Italiana in Algeri di Rossini
“Il teatro alla moda” di Benedetto Marcello fu un libello intelligente e ironico del 1720 sui mali del teatro del tempo, ma la moda, anzi le mode, hanno sempre condizionato gli eventi culturali che si sono svolti sui palcoscenici di tutto il mondo. In Italia imperversa da tempo una corrente di pensiero, che gode di grandissima diffusione tra i direttori artistici, per cui il Rossini comico, quello più celebre (ammettiamolo pure) tra i fruitori degli spettacoli lirici, è considerato un autore minore rispetto ai celebratissimi Verdi e Puccini: un autore che non richiede grandi cantanti, né grandi voci, né scenografie importanti; l’ideale, insomma, quando non si hanno tanti mezzi e si vuol riempire il teatro con poca spesa.
Si sono così moltiplicate negli ultimi anni le produzioni “giovanili” e “giovanilistiche” rossiniane, con il risultato di svilire ulteriormente il Pesarese. Ma eseguire Rossini è molto difficile, ahimè, richiede esecutori esperti, rodati, specializzati, con il dono di voci agili, di una capacità attoriale convincente, di una precisione tecnica e ritmica assoluta. Fa eccezione forse il “Barbiere di Siviglia” che, con il taglio dell’aria finale del conte, si può prestare ad esecuzioni di giovani interpreti, ma le altre composizioni, perfino le farse, richiedono interpreti esperti e capaci.
Perché affidare dunque ad un cast di giovani un’opera così impegnativa come “Italiana in Algeri”? Perché inserirla in una scenografia, che sarà anche opera di un celebratissimo artista come Ugo Nespolo, ma che consisteva in poche telette, nemmeno “armate” e tirate a dovere, e in qualche gradevole elemento scenico?
Un’occasione mancata, questa, per ridare vita a Pisa ad un capolavoro rossiniano tra i più amati e per questo da trattare con rispetto e cura.
In buca c’era un’orchestra nella quale ho sempre creduto e credo molto, l’orchestra Arché, realtà nata per essere una compagine orchestrale dei tre teatri della costa toscana e poi divenuta solo una bella realtà pisana. Non impeccabile in questa occasione, e lo si è avvertito sin dai primi pizzicati dell’ouverture, ma capace di una prova molto buona, come dinamiche, come adesione ai tempi richiesti dal maestro, come rapporto sonoro con il palcoscenico. Merito del lavoro di questi anni, ma anche di chi questo lavoro lo ha in gran parte guidato, e cioè del maestro Francesco Pasqualetti, che avevo lasciato alla guida dell’orchestra in un memorabile “Mefistofele” nella stagione 2015-16 e ho trovato ancora più maturato in questa circostanza. Contrariamente a molti suoi colleghi, dirigendo Rossini, non si è rifugiato nel vortice ritmico un po’ bandistico e superficiale, ma ha saputo creare momenti di lirismo puro, di fascino sonoro, di sogno e di comicità, con il coraggio anche, a volte, di prendere tempi vorticosamente rapidi, pur non avendo davanti una compagnia di canto perfettamente in grado di sostenerli (come nel finale della scena dei Pappataci). Se l’anagrafe lo dice ancora un “giovane direttore”, Pasqualetti è ormai un artista maturo, capace di trasmettere all’orchestra, al palcoscenico e al pubblico l’impronta di un’indiscussa professionalità.
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Un plauso al maestro Riccardo Mascia che ha guidato i recitativi al fortepiano con originalità e perizia, sostenendo sempre le fragilità del cast.
Della scenografia già si è detto in parte; certo la “festa di colori” promessa si è presentata davanti al pubblico, ma una festa non troppo lieta, con quei siparietti coloratissimi e ottimamente illuminati da Michele della Mea, ma bisognosi di una stirata, e quei pochi oggetti di scena in una situazione scenografica più o meno stabile. Possibile che con i tecnici del teatro di Pisa, validissimi, e lo scrivo per conoscenza diretta, non fosse stato possibile tirare quelle povere quinte in modo che non fossero deturpate dalle pieghe? L’armatura delle quinte fa parte del bagaglio tecnico di base di un macchinista e dunque si deve pensare fossero volutamente in quel modo?
