Carmen di Bizet al maggio musicale fiorentino 10 gennaio 2018 .
Perché fa così paura la Bellezza? L’arte non è principalmente esaltazione di quanto di più profondo, intimo e vivificante operi nella genialità dell’uomo e del creato? Perché dunque sfregiare un’opera d’arte? In tempi nei quali l’imbarbarimento mentale e culturale regna sovrano, non si “conosce” più nulla e non si è padroni nemmeno più della propria lingua, coloro che hanno la responsabilità di presentare al pubblico le opere d’arte non dovrebbero avere in primo luogo rispetto, passione, timore nel presentarle?
Un direttore di un museo d’arte non dovrebbe soprattutto preoccuparsi d’esaltare i quadri esposti, con le luci giuste, un’adeguata collocazione, un percorso intelligente che favorisca la fruizione dell’opera stessa? Se io partissi dall’Italia per vedere la “Gioconda” al Louvre e la trovassi deturpata con degli enormi baffoni dipinti da un pittore moderno per rappresentare per esempio la celebrazione del gender o dipinta di rosso come protesta contro il terrorismo, cosa penserei? Innanzitutto che ho diritto di vedere l’opera d’arte come è stata concepita e che nessuno ha il diritto di sfregiarla seppure per “altissime” motivazioni d’ordine sociologico. Poi proverei la stessa rabbia degli spettatori alla fine della “Carmen” cui ho assistito al Maggio Fiorentino.
Ero stato avvisato del finale cambiato con Carmen che non muore e che uccide invece don Josè, dell’ambientazione non più spagnola, ma in un campo rom, senza riferimenti al mondo iberico e trasportata in epoca recente e di tante altre idee fuorvianti, ma la mia preoccupazione è oltremodo cresciuta leggendo gli interventi sui giornali da parte di due persone che stimo moltissimo, il sovrintendente Chiarot e il sindaco di Firenze Nardella, impegnati a fornire un endorsement all’operazione registica, trovando un’azzardatissima giustificazione allo sfregio nella volontà della città e del teatro di manifestare la propria opposizione al femminicidio, fenomeno purtroppo dilagante. Era per me chiaro l’intento, da parte di entrambi, di salvare l’immagine del teatro da un problema evidentemente irrisolvibile; non posso pensare ad un’adesione, da parte di personalità così elevate, alla politica del disprezzo dell’opera d’arte, nemmeno per possibili motivazioni di ricerca dei ritorni economici garantiti da uno scandalo. Ancora più mi sono preoccupato leggendo le note di regia e l’intervento sui giornali del regista a commento dei fischi ricevuti alla prima: il maestro Leo Muscato, che ha un viso simpatico e intelligente, scriveva infatti che pensava di essere contestato non per il finale cambiato, ma per l’ambientazione nel campo rom. Questo, ai miei occhi significava una cosa sola: il maestro non era al corrente delle molte versioni che hanno purtroppo ambientato Carmen in un campo di nomadi in vari teatri europei nell’ultimo ventennio! Per molti registi la parola “zingaro” suscita infatti questa “idea” e poco importa che si tratti di rom slavi o gitani di origine asiatica (Vedi “Aleko” di Rachmaninov rappresentata a Nancy nel 2015 con zingari “francesi” anziché russi).
Nel libretto poi ha scritto di aver voluto far “tabula rasa” di tutto quello che sapeva sull’opera e raccontava, come se fossero dovuti, i molti tradimenti operati al soggetto originale. Nonostante tutto ciò, la mia disponibilità ad accettare le “novità” introdotte dal regista è stata completa, secondo la più pura onestà intellettuale. Ma i “tradimenti” mi hanno disturbato molto. Avrei potuto accettare l’assenza della solare piazza di Siviglia sostituita da un campo nomadi chiuso da alte pareti con filo spinato e lampioni tipo campo di concentramento, nonostante la fatica di vedere un cordone di polizia radunare in fila tipo deportazione i rom, con tanta gratuita violenza (il messaggio qual è? Suona parecchio razzista) mentre Morales canta “Sur la place chacun passe, chacun vient, chacun va”, ma la scena finale dell’opera è troppo violentemente assurda per essere accettata. Carmen è uno dei più importanti personaggi letterari: è un simbolo proprio contro quel femminicidio di cui si è parlato a sproposito, è una donna libera e fiera di seguire la propria indole senza regole e vincoli: libertà sessuale e libertà sociale; non rinuncia a ciò neppure davanti alla morte e l’affronta con coraggio spingendo quasi don José a pugnalarla, tanta è la forza con cui lo sfida. Non può essere trasformata in un’assassina! Ed è questa poi la soluzione antifemminicidio proposta? Che la donna uccida l’uomo? Messaggio che non condivido. La mia povera ragione non può accettare la scena finale come è stata proposta: Carmen ruba la pistola dalla tasca di Josè (con molta fatica, perché non esce di tasca facilmente, e quindi ci risulta impossibile credere che lui non se ne accorga) e poi gli spara. Ed ecco che il maestro Muscato ci rappresenta l’inversione del “moto sovversivo” scritto da Merimée. Peccato che Josè, a terra, ferito mortalmente, debba ancora cantare e cosa dice?: “Potete arrestarmi, l’ho uccisa io!!” rivolto ad una Veronica Simeoni chiaramente a disagio nel trovarsi ad ascoltare quelle parole, come Carmen, sanissima, in piedi davanti a José morente.
Il messaggio non è contro il femminicidio perché la soluzione proposta, quella di uccidere l’uomo, non è accettabile, per di più la donna non viene assolutamente rispettata in corso d’opera, altrimenti non si spiegherebbe la scena che rappresenta le sigaraie, normali lavoratrici, trasformate in prostitute che si offrono ai soldati (indifferenti perché impegnati a guardare gli “attacchi” del maestro): interpretazione irrispettosa del loro ruolo di lavoratrici e di donne. Non c’è nemmeno rispetto del libretto, della trama, degli elementi centrali di essa, tra cui c’è il senso del destino che nella superstizione degli ambienti zingareschi è determinante (Carmen, Frasquita e Mercedes chiedono ai tarocchi infatti indicazioni sul loro futuro): che cosa dicono le carte a Carmen? “La morte! Ho letto bene…prima io, poi lui…per tutti e due la morte!”.
“Prima io poi lui”, questa maledizione determina in Carmen un senso profondo del destino inesorabile da accettare…” inutile mischiare la carte”. Sa già in quel momento che la sua passione per Josè la condurrà alla morte e non si sottrae. Cambiare il finale significa togliere ogni valore a questo senso della vita determinata da un invincibile destino e significa entrare nel territorio dell’assurdo teatrale, dove i personaggi dicono una cosa e ne succede un’altra. A quando un Rigoletto nel quale dopo le urla del protagonista contro la maledizione, ci sia un lieto fine con Gilda che sposa il duca mentre cantano tutt’altro? O una Medea che non uccide più i figli?
L’unico messaggio che scaturisce forte e chiaro da questa Carmen è che qualcuno crede che il teatro sia finito e che si possa sfregiarlo in ogni modo. Se per uno sfregio alla “Gioconda” leonardesca si rivolterebbe mezzo mondo, nell’opera lirica, grazie all’idea di fare “mercato” e alla coscienza che è più utile uno scandalo che una produzione rispettosa, ecco che i registi più famosi e pagati sono coloro che stravolgono le opere d’arte, senza cura alcuna del tesoro che hanno la responsabilità di gestire.
Nella valutazione dell’operato del regista non riesco a prescindere da questa violenza, dall’offesa perpetrata al personaggio Carmen e a tutte le donne. Carmen è trasformata in assassina che canta il suo amore per la libertà subito dopo che, per un’altra trovata registica, Zuniga viene ucciso dagli zingari (che sono contrabbandieri, ma non assassini) nella taverna di Lilas Pastia (in realtà siamo sempre nel campo di concentramento). Ciò la rende una donna insensibile, terribile, mostruosa. Per non dire che un certo Bizet avrebbe previsto Zuniga in scena (vivo) anche nell’ultimo atto, con tanto di frasi da cantare!
Molti i momenti davvero statici e noiosi nei quali non succede nulla, perfino la rissa tra le sigaraie si limita a qualche gesto minaccioso di un gruppo all’altro. Brutta l’idea di far sentire la voce della madre quando José legge la lettera.
Un ultimo accenno sul quarto atto, dove la tribù degli zingari viene sorpresa all’esterno del reticolato e costretta a pagare il biglietto per entrare nel solito campo, dove assiste in televisione alla corrida. Escamillo dunque è in un altro luogo e il regista deve conseguentemente inventarsi che il torero telefoni a Carmen. Ma allora perché la gelosia omicida di don José, se Carmen non ha seguito il torero?
Pensare che se ci fosse stata una regia non tanto assurdamente incoerente con il soggetto trattato, saremmo a commentare un trionfo, perché la parte musicale della produzione era degnissima. Potente la conduzione di Ryan Mc Adams, che non ha avuto paura di rischiare a tratti velocità quasi azzardate, ma efficacissime, esaltando le qualità dell’orchestra del Maggio Fiorentino, una volta di più impeccabile nel suono e nella docilità con la quale ha assecondato il gesto del maestro sia sul piano ritmico che dinamico, con eccellenza dei fiati nel canone del preludio al terzo atto e pagine quasi mahleriane per colore ed intensità intimistica. Mirabile il difficilissimo quintetto, condotto con maestria da McAdams: un piccolo gioiello di precisione ed efficacia.
Cast all’altezza, anche se un po’ “leggerino” nei protagonisti. Veronica Simeoni si è disimpegnata bene vocalmente, nonostante un timbro quasi sopranile, e con grande perizia ha brillato proprio nell’aria delle carte, la meno consona al suo colore di voce, segno di maturità artistica e tecnica che le ha permesso un legato da grande interprete. Ma è mancata nella parte teatrale, costretta dalla regia ad essere una donna strana, nella quale era impossibile riconoscere la Carmen di Merimée e Bizet, sostituita da una donna al contempo fragile e feroce, vittima ed assassina, lontanissima dalla provocatoria sensualità che siamo abituati a riconoscere nel personaggio, figlio di quella libertà che la gitana persegue come ideale e metodo di vita. Simeoni ha cercato di interpretare un personaggio credibile in una situazione di assurdo teatrale, ma il suo personaggio, costretto dalla situazione esterna, è riuscito svuotato di protervia, di provocazione, di animalità, di istintività. Insensibile alla morte di Zuniga con il quale aveva pur avuto una relazione, non innamorata pressoché mai di don José, troppo fredda, a tratti quasi timida. Si è avuta l’impressione che l’interprete non capisse bene il personaggio partorito dalla mente del regista e, pur impegnandosi, non lo riuscisse a interpretare. Ha cantato bene, sempre, ma a volte in modo troppo educato.
Leggera vocalmente anche Laura Giordano che ho da poco recensito in “Sonnambula” in questo stesso teatro. Là aveva dominato la scena, qui palesa un po’ di disagio, pur padroneggiando perfettamente l’estensione e il fraseggio. Laura è un’artista matura e di altissimo livello, lo si vede nel dominio tecnico della voce e dei fiati. Se qualcosa è mancato a livello timbrico, non è sicuramente una sua colpa. Costretta in improbabili costumi per foggia e colore, il suo personaggio è rimasto un poco soffocato dal contesto, come quello di tutti.
Bene Roberto Aronica, nonostante una pronuncia francese non sempre fluida, problema comune a molti del cast nei recitati parlati (e tagliati), spesso eseguiti da tutti, per acquistare volume, con un curioso accento nipponico. Aronica, sicuro nell’emissione e nel fraseggio, ha regalato momenti molto intensi, limitandosi però nella generosità del suono in acuto. Solido sempre, si è impegnato anche a dare credibilità ad una romanza della “Fleur” cantata da solo in scena e all’assurda morte finale prevista dalla regia. Bene nei pianissimi, eseguiti senza quasi mai rinunciare al colore. A disagio ovviamente nel tratteggiare un personaggio violento a prescindere, non solo perché disperato per amore.
Simone Alberghini, chiamato a sostituire un collega indisposto, è stato un Escamillo troppo leggero, dimostrando ancora una volta la difficoltà di questo personaggio, che richiede in realtà un bass-baritone in grado di dare esplosivo volume in zona centrale sull’aria di entrata e poi di affrontare un duetto decisamente baritonale con il tenore (nella scena del duello, scena nella quale il regista arma solo uno dei due contendenti, o si è trattato di un errore?). Alberghini non brilla nell’aria, spesso coperto dal coro, mentre si riscatta nel duetto, con una zona acuta assolutamente sicura. Ma che ci faceva un torero in un campo rom?
Molto bene Frasquita e Mercedes (Eleonora Bellocci e Giada Frasconi), la seconda con un interessantissimo colore scuro mezzosopranile. Precise musicalmente e vocalmente ed efficaci sulla scena, meritano di essere riviste in ruoli di maggior soddisfazione.
Bene anche tutti gli altri componenti maschili del cast: il Dancairo di Dario Shikhmiri, il Remendado di Gregory Bonfatti, il Moralès di Quianming Dou, lo Zuniga di Adriano Gramigni. Un livello eccellente di solisti, come quasi sempre al Maggio.
Ottimo il coro degli adulti diretto da Lorenzo Fratini e quello delle voci bianche, splendido anche scenicamente.
MARCELLO LIPPI
Autore e Critico Musicale per la Cultura di Young diretta da David Colantoni
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio a La Spezia, Alessandria, Udine, Ferrara e ora a Rovigo
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS a cura di da Alessandra Lischi, Maria Antonella Galanti e Cristiana Torti dell’Università di Pisa. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa