La biblioteca incartata.
Nel Salone Borrominiano della Biblioteca Vallicelliana mercoledì 21 marzo 2018 alle ore 18.00 viene inaugurata la mostra La biblioteca incartata. Pastelli di Paolo Cazzella. Fotografie di Zeno Colantoni. Saluti di Paola Paesano, Direttore della Biblioteca Vallicelliana. Interventi di Gianluca Tedaldi e Gianfranco Angelucci.
L’esposizione sarà aperta fino al 21 aprile 2018.
Orari: lunedì, martedì e venerdì 10.00 – 13.00; mercoledì e giovedì 10.00 – 13.00; 16.30 – 18.30; Sabato 7 e 21 aprile: 10.00 – 13.00.
Paolo Cazzella pittore e Zeno Colantoni fotografo d’arte, entrambi affascinati nei rispettivi ed individuali percorsi creativi dalle opere e dalle architetture di musei e palazzi storici, s’incontrano qui per la prima volta. Cazzella, come pittore, è solito trasferire il suo piccolo atelier nei musei o nei palazzi storici per riportare dal vero, su tela o carta, la propria interpretazione di ambienti e opere del passato. Colantoni, fotografo, lavora sulle opere d’arte e sulle architetture – anche durante i restauri – con una personale interpretazione che supera le ordinarie modalità della “semplice fotografia”. Nel 2016 hanno lavorato nella Biblioteca all’insaputa l’uno dell’altro.
Cazzella vi ha lavorato, per circa 12 giornate consecutive, seguendo la propria vocazione. Colantoni per due pomeriggi, alla ricerca di un’immagine da inserire nell’ambito dell’evento “12 artisti per 12 libri”. I due, ignari dei lavori di restauro, hanno subito il fascino dell’inconsueto aspetto del luogo, e proposto casualmente alcuni scorci analoghi, a dimostrazione ulteriore delle assonanze che possono trovarsi tra immagine pittorica e immagine fotografica. Paola Paesano, direttrice della Vallicelliana, facendoli ora incontrare, ha inteso proporre al pubblico una mostra che raccontasse sia la condizione degli ambienti “incartati” nella plastica durante il restauro sia l’esprimersi in sincronicità di Paolo Cazzella come pittore e Zeno Colantoni come fotografo.
Mercoledì 21 marzo 2018 ore 18.00
BIBLIOTECA VALLICELLIANA SALONE BORROMINI
Piazza della Chiesa Nuova 18, Roma
tel. 06.68802671
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TRASPARENZE
di Gianfranco Angelucci
Concetto o visione? Chi saprebbe distinguere l’uno dall’altro nell’arte della rappresentazione? Il confine è molto labile e probabilmente inesistente. Ciò che lo sguardo artistico inquadra è già messaggio, giudizio, simbolo, miraggio, allegoria, non di rado a insaputa dell’autore.
Zeno Colantoni, fotografo, nel 2016 si reca alla Biblioteca Vallicelliana per realizzare un’immagine da presentare nella manifestazione culturale “12 artisti per 12 libri”. Conosce bene il luogo, uno scrigno di pura bellezza come soltanto Roma sa custodire al riparo di futili clamori. Un dono raro, per chi lo merita tra i milioni di visitatori che ne calpestano ogni giorno imarciapiedi; e soprattutto un ennesimo incanto per coloro che conoscono e apprezzano Francesco Borromini, artefice della rivoluzione estetica del barocco, di cui la Città Eterna resta impareggiabile palcoscenico.
Colantoni è un fotografo d’arte, da decenni ormai impegnato a riprodurre i mille e mille tesori della Capitale; appassionato di opere arcaiche e misteriose, delle quali riesce a catturare l’anima nascosta, trasferendone l’essenza da una sostanza all’altra, dal marmo ai pixel; una sorta di avatar con cui ci insegna a guardare le sculture come in pochi riescono a fare, cogliendo per genio, ma ancora prima per empatia, le intenzioni più riposte dell’autore, di cui spesso si ignora persino il nome e la provenienza, ingoiati dal vortice del tempo.Recentemente mi è capitato di vedere di lui la ripresa fotografica del Galata Morente; e se il combattente ferito a morte è in sé uno dei risultati più alti e commoventi, anzi struggente, dell’arte plastica della classicità, nella fotografia di Colantoni la rivelazione luministica e tattile della carnalità che si spegne, assurge a una dimensione metafisica.
Il fotografo dunque si reca alla Vallicelliana ma la biblioteca non è agibile al pubblico perché in fase di restauro; i libri e le scaffalature che li contengono sono avvolti in teli di plastica, l’aula si spalanca vuota e deserta. I volumi non sono fotografabili ma Colantoni rimane affascinato da quello scenario così inconsueto, estremamente stimolante per la sensibilità di un artista. Comincia a eseguire una serie di scatti di ciò che vede, senza un proposito, senza uno scopo preciso, semplicemente conquistato dalla singolarità dello spettacolo che trova inaspettatamente davanti a sé. Resta così magnetizzato dall’ambiente che vi fa ritorno il giorno successivo, attrezzato di un corredo più fornito di obiettivi. Sa di essere capitato nel bel mezzo di un evento irripetibile e istintivamente colleziona almeno un centinaio di fotografie seguendo il proprio estro, l’ispirazione del momento. Materiale d’archivio, in attesa dell’occasione propizia per tonare alla luce.
E infatti, ora che la Vallicelliana è tornata al suo originario splendore, la direttrice Paola Paesano ha avuto l’intuizione di recuperare quelle immagini, almeno alcune di esse, e riproporle al pubblico; offrire per loro tramite una lettura diversa, uno scorcio eterodosso del luogo prestigioso rimasto così a lungo ‘incartato’ e sottratto ai tanti ammiratori. Il tema dell’esposizione si è chiarito all’istante con un titolo eloquente:Trasparenze.
Guardando le fotografie non sarà difficile comprendere perché.
E qui torniamo all’arte di Colantoni che, nel corso della sua produzione più volte ha “trovato nelle velature delle opere in restauro, – sono sue parole – il medium per svelare un profilo nascosto dei soggetti prescelti”. E irisultati espressivi sono stati in ogni occasione sorprendenti: Paolina Bonaparte, i volti di Luisa ed Elisabeth Hiram Powers, gli angeli del Bernini.
Alla Vallicelliana, accolto da un colpo d’occhio così inatteso, egli ritrova d’un tratto il senso di alcune sue precedenti sperimentazioni; scorge un assetto già predisposto all’operazione euristica altre volte perseguita e che ora la coincidenza – la fatalità? – gli mette nuovamente a disposizione perché l’epifania si rinnovi. L’ambiente è pronto per essere ritratto, rappresentato, in virtù di una condizione favorevole e a lui ben nota, anzi cara: coprire per esaltare ciò che lo sguardo non vede.
Il velo che svela.
Le immagini della biblioteca ‘incartata’ proposte alla Vallicelliana sono dodici. In tutte si avverte, preminente, la tensione del cellophan tirato per ricoprire i libri: uno sforzo percettibile che diventa effetto plastico nel punto preciso in cui l’angolo vivo di una copertina rilegata preme quasi a voler lacerare l’involucro, aprire un varco. Il rivestimento protettivo così aderente, adottato per salvaguardare i libri da ingiurie accidentali durante i lavori di restauro, può rivestire persino il significato opposto:un abbraccio soffocante,uno slancio amoroso eccessivo. Nell’uno o nell’altro caso i volumi vengono prepotentemente risospinti all’attenzione dell’osservatore.
Dove il piano dell’obiettivo è ravvicinato, ed è possibile quasi sbirciare i titoli sui dorsi, la luce modella le pieghe della guaina, così fasciante e tesa da rendere ancora più seducenti gli oggetti preclusi.
Impossibile, per chi assiste a tale abbraccio furioso, non avvertire la tentazione di ‘strappare’ la pellicole per guardare ‘oltre’ la trasparenza, e possibilmente sfiorare con le dita quei tomi chevengono negati al tatto ma non alla vista.
Un corpo velato sarà sempre più desiderabile di un corpo nudo.
La conoscenza, o il desiderio di conoscenza, si esalta nel dis/velamento. Tale è stata nella seconda metà del Novecento l’originale intuizione di Christo e Jeanne-Claude, i celebri artisti della Land Art, che con gli interventi sul paesaggio e l’impacchettamento dei monumenti urbani, hanno ricaricato di nuova energia estetica scorci naturali e reperti architettonici resi invisibili dalla consuetudine e dall’assuefazione. Sottraendoli temporaneamente alla vista, la loro ‘poetica’ ha ridonato la luce a occhi resi ciechi dalla polvere della distrazione, dalla lebbra dell’incuria.
Nei campi fotografici medi e lunghi, il talento di Colantoni riesce invece a materializzare una luce assimilabile alle liquide trasparenze dei fondali marini; suggeriscono un’impressione subacquea, dove le ‘increspature’ della plastica assumono l’aspetto di piccole onde, di mobili frangenti; e la biblioteca stessa, di conseguenza, può apparire come un carico prezioso di libri affondato nella stiva diuna nave, sepolto negli abissi.
Specialmente in quelle inquadrature di scorcio in cui ogni profondità di campo è perfettamente leggibile, grazie a un artificio tecnico – spiega il fotografo – al quale è ricorso intenzionalmente: “un obiettivo grandangolare ‘basculante’ che allinea il piano di fuoco con la linea di fuga” e colloca le colonnine lignee dentro un misterioso corteo alla rincorsa verso di arcani e inaccessibili fondali.
Inoltre le tornite colonnine lignee, perfettamentenitide in piano ravvicinato, legittimano con la loro elegante volumetria un’ulteriore suggestione.
Se guardiamo con attenzione questi ‘elementi decorativi’ realizzati secondo un preciso disegno del Borromini, ci accorgiamo che essi nel loro sviluppo presentano una singolare simmetria. Le colonnine sono composte da un breve elemento centrale bombato, che è delimitato, sotto e sopra, da una coppia di anelli. Su questi appoggiano gli elementi più lunghi che vengono via via rastremandosi verso le estremità.Sembrerebbero dunque ideate a specchio.
E infatti ipotizzando una superficie specchiante esattamente al centro dell’elemento mediano, l’effetto visivo sarebbe diuna giustapposizione, come se la colonnina si duplicasse per riflesso dentro la lastra lucida.
Trasparenza e specularità sottendono verosimilmente una ‘mise en abyme’ reiterata all’infinito.
A volte la fotografia, che è anche strumento di rappresentazione, riesce a ‘fermare’ e rivelare ciò che allo sguardo sfugge, quantomeno in un primo momento; e diventa ‘metafora della visione’ quando, come nel nostro caso, l’immagine catturata è in grado di ‘narrare’ una realtà parallela, non meno vera dell’originale.
Un discorso complesso e affascinante in cui è lusinghiero avventurarsi quando l’occasione lo consente.
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Zeno Colantoni (Paterno dei Marsi 1954) è un fotografo d’arte, da decenni ormai impegnato a riprodurre i mille tesori della Capitale. Appassionato di opere arcaiche e misteriose, riesce a catturarne l’anima nascosta,trasferendone l’essenza da una sostanza all’altra, dal marmo ai pixel; una sorta di avatar con cui ci insegna a guardare le sculture comepochi sanno a fare, cogliendo per genio, ma ancora prima per empatia, le intenzioni più riposte dell’artista, di cui spesso si ignora persino il nome e la provenienza, ingoiati dal vortice del tempo.
UNA NOTA SUL LAVORO DI PAOLO CAZZELLA
di Paola Paesano
Che Paolo Cazzella si presentasse con il suo leggero atelier in Vallicelliana proprio durante ilavori di ristrutturazione del Salone monumentale non era previsto; né da lui, né da me.
lntendeva portare avanti la sua «campagna pittorica» attraverso musei e palazzi storici soffermandosi, in quel momento, sul soffitto barocco del salone borrominiano della Biblioteca. Ma non è stato impossibile conciliare la disciplina del cantiere con l’esigenza dell’artista di occupare un metro e mezzo per due di spazio, con tutti i suoi strumenti: cavalletto carta e pastelli secchi.
Così, grazie a quella «residenza d’artista» perimetrata come una cella, il grande vaso librario della Vallicelliana, inaccessibile ai non addetti ai lavori, manteneva tuttavia la sua esposizione allo sguardo ammirato. Il cantiere non metteva in parentesi la vita della biblioteca-museo, anzi diventava, nell’opera del pittore, esso stesso l’inevitabile centro di attrazione della scena.
Nei pastelli le linee rette delle impalcature incrociano i volumi e i riccioli dei decori fino al soffitto. I materiali diversi delle pareti e del soffitto antichi -il legno, gli stucchi, la tela urtano il metallo di ponteggi e trabattelli, fino a trovare incastri di nuove e, direi, addomesticate, geometrie.
Per questo sono grata a Paolo Cazzella, per il segno originale, pastosa e caldo della sua interpretazione della Vallicelliana, per il tono intimo che imprime alla solennità di architetture secolari, e per il conseguente avvicinamento a queste che la sua sensibilità procura.
Paola Paesano è Direttrice della Biblioteca Vallicelliana