Il contesto si è presentato sin dall’inizio come assai gaio e ricercatamente ironico, secondo il gioco teatrale, oggi abusato, dei “contrari”, che consiste nel riprodurre un’azione volutamente in contrasto con quella originale voluta dall’autore. Il gioco dei “contrari”, ossia la provocatoria negazione del testo, avrebbe potuto condurre a interessanti conclusioni qualora fosse stata condotta dal regista fino all’estrema coerenza, ma si è invece limitata a pochi accenni, quasi scatti capricciosi di una ricerca d’originalità sinceramente non richiesta, se non coerente. Abbiamo dunque immaginato, vedendo Elvira e Zulma massaggiate da aitanti giovanotti nella loro prima scena ed in condizione di agio e benessere assoluto pur cantando “Qua le femmine son nate solamente per servir”, e vedendo poi Mustafà entrare in scena come un ragazzino, nonostante fosse stato preceduto da manifestazioni di paura da parte di tutto il popolo, che stessimo per assistere ad una rilettura scanzonata ed irriverente, ma l’inventiva si è presto spenta.
Credo che l’ironia e la dissacrazione siano linguaggi rispettabili, condivisibili o meno che siano, ma si deve poter capire il pensiero che li anima e nutre: il malessere, l’allegria, l’insofferenza, qualunque humus purché intellegibile e quindi coerente negli esiti drammatici. Non è stato questo il caso.
Torniamo dunque a parlare della scelta stranissima di un cast interamente giovane, anzi giovanissimo, in un’operazione produttiva che forse voleva rimpiazzare la meritoria “Opera studio LTL”, assente dal cartellone dopo moltissimi anni d’ininterrotta presenza e messa in crisi di recente dai particolarismi campanilistici. “Italiana in Algeri” è un dramma giocoso molto conosciuto ed amato, che suscita giusti confronti con esecuzioni di alta qualità, richiede voci mature, in grado di cantare le agilità, a volte rapidissime, che caratterizzano l’opera del Pesarese, con naturalezza, senza perdere di vista la situazione, la condizione del personaggio e la sua dinamica di rapporti con gli altri elementi della vicenda. Nel caso del Verdi di Pisa si potrebbe parlare di voci sicuramente da incoraggiare, che possono diventare adatte a cantare “Italiana”, che possono crescere e portare a splendide carriere, ma che al momento non sono giunte al porto di una preparazione adeguata. Volonterosi, artisti splendidi nel loro mettersi in gioco ed affrontare il rischio, ma bisognosi ancora di studio.
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Cosa dire infatti di Alessandro Abis? Che è una cosa meravigliosa vedere sul palcoscenico un giovane interprete nato nel 1992, oltretutto una voce di basso. Ma avrei voluto vederlo in un altro contesto e non posso condividere la decisione di mandarlo all’avventura in un ruolo che fa parte, ovviamente, parlando di un sultano, del repertorio dei cantanti di una certa età.
La comicità poi non nasce dal muoversi di continuo, come imposto dalla regia, con un vortice di mani che si agitano: mentre un personaggio cantava gli altri commentavano quanto diceva con gesti di una napoletanità verace alla Totò, perché il pubblico capisse i loro stati d’animo; se origliavano si disponevano in pose da commedia dell’arte con la mano dietro all’orecchio…e potrei continuare a lungo. La comicità è una cosa seria, non è buffoneria. Se il comico dice la battuta, ci deve essere la “spalla” che fa da contraltare serio a questa battuta. Allora si ride. Mustafà è un temuto sultano di un paese di fiaba, è un orco stupido; ma guai a rappresentare l’orco di una fiaba come un bel ragazzo giocherellone! La fiaba non si regge più.
Alessandro ha fatto quello che gli è stato chiesto e non ha interpretato Mustafà, ma se stesso nell’atto di partecipare ad un bellissimo e divertente gioco. Non si muoveva come un sultano, non incuteva terrore, non era nemmeno stupido come Rossini avrebbe voluto ed era anche molto bello e ricco (senza suscitare desiderio alcuno in Isabella)! Tolto un cardine della storia, la serata non poteva che scivolare via in una sufficienza globale, con pochissime risate dovute per lo più al testo di Anelli e ai suoi riferimenti al “palo”.
