L’idea, vincente o perdente, ma l’IDEA. Ecco cosa fa di un regista un grande regista. Non importa che sia rispettoso dell’ambientazione voluta dal compositore o la stravolga, ma deve avere in mente un’idea forte, una fede, una gioia interiore nell’affrontare il lavoro, che non può essere boria autocelebrativa o interesse venale o di carriera: dev’essere amore per quell’oggetto, per quell’opera che gli è affidata non perché ne faccia una cosa propria maneggiandola a suo piacimento, ma perché la doni al pubblico vivificata dalla fiamma dell’arte e della passione.
Pier Francesco Maestrini è un figlio d’arte, un regista ormai affermato, ma è rimasto un ragazzino dentro e questo si vede nella passione, nella furia creativa che mette nel suo lavoro. Mette in scena questo Elisir d’amore a partire da un enorme desiderio di divertirsi e noi ci siamo divertiti con lui, ridendo delle sue trovate, seguendolo come bambini desiderosi di essere stupiti ad ogni passo. Con una regia così curata in ogni dettaglio e così briosa, era impossibile non fare una considerazione di fondo: tutti quei tagli alla partitura donizettiana che si fanno di solito e vengono chiamati “di tradizione” sono resi necessari solo dalla poca passione e invettiva dei registi e dall’incapacità dei direttori. Con Maestrini e con il magnifico Fabrizio Maria Carminati, del quale non si sa più quanti elogi spendere per le sue direzioni, soprattutto donizettiane, abbiamo assistito a un’edizione integrale della partitura senza la minima stanchezza nelle ripetizioni. Tutto era talmente gioioso e bello da vedere e da sentire! Potessi sempre scrivere così di uno spettacolo!
Eccomi così a raccontare di un’”Elisir d’amore” ambientato negli Usa, nel primo atto in un campo di mais e nel secondo in un americanissimo Fast Food: l’”Adina’s Road Food”. L’immagine davanti ai nostri occhi, complici le luci stupende e i colori vivaci, è incantevole, come lo sono le Country Girls, sia le due protagoniste Adina e Giannetta, sia le quattro ballerine che in pantaloncini corti, stivali, cappello da cowboy e camicette succinte, aumentano la bellezza visiva dello spettacolo.
Belli e giusti sono anche i personaggi maschili, cosicché la trasposizione funziona a meraviglia.
Maestrini gioca: si diverte e fa divertire, cosicché dalla platea partono molte risate unite agli applausi. La sua fantasia viaggia veloce, con colpi rapidi, come il costringere il povero Nemorino a fare l’uomo-sandwich di un locale, vestito da pollo, aprire il secondo atto sulle note che introducono la festa nuziale con i Village People in proscenio, fare arrivare Dulcamara in auto (cosa già vista molte volte questa, ma sempre efficace), inserire di tutto tra la gente del villaggio, perfino due Hare Krishna, una Mamie ecc. , inserire nel locale un toro meccanico e far mangiare ai protagonisti del pop-corn, creare un personaggio di Nemorino commovente e capace di prendere a testate dalla disperazione il banco dello stand dove si vendono baci. Tutto molto carino, tutto funzionalissimo al divertimento collettivo. Il pubblico, moltissimi i giovanissimi, è coinvolto da subito. L’idea trascina e i solisti partecipano al gioco mettendosi a repentaglio, spesso danzando, correndo, insomma partecipando al rito collettivo con grande entusiasmo come sempre dovrebbe essere. Perfino le goliardate che Maestrini si concede (Adina che colpisce nel basso ventre Belcore, lo stesso Belcore che per far colpo su di lei si infila nei pantaloni uno straccio per aumentare le dimensioni della sua virilità) passano nella letizia generale come momenti di ammiccamento del regista al pubblico.
Gli serviva un direttore capace di umorismo e il maestro Carminati ne ha dato grande prova accettando anche degli inserimenti parlati non originali, uno dei quali di Belcore, qui trasformato in istruttore di reclute in stile Full Metal Jacket, pieno di parolacce, oppure l’inserimento dell’inno dei marines quando entrano i soldati, o ancora Dulcamara che dice “Bourbon” con accento spostato alla francese invece di “Bordeaux” nell’aria. Si dice giustamente che si vede il grande direttore quando sa come rimediare alle piccole defaillance degli artisti e Carminati lo ha dimostrato riacchiappando il coro che, a causa della grande distanza dal maestro nella scena del matrimonio, ha avuto un lieve momento di dissesto ritmico. Per il resto il maestro conduce con grande sicurezza, tempi perfetti, attenzione alle voci, plasmando a volte tempi e colori sulle caratteristiche vocali degli interpreti. Grande prova davvero!
Per quanto riguarda i solisti mi urge cominciare da Dulcamara perché Fabrizio Beggi ha ricevuto da Dio una voce importantissima, squillante, stentorea, brunita e capace allo stesso tempo di sillabati rapidissimi. Essendo poi good-looking restituisce appieno quel personaggio truffatore elegante e donnaiolo che il regista aveva pensato. Sempre simpatico e sempre a posto musicalmente e scenicamente ci ha regalato un dottore di sicuro impatto che resta nella memoria. Questa dote vocale baritonale del Beggi, ha creato ovviamente un po’ di squilibrio nei duetti quando il collega di turno non era dotato della stessa vocalità prorompente: è il caso sia di Adina che di Nemorino, ma Beggi ha saputo quasi sempre moderarsi efficacemente.
Adina era Mihaela Marcu, impegnata a creare un personaggio decisamente più emancipato dell’Adina consueta, più in linea con quello che il personaggio in realtà canta “Per guarir da tal pazzia, ch’è pazzia l’amor costante, déi seguir l’usanza mia, ogni dì cambiar d’amante”. Spigliata, emancipata, provocante, alle prese, lei sì, con qualche pagina in più dovuta alla versione integrale che le causa un po’ di stanchezza in “Il mio rigor dimentica” e qualche variazione non proprio a fuoco, con dissonanza non voluta nel duetto con Dulcamara. La voce è delicata, dolce, adattissima al personaggio, quantunque non sempre “in punta”. Prova molto positiva la sua.
E mi sento, mi perdonerà Nemorino se lo faccio attendere un minuto ancora, di elogiare anche la superba Giannetta di Giulia Bolcato, che, con la complicità del regista, sa ricamarsi uno spazio che questo personaggio di solito non ha. Molto brava vocalmente e molto carina, solo un po’ fuori posto quando tutti la rifiutano all’inizio come fosse il brutto anatroccolo, proprio perché in realtà è molto bella. Alla fine si unisce a Belcore per un altro guizzo di fantasia del regista.
Juan Francisco Gatell è vocalmente ai limiti del personaggio di Nemorino, perché risulta più leggero del dovuto, con acuti a volte falsettati senza il dovuto appoggio. Inizia in modo incerto, con un po’ di tensione fisica di troppo, cosicché non convince su “Quant’è bella”, ma bisogna attendere “Una furtiva lacrima” per avere un’interpretazione vocale di spessore. Canta molto bene, dolce, legato, con fiati lunghi e grande disponibilità a seguire la fantasia del regista. Non deve essere stato indolore cantare il primo atto dentro un pesante costume da pollo! Vince, perché il suo personaggio è delizioso. Dobbiamo dimenticarci molti Nemorini del passato per entrare nel suo, così ragazzino, così indifeso, così diverso da Adina, così minuto davanti a lei, ma proprio per questo intenerisce ed entusiasma con una prova d’attore e di cantante di altissimo livello. Il regista lo fa spogliare in mutande per ben tre volte (una dalle ragazze, una dai soldati, una da Adina): un po’ troppo sinceramente!
Molto bene il Belcore di Marco Bussi, divertente, atletico spaccone, come deve essere il personaggio. Alto e slanciato ha anche lui il fisico giusto. Il regista lo costringe ad urlare alle reclute un attimo prima di “Come Paride” cosicché le prime frasi dell’aria, poverino, le canta con una posizione vocale altissima che non gli permette di avere i gravi consueti. Li recupera subito, insieme al fiato, e ci regala un personaggio preciso e bene interpretato. La voce è valida in tutti i registri.
Molto bene il coro, diretto dal maestro Lorenzo Fratini, davvero impegnato a giocare con la regia e disponibile ad ogni cosa con grande simpatia. Musicalmente preciso ed efficace.
L’orchestra del Maggio non ha bisogno di ulteriori elogi e se il maestro Carminati ha potuto regalarci questa serata è perché in buca aveva questa sontuosa orchestra che non ha mai coperto i cantanti e ci ha incantato con assolo bellissimi.
Un plauso al team di Maestrini: Juan Guillermo Nova per le scene, Luca Dall’Alpi per i costumi, Bruno Ciulli per le luci.
Si conclude con dei fuochi d’artificio virtuali, ma con un grande grande applauso reale del pubblico soddisfatto.
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MARCELLO LIPPI
Autore e Critico Musicale per la Cultura di Young diretta da David Colantoni