The Beggar’s opera di Gay e Pepusch al Verdi di Pisa – di Marcello Lippi 19-10-2018
La pièce teatrale di John Gay e Christoph Pepusch è andata in scena al teatro Verdi di Pisa come inaugurazione della stagione lirica 2018-19, nella nuova ed attualissima versione di Ian Burton e Robert Carsen, settima tappa di una lunga tournée iniziata al teatro dei Bouffes du nord di Parigi, che si propone per il momento di toccare ben 26 città, riservandosi però di proseguire il tour anche in seguito. La produzione vanta un meccanismo oliatissimo, forte di interpreti d’assoluta eccellenza, scelti tra i migliori interpreti di musical del West End di Londra, con un nome celebre come Robert Carsen alla regia ed un complesso orchestrale celeberrimo nella musica barocca come Les Arts Florissants, purtroppo orfano del fondatore William Christie. C’erano i presupposti per un evento assolutamente particolare: l’incontro tra un regista celebre per la modernità dei propri allestimenti ed un gruppo orchestrale specializzato in musica antica, alle prese entrambi con un testo teatrale del 1728, abbellito da pochi e brevi interventi musicali per lo più desunti da melodie popolari dell’epoca. Sorvolando sul significato di una simile operazione, il musicofilo non poteva che essere attirato dal tentativo.
Una volta di più si è avuta la riprova dell’assoluta perfezione della formazione delle Musical Schools londinesi: alla specializzazione italica, per cui un cantante nostrano non sempre è in grado di ballare e recitare a livello professionale e non lo ritiene nemmeno un suo dovere, come se le arti sorelle appartenessero ad un altro mondo, esse oppongono proprio un tipo di formazione globale dell’artista; in queste scuole britanniche si insegna a fare tutto bene e se, come nel nostro caso, le voci non sono proprio eccezionali (anzi), le qualità coreutiche nemmeno, quelle attoriali discrete, pur tuttavia il quadro complessivo della prestazione di ogni protagonista è perfetto per preparazione, tempistica, adesione, interpretazione. Si può presumere che siano reduci da un lunghissimo percorso di prove. Gli scatenati ballerini che hanno aperto lo spettacolo preparando la scena, ad un certo punto hanno fermato le sequenze di street dance ed iniziato a cantare senza il minimo fiatone, segno di un allenamento fisico severissimo. Le fisicità non erano assolutamente quelle del ballerino classico eppure i salti mortali e le agilità da break dance sono state affrontate con sicurezza assoluta (una citazione particolare per il fantastico Dominic Owen, che sicuramente non farà di mestiere il cantante, ma è un ballerino di prima qualità ed un attore, per quanto dovutamente eccessivo, assolutamente credibile).
I testi riletti dai revisori trascendono il linguaggio della pièce originale, seguendo un violento impulso di modernizzazione con riferimenti all’attualità politica e sociale del nostro tempo (inglese), ben applicabile anche alla realtà italiana. L’uso del turpiloquio è ossessivo e fa parte certamente di una chiave di modernizzazione e nello stesso tempo di un adattamento all’ambiente ricostruito nella sua degradazione assoluta. Non mi ha stupito né scandalizzato: ormai è cosa ben consolidata il ricorrere alla parolaccia per nascondere un’incapacità di dire le stesse cose con la malizia e l’allusività, spesso più feroce, di un sottinteso che dica senza dire, tipico della cultura settecentesca (vedi il saggio “La lentezza” di Milan Kundera). Mi ha invece stupito il coro di risate grevi che tra il pubblico (anche un critico si è sbellicato) sottolineava ogni parolaccia, esprimendo un godimento del turpiloquio che non posso comprendere e che forse assomiglia ad una profanazione di un tempio, trattandosi dell’inaugurazione della stagione lirica. Addirittura quando Polly dice che vorrebbe fuggire con Macheat in qualche terra lontana e deve elencare tre posti (America, Australia e Scozia), il terzo posto viene sostituito dall’attrice con “Pisa” secondo un antico costume di “captatio benevolentiae” che risale alla commedia dell’arte e conclude come deve “or some other terrible place” tradotto nei soprattitoli con “o qualche altro posto di m..”, io mi sono un po’ risentito, la gente ha riso! I personaggi sono eccessivi, come nel rifacimento novecentesco dello stesso soggetto operato da Bertolt Brecht e Kurt Weill “ die Dreigroschenoper” e così doveva essere. Si tratta di un soggetto nato per “disturbare” le coscienze e dunque va trattato senza concessioni al buon gusto.
Certo, mi permetto di pensare se le intenzioni degli autori fossero realmente quelle di fare sbellicare il pubblico, o forse invece quelle di causare risentimenti, censure, attacchi, segnando un punto di non ritorno nella storia del teatro mondiale in un’epoca precedente di molto la Rivoluzione francese.
Di fatto quest’allestimento si è caratterizzato per una forte dicotomia, come era prevedibile, tra un’ambientazione ipermoderna all’oggi e la musica che usciva dal congiunto orchestrale disposto di lato sul palco: musica chiaramente settecentesca. Allo stesso modo la dicotomia si estendeva anche alla parte testuale, dato che i testi delle canzoni usavano un linguaggio assolutamente educato, se non nei contenuti, almeno nel lessico usato.