Non c’era il cattivo, non c’era l’orco. Dunque il grande coraggio di Isabella ne è scaturito sminuito e questa fiaba femminista snaturata, anzi rovesciata nei termini, visto il comportamento di Elvira.
Abis ha fatto un eccellente lavoro, non gli si può rimproverare nulla, ma palesemente non ha (ancora) la voce per Mustafà e quindi è caduto in difficoltà sulle agilità, risolte spesso con colpetti di glottide, alleggerendo il suono e cercando una sonorità bass-baritonale più consona al personaggio; non ha trovato però né la potenza necessaria in certi momenti né, come si è già detto, la presenza scenica, istruito dal regista invece ad esagerare il lato buffonesco e caricaturale. Soprattutto, essendo in difficoltà nelle agilità, ha eliminato spesso delle note e respirato in punti casuali. Non è colpa sua: ce ne fossero di giovani bassi disponibili a giocarsi su un repertorio così difficile e capaci di uscirne dignitosamente! La responsabilità è di chi lo ha messo in quel ruolo.
La recitazione da commedia dell’arte può certamente funzionare, ma in un contesto deciso ed omogeneo di marionettismo dei personaggi; il regista, Stefano Vizioli, non sa che fare, o meglio non osa andare fino in fondo a nessuno degli spunti che lancia. Il quadro è di poca professionalità generale, di “giovanilismo” appunto, di “saggio di fine accademia od opera studio”.
In tale contesto anche Elvira Giulia Della Peruta e Zulma Caterina Poggini sono giustamente giovanissime ed altrettanto immature vocalmente: fanno il loro dovere con grande partecipazione e sicuramente i ruoli sono più alla loro portata come difficoltà rispetto al Mustafà di Abis. I personaggi disegnati dal regista sono sopra le righe, esagerati, difficili da interpretare e pertanto finiscono con essere lacunosi di credibilità, seppur fiabesca. Un poco vanno in una direzione, un poco nell’altra, con frequenti ricorsi da parte della Della Peruta a un’emissione troppo costretta, della Poggini ad una sonorità poco elegante. Sono due ottime artiste e si faranno. Loro erano al posto giusto, interpretavano ruoli adatti a una vocalità molto giovanile. Avrei voluto Della Peruta più svettante nel finale primo, quando imita il campanellino.
Diego Godoy è un tenore giustamente di stampo “rossiniano”: dotato di una dolcezza raffinata, appena sale di intonazione subito usa i suoni “di testa” falsettando, come richiede lo stile, e confermando la solida professionalità del Pasqualetti che lo accompagna senza mai sovrastarlo, nemmeno nei pianissimi in zona acuta. Bello e disinvolto, crea un bel personaggio, divorato poi dall’ipercinetico affanno scenico dei colleghi che gli tolgono attenzione ed importanza. Bene le arie, con un acuto assai problematico al termine della seconda.
Impossibile comprendere il rapporto che lega Lindoro a Mustafà! I due si toccano, scherzano come compagni di camerata in gita scolastica, con pacche e giochi di mano con il risultato che l’autorità di Mustafà viene cancellata. Perché dunque Lindoro si trova in prigionia se non ha alcun timore del sultano?
Furba e smaliziata, come deve essere, è stata la Isabella di Antonella Colaianni, professionale e sicura scenicamente. La sua voce è godibile, bella, fresca, con agilità sciolte e sicure, ma ancora irrisolta nella zona acuta per difetto tecnico (piega le ginocchia e “lancia” gli acuti verso l’alto bloccando la muscolatura pettorale) e nella morbidezza. Costretta da una tecnica in miglioramento ad appoggiare molto sul muscolo, finisce con il non essere in grado di emettere suoni forti e liberi come il ruolo richiederebbe; l’agilità è buona, ma manca in proiezione, per cui in sala risulta poco incisiva come suono. Mortificata da un colore del costume davvero poco centrato, e da orribili mutandoni ascellari, riesce tuttavia a brillare per simpatia e scaltrezza, modellando un personaggio efficace. Peccato l’intonazione non sia sempre perfetta (per esempio su “O che muso, o che figura”).
Nicola Ziccardi diventerà sicuramente un ottimo interprete, ne ha tutte le caratteristiche: facilità vocale, timbro fascinoso, musicalità e disponibilità scenica. Però avrebbe bisogno di un po’ più di arte scenica: il suo viso esprime solamente la concentrazione sul canto. Anche nelle situazioni più buffe non si apre ad un sorriso o ad un viso di paura, o per lo meno non sa renderli visibili al pubblico. Per il resto la sua è una prova vocalmente convincente, tranne nell’aria, dove sceglie di ridurre l’appoggio per ottenere più agilità e si fa sovrastare dall’orchestra in vari punti.
Ancora più convincente l’Haly di Alex Martini che, come già fece nel “Gianni Schicchi” della passata stagione, sa, nonostante un ruolo non grande, prendersi il palcoscenico come un mattatore. La voce è molto bella, baritonale, scura, precisa nell’intonazione e sulla scena è il meno agitato, muovendosi con misura ed eleganza. Riesce perfino a rendere gradevole quell’aria posticcia e non eccelsa che gli è affidata (“Le femmine d’Italia”).
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Molti, come si è detto, gli appunti che si potrebbero muovere alla regia di Stefano Vizioli, artista che stimo molto, ma che in questa occasione sembra non aver concesso all’opera rossiniana il giusto rilievo e il giusto rispetto. Caratteristica della sua messa in scena è la paura palese della staticità, per cui i personaggi si muovono e gesticolano costantemente, non rimanendo fermi un secondo, quasi fosse proibito. Si è detto dei bruttissimi gesti a commento del canto altrui, della messa in ridicolo della vicenda stessa attraverso lo snaturamento dei personaggi, della recitazione amatoriale. (Lindoro chiede a Mustafà com’è la sposa a lui destinata, particolare dopo particolare, ed il regista la mette in scena durante la descrizione, rendendo irreale tutto il contesto!; Isabella canta “In gabbia è già il merlotto”, stando al braccio del “merlotto” stesso, cioè di Mustafà, che non dovrebbe proprio sentire quelle parole; Taddeo canta “In quest’abito m’imbroglio” senza averlo ancora indossato….). Ha privilegiato l’aspetto ludico dell’opera, rendendolo però esclusivo, eliminando, con tagli anche massicci dei recitativi, tutti i momenti di riflessione dai quali trasparivano le relazioni tra i personaggi. Le idee più carine appartengono dunque al lato bouffon della vicenda, come la sfilata dei cappelli di Mustafà o l’immensa tovaglia della scena del Pappataci. Ben costruite la scena dello starnuto e quella dei “Pappataci”, molto divertenti, con l’originale trovata dell’ipnosi a danno di Mustafà. Molto buono il finale primo, dove il ricorso alla “confusione” e all’ipercinesia è divertente, grazie anche al tempo brillante scelto da Pasqualetti e da lui mirabilmente condotto. Molto divertente la scena di Elvira sul trono spostata a forza dalle comparse in modo che gli acuti coincidessero con gli spostamenti.
Ottima prova del coro Ars Lyrica, preparato da Marco Bargagna come sempre in modo accuratissimo. Notevole per esempio l’attacco di “O che rara beltà”, intonatissimo nonostante fosse stato preceduto da un “Venga..venga” di Mustafà assolutamente fuori tono. Accuratissimi i colori, elegante e finissima l’emissione: davvero una prova molto valida.
Gradevoli i costumi di Ugo Nespolo.
MARCELLO LIPPI
Autore e Critico Musicale per la Cultura di Young diretta da David Colantoni
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio a La Spezia, Alessandria, Udine, Ferrara e ora a Rovigo
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS a cura di da Alessandra Lischi, Maria Antonella Galanti e Cristiana Torti dell’Università di Pisa. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa