Quando si parla di sofferenza, di disabilità, di forti carichi emotivi legati a qualche forma di patologia, il focus viene istintivamente, e giustamente, incentrato su chi vive quelle cose in prima persona. Di conseguenza chi presta assistenza a queste persone assume un ruolo secondario. Lo stress profondo, il dolore e in genere l’intensa gamma emozionale che investe chi, quotidianamente o meno, affianca chi ha bisogno d’aiuto costante non vengono quasi mai considerate come si dovrebbe.
I caregiver, letteralmente “chi si prende cura di“, hanno invece una funzione delicatissima e un valore tanto maggiore quanto più oneroso è l’impegno che devono profondere senza pausa.
Per capire meglio di cosa stiamo parlando, bisogna fare però un’iniziale distinzione tra caregiver professionali e caregiver informali. Con i primi vengono identificati tutti quegli operatori che sono regolarmente retribuiti per prestare assistenza; i secondi sono invece familiari e amici (6 su 10 sono donne) che dedicano al bisognoso di cure tempo e assistenza, a titolo gratuito.
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Nonostante non esitano numeri ufficiali su quanti siano i caregiver in Italia, in base all’ultima indagine “Aspetti della vita quotidiana” redatta dall’Istat, si stima che siano circa 3.330.000 le persone che, nel contesto familiare, si prendono cura regolarmente di anziani, malati e persone disabili.
In Italia sono più di 3 milioni, pari a circa il 6% della popolazione, le persone che soffrono di difficoltà funzionali gravi (l’80% sono anziani). Tra queste, 1,4 milioni sono confinate tra le mura di casa e hanno bisogno di cure diurne e notturne. In futuro, tra l’altro, si prevede un ulteriore aumento delle persone con disabilità gravi anche per il crescente aumento dell’aspettativa di vita. Un bisogno che aumenta anche in considerazione del fatto che tra dieci anni, sia nel nostro paese sia nel resto d’Europa, gli anziani saranno il 20% della popolazione globale.
[fonte: RAPPORTO CENSIS 2015]
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I caregiver si barcamenano tra stress e resilienza, nella difficilissima arte dell’aver cura, con tutti rischi e le conseguenze del caso. Proprio per questo motivo, quando si parla di caregiver non si può non parlare anche di “burden caregiver” che suona pressappoco come “il peso dell’assistenza“. Si tratta di un disagio profondo che coinvolge corpo e psiche, relegando il soggetto ad uno stato di ansia e depressione. Il caregiver dovrebbe a tal proposito ricevere egli stesso assistenza ed essere educato a gestire tutto ciò che comporta il proprio lavoro senza venirne travolto, con conseguenze spesso serie.
Tendenza all’isolamento sociale, disturbi del sonno, perdita di interesse per hobby e passatempi, disordini alimentari, pensieri autolesionistici e malesseri vari: sono questi i segni più comuni che indicano il sopraggiungere di una situazione di burnout. I caregiver sono già tutelati in molti paesi europei ma non ancora valorizzati debitamente in Italia, visto che il nostro ordinamento non comprende norme che li salvaguardino o li considerino come degni di riconoscimento giuridico e sociale.
L’iter di una vecchia proposta di legge al Parlamento si è interrotto per lo scioglimento delle camere. L’esempio virtuoso dell’Emilia Romagna, che si è dotata di una legge per il riconoscimento e il sostegno del caregiver nel 2014, dona tuttavia buone speranze.
[foto copertina © Josh Appel]
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