappuntabile, con suggestioni dinamiche da grandissimo direttore. In buca c’erano ovviamente gli Auser Musici che sono il suo gruppo, lo conoscono a perfezione e seguono con grandissima duttilità. Non ho mai sentito dei recitativi così curati e ben preparati, vicini al parlato, con un ritmo interno che derivava dagli eventi scenici, con ottima pronuncia dei cantanti per cui si comprendevano bene le parole (e meno male perché i sovratitoli non hanno funzionato sempre a dovere). Non trovo pecche nell’esecuzione del maestro Ipata, cui auguro davvero di avere il successo che merita, anche in tanti altri teatri.
Torniamo al mio ingresso in teatro ed al buffet dell’inaugurazione: l’atmosfera era triste, spenta e prevaleva un senso di sconfitta generale, nel ricordo di certe inaugurazioni con il teatro pieno, contraddistinte da un vociare chiassoso che si sentiva a distanza e scaturiva dall’entusiasmo di stare per assistere ad un grande lavoro, che poi sarebbe piaciuto o meno, ma comunque avrebbe fatto discutere. I pochi presenti parlavano invece sottovoce e non c’è persona che mi abbia avvicinato, collega o membro dello staff o amante della lirica, che non mi abbia subito detto “so che è noiosissimo e dura tre ore e venti minuti”. La seconda cosa doveva poi rivelarsi vera, la prima no, almeno per me, ma certamente un’opera simile richiede preparazione ed amore per il barocco e la musica antica e puntare su un’operazione del genere in un momento storico nel quale il pubblico nemmeno sa più chi sia “Aida” e chi l’abbia scritta, rischia di essere un poco autolesionistico.
Mi ero permesso già l’anno scorso dopo “Beggar’s opera” di consigliare un ritorno alle inaugurazioni in grande stile: servono al teatro per invitare stakeholders in grado di supportarne l’attività, per incoraggiare il pubblico ad andare a teatro, per creare attesa ed “effetto traino” sulla stagione che inizia; ritengo, più da docente universitario di Management dello spettacolo che da recensore, che sia dovere di un buon direttore artistico inserire in calendario titoli molto noti e rarità (come il maestro Vizioli fa), ma anche che l’inaugurazione sia un momento particolare, nel quale sia sbagliato collocare opere sconosciute ed astruse.
Venendo al cast dell’esecuzione pisana, in esso ha brillato Raffaella Milanesi, capace di dare suggestioni magiche in coppia con il maestro Ipata nelle sue arie (alcune pagine erano bellissime), ariosi e duetti. E questo nonostante un tristissimo costume nero da Donna Anna in gramaglie, che in mezzo ai tanti colori della scenografia le toglieva ogni possibilità di partecipare ai giochi erotici della compagine. Voce dolcissima e potente a tratti, perfettamente aderente al personaggio è stata sempre attenta a cercare non il bello, ma il sublime, attraverso un uso professionalissimo delle dinamiche e delle sfumature.
Roberta Invernizzi, nonostante un improbabile costume da Biancaneve che le ha tolto molto fascino, ha dato prova ugualmente di professionalità e adesione al personaggio; meno favorita della collega dal compositore, ha tuttavia dato prova di vocalità buona e di fraseggio accurato.
Bravo Raffaele Pe nel ruolo del protagonista; la voce è potente, ben controllata nelle agilità, ma non sufficientemente accurata stilisticamente e pertanto diseguale; nei cantabili, specialmente quelli di riflessione intima, laddove la melodia cerca la commozione dell’ascoltatore, ha accenti di morbidezza molto accattivanti, nel forte riesce ad essere esplosivo, ma in alcuni recitativi si esibisce in trascuratissimi attacchi dal basso con portamento della nota che appartengono al repertorio buffo del servo en travesti, non certamente a quello dell’eroe (per quanto in negativo).
Scenicamente si compiace troppo e si distrae spesso (a non essere che questo fosse il desiderio del regista) e quindi ci regala un incontro con Caronte assolutamente incomprensibile come “pensiero scenico” e quindi del tutto privo di dramma.
Ero curioso, e molto, della presenza nel ruolo di Delfa di Alberto Allegrezza, docente, tra l’altro, di gestualità teatrale antica, ma lo spostamento temporale operato dal regista, che ha reso il suo personaggio un banale travestito dei nostri tempi, di quelli che frequentano i viali, mi ha impedito di osservare l’Allegrezza in ciò che più mi avrebbe incuriosito, ossia la gestualità. Il pubblico, in parte impreparato ed inconscio della feconda tradizione del tenore buffo en travesti barocco, è rimasto un po’ stupito da una voce tanto potente quanto sgarbata e così vivacemente caricaturale, tanto da non riconoscervisi alcuna impostazione lirica. Io, che questa tradizione ben conosco, considero la prova dell’Allegrezza assolutamente positiva dal punto di vista vocale, sebbene sempre ai limiti dell’esagerazione caricaturale, mentre invece mi ha infastidito la forzatura scenica, del resto da attribuirsi al regista.
Alle prese con il simpaticissimo Bibi, il bravo Giorgio Celenza avrebbe potuto invece lasciarsi scenicamente andare un poco di più, ma è rimasto condizionato dal costume da impiegato londinese del secolo passato con tanto di bombetta e dalla recitazione del(la) partner. Vocalmente ben padrone del personaggio, ha dato di sé una prova molto apprezzabile.
A fianco della squadra di “professionisti” del genere sono saliti sul palcoscenico i giovani selezionati attraverso il bando “Accademia barocca”, quasi tutti ben preparati. Ad un giovane addirittura è stato affidato il ruolo impegnativo del re Atrace, con l’esito scontato di una vocalità non ancora sufficientemente matura per il ruolo, lacunosa nel registro grave e non sempre precisa nelle agilità e negli abbellimenti. La voce di Lorenzo Barbieri è molto buona ed ha una fisicità interessante: ha bisogno di tempo e situazioni favorevoli per affermarsi, cosa che gli auguriamo, perché se lo merita.
Ottima la vocalità di Piersilvio de Santis, davvero interessante sin dalla prima uscita sulla scena, anche se ha dato il meglio di sé come Demonio.
Incerto scenicamente, vittima di molte distrazioni che gli facevano perdere di vista il personaggio, ma valido vocalmente anche il Cloridoro del giovane Federico Florio, che ha avuto più facilità di corda emotiva nei momenti dolci dell’innamorato piuttosto che nella virilità offesa dell’uomo tradito. Efficace e molto ben presente stilisticamente e vocalmente il Tidemo di Carlos Negrin Lopez.
Completavano il cast Benedetta Gaggioli, sufficiente nel suo doppio ruolo, senza brillare come dovuto nella scena di Proserpina e Shaked Evron, che necessita un poco di studio sull’emissione al fine di evitare frasi dal timbro non troppo gradevole.
Ignoro quale fosse l’idea di base di Mauro Tinti come costumista: se da un lato come scenografo ha creato una serie di elementi scenici vivaci ed anche divertenti, assolutamente funzionali all’opera, dall’altro ha fermamente voluto, credo per divertimento personale suo e del regista, che i costumi fossero incongruenti; non c’era un personaggio uguale all’altro come collocamento temporale; abbiamo avuto un guerriero romano, uno medievale, un personaggio rinascimentale, uno settecentesco, Biancaneve, vari esempi di prostitute dei nostri giorni, l’impiegato londinese, il principe dorato, il marinaio americano del novecento, l’abito elegante dei nostri tempi e magliette da rockettari, come se si fosse attinto a caso da un deposito di costumi inusati. Se il Tinti ha voluto divertirsi con il regista, l’effetto non ha però raggiunto il pubblico che ha faticato a distinguere i personaggi e le loro funzioni; la conseguenza è stata quindi uno straniamento della vicenda, che già non era facilissima da seguire per chi non la conoscesse a fondo ed una compressione di alcuni personaggi che, condizionati da un costume inappropriato, non hanno potuto essere se stessi.
Il regista Jacopo Spirei si è divertito molto ad inventare e qualche scena è stata molto buona: non ha però contenuto, o forse non ha voluto contenere, troppe esagerazioni caricaturali che mi hanno molto rattristato, amando l’opera ed il teatro. Il regista deve certamente divertirsi a fare ciò che fa, ma anche sapere divertire il pubblico; non sempre le due cose coincidono. In linea generale ritengo che l’opera barocca, se mantiene (purché sia eseguita benissimo) la sua vitalità musicale, sia totalmente morta dal punto di vista scenico. Essa rispondeva ad un’altra concezione del teatro, che oggi non esiste più: innanzitutto gli spettatori in palchetto mangiavano e conversavano durante l’opera, attenti solo quando c’era l’aria del castrato di turno, non c’era l’idea dell’opera d’arte e del teatro che abbiamo noi. La lunghezza esagerata di queste composizioni è dovuta a questo fatto e gli spettatori non stavano seduti come oggi per tre ore e passa (nonostante i tagli), anzi le sedie in platea nemmeno c’erano in molti teatri. La messa in scena barocca voleva inoltre stupire, sorprendere, meravigliare il pubblico ed ecco il perché di scene come il naufragio e la discesa agli inferi, che erano realizzate con macchine sceniche prodigiose per quei tempi. Credo allora che oggi un regista debba o, come ha fatto lo Spirei, astrarre tutto, operazione difficile perché si cade nell’incomprensibile, o forzare tutto con un’ambientazione contemporanea del soggetto. Ma l’astrazione va fatta bene, in modo comprensibile.
Devo fare i complimenti al pubblico pisano, che una volta di più ha dimostrato il suo attaccamento al teatro, infatti i posti vuoti erano molti, ma non moltissimi e pochi sono stati gli spettatori che hanno abbandonato il teatro all’intervallo. Segno di affetto e comunque di sostegno, ricchezza meravigliosa da non disperdere. Complimenti anche ai molti estimatori dell’opera barocca, venuti a teatro preparati e competenti.
Tra le cose che mi hanno più divertito c’è stato lo scherzoso approccio del direttore artistico, persona da me stimatissima, e lo sa, all’Empio punito, giustificando la scelta di metterlo in scena con un’ironia tutta sua (una giocosità che lo ha tra l’altro portato a mettersi in gioco facendosi ritrarre, un anno fa, mentre chiedeva l’elemosina per strada allo scopo di reclamizzare Beggar’s opera). Dopo aver rivendicato la scelta di iniziare sempre le stagioni con titoli “poco rassicuranti” ha infatti piazzato in conferenza stampa una battuta assolutamente eccellente (la riporto dal sito uninfonews.it): Anche per questo terzo anno ho scelto di inaugurare la Stagione Lirica del Teatro Verdi con un titolo desueto e poco prevedibili – rispondo quindi a una mia personale necessità di rendere il teatro promotore di iniziative che sfuggano a una programmazione rassicurante, per farsi baluardo e difesa di un ruolo etico oltre che ludico…L’intento è di offrire al pubblico non ciò che desidera, ma ciò che non sa di desiderare”
Chi non conosce il maestro e la sua ironia avrà pensato che il maestro fosse stato colto da un delirio di superbia intellettuale, per cui solo lui fosse in grado di sapere cosa l’incolto pubblico pisano desiderasse e che la città necessitasse una guida, un faro, una luce, per scoprire che in realtà nel profondo del cuore non potesse più vivere senza la musica del Melani. Si trattava ovviamente di una provocazione ironica, il maestro sa bene che è stipendiato con soldi in gran parte pubblici, che svolge un lavoro per la collettività al servizio di essa e che ciò che programma deve innanzitutto rispondere ai desideri di chi lo retribuisce, secondo un principio di economicità richiesto dai magri tempi.
Concludo pertanto con questo ultimo pensiero: se l’”Empio punito” di Alessandro Melani non è più stato eseguito dai tempi dell’autore fino alla storica ripresa (prima in tempi moderni) di Lipsia del 2003 e Montpellier nel 2004 direttore lo specialista Christophe Rousset con i suoi Talents Liriques, e poi più nulla (tranne la versione semiscenica e antologica che ne fece Pisa nel 2015), come è possibile che se ne facciano due versioni diverse nel giro di una settimana, una a Roma teatro di Villa Torlonia e Rieti Teatro Vespasiano (6 ottobre 2019) diretta da Quarta e una appunto a Pisa e Pistoia (12 ottobre 2019) diretta da Ipata? Visto che le coproduzioni sono riconosciute come la miglior soluzione per abbattere i costi e possono essere anche parziali salvaguardando diversi direttori e orchestre, era necessario avere due produzioni della stessa opera a una settimana di distanza con un aumento dei costi a scapito dei cittadini? Lascio in sospeso la domanda.
MARCELLO LIPPI
Autore e Critico Musicale per la Cultura di Young diretta da David Colantoni
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio a La Spezia, Alessandria, Udine, Ferrara e ora a Rovigo
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS a cura di da Alessandra Lischi, Maria Antonella Galanti e Cristiana Torti dell’Università di Pisa. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa