LA BOHEME DI PUCCINI AL FESTIVAL PUCCINIANO DI TORRE DEL LAGO 20 LUGLIO 2019
E’ assolutamente normale raccontare che una recita di Bohème mi abbia reso triste: di solito è l’effetto che fa, a tutti gli ascoltatori, quando si arriva allo struggente “Sono andati” di Mimì e da lì in poi è una commozione generale. Ma provare questa tristezza dopo poche note dall’inizio e concludere il primo atto nello sconforto è un’esperienza che mi mancava.
Non ho mai assistito ad una recita della notissima opera di Puccini così pasticciata musicalmente, tanto da rasentare l’offesa al maestro compositore: piena di alterazioni della struttura musicale, con punti di valore non scritti dall’autore, terzine inesistenti, note calanti, errori di testo e di solfeggio soprattutto nelle entrate di alcune frasi, scompensi dinamici, sfasature tra palcoscenico e orchestra, tempi lenti al limite della noia.
Il festival Pucciniano non meritava una simile produzione dopo aver ben iniziato con Fanciulla del west e Turandot. Difficile focalizzare le responsabilità e non desidero chiamare ancora in causa il poco tempo a disposizione e le poche prove fatte: La direzione sa come è articolato ed organizzato il Festival, è pertanto sua responsabilità chiamare artisti pronti e capaci di ben riuscire in produzioni brevi ed impegnative.
Premetto di non aver nulla in contrario se un direttore artistico contratta un direttore musicale di un teatro nel quale ha da poco lavorato: non sempre si tratta di “scambi” dalle finalità meramente economiche personali; può essere capitato che il direttore artistico del Pucciniano, nel suo soggiorno al teatro di Riga, alternandosi proprio con il maestro Martinš Ozolinš , direttore principale di quel teatro, nella conduzione di Madama Butterfly, ne abbia ammirato le qualità artistiche e direttoriali ed abbia pensato che il maestro fosse l’ideale per dirigere Bohème a Torre del Lago, meglio di tanti direttori italiani che avrebbe potuto chiamare. Ma durante le prove al Pucciniano, nessuno ha constatato le criticità musicali e ha ritenuto fosse necessario un intervento a vantaggio della manifestazione che ha bisogno di qualità, specialmente in un momento un po’ difficile?
Io rispetto il maestro Ozolins, che ha un buon curriculum, ma da spettatore deluso della serata del 20, mi permetto di dire che non si può imporre ad un’opera tanto conosciuta ed amata una snervatura simile, con dinamiche dal ppp fino al massimo ad un mf, con l’orchestra spesso inudibile già a metà platea. Assistere a La Bohème di Puccini con le sonorità di un’opera di Domenico Freschi non è stato gradevole né interessante. I tempi, lentissimi, faticosi, hanno ucciso la vita sulla scena, dove i movimenti erano conseguentemente grevi, quando la grande forza di quest’opera è proprio quella di far scaturire la commozione dal contrasto: più vivace e gioioso è il quartetto dell’ultimo atto, più straziante è l’accordo che segue “C’è Mimì, c’è Mimì che mi segue e che sta male” di Musetta; il dolore irrompe più potente se viene a spezzare un momento di spensieratezza, che però questa volta non abbiamo avuto, a causa della lentezza estrema dei tempi scelti.
Il maestro Ozolins non ha mai avuto il controllo del palcoscenico, sembrava non determinare gli stacchi ritmici, ma limitarsi a seguire i cantanti, come se non li avesse incontrati fino a quel momento. Normalmente è molto positivo quando si dice che un maestro segue i cantanti, perché significa che respira con loro, “canta” con loro; in questo caso invece li seguiva proprio di fatto: l’orchestra arrivava spesso alla chiusa di una frase quando il cantante l’aveva già chiusa un istante prima, provocando ulteriore ritardo sulla frase successiva. Il gesto del maestro era per lo più rivolto all’orchestra ed i cantanti erano in palese difficoltà, tanto da non riuscire ad andare insieme neppure in frasi semplici come “Abbasso l’autor”. Sappiamo come in Puccini l’orchestra dialoghi con il palcoscenico con temi importanti, spesso fondamentali; non sentirli è stato depauperante.
Se si aggiunge che sulla scena i cantanti parevano precocemente invecchiati, stanchi, grevi, condizionati certamente dai tempi lenti, ma anche da una regia che nei momenti di spensieratezza li faceva muovere come se si fosse alla casa Verdi di Milano, il quadro è dipinto, anche se a tinte non brillanti. Cosa è successo in questi dodici mesi alla regia di Alfonso Signorini, quella l’anno passato trasmessa in televisione? Il regista ha seguito personalmente le prove con il nuovo cast, dunque perché tanta lentezza, quando è evidente che un movimento rapido del corpo trasmette quell’idea di gioventù della quale si ha bisogno in questa storia? La” guerra” scherzosa del quartetto dell’ultimo atto è stata imbarazzante, con i cantanti che prendevano in mano un cuscino e non sapevano che farne, lenti, statuari, forse intenti a cercare di sentire l’orchestra nei suoi pianissimi.
Belle le scenografie, ampie, coreografiche, con effetti luci soddisfacenti e curati, visivamente lo spettacolo si è presentato molto bene, nonostante la confusione alla barrière d’Enfer dove non si capisce qual è il dentro e quale il fuori e le lattivendole si fanno aprire la barriera per poi, appena finito di cantare, riattraversarla, evidentemente per tornare a casa, deluse anche loro.
Splendido il coro di Voci Bianche del Festival Puccini diretto da Viviana Apicella, e mi permetto una piccola divagazione per elogiarne la magnifica prova in Turandot. Il difficilissimo coro di bimbi del Quartiere Latino è stato risolto in modo ineccepibile, complici i tempi lenti del maestro e la possibilità per i giovani cantori di eseguirlo stando fermi, cosa che non è successa alle loro “madri”, che, costrette come ovvio ad inseguirli sulla scena e quindi a corricchiare, hanno eseguito i “Razza di furfanti” con il tempo classico di tante passate esecuzioni, finendo con largo vantaggio sull’orchestra.
Bene il coro del Pucciniano per sonorità, musicalità e professionalità ed un plauso speciale al maestro Roberto Ardigò.
Siamo al cast e chi mi conosce sa quanto mi pesi fare osservazioni ai cantanti perché ne conosco bene la fatica, la dedizione, l’impegno, le difficoltà e in questo caso non sono stati davvero messi nelle migliori condizioni. Conosco da tanti anni Nikola Mijailovic e lo stimo moltissimo, ma la sua apertura dell’opera è stata da brividi, con tre posizioni tecniche differenti, alcuni suoni apertissimi, altri soffocati, altri (acuti) decisamente troppo “girati”.
So che quell’inizio non è facile, specialmente così lento, ma l’artista non ha trovato il colore brunito che il personaggio deve avere, continuando a cambiare modo di cantare per tutta l’opera, probabilmente condizionato dall’acustica e dalla difficoltà di udire l’orchestra; spingendo un po’ sulla muscolatura ha causato piccole défaillances ben risolte con il mestiere. Non commento le difficoltà di tenuta del fiato nel duetto finale perché era troppo lento, ma mi piace sottolineare che non è mancato all’appuntamento con la frase più attesa, il “Gioventù mia”, con suoni molto liberi, ma finalmente rinfrancati da un timbro sicuro.
Jean-Francois Borras ha davvero una bella voce per cantare Rodolfo, ma non ne ha ancora la stabilità: dà sempre l’impressione di rischiare l’incidente, che non avviene, ma non pare a suo agio, nemmeno nell’aria dove emette un buon acuto, ma ne sfugge con troppa fretta. Scenicamente dominato dalla preoccupazione del canto e teso a capire cosa stesse facendo l’orchestra, non diventa credibile né come allegro compagnone né come innamorato. Per quanto riguarda il duetto finale con Mimì non commuove, perché la sua bella voce è tesa e preoccupata e conclude con un “Che vuol dire quell’andare e venire” privo di qualunque emozione, quasi arrabbiato con gli amici, senza basically acting art, solo preoccupato di far sentire la sua voce tenorile.
Daniele Caputo non ha il colore di Schaunard, che ha una tessitura più grave rispetto a Marcello e quindi richiede un bass-baritone, ma la sua prova è ineccepibile: bravo musicalmente, vocalmente, scenicamente, è l’unico che sembra interpretare a fondo il personaggio e non è colpa sua se la regia gli fa dire “Tra mezz’ora è morta” a distanza dagli amici e quindi forte, quando sicuramente non è il tipo di frase da far sentire ad una moribonda. Non me ne voglia George Andguladze se non posso parlar bene di lui per la seconda volta in pochi giorni: dalla sua prova la ritmica scritta da Puccini è uscita gravemente stravolta e la voce era ingolata, chiusa, repressa, faticosa anche in frasi semplici: ha disegnato un personaggio turbato perfino sul “Già sazio?- Il re m’aspetta” dove tutti i bassi di questo mondo scherzano visto che è una frase palesemente divertente e lui invece ha fatto come se stesse annunciando una tragedia per poi rimanere bloccato sulle scale senza sapere dove andare. Forse la spiegazione di tanti problemi sta nel fatto che l’artista è stato chiamato a fare due opere nello stesso tempo e non è arrivato adeguatamente preparato. Fatto sta che nell’aria, da lui sicuramente conosciuta, si è trasformato in un altro e ha cantato veramente bene, su tempi talmente lenti che avrebbero messo in difficoltà chiunque. Nella “Vecchia zimarra” ho finalmente sentito la sua bella voce ed un fraseggio elegante e raffinato.
Il collaudatissimo Benoit di Claudio Ottino non ha risentito dei problemi generali dal punto di vista musicale, preciso ed efficace come sempre, mentre è stato un poco condizionato dal punto di vista scenico perché i partners sulla scena non gli hanno dato l’adeguata sponda, nell’incertezza collettiva su cosa si dovesse fare.
Un plauso particolare merita Alessandro Ceccarini che, non avendo a disposizione cantabili nella parte di Alcindoro, si è guadagnato un notevole risalto con la bravura scenica ed il tempismo delle gag.
Che dire di Hui He? Un altro grande soprano al festival, un altro debutto, un’altra solista poco preparata. La cosa certo stupisce perché “La bohème” non è certo un titolo raro: è opera che il pubblico conosce spesso a memoria e stupisce che per i cantanti di professione non sia così. La sua voce è tra tutte la più pucciniana, morbida, ampia, con l’esperienza necessaria per ricercare dinamiche nuove ed interessanti, ma con troppi errori, forse determinati da un difficile rapporto con la buca orchestrale. Più di ogni altro collega ho avuto l’impressione che l’artista non guardasse molto il direttore, ma combattesse per chiedere o imporre tempi più mossi. Spesso entrava in anticipo sul maestro, ha cantato alcune note non esatte ed alcune ritmiche non originali e, seppure dotata di una voce da ricordare, non ha mai convinto appieno, nemmeno nelle arie.
Per colpa dei pianissimi orchestrali, l’uscita di scena finale del primo atto è stata discutibile. Evidentemente non erano in grado in fondo scena di udire la fossa e, a causa di una discesa del tenore alle note originali non precisa, il soprano ha emesso una nota conclusiva acuta crescente e non sicura.
Ivana Canovic è stata una Musetta mediocre, senza spunti d’eccellenza che possano far capire perché, in un ruolo dove finalmente si potrebbero impiegare giovani e brave cantanti italiane, si sia chiamata un’artista dall’estero, sicuramente non migliore di quelle di casa nostra. A causa anche di una pettinatura da nonna Abelarda, non ha potuto giocare tanto sulla sensualità, che comunque non deve essere il suo forte, ed ha creato un buon rapporto con Alcindoro, con gag riuscite per tempismo. Mai stridula, come molte sue colleghe nel ruolo, ma anzi morbida nel finale dell’aria, non ci ha regalato il filato di tradizione e comunque non è mai uscita da una prestazione di livello sufficiente.
Non mi è possibile commentare la prestazione dell’orchestra del Pucciniano, della quale immagino le difficoltà.
MARCELLO LIPPI
Autore e Critico Musicale per la Cultura di Young diretta da David Colantoni
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio a La Spezia, Alessandria, Udine, Ferrara e ora a Rovigo
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS a cura di da Alessandra Lischi, Maria Antonella Galanti e Cristiana Torti dell’Università di Pisa. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa