Miseria e nobiltà di Tutino: Prima Mondiale al Carlo Felice di Genova, 23 febbraio 2018
La sera del 23 febbraio 2018 al teatro Carlo Felice di Genova si è rappresentata un’opera in prima esecuzione mondiale, una “novità”, come era consuetudine accadesse nel secolo passato e invece ora, nel “secolo dell’ignoranza”, è diventato evento raro, eccezione alla musealità nella quale si è voluta relegare l’opera lirica, che pur rappresenta tuttora la cultura italiana nel mondo. Il teatro era stracolmo e questo dovrebbe significare qualcosa per gli amministratori e i manager teatrali del nostro paese che preferiscono riproporre i soliti titoli, sempre più stancamente, affidandosi a regie assurde, con la complicità delle ultime direttive ministeriali che premiano come “novità” le violenze all’opera d’arte, le modifiche al libretto e alla trama! Si è tornati a respirare curiosità, ad attendere l’evento, a ricercare nuovi spunti culturali, spostando l’attenzione del soggetto dalla storia al presente o al passato recente.
Se questo accade è certamente anche per Marco Tutino, che seguo con ammirazione sin dai tempi del suo “Pinocchio” genovese, compositore geniale e colto e manager teatrale intelligente e preparato. Il suo percorso artistico l’ha portato a scardinare i presupposti ideologici che avevano allontanato l’opera contemporanea dal pubblico, osando l’inosabile: comporre con un linguaggio comprensibile, un linguaggio musicale e non “antimusicale”. Dagli anni sessanta in poi si è guardato infatti al melodismo come al nuovo “Diabolus Musicae”, nascondendo dietro la ricerca di nuovi linguaggi l’incapacità di possederne uno comprensibile e rovesciando la responsabilità del vuoto nelle sale sugli spettatori “ignoranti”. Tutino non ha mai aderito a questo celebralismo e alla distruzione lessicale spacciata per rivoluzione, ma ne ha risentito: era impossibile non farci i conti, quando i giudizi della critica erano tutti volti a nascondere la mediocrità del critico stesso esaltando l’indifendibile che, essendo appunto incomprensibile al pubblico, era in grado di fornire allo scrivente la patente di “colui che se ne intende”. Ma Tutino aveva quell’estro puro, autentico del creatore che gli faceva percepire con acuto dolore l’impossibilità di mettere sulla carta tutto quello che sentiva e come lo sentiva. I suoi slanci melodici nelle opere degli esordi erano pudichi, quasi si interrompevano per la preoccupazione di un giudizio altrui, o forse dentro la sua anima combattevano due forze opposte.
[coupon id=”17309″]
Oggi i tempi sono mutati e il pubblico non riempie i teatri per ascoltare opere di compositori alessicali, come del resto non ha mai fatto, ma pretende di capire, vuole distinguere l’arte e l’artigianato, vuole la Bellezza, non la distruzione di questa. Ed ecco che Tutino, che nel frattempo ha raggiunto la piena maturità artistica con le molte opere scritte in questi anni, dà finalmente pieno sfogo alla propria anima, incurante del giudizio altrui, libero e potente come solo un grande artista sa essere. Non interessa se tutto sia musicalmente condivisibile in ciò che scrive e ha scritto (di quale opera dei classici potrei dire di condividere ogni nota ed ogni accento?), ma ciò che ci ha donato in questo “Miseria e nobiltà” è un frutto maturo di Bellezza ed arte che ha riempito e riempirà i teatri. Tutino non teme la contaminazione (del resto già in “La lupa” aveva usato inserire una canzone di Peppino di Capri), è l’uomo giusto per ridare slancio all’opera lirica, ne ha la cultura, ne ha l’anima, ne ha la forza e la genialità. Ed ora anche la sfrontatezza di essere se stesso che è propria dei grandi.
“Miseria e nobiltà”, che viene dopo “La ciociara”, continua un ammiccamento dell’autore a soggetti conosciuti, resi immortali da versioni cinematografiche cult e quindi notissimi al pubblico. Operazione furba, certamente, ma assolutamente normale nella storia del melodramma: moltissimi compositori hanno scelto soggetti noti, teatrali o romanzeschi, per le loro nuove produzioni.
Tutino vi dimostra ispirazione folgorante, inventiva tematica (il materiale melodico è molto ricco: originale, oppure variato pregevolmente da celebri motivi napoletani o da romanze di Tosti, fino alle citazioni più colte), raffinatezza e forza nelle mirabili orchestrazioni: si cala in un ambiente, quello del teatro napoletano, che non è il suo originale, con rispetto ed amore e lo fa vivere in modo eccellente, conquistando il pubblico. Dichiara apertamente il suo rifarsi, tra i tanti esempi, al teatro musicale di Nino Rota, tanto geniale quanto snobbato a suo tempo dalla critica saccente, ma più che al “Cappello di paglia di Firenze”, che cita egli stesso nella presentazione contenuta nel libretto di sala, si rifà a quel capolavoro assoluto che è “Napoli milionaria!” ricollegandosi idealmente a quell’ immagine, anche se al teatro di Scarpetta invece che a quello di De Filippo.
Moderna opera buffa? Forse. In definitiva nessuno muore, in questo lavoro, ma come giustamente Tutino stesso ci indica, si tratta in realtà di un genere “di mezzo” tra il comico ed il drammatico. In “Napoli milionaria!”, dopo la mirabile scena del finto morto sotto le bombe per nascondere le provviste della “borsa nera”, c’era la morte atroce del figlio, qui non ci sono tragedie, ma si ride amaro e alla fine quel senso del “Cambiamo ogni cosa per non cambiar nulla” è più tragico di un singolo evento luttuoso.
Il compito di “ridurre” il soggetto dalla prosa al melodramma è toccato a Luca Rossi, le cui scelte, dalla trasposizione temporale, alla riduzione dei personaggi rispetto all’originale di Scarpetta, all’aumento di importanza drammatica dato a don Gaetano, sono tutte condivisibili ed efficaci.
Con commozione poi devo ringraziare Marco Tutino di aver scelto Fabio Ceresa come librettista, anzi, secondo la sua stessa definizione, come “versificatore”. Un letterato che conosca la metrica in pieno ventunesimo secolo! Che la racconti, la descriva, ce la faccia assaporare e riscoprire, dopo tanti libretti “in prosa” per nascondere l’incapacità degli scriventi, è un vero miracolo! La simbiosi tra musica e parola è assoluta, potente, sia nei molti declamati, nei quali il fulgore melodico è affidato all’orchestra, sia negli ampi squarci lirici delle arie e dei duetti. Non si sono uditi applausi a scena aperta durante gli atti solo perché la novità incuteva il timore di un consenso inappropriato nel tempo e nel luogo, ma Tutino li ha previsti, tornando così ad un teatro melodrammatico che permetta in futuro la partecipazione del pubblico e la possibilità di interrompere momentaneamente lo svolgimento drammatico.
[newsletter]
Efficace come sempre l’orchestra del Carlo Felice diretta validamente da Francesco Cilluffo, sicuro nel gesto e nel controllo del palcoscenico, capace di “recuperare” qualche piccola “fuga in avanti” degli interpreti, specialmente del coro. Merito del successo della serata va sicuramente anche al direttore d’orchestra ed alla sua duttilità: ottime le dinamiche e la capacità di “canto” dell’orchestra, alla quale sono affidati tanti temi di quest’opera. Peccato solo che nel duetto degli innamorati non tenga presente le vocalità degli interpreti e lasci che l’orchestra sovrasti i cantanti in vari momenti.
Meno valorizzato il coro, ottimamente preparato da Franco Sebastiani, la cui funzione è di eseguire brani ritmici, popolareschi, volutamente semplici ed immediati, con frequente ricorso all’unisono delle sezioni. Molto buona la sua prova, nonostante l’infelice “balletto” conclusivo, del resto non strettamente di sua competenza.
Bene generalmente gli interpreti, capaci di farci cogliere appieno le battute di spirito del colto libretto.
La regia di Rosetta Cucchi ha lavorato su questa comicità in modo intelligente, senza strafare, con leggerezza, mantenendo sempre ben presenti i contenuti tragici, (ci mostra anche una povera madre costretta a vendere un figlio) e gioca sui due piani senza mai dimenticarne uno, per cui si ride amaro e si piange con il sorriso. Una buona adesione al testo, ben compreso e valorizzato. Ha un po’ appesantito i “secondi piani”, quasi per una forma di paura della staticità: chi non era direttamente impegnato nel canto, era continuamente costretto ad una mimica inutile e molto difficile, a commento di ciò che altri dicevano o per simulare dialoghi inesistenti. Ciò di norma distrae e toglie verità scenica, ma è peccato veniale. Nel secondo atto la regia ha fatto nascere nello spettatore invece qualche dubbio: la sala e la cucina di don Gaetano vi sono rappresentate una al fianco dell’altra senza parete divisoria, soluzione usata da molti registi per non occludere la visuale agli spettatori, pur lasciando l’idea dei due ambienti differenti. E infatti molti personaggi, per passare da un ambiente all’altro, uscivano da una porta sul fondo della sala e rientravano dalla porta in fondo alla cucina. Molti, ma non tutti. Perché? Alcuni personaggi attraversavano il muro come se non esistesse: ignoravano ciò che accadeva nel locale attiguo come se la divisione fosse presente, ma poi l’attraversavano come nulla fosse. Bruttissimo purtroppo il balletto finale del coro di gioia per la vittoria della Repubblica sulla Monarchia; già è cosa notoriamente difficile far danzare il coro, se poi lo si fa fare con movimenti liberi tenendolo schierato sul posto, senza possibilità di movimento che non sia agitare le braccia e muovere i fianchi, tutto rigorosamente improvvisando, l’effetto non può essere accettabile. Peccato che la regista abbia rinunciato al movimento in questa circostanza al fine di meglio preparare l’improvviso richiudersi di questa gioia nel pianissimo e nell’amarissimo gesto di applauso finale, quello sì efficacissimo e teatrale.
Bene le luci di Luciano Novelli specialmente nel finale primo, nel quale dipinge un colore caldo ed appassionante.
Cast maschile di assoluto spicco nelle voci gravi, con tre autentici mattatori nei ruoli principali:
Alessandro Luongo è protagonista degno, vocalmente ed attorialmente. Impegnato nell’interpretare il personaggio che nel film fu di Totò, non si lascia indurre nella tentazione di imitarlo, ma tratteggia uno Sciosciammocca assolutamente differente, che si concede solo un momento di ballo “alla De Curtis”, per il resto è primo attore, non nel senso di comico, ma di mattatore, disegnando un personaggio dall’enorme spessore etico e dalla grande dignità. La sua aria “Sì ho fame” è un pezzo di bravura vocale e scenico. Impeccabile.
Alfonso Antoniozzi è magnifico nel ruolo di don Gaetano, ironico, furbo, pieno di napoletanità e di saggezza, vocalmente ineccepibile e simpatico oltre misura. Suscita anche la risata nella sua imitazione dell’onorevole Andreotti, fatta con la posa fisica, senza esagerazioni, appena sfiorata come solo un grande artista sa fare. Prova maiuscola la sua.
Andrea Concetti è semplicemente perfetto, vocalmente ed attorialmente, sprizzando antipatia da tutti i pori. Lui è il “nobile” vizioso ed interpreta il personaggio con grande professionalità. La sua aria di esordio è di natura popolaresca e l’affronta con voce sicura in ogni zona della gamma.
Qualche piccola riserva sul resto del cast:
Martina Belli, alle prese con un insolito (per un mezzosoprano) ruolo da prima donna amante, si fa condizionare molto da una nasalizzazione dei suoni, soprattutto sulla vocale “a”, fatta per rimediare ad un’eccessiva apertura della vocale stessa. Il rimedio è peggio del difetto e quando, nel secondo atto, rinuncia all’artificio, la sua voce è particolarmente gradevole ed efficace. Anche le labbra svolgono una funzione d’eccessiva limitazione dei suoni, con intenzione di aumentare la proiezione, ma modificano la timbrica e rendono falsi alcuni suoni. La frase “Sono una ballerina lo so” è detta però dalla Belli in modo splendido, da brividi, e tutta la successiva bellissima aria è cantata con voce libera da artifici limitanti, un momento di grande lirismo da parte di un’interprete che deve solo trovare un po’ di continuità e rendere più omogenei i suoni della propria gamma, ma che ha tutte le qualità per affermarsi.
Valentina Mastrangelo è condizionata dal ruolo da “madre”, che richiederebbe un colore più caldo e “vissuto” del suo, che è molto giovanile. Interpreta un buon personaggio (anche per l’aspetto giovanile dello Sciosciammocca) ed esegue con convinzione gli squarci lirici scritti per Bettina. Padroneggia le frasi importanti ed affronta con sicurezza gli acuti. Si perde invece un pochino nei centri per una irrisolta abitudine a stringere e limitare la fonazione, causando problemi di tenuta ai fiati. Buona prova comunque, che sarà sicuramente migliorata nelle repliche.
Francesca Sartorato è un Peppiniello troppo “donna”; non so perché molte interpreti, alle prese con un ruolo “en travesti”, si mettano a fare la caricatura di un ragazzino, con movimenti assolutamente incongrui, incedere balzellante e mollezza generale, quando la prima caratteristica di un ragazzino è proprio l’asciuttezza sgraziata dei movimenti. Vocalmente regge bene il ruolo, pur con necessità di approfondimenti su alcune soluzioni di tecnica vocale, ma purtroppo non è credibile come ragazzo.
Fabrizio Paesano è un tenore di voce non corposa, educata, ma spesso non adeguatamente “presente” rispetto alle esigenze dell’ensemble. Attorialmente è stato un po’ “ingessato”, poco sicuro nel creare il personaggio dell’innamorato e spesso ingabbiato in mimiche inutili nei secondi piani.
Nicola Pamio che copre due ruoli, il paesano della scena dello scrivano e il cameriere di don Gaetano, avrebbe avuto bisogno di una parrucca; la sua folta capigliatura bianca lo rende infatti troppo riconoscibile. La sua partecipazione è da comprimario di lusso, ma è minata dall’uso ipertrofico della muscolatura in proiezione: cerca quasi sempre il suono forte e proiettato, e finisce col non padroneggiare più le dinamiche ed essere periclitante in acuto. Non esagera nell’ubriacatura del cameriere, e questo è un bene, ma per tutta la sua scena madre della lettera allo scranno dello scrivano non toglie gli occhi di dosso al maestro, non guardando mai in viso il Sciosciammocca e perdendo molto in comicità.
Belle le scene di Tiziano Santi, pur nella semplicità dell’impianto base, efficaci a dare l’idea di una Napoli prostrata dagli eventi bellici e dalla difficile ricostruzione.
Ottimi i costumi di Gianluca Falaschi.
Un plauso al Teatro Carlo Felice ed alla sua Governance artistica per avere “commissionato” questa meritoria operazione, e speriamo che il successo avuto da Tutino in questa circostanza spinga altri manager a promuovere l’opera contemporanea in teatro, nella ricerca di un lessico che concili tradizione e nuovi tempi.
MARCELLO LIPPI
Autore e Critico Musicale per la Cultura di Young diretta da David Colantoni
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio a La Spezia, Alessandria, Udine, Ferrara e ora a Rovigo
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS a cura di da Alessandra Lischi, Maria Antonella Galanti e Cristiana Torti dell’Università di Pisa. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa