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Dodici settimane di protesta non sono poche. Eppure, Hong Kong non si ferma, i manifestanti continuano a scendere per le strade, a scontrarsi con la polizia e a gridare a gran voce le proprie richieste, che vanno dall’abolizione totale di ogni proposta sulla legge di estradizione – per ora in stop – al suffragio universale ad un’indagine approfondita sui metodi usati dalla polizia.
Come si porta avanti dodici settimane di protesta per lo più pacifiche? Come ci si scontra con una nazione potente e dai lati anche oscuri come la Cina? Con convinzione certo, gli abitanti dell’ex colonia britannica sono abituati ad un certo grado di libertà – di espressione, di parola, di pensiero – e non possono accettare una restrizione della propria autonomia. Non solo a livello sociale, ma anche economico, essendo Hong Kong un punto strategico e nevralgico per moltissime compagnie internazionali e multinazionali, e che segue un’impronta capitalista su modello occidentale. Questa voglia di indipendenza, questa necessità di salvaguardare la propria autonomia – o almeno quella rimasta – e soprattutto la presa di coscienza politica dei più giovani e il non identificarsi con la Cina continentale (anche se il 90% della popolazione hongkonghese è di etnia cinese), hanno portato quasi tutti li strati sociali in piazza e per le strade in un grande movimento di disobbedienza civile, proprio nei trent’anni di piazza Tienanmen.
A differenza di trent’anni fa, ora i manifestanti possono contare su un’altra arma: internet. Grazie alala tecnologia infatti è molto più semplice prendere contatti, comunicare e organizzarsi. Attraverso video e social network è ancor più semplice diffondere video – molte volte in diretta – raggiungendo una copertura mediatica internazionale e mostrando al mondo le violenze scatenate dalla polizia e da gruppi violenti non identificati. Si erano già capite le potenzialità di internet durante rivoluzioni e manifestazioni al tempo delle primavere arabe, delle proteste di Occupy, di Black lives matter e anche recentemente, in casa nostra, tra sgomberi e migranti.
Se da un lato, internet e i social network, son uno strumento importantissimo per diffondere notizie e comunicare, dall’altro sono proprio questi strumenti ad essere invasi da fake news e informazioni fuorvianti. È successo anche con i manifestanti di Hong Kong la scorsa settimana: attraverso Facebook e Twitter – social banditi in Cina e dunque è stata usata una connessione VPN – sono state diffuse fake news sulle proteste in corso. I due colossi americani hanno prontamente bloccato questi account diffamatori, tutti provenienti dalla Cina, gettando anche una luce diversa sui manifestanti e sulle tecniche adottate dal governo centrale.
Nonostante i tentativi di diffamazione, nonostante le perdite economiche dovute al blocco dei trasporti, il popolo di Hong Kong non si ferma. Ne va della loro libertà, un principio che sembra così scontato ma che in realtà può essere spazzata via da un momento all’altro. Un monito anche per noi occidentali.
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