Nabucco, Teatro Goldoni di Livorno, 24 novembre 2017
Luci ed ombre al teatro Goldoni di Livorno in occasione dell’inaugurazione della stagione 2017-18. Il teatro Goldoni merita innanzitutto un grandissimo elogio per l’attività di sviluppo culturale che promuove nell’ambito cittadino, tanto da essere un punto di riferimento in Toscana, insieme ai teatri di Firenze, Pisa e Lucca, spesso operando con budget non eccezionali e dovendo soppesare con il bilancino i costi delle produzioni alle quali tuttavia, giustamente, non rinuncia, salvaguardando la propria identità, storia e tradizione. Forte di una direzione artistica tra le più longeve, si è da tempo volutamente e forzatamente incanalato su una promozione di giovani talenti al fine di sviluppare due azioni contemporanee: da un lato fungere da faro formativo per i cantanti, che attraverso LTL Opera Studio, il Cantiere Lirico e la nuova Opera Studio trovano modo, attraverso corsi, purtroppo non sempre gratuiti, di verificare con docenti prestigiosi le proprie qualità e di finalizzare la preparazione ad un effettivo debutto in palcoscenico, dall’altro di contenere moltissimo i costi e far quadrare il budget del teatro. Fatta questa premessa, comprendendo perfettamente le ragioni di alcune scelte, meno di altre, siamo a recensire un debutto di stagione con un titolo amato e molto noto al pubblico, che da sempre fa tremare un po’ i polsi alle direzioni artistiche perché esige interpreti dio grande valore vocale e scenico. Opera giovanile di Verdi, ma opera della sua affermazione, “Nabucco” ha poi bisogno di una regia potente, capace di animare, contestualizzare e vivificare una fondamentale staticità dovuta al libretto di Solera ed alla musica di Verdi, che non aveva ancora maturato la sua scienza teatrale, preoccupandosi più della musica che della congruità delle situazioni sceniche.
Leggere sul pamphlet di presentazione che in quest’opera ci sarebbero stati molti debutti e l’inserimento di giovani e meno giovani alla prima esperienza nel ruolo o provenienti dai corsi di formazione poteva dare un poco d’ansia allo spettatore ed effettivamente non tutto è filato liscio nella serata.
Le scenografie, provenienti dalla SOCIETA’ CULTURALE ARTISTI LIRICI TORINESE “F.TAMAGNO”, una delle sette imprese liriche riconosciute dal Ministero per lo spettacolo dal vivo e guidata da anni dalla signora Angelica Frassetto, consistevano in elementi staccati, intercambiabili e facilmente spostabili, senza ingombro di fondali o quinte, sostituite dalle normali quinte nere del teatro. Sullo sfondo uno schermo in pvc sul quale il gioco di luci era accattivante ancorché non molto vario. Questi elementi evocavano una situazione più che tratteggiarla, ma erano efficaci perché la visuale, grazie appunto al sapiente lavoro di illuminazione, era godibile e funzionale.
L’orchestra sinfonica “Città di Grosseto”, scritturata per l’occasione con il suo maestro stabile Marco Severi alla guida, ha onestamente condotto a termine la serata, senza quell’impasto sonoro che ci saremmo aspettati, senza la pastosità nei piano e con qualche furore ritmico e dinamico di troppo nei forte. Complessivamente buona la sua prova come quella del maestro che, messo spesso al cimento da una strana imprecisione ritmica dei solisti sul palcoscenico, reggeva l’impatto mantenendo vigorosamente unita la compagine. Mi sono sembrate sin dall’inizio un po’ eccessive alcune accelerazioni improvvise, sin dalla sinfonia sul tema de: “Il maledetto non ha fratelli”, mentre è stata assolutamente deludente la condotta orchestrale sul coro “Va pensiero”, troppo rapido e senza la dovuta attenzione dinamica a quei rallentandi ed accelerandi a piacere del maestro che sono il segno distintivo della grande interpretazione. Il brano è talmente atteso dal pubblico che in ogni caso viene applaudito con richiesta di bis, immediatamente soddisfatta, ma penso che il maestro Severi e la sua compagine, per la loro qualità, potessero regalarci un’esecuzione più ricercata del coro e dell’opera intera, senza sovrastare i cantanti in pagine nelle quali l’orchestra dovrebbe soltanto seguire il solista come “Nel futuro discerno” di Zaccaria.
Nel cast molto netta la separazione, come esperienza e qualità, tra le interpreti femminili e quelli maschili.
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Dimitra Theodossiou ci ha regalato un’Abigaille a tutto tondo, esperta, dominatrice della scena, calata nel personaggio tanto da permettersi dei piano improvvisi in punti ove alcune sue colleghe strillano impetuose e poi di dare in altri punti pieno sfogo alla propria voce; tranne alcune minime incertezze di “passaggio” all’inizio dell’opera e con qualche libertà di troppo nella scelta dei punti di respiro, è stata una grande interprete del personaggio, trasmettendo sicurezza a tutto il palcoscenico e trovando un’autentica eccellenza nell’aria del secondo atto con acuti stupendi e pianissimi da brividi, che accettava di eseguire senza pausa, appena terminato il concertato finale del primo atto. La voce si è ampliata nei gravi e spesso la signora ricorre al petto in modo assolutamente magistrale, dominando nell’aria in modo eccellente la scala discendente di due ottave dal DO5 al DO3 tanto temuta da molte sue colleghe. Più portata in passato ai grandi ruoli lirici, si sta rivelando da tempo ottima interprete di quelli drammatici, tra i quali Lady Macbeth, ma non dimentica l’arte del cantare sul fiato e del legato e sia nell’aria “Anch’io dischiuso un giorno” che nel finale dell’opera dona momenti di commozione e di Bellezza.
Laura Brioli, livornese di adozione e docente nell’opera studio cittadina, è quasi perfetta; in tutta l’opera possiamo rimproverarle solo un’eccessiva apertura del LA finale in “Oh dischiuso è il firmamento”. In tutto il ruolo è stata eccezionalmente brava, con la sua voce brunita e matura, interpretando una Fenena che avremo il piacere di ricordare con gioia. L’emissione è morbida, l’accento sofferto, pensoso, il personaggio autorevole e magico, nel suo contenere la gestualità al minimo. Ha dominato la scena pur avendo a disposizione un ruolo non grande e privo di arie vere e proprie. Davvero in grande forma vocale e scenica.
Unisco all’elogio per le voci femminili anche la livornese Valeria Filippi, sicura e precisa nel ruolo di Anna, nel quale riesce a risaltare, pur non essendo protagonista.
Ombre invece, come detto, nel settore maschile che hanno inciso notevolmente sulla serata.
Vocalmente sicuro il Gran Sacerdote di Alessandro Ceccarini, voce brunita, corretta nell’emissione e nel fraseggio, deve trovare un po’ più di proiezione, ma promette molto bene per il futuro. Ha affrontato il ruolo senza timore reverenziale e se, attorialmente, mostra ancora un po’ la giovane età, vocalmente ha seguito il maestro con precisione ed affidabilità.
Buona la vocalità di George Andguladze, giovane basso georgiano alle prese per la prima volta con il ruolo di Zaccaria. Ha affrontato con timore la prima aria “Sperate o figli”, respirando in modo affannoso e con molti attacchi del suono dal basso, per cui raggiungeva l’intonazione sempre con un attimo di ritardo. Il colore si avvertiva buono, ma il fraseggio era teso, nervoso. Rinfrancatosi, ha poi eseguito in modo magistrale la preghiera “Tu sul labbro de’ veggenti”. Non aiutato dalla regia a creare un personaggio credibile, (Ma quale sarà stato il problema con il trucco per cui tutti i personaggi avanti con gli anni si sono presentati in scena sembrando dei trentenni?) non si è concentrato molto nella parte attoriale, pensando quasi solo a cantare ed abbiamo assistito ad una comica entrata in scena durante gli applausi finali del “Va pensiero”. L’artista è entrato aggiustandosi il vestito come se non fosse sul palcoscenico, ma in camerino, e poi, avvisato dal maestro che ci sarebbe stato il bis, è uscito mostrando contrarietà. Splendido l’acuto finale con cui ha terminato l’opera, segno che aveva soltanto bisogno di prendere confidenza con il ruolo.
Corretto l’Abdallo di Federico Bulletti.
Le dolenti note della serata riguardano l’Ismaele di Giuseppe Raimondo e soprattutto il Nabucco di Mauro Bonfanti. Nel primo caso posso capire l’operazione formativa di inserire un giovane proveniente dal percorso di Opera Studio, nel secondo caso mi sfuggono completamente le motivazioni. I due artisti infatti non possiedono la vocalità per il ruolo in oggetto.
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Nel caso del giovane Giuseppe Raimondo abbiamo avuto un’esecuzione correttissima del ruolo, precisa musicalmente e vocalmente generosa. Ma il timbro purtroppo, sin dalla prima entrata in scena veramente da brividi, denota chiaramente che l’artista non ha la vocalità per sostenere il ruolo, è molto più leggero del necessario. Si impegna a fondo, amplia la sonorità a livello orale e toracico, si espone coraggiosamente ai rischi di una parte non impervia, ma scoperta, ma rimane il fatto di un timbro inadeguato, stretto, compresso, non eroico. Raimondo è solo da elogiare: ha fatto a livello tecnico tutto quello che poteva per garantire il massimo rendimento e ha fatto bene a cogliere l’occasione di un debutto importante. Spero che possa dedicarsi in futuro a ruoli più consoni al colore della sua voce.
Non comprendo invece né perché sia stato scelto, né perché abbia accettato il ruolo Mauro Bonfanti che non è un ragazzino, ma un serio professionista da me stimato. Sin dalla prima entrata in scena è palese il disagio. Dovrebbe essere tonante e minaccioso il suo “Di Dio che parli” invece è una frasetta buttata lì con una voce chiara, non appoggiata, e così è stata tutta la sua prova, trovando credibilità solo nel legato in pianissimo e cambiando continuamente colore della voce tra suoni troppo chiari e senza “maschera” e suoni intubati e trattenuti nel cavo orale quando cercava di creare un colore artificioso. Irregolarità ritmiche, cambi di testo, note “parlate”, note “gridate”, la difficoltà è stata sempre palese e nel foyer del teatro non si è parlato d’altro che di questo, perché Bonfanti è un’ottima persona e gli spettatori erano molto dispiaciuti. L’imbarazzo poi era aumentato da una recitazione amatoriale: un re non può gesticolare e muovere continuamente il corpo per aiutare la fonazione; l’autorità esige movimenti misurati e precisi. In questo caso è mancata l’azione di controllo da parte della regia. Non vorrei soffermarmi ulteriormente su una prova infelice, perché ho molto rispetto dell’interprete come persona ed artista. Per un artista che è uso ai ruoli brillanti, che è stato un buon Figaro pochi mesi fa, che canta bene Beaupertuis, mi sento di suggerire di aver riguardo alla propria vocalità non oltrepassando la vocalità donizettiana.
Riguardo alla regia devo purtroppo constatare che non mi è quasi pervenuta: l’idea di affidarla a Matteo Anselmi, ventinovenne attore torinese al suo totale debutto in un’opera sarà sicuramente da collegarsi ad un rapporto con l’impresa torinese Tamagno, ma certamente è stato un poco azzardato affidargli l’inaugurazione della stagione. Non che abbia fatto una regia non valida, intendiamoci, semplicemente non mi è stato possibile riconoscerne il lavoro. I solisti sembravano muoversi sul palcoscenico improvvisando i movimenti, senza approfondimento dei personaggi, senza cura dei particolari; l’impressione mia, assolutamente soggettiva, è che il regista si fosse limitato a “dare le posizioni”. Normale per un regista debuttante che si trova a lavorare di colpo in un mondo assai più complesso della prosa. Se Anselmi ha ben predisposto gli elementi scenici e ben curato le luci, ed in questo è stato assai bravo, sui movimenti in scena è stato assolutamente lacunoso non sforzandosi di rompere la fissità imposta dal libretto di Solera e lasciando liberi i cantanti, soprattutto i debuttanti e soprattutto Nabucco, di gesticolare in modo irragionevole, credendo così di aiutare il canto. Ovviamente chi scrive è abbastanza esperto di teatro, ma negli anni ho maturato la convinzione che troppo spesso si giustifichi con un “simbolismo” non meglio precisato azioni che sfuggono alla ragione e che, per lo spettatore, la percezione della scena come “realistica” sia fondamentale per la comprensione della storia. Anselmi è dunque da elogiare per non aver trasposto temporalmente l’opera ed essere stato fedele al libretto originario, ma ci sono state alcune situazioni che non potevo non cogliere come errori: il popolo ebraico viene dipinto come eccessivamente imbelle e privo di capacità di reazione, ma sappiamo storicamente che non fu così. Abigaille entra in scena da sola senza soldati e tutto il popolo rimane paralizzato dalla paura: può essere credibile, per quanto imperiosa potesse essere la voce dell’interprete? E i 4-5 soldati babilonesi che l’accompagnano entrano in seguito, lentamente, uno per uno per essere sul ritmo della musica. Mai i soldati invasori hanno un comportamento minaccioso tale da mettere paura ad un popolo fiero e coraggioso come quello ebraico, anzi ad un certo punto addirittura escono di scena. Il budget avrà imposto un taglio al numero dei figuranti, ma si poteva con il costume o le armi dare un aspetto più bellicoso ai pochi presenti. Anselmi, che è uomo di teatro, saprà in futuro imporre maggiormente la propria personalità ed evitare, o far evitare, errori scenici come quando Abigaille giura vendetta a Fenena cantando sul viso della sorellastra a pochi centimetri parole che l’altra non avrebbe dovuto sentire. Molto deludente la scena del fulmine: un flash con le luci e il re che si toglie da solo la corona con la mano e la butta per terra….
Il teatro Goldoni di Livorno conduce meritoriamente da anni un’azione di valorizzazione delle eccellenze locali; ciò è molto importante per i giovani (e meno giovani) che vivono nella città e che trovano così uno sbocco lavorativo “domestico” ai propri studi ed alle proprie fatiche. Brioli, Filippi, Bulletti sono concittadini e locale è anche il Coro Lirico Livornese che si è ben disimpegnato nel ruolo da coprotagonista che ha in quest’opera. Diretto dal giovane maestro Flavio Fiorini, cresciuto ai corsi dell’opera studio, il coro ha dimostrato buona preparazione ritmica; l’unico problema dimostrato, soprattutto nel “Va pensiero”, è stato la prevalenza sonora degli elementi maschili su quelli femminili. Piccolo incidente al “Viva Nabucco” d’ingresso del protagonista: alla frase potente di Abigaille rispondono solo pochissimi elementi del coro (che avrebbe dovuto essere un secondo coro in quinta). Buona comunque nel complesso la prova.
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MARCELLO LIPPI
Autore e Critico Musicale per la Cultura di Young diretta da David Colantoni
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio a La Spezia, Alessandria, Udine, Ferrara e ora a Rovigo
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS a cura di da Alessandra Lischi, Maria Antonella Galanti e Cristiana Torti dell’Università di Pisa. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa