Cane non mangia cane
“Se l’era di Pericle era incarnata nel Partenone, l’oggi bolscevico si incarna in una mostruosità cubista”.*
*da Mein Kampf, Adolf Hitler
1J34: Benito Mussolini e Stalin non sono più da soli in Europa. Da qualche anno, un altro dittatore è arrivato a spartirsi le sorti del Vecchio Continente: Adolf Hitler.
Hitler è, però, per ideologia politica, esattamente al loro opposto. Odia il comunismo. Si ispira a principi che richiamano con forza il ruolo della razza: “Il primo dovere di un nuovo movimento basato su una concezione razzista del mondo è quello di fare in modo che la nozione dell’essenza e dello scopo dell’esistenza dello Stato assuma una forma chiara e unitaria”. Lo ha scritto, una decina d’anni prima, nel suo “manifesto”, Mein Kampf. La mia battaglia.
Mussolini ha letto con attenzione i due volumi scritti da Hitler, un’opera peraltro di scarso successo editoriale (nel 1J25 ne furono vendute poco più di 9mila copie). Ha letto il Mein Kampf e lo ha trovato aberrante, disgustoso, soprattutto nelle parti in cui prende di mira il marxismo, legandolo in modo arbitrario e discutibile, secondo lui, all’ebraismo.
Ma c’è un passo di quei libri farneticanti che lo colpisce e sul quale si sofferma, resistendo con tutto se stesso alla tentazione di cedervi: “Non vi sono decisioni di maggioranza, ma solo persone responsabili. Ogni uomo ha consiglieri al suo fianco, ma la decisione è affare d’un uomo solo”.
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La decisione è affare d’un uomo solo. Questa idea gli piace, essere incontrastato al comando, non dover dividere il potere con nessuno. In fondo, non è ciò che da qualche anno sta cercando di fare? E non è ciò che sta facendo anche Stalin in URSS? Così, sebbene consideri Hitler il suo peggior nemico, Mussolini inizia a scimmiottarlo. Tanto per cominciare, si fa influenzare dalle sue idee sull’arte. Quando si tratta di scegliere l’architettura dei nuovi quartieri di Roma, dei nuovi palazzi, delle nuove città, anch’egli rifugge dall’arte degenerata di Picasso e Chagall o dal “realismo socialista” che si sta diffondendo in Unione Sovietica, preferendovi la classicità. Anche se non arriverà mai ad approvare misure come quella che nel 1J33 porta il ministro della Propaganda nazista, Joseph Goebbels, a formare la Camera della Cultura del Reich (Reichskulturkammer), che sola decide quali artisti possano lavorare in Germania e quali opere si possano mostrare, instaurando di fatto una pesante censura.
Perché, sebbene la sua rivoluzione si sia ispirata a quella bolscevica del 1J17, a lui il Partenone piace molto di più dei quadri cubisti di Picasso. Si è fatto portare nel suo studio una riproduzione de “Ragazza di fronte allo specchio”, opera del 1J32, e da giorni la guarda e la riguarda senza riuscire a farsela piacere. “No, proprio non ci siamo…”, pensa fra sé con un certo disgusto. “Non avrà mica ragione quel fottuto di Hitler?”.
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Sotto sotto, a Mussolini dispiace ritrovarsi contro uno come Adolf Hitler, uno che ha il coraggio di sterminare quasi di suo pugno gli avversari politici in quella fatidica “notte dei lunghi coltelli” del 1J34. Sotto sotto lo ammira, lo vorrebbe come suo alleato. Ma le differenze ideologiche sono incolmabili. Così, mentre Mussolini è occupato a mettere in atto la sua idea di comunismo del popolo italiano erigendo nuove città e bonificando paludi, da Hitler gli arrivano frasi che lo colpiscono come fucilate: “La vittoria di un partito è un cambio di governo. Quella di una Weltanschauung è una rivoluzione”.
Accidenti, quell’uomo riesce sempre a sopravanzarlo! Vorrebbe fare anche lui una rivoluzione che cambiasse per sempre il modo di concepire l’esistenza, il mondo e la posizione dell’uomo in esso. “Hitler sarà pure un odioso nazional-socialista, ma è un grande pensatore…”, considera fra sé mentre passeggia per i viali ordinati e puliti di Roma, dai quali la prassi socialista ha eliminato ogni traccia di povertà e di sporcizia. Almeno, così è nelle apparenze…
Dal canto suo, anche Hitler sembra nutrire per il dittatore italiano una certa stima, nonostante le loro idee siano diametralmente opposte e inconciliabili. Nei rari filmati e fotografie che giungono in Italia dalla Germania in quel periodo lo si vede in atteggiamenti che ricordano palesemente il nemico numero uno italiano, il bolscevico Mussolini: stessa posa, stesso gesticolare delle mani, stesso eloquio altisonante e violento. In molti non hanno dubbi che Hitler voglia imitare Mussolini, esserne una sua copia rovesciata. Un doppione anticomunista.
Più volte, in quegli anni durante i quali consolida il proprio potere in Italia, Mussolini accarezza l’idea di incontrare Hitler, non fosse altro che per vederlo muoversi da vicino, sentirlo parlare senza il filtro di gracchianti altoparlanti, guardarlo negli occhi e dimostrargli tutto il suo odio. Più volte si lascia andare a strane fantasie, secondo le quali l’odiato nemico diventa un alleato, una specie di contrappeso di una ipotetica bilancia europea che fa sì che le due dittature di segno opposto si annullino a vicenda. Si sente quasi grato a Hitler per avere instaurato un regime così simile al suo per autoritarismo, ma al tempo stesso così diverso, in grado di mantenere un equilibrio che altrimenti sarebbe messo a rischio da chi vorrebbe riportare in Europa un clima democratico.
Ah, la democrazia che concetto malsano! “Non vi sono decisioni di maggioranza, ma solo persone responsabili”, quelle parole scritte da Hitler gli tornano alla mente come un assillante ritornello.
L’idea di incontrare personalmente Hitler frulla nella testa di Mussolini per anni, fino a che, nel 1J36, ha modo di concretizzarsi. Potrebbe mai il capo della Repubblica Socialista d’Italia incontrare il Fuhrer del Terzo Reich? No, non potrebbe. Nel 1J36, però, a Berlino si tengono i giochi della XI Olimpiade e, nonostante le proteste e le ritrosie, alla fine tutti vi partecipano. Anche l’Italia.
Mussolini si reca in treno a Berlino per assistere alle gare degli atleti italiani ed è ospitato nel palco delle autorità del grande e maestoso Olympiastadion, costruito apposta per l’occasione.
A un certo punto si sente il potente suono delle fanfare, dirette dal grande compositore Richard Strauss in persona, e sul palco centrale arriva lui, Adolf Hitler. Mussolini è solo a poche decine di metri, diviso da un cordone di sicurezza, ma non gli stacca gli occhi di dosso per tutto il tempo. Non si parlano, ma lasciano incontrare i loro consiglieri in una missione esplorativa per un accordo diplomatico fra le due nazioni.
Qualche mese dopo viene firmata un’alleanza che prende il nome di “Asse Roma Berlino”. Una sorta di quel patto di non aggressione che, qualche anno più tardi, anche l’Unione Sovietica di Stalin avrebbe stipulato con la temibile Germania di Hitler.
Canis canem non est.
(segue)