Trovatore – Teatro Verdi di Pisa 10 novembre 2017
E’ stata una bellissima emozione tornare a rivedere, da spettatore, il teatro pisano e il primo impatto è stato positivo: il teatro nella sera del 10 novembre 2017 era quasi pieno, segno che il cammino di questi ultimi anni prosegue e che l’affetto del pubblico lo circonda e premia con una soddisfacente affluenza.
Questa coproduzione con i teatri di Modena e Reggio Emilia vanta scenografie provenienti dal teatro Verdi di Trieste e soprattutto una bacchetta tra le più prestigiose: Andrea Battistoni, direttore principale della Tokyo Philarmonic Orchestra e del teatro Carlo Felice di Genova, dimostrazione ancora una volta di come il genio non dipenda dall’età, in questo caso giovanissima, dell’artista. Il rapporto tra il maestro e il palcoscenico è perfetto, con una grande attenzione all’originalità (per esempio nel coro degli zingari tenuto volutamente ad un tempo più lento del consueto) e nello stesso tempo alla tradizione, regalandoci dei meravigliosi “accelerando” e “rallentando” nelle arie di Leonora. Il suo gesto è chiarissimo, come sono le sue intenzioni e, avendolo appena ascoltato al Carlo Felice nel Requiem mozartiano, devo constatare con gioia che il suo estro gli permette di passare da un genere all’altro con totale padronanza dei mezzi, del tempo e dello spazio. Ottima l’orchestra dell’Opera Italiana creata per dare lustro all’Italia e a Verdi per tutti i teatri del mondo e in questa occasione capace di trasmettere, sotto la guida di Battistoni, emozioni forti ed autentica gioia per le orecchie ed i cuori.
Eccellente il coro Merulo di Reggio Emilia, preparato da Martino Faggiani, soprattutto nelle sezioni maschili, che hanno saputo, cosa rara, passare da sonorità potenti ai pianissimo senza togliere mai l’appoggio alla voce, né ricorrere a trucchetti come la diminuzione degli elementi cantanti: un’ottima tecnica di canto corale. Peccato la regia non abbia osato di più il movimento, con il risultato che troppo spesso i cantori sono stati immobilizzati in una posizione “da concerto” che mal si sposava con lo svolgersi della vicenda , ma era comunque coerente con la staticità del contesto.
Vittoria Yeo è un soprano in grande ascesa, pressoché stabilmente in cartellone nei prossimi mesi a Firenze, Roma e Venezia, una garanzia nel ruolo. Il personaggio che disegna è delizioso, finalmente credibile, dopo tante Leonore matronali. Vittoria dà corpo ad una fanciulla innamorata, dalla voce dolce e giovane, sempre ben assecondata dal direttore, attentissimo a valorizzarne ogni più piccola pennellata timbrica ed è pienamente convincente nel suo percorso emozionale attraverso l’intricatissima trama del Gutierrez. Perfino nella scena dell’eroismo il suo accento vocale è pateticamente commovente, giovane, vero. Grande interprete del ruolo, che affronta con sicurezza anche nel temuto do della prima aria, attendo di ascoltarla presto in Bohème, Butterfly e Battaglia di Legnano.
Credo molto in Leonardo Gramegna. Generoso vocalmente, ha trovato un legato molto interessante, che gli permette un fraseggio di buon livello. Come tutte le voci che corrono molto in sala, deve riporre però un po’ più di attenzione a certe frasette ritenute meno importanti laddove le vocali si fanno improvvisamente troppo aperte e il legato viene meno. Allo stesso modo non può permettersi in arie importanti ed attese dal pubblico di arrivare a corto di energie. Ma sono piccole cose da migliorare da parte di un interprete intelligente e sensibile. Non credo che il famigerato “Allarmi!” della “Pira” che tanto fa tremare i polsi ai tenori possa impensierirlo visto che ha la zona acuta molto facile; troverà il modo di essere un poco più rilassato nell’abbordarlo puntando più sulla proiezione che sull’apertura del cavo orale. II suono era sicurissimo ma non sufficientemente proiettato. Dal punto di vista attoriale avrebbe avuto bisogno di maggior cura da parte del regista.
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Non posso trattenermi dal provare un’immensa simpatia e stima per Sergio Bologna, ottimo Conte di Luna, pensando a quanto bravo egli sia da sempre e quanta fatica abbia fatto per affermarsi negli anni passati. Non conosco un professionista più serio e preparato, più disponibile e caro con i colleghi, più sicuro nell’emissione e bravo come attore, eppure solo in questi anni ottiene finalmente il meritato riconoscimento come uno dei migliori baritoni sul mercato. Il suo conte di Luna è validissimo, sicuro, protervo, forte, scuro, potente. Un interprete che ogni direttore artistico vorrebbe avere nel proprio teatro.
Silvia Beltrami è un’artista intelligente e grazie a questa dote riesce ad essere in palcoscenico in un ruolo che richiederebbe una voce più scura e demoniaca della sua. E’ costretta a vigilare su ogni suono chiedendo al proprio corpo di “forzare” sempre un poco l’emissione, ricorrendo costantemente ad un intenso appoggio sul muscolo addominale che va a scapito della proiezione. “Fa” il personaggio, bene, ma non riesce, ancora, ad “esserlo”. Del resto la ricordo in repertori ben diversi, credo abbia bisogno soltanto d’un poco di adattamento e di confidenza nell’affrontare una vocalità da “strega”. Anche dal punto di vista attoriale, e qui il regista non l’ha aiutata, ricorre a tutto quel repertorio di roteazioni delle braccia e strabuzzamenti degli occhi che, se erano storicamente la normale caratterizzazione del personaggio, rispetto alla moderna attorialità rischiano di trasformare il personaggio in una “macchietta”. La voce è molto interessante, il fraseggio anche, credo che in poco tempo, dominando maggiormente il personaggio, lo potrà affrontare ai massimi livelli.
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Ho ritrovato con immenso piacere Francesco Milanese nel ruolo di Ferrando. Fui tra i primi a credere in questo artista e a maggior ragione ci credo dopo averlo ascoltato a Pisa. Interpreta un Ferrando sicuramente meno truce del consueto, disegnando la melodia con un fraseggio accuratissimo ed elegante. Non cerca i suoni abbassando la laringe come molti suoi colleghi che “pescano nel profondo”, ma tiene i suoni in proiezione, delineando un personaggio efficacissimo e molto nobile. Battistoni, con la consueta intelligenza musicale, lo aspetta quando ha bisogno di rallentare un poco la linea melodica. Bravi tutti i comprimari, a partire dalla Ines di Simona di Capua.
Il commento più diffuso tra gli spettatori nel foyer a metà e alla fine della serata riguardava la grande oscurità di questo spettacolo e indubbiamente è un dato di fatto, ma è l’opera stessa a richiederla, non è del tutto una scelta registica. Verdi ha scritto pochi momenti nei quali, volendo, si sarebbe potuto dar respiro al pubblico, ma così non è stato in questa produzione. La presenza come unico elemento scenico di due scalinate, molto belle e funzionali, che, ruotando, compongono i vari ambienti è stata una scelta vincolante, opprimente a tratti, evocando un ambiente che stava a metà strada tra un cupo castello medievale e il mondo industriale di “Tempi moderni”. Bello, ripeto, come effetto visivo, particolarmente nelle proiezioni (mirabile l’occhio della strega che si trasforma nella luna) e molto funzionale. L’apparizione di uno shosi che faceva pensare a Madama Butterfly mi ha inizialmente sorpreso, ma l’uso intelligentissimo di questo, che, grazie alle proiezioni, diventava muro impenetrabile allo sguardo o viceversa lasciava scorgere improvvisamente i personaggi in trasparenza è stato efficacissimo per risolvere i molti cambi di scena che la trama dell’opera richiede. Plauso quindi alla regia di Stefano Vizioli ed alla scenografia di Alessandro Ciammarughi, che firma anche i costumi con la consueta eleganza stilistica, suscitando solo un po’ di perplessità sui costumi degli zingari, davvero particolari. Non avrei sottolineato continuamente le scene di duello facendo diventare rossa la proiezione, è cosa ormai troppo frequentata e ovvia, ma è piccola cosa nel quadro di un lavoro ben condotto a termine. Vizioli lavora abbastanza bene sulla naturalezza dei gesti e dei rapporti tra personaggi, aiutato sicuramente dalla morbidezza gestuale della Yeo; la staticità cui abbiamo accennato è dovuta ancora una volta al Gutierrez più che al Vizioli, che pur rinuncia troppo al movimento dei personaggi, limitandosi a far loro assumere posizioni base nei momenti più eroici, pensando insomma più alle ragioni del canto che a quelle del realismo scenico.
La regia scorre corretta, con piccolissimi errori, come costringere la povera Ines a cantare il pertichino sulla cabaletta di Leonora molti metri indietro alla collega e quindi inudibile al pubblico oppure calcare sul fatto che Manrico si sia ferito nel duello e quindi sia esanime a terra a inizio atto, per poi farlo rialzare poco dopo sanissimo per il duetto con la madre. Efficacissima la scena del convento, con un muro ad angolo ad isolare le suore (ottime le luci di Franco Marri) dagli armigeri del conte, ma nel terzo atto (qui secondo) si avverte la necessità di un cambiamento della scena più sostanziale che non la continua modificazione della posizione delle scale. Almeno nel duetto d’amore si poteva forse dare una luce più soffusa e dolce. Nel duetto con Leonora, Gramegna si concede qualche presa di suono dal basso che non gli si confà, come pure cerca eccessivamente i pianissimi (“Ah sì, ben mio”) ed affronta con insufficiente leggerezza le agilità mentre le Yeo sorprende per l’ottima tessitura grave. E’ un’eroina che rimane donna. E mentre la scena diventa sempre più oscura e il pubblico ha l’impressione di assistere alla scena della tomba in “Aida”, il regista ci regala alcuni spunti di bellezza (come il coro sulle scale o il carcere) e di ovvietà, come il fondo rosso durante la “Pira”. Il pubblico si è dimostrato nel complesso contento, con successo equamente distribuito tra gli interpreti con preferenze per Battistoni, Bologna e Yeo
( per tutte le immagini photo credits IMAGINAIRUM CREATIVE STUDIO)
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MARCELLO LIPPI
Autore e Critico Musicale per la Cultura di Young diretta da David Colantoni