Qualche commento antigovernativo si è sentito ad alta voce in platea, ma a prevalere sono state le risate il che, forse, potrebbe essere catalogato come un fallimento degli intenti rivoluzionari degli autori di allora e di oggi.
Ho difficoltà a recensire i singoli, perché la bellezza di questa produzione consiste proprio nella compattezza del team. Lavorano e lavoreranno insieme per un anno, condizione ideale per un affiatamento senza riscontri nell’opera lirica, alla quale devo per forza paragonare la serata di prosa, a causa della sua collocazione pisana.
Il dovere mi impone di recensire le vocalità, trattandosi come detto di un’inaugurazione di stagione lirica. Nessuna voce lirica era presente nel cast, erano tutte ottime voci da musical. Benjamin Purkiss (Macheath) è stato l’unico a tentare ascensioni (improbe) all’acuto permettendosi, come è prassi nel musical, di falsettare quando la tessitura a lui congeniale veniva valicata. Ottimi attori Robert Burt e Craig Thornber (Peachum e Lockit) con voci non entusiasmanti dal punto di vista canoro. Esagerata, come deve essere per l’ubriacona (qui anche drogata) Mrs Peachum, Beverly Klein, che punta tutto sulla comicità grottesca alla madame Thenardier dei Miserables e dal punto di vista vocale si è esibita in una serie numerosa di timbri diversi, con il risultato ovvio di un passaggio di registro ingombrante ed irrisolto che le ha fatto cambiare voce anche all’interno della stessa frase e non per scelta. Simpatiche e carine Polly e Lucy, al secolo Kate Batter e Olivia Brereton, giuste nel caratterizzare due personaggi a loro modo simili per misto di degradazione ed innocenza. Bravi, bravi tutti nel dare vita ad uno spettacolo coerente, pur con i limiti descritti. I protagonisti a volte erano chiamati ad iniziare a cantare senza preparazione orchestrale e non hanno mai tradito né l’intonazione, né la ritmica (con una sola eccezione nel duetto Peachum-Lockit, “attaccato” quasi un quarto di tono sotto con intonazione recuperata al terzo capoverso).
Chi mi conosce sa quanto io ami il musical dei nostri tempi e quanti viaggi abbia fatto per goderne nel West End londinese o a Brodway; chi mi segue sa quanto positivamente ho recensito “West side story” al Carlo Felice di Genova pochi mesi fa; non si pensi così che le mie riserve siano dovute ad una reticenza mia ad accettare l’ingresso del musical nelle stagioni liriche: l’ho sempre auspicato, ma venendo al nostro caso, perché inaugurarci una stagione? Cosa aveva in mente la direzione artistica? “The beggar’s opera” non è nemmeno un vero musical, ma una pièce teatrale che, secondo l’usanza del tempo, ha le “musiche di scena” che occupano una parte minima nello spettacolo e sono ariette per lo più popolaresche. Il commento che si sentiva in strada era uno solo “Bello spettacolo, ma perché in stagione lirica?”. Il pubblico si era divertito, ma era rimasto con l’amaro in bocca.
Ragionandoci su, difetto che qualcuno può ancora avere: quale motivo ci può essere stato per proporre come titolo di apertura (nel mezzo della stagione come produzione a lato avrebbe trovato una collocazione più accettabile) un lavoro in prosa, scritto per attaccare l’opera italiana e che ha pochissima musica, scritta per di più per attori? Io amo immensamente l’opera lirica e lo scrivo in questa pagina a costo di essere impopolare. Una cosa è l’opera, patrimonio culturale di noi italiani, che tutto il mondo ci invidia, una cosa le attività collaterali che possono arricchire una stagione, ma non essere il perno, come un’apertura è.
Allora spero che la direzione del teatro non abbia pensato al segnale che si mandava: “l’opera è finita, signori, e questo lavoro di prosa ha la stessa dignità di un’opera tanto da inaugurare la stagione lirica”. Probabilmente non è stata invece solo pensata bene la collocazione o forse si è resa obbligata dalle date della tournée, ma in un momento in cui molti governanti continuano da anni a sostenere la necessità di chiudere i teatri, di tagliare la cultura, di affondare una realtà che sostiene la nostra credibilità nel mondo, insieme alla moda, alle auto e al cibo, perché non capiscono il valore di avere persone colte e preparate e loro stessi invidiosamente non lo sono, in un momento in cui registi anche famosi si dilettano a irriderla con allestimenti snaturanti ed offensivi e in cui il pubblico, a causa di questi allestimenti e dei tagli che costringono ad economie da primato, si sta disamorando, il segnale che proviene da Pisa va in questo senso. “Bello, ma cosa c’entra con la stagione lirica?”
MARCELLO LIPPI
Autore e Critico Musicale per la Cultura di Young diretta da David Colantoni
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio a La Spezia, Alessandria, Udine, Ferrara e ora a Rovigo
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS a cura di da Alessandra Lischi, Maria Antonella Galanti e Cristiana Torti dell’Università di Pisa. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa