LE VILLI DI PUCCINI AL 65° FESTIVAL PUCCINIANO 16 agosto 2019
Nell’imperante dominio della contabilità sull’arte, per cui nei consigli di amministrazione dei teatri si parla ormai quasi solo di bilanci per nascondere il fatto che di musica ben pochi saprebbero parlare, ci sono alcune definizioni ormai assiomatiche: una di queste cataloga le opere prime dei grandi autori come “operine” nelle quali il genio cominciava a rivelarsi, ancora lontano dal proprio compimento. Da questo consegue che generalmente esse vengano considerate produzioni in cui contenere i costi, affidandosi a cast giovani e allestimenti poco incidenti sui suddetti bilanci, e che soprattutto si parta dall’idea che non occorra spendersi poi molto per promuovere l’affluenza del pubblico, che tanto non ci sarà.
La produzione di queste opere è generalmente ritenuta “in perdita”: un’ ”operazione culturale” nella quale occorre limitare le conseguenze di un deficit gestionale che nulla si fa per evitare. Un caso a parte è ovviamente “Cavalleria rusticana”, “opera prima” di Mascagni, che ha una musica certamente bellissima, ma che non sarebbe entrata così prepotentemente nel cuore dei melomani, se non per il geniale abbinamento con “Pagliacci” di Leoncavallo che ne costituì un viatico potente, ideato dall’editore con il consenso dell’autore stesso. Se Mascagni non riuscì mai più a uguagliare, almeno a livello di notorietà nel pubblico, il suo gioiello, non sono poche le “opere prime” ingiustamente mortificate dalle opere più mature degli stessi autori.
Personalmente considero “Le villi” un’opera dotata di un materiale musicale di prim’ordine, pur con un impianto drammatico estremamente labile, un po’ come quell’altro gioiello che è “Aleko”, opera di un Rachmaninov ancora studente di conservatorio, che non deve essere giudicata nel percorso dell’autore, bensì a confronto con altri lavori di autori ben più maturi, eppure nettamente inferiori come materiale musicale e genio. “Le Villi” della Fondazione Pucciniana ha presentato sulla scena un impianto scenico fisso a più livelli, simbolico, di quel simbolismo che comprende solo lo scenografo, con proiezioni sinceramente bruttine sullo sfondo, il solito cast giovane, ma discretamente valido, e una collaborazione con il Mupa Budapest di Ferencvaros, fondazione non specificatamente lirica, ma dedita a moltissimi generi d’arte, con interesse soprattutto formativo, arricchente per il multiculturalismo e per la possibilità coproduttiva di abbattimento dei costi. Dal Mupa provenivano tutti i responsabili del settore scenico ed il corpo di ballo, l’orchestra invece dal progetto formativo Excellence 2019 che raccoglie giovani strumentisti da tutto il mondo.
Venendo alla serata in questione mi sembra doveroso, viste le premesse, sottolineare una delle migliori prove del maestro Alberto Veronesi che è salito sul podio con piglio ed energia ed ha regalato una tavolozza di colori degna del maestro Puccini, con intensità timbrica e valorizzazione ritmica delle parti danzate, assolutamente corrette negli stacchi di tempo. A parte una singolar tenzone con il soprano protagonista nell’aria “Se come voi piccina io fossi” nella quale il maestro aveva pensato ad un tempo ben più mosso rispetto all’artista, con conseguente inseguirsi per tutta l’aria, l’esecuzione ha dato l’impressione di sicurezza e maestria, soprattutto grazie al direttore.
L’orchestra ha ben assecondato il maestro, a parte qualche eccesso di volume degli ottoni che hanno tentato di uccidere l’ottimo Lara nel finale della sua aria, nella quale l’artista, che ha esperienza e valore, ha giustamente piazzato una lunga corona per riuscire ad emergere al termine di tanta intemperanza. Qualche problemino di intonazione in generale nei fiati, ma buona docilità nel seguire la conduzione. Ottimo il coro del Festival diretto da Roberto Ardigò; costretto da una regia tutto tranne che inappuntabile alla statuarietà più assoluta, ha avuto agio di evidenziare le ottime voci da cui è composto e l’esecuzione è risultata pregevole, si eccettui come sempre gli “esterni” che giungono al pubblico eccessivamente flebili.
Sulla scena il corpo di ballo Pécsi Ballet ci è rimasto sempre, dalla prima nota fino oltre l’ultima, visto che alla fine dell’opera hanno eseguito una coreografia dell’Elegia di Puccini. Già siamo da tempo abituati ad avere tra le Villi, che sarebbero spiriti delle fanciulle morte per amore, elementi maschili vestiti da donna, per cui mi sono dovuto ancora una volta rassegnare e chinare mestamente il capo, ma la presenza costante dei ballerini si è trasformata per volontà registica in ripetitività esasperata di gesti simili per tutta la durata della serata, in particolare un brutto svolazzo delle mani che forse voleva esprimere l’essenza spirituale, ma che ha tanto ricordato il gesto caratteristico del comico australiano Benny Hill quando picchiava ripetutamente sulla nuca del pelatino che gli faceva da “spalla”.
Questo gesto è stato talmente ripetuto da diventare stucchevole, riproposto perfino durante l’Elegia! Per il resto le coreografie si sono basate su quattro-cinque movimenti base e tanta, tantissima improvvisazione, in grado di dare un effetto di disturbo notevole quando i cantanti erano impegnati nelle parti più liriche e più note. Che dire della regia di Ksaba Kael? Quando la scelta è di tenere fermi, fermissimi, coro e cantanti e muovere solo i ballerini, si rischia molto, specialmente se non si hanno idee sufficientemente valide. La scena iniziale dei saluti, con il coro fermo e solo gli artisti, che pochi secondi dopo già non sapevano più che fare, a muoversi per un saluto che è durato un’eternità, è stato il biglietto da visita di una povertà di idee o forse della necessità, per ragioni di tempo, di fare una produzione oratoriale mascherata da opera sfruttando il corpo di ballo e le sue prove ungheresi. La mia è solo un’ipotesi, ovviamente, ma sta di fatto che le incongruenze e le ingenuità registiche sono state notevoli, motivate forse da una scelta di operare su un piano volutamente onirico, come la storia evoca. I due amanti nello struggente duetto del primo atto non si incontrano veramente, non si guardano, forse nemmeno si conoscono.
Come possiamo essere commossi per la fine ingloriosa del loro amore? E soprattutto come può essere accettabile la volgarizzazione del personaggio di Guglielmo, un padre, figura nobile, austera, voluta da Puccini, diventato qui un pagliaccio con movimenti assurdi, un vero scemo del villaggio, che si ubriaca con due bicchieri, rinsavisce dopo due secondi, si muove velocemente, poi si ricorda di essere vecchio e ci disegna la peggiore imitazione possibile del vecchio Pantalone della commedia dell’arte in condizioni di alcolismo? Non posso incolpare l’interprete, ma ovviamente se questa caratterizzazione da film di Pierino può far ridere in altri paesi, in questa produzione ha solo tolto di mezzo un elemento importante della pur breve storia. Quanti anni ha il poco più che quarantenne Guglielmo secondo la regia? Da quanto si è visto è sugli ottanta portati male, il che comporta automaticamente che la figlia Anna per quanto possa essere stata avuta in tarda età, sia ormai una donna quarantenne, anziché la fanciulla voluta da Puccini!
Bravissimo Fabian Rodriguez Lara, nel tratteggiare ugualmente un Roberto efficace, grazie alla sua voce gradevolissima, al suo fraseggio morbido, ai suoi acuti facili. Se non riesce a convincerci di amare Anna, è soprattutto perché le è sempre lontano per volontà registica e se non riesce a commuoverci con la sua morte è perché sembra non saper che fare in mezzo al gesticolare senza senso dei danzatori. Quest’anno, magari non sempre nelle prime scelte, il Festival ha comunque davvero azzeccato una buona squadra di tenori.
Molto migliorata nella vocalità Dafne Tian Hui, anche se inizia molto chiusa, esagerando l’articolazione della bocca a scapito del legato, ma si riscalda progressivamente e nel duetto con Roberto riesce a dare accenti persuasivi ed un canto spiegato di discreta qualità. Anna è ruolo che spesso si affida a giovani interpreti per la non eccessiva difficoltà e Tian Hui avrebbe condotto il primo atto a termine bene se per qualche motivo a me sconosciuto non avesse deciso di concluderlo con un SI naturale acuto mentre tutti gli altri erano in DO maggiore. Piccolo incidente, del quale però non comprendo la necessità, visto che gli acuti non sono mai stati la caratteristica migliore dell’interprete e che Puccini ha indicato per il soprano la doppia possibilità di Do finale, acuto o centrale. Nel secondo atto è stata messa un po’ in difficoltà dal fatto di dover cantare all’ultimo piano della struttura e ha forzato un pochino, con qualche vibrato di troppo. La performance globalmente comunque è stata buona, tenendo conto di tutto ciò che si è premesso a questa valutazione.
Anche per il Guglielmo di Raffaele Raffio, giovane e talentuoso baritono sannita, devo prescindere da quanto premesso sulla forzatura burlesca del personaggio. Non è comunque un padre, non ne ha il colore ancora, non ne ha l’andamento scenico né la sensibilità. Canta però molto bene, pur con voce più leggera di quanto il personaggio richiederebbe, fraseggia benissimo e in acuto regala suoni molto interessanti e sicuri. E’ un giovane che può sicuramente farsi quando acquisterà un’arte scenica che per ora latita.
Una recita sola, teatro tutt’altro che pieno; a quando un’idea per rendere “Le Villi” conosciuta al grande pubblico? Visti i tempi grami, temo che l’unica maniera, ahimé, di raggiungere i “coltissimi” nostri coevi sia abbinare qualche frammento melodico ad una pubblicità come avvenne per “Carmen” resa celebre da un detersivo e ora per “Samson et Dalila” resa celebre da una compagnia telefonica. Lo dico con dolore, si badi bene, con sincera amarezza e chino il capo, come di fronte a quel signore che mi raccontava di essere stato a vedere “Vincerò” al Festival Pucciniano. Quando Gesù Cristo tornerà, troverà ancora una persona colta al mondo? Ai posteri……
MARCELLO LIPPI
Autore e Critico Musicale per la Cultura di Young diretta da David Colantoni
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio a La Spezia, Alessandria, Udine, Ferrara e ora a Rovigo
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS a cura di da Alessandra Lischi, Maria Antonella Galanti e Cristiana Torti dell’Università di Pisa. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa