Le regionali in Basilicata, ultimo appuntamento con le urne prima delle elezioni europee di fine maggio, chiudono virtualmente una fase politica che aveva visto, in precedenza, una larga prevalenza del centro-sinistra nel governo locale. La netta affermazione del centro-destra anche nelle terre lucane – settima consecutiva dopo le vittorie in Sicilia, Molise, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Abruzzo e Sardegna – rappresenta il “punto” decisivo per ribaltare una situazione che vedeva il centro-sinistra guidare, solo un anno fa, ben quindici regioni. La Basilicata ha rovesciato gli equilibri: al PD e ai suoi alleati rimangono nove regioni, mentre Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia adesso ne governano dieci. Il calendario elettorale prevede le regionali in Piemonte – nell’election day insieme alle elezioni europee – e poi, tra novembre e dicembre, in Emilia-Romagna e Calabria. Il centrodestra sogna il colpaccio anche nelle storiche regioni rosse – la Toscana si recherà alle urne il prossimo anno –, ultimi fortini di un centrosinistra che vorrebbe, almeno, segnare il punto della bandiera. In attesa dei prossimi appuntamenti elettorali, è possibile individuare – e seguire – alcuni trend che sono divenuti significativi e indicativi della mutata geografia politica del Paese.
In primo luogo, si conferma la “maledizione” delle regionali per il Movimento 5 Stelle. Sarà pur vero, come va ripetendo lo stato maggiore grillino, che le elezioni locali raramente hanno arriso al Movimento, ma sono passati ormai quasi sei anni dalle politiche del 2013 che ne segnarono l’accesso dei “ragazzi fantastici” ai palazzi del potere. Ciononostante il governo di una regione, per il Movimento, rimane un miraggio e dunque una forte criticità per una forza che, almeno teoricamente, dovrebbe essere l’azionista di maggioranza nell’esecutivo nazionale. Di Maio tenta di addolcire la pillola affermando che la lista del Movimento 5 Stelle, in Basilicata, è passata dal 9% di cinque anni fa al 20,4%, ponendosi come partito più votato della regione. Una crescita netta, dunque? Non esattamente. Se confrontato, infatti, con le elezioni politiche del 2018 quando i 5 Stelle raccolsero alla Camera il 44,4%, il dato mostra un netto calo dei consensi che non può far dormire sonni tranquilli.
Si potrebbe facilmente obiettare che paragonare tipologie diverse di elezioni è un esercizio qualitativamente povero: ciò è solo parzialmente giusto, poiché un dato prende un significato veritiero e realistico se inserito correttamente nel contesto. E il contesto, nel caso del Movimento, mostra che il crollo post-politiche si sta riflettendo in maniera costante, e non isolata, in ripetute e pessime performance a livello regionale. Una dinamica che, a chi ha buona memoria della storia politica italiana, potrà ricordare quella del defunto Popolo della Libertà, i cui vertici ignorarono scientemente i segnali di cedimento del consenso che provenivano a dalle consultazioni territoriali. Il ridimensionamento del Movimento, a livello nazionale e locale, è di per sè naturale, se consideriamo la natura di catch-all party della formazione: se l’aver “pescato” pressoché trasversalmente fra gli elettori italiani è stato un ingrediente fondamentale per il suo successo, è inevitabile che una fetta di questi sia rimasto deluso dalle politiche governative grilline, i quali si sono concentrati di fatto solo sul reddito di cittadinanza.
In secondo luogo, la Basilicata conferma la vittoria di quello che, già su queste pagine, abbiamo definito come destra-centro. La Lega, come già avvenuto in Abruzzo, Sardegna e in altre realtà locali, continua la sua crescita nelle regioni del Sud. Se il declino del consenso del Movimento 5 Stelle si specchia nelle regionali, per la Lega è vero esattamente il contrario: ad ogni tornata Salvini può esultare per risultati che fino a cinque anni prima sembravano irraggiungibili, e che confermano la leadership teorica del partito anche a livello nazionale. Il destra-centro è una solida realtà anche in Basilicata: la Lega guida fermamente la coalizione, arrivando al 19,15% dei voti – nel 2013 non si era nemmeno presentata –, seguono Forza Italia con il 9,14% – confermando la grande difficoltà nel raggiungere la doppia cifra – e Fratelli d’Italia con il 5,91%.
Infine, è possibile rilevare un trend, poco onorevole, per il Partito Democratico: anche in Basilicata i Democratici si dicono soddisfatti per il secondo posto del candidato della coalizione. Abituarsi a festeggiare la piazza d’onore non è certo un buon segno: soprattutto se in cinque anni si passa dal 24,84% al 7,75%. Per Nicola Zingaretti c’è davvero molto lavoro da fare per non rischiare che il 2020 diventi l’anno in cui il centrosinistra sventola bandiera anche nelle ultime roccaforti storiche.