La Dottoressa Ursula Franco è medico e criminologo, si occupa di errori giudiziari e attualmente è la consulente dell’avvocato Giuseppe Marazzita, difensore di Michele Buoninconti: in anteprima per Cultura di Young ci ha rivelato ciò che a suo avviso è la chiave della difesa che farebbe definitivamente crollare l’impianto accusatorio del processo giunto ormai alle sue ultime istanze.
Ursula Franco è anche consulente della difesa di un altro caso controverso, quello di Daniel e Cristina Ciocan, indagati per violenza sessuale e omicidio, che proprio in questi giorni, con il terzo rifiuto a procedere alla richiesta del loro arresto vede riconosciute le ragioni delle sue tesi. Dal luglio 2016, inoltre cura un blog di criminologia, Malke Crime Notes.
Prefazione
Noi di Cultura Young la leggiamo con interesse già da diverso tempo, e avendo notato la sua grande attività non solo di denuncia, ma di vero e proprio think thank sulla questione che ruota intorno agli errori giudiziari e gli intensi dibattiti che accende sui vari profili dei suoi social, con l’intento e la speranza di amplificare questo dibattito e accendere una riflessione tra i nostri lettori, le abbiamo chiesto di scrivere sulle pagine della Cultura di Young un intervento di suo pugno esprimendoci le sue idee su ciò che lei definisce proprio il sistema degli errori giudiziari. Errori che, questo è accertato, nella storia giudiziaria, talvolta sono emersi solo dopo anni e anni di galera di un innocente che ne ha avuto la vita distrutta, come recentemente abbiamo potuto vedere con il caso di Angelo Massaro riconosciuto innocente dopo aver trascorsi ben 20 anni interminabili di galera. Per non parlare ovviamente dell’errore giudiziario storico più famoso di sempre, determinato allora da torbidi politici, e anche allora favorito da consulenti pronti a tutto: il cosidetto affare Dreyfus, in cui intervenne, con la sua storica difesa dell’innocente Dreyfus, lo scrittore Emile Zola: la copertina di questo pezzo, che abbiamo scelto proprio dal profilo facebook della Dottoressa Franco, richiama appunto quel famoso Je Accuse.
Proprio a voler sottolineare il fatto che l’errore giudiziario elevato a Sistema, ovvero non curato e combattuto nel quotidiano del funzionamento civile, nel caso di stravolgimenti sociali e politici, come ne sono accaduti nella storia non pochi, possa fornire poi le formidabili basi per la persecuzione politica di una persona di un gruppo, di una religione o altro. Per questo pensiamo di cruciale importanza gli sforzi come quello della Dottoressa Franco di mantenere alta la guardia contro un vero e proprio vizio della democrazia che tenderebbe altrimenti a sistematizzarsi e incancrenire, finendo per corrompere completamente la cosa pubblica.
La dottoressa Franco si assume una immensa responsabilità civile e anche politica a lanciare questa sfida di denuncia di un sistema di “corruzione” innanzitutto morale, o forse di degradazione antropologico culturale, facendoci addentrare nelle segrete kafkiane di alcuni meccanismi che si mettono inesorabilmente in moto nei palazzi di giustizia dove opererebbero come consulenti personaggi che non dovrebbero nemmeno entrarci li dentro, facendo pagare a degli innocenti l’inestimabile prezzo non solo della reclusione ma anche della infamia sociale, come mole di una macina che ridurrebbero in polvere anche le anime più resistenti.
Dovremmo leggere con la massima concentrazione ciò che ci dicono persone come la Dottoressa Ursula Franco che sono dotate di competenze come le sue, medico e criminologo, capitalizzate in anni di studi durissimi, perché le persone che ci raccontano l’errore che avviene nel back stage di uno dei poteri fondamentali dello Stato quale è la magistratura, contrappeso al potere Legislativo ed Esecutivo, sono, per ovvi motivi di arduo coraggio, necessario a sfidare quello che Orwell chiamava il conformismo sociale, rarissime.
La Dottoressa Franco non è assolutamente una nemica della magistratura, come qualche lettore potrebbe superficialmente essere portato a pensare, anzi, ne è una sentinella o se preferite un sensore che a contatto diretto e quotidiano con questa dimensione, ci avverte di un grave guasto da riparare urgentemente in questo settore dell’ organo vitale della democrazia che è la giustizia e la cosa è una cosa che ci riguarda tutti, proprio adesso, come cittadini e un domani, non possiamo mai sapere, come sempre possibili e impotenti vittime di un mostruoso processo kafkiano. A ognuno di noi la responsabilità, il dovere e il diritto di valutare con intelligenza e discernimento, andando poi a fare nostri approfondimenti, di quanto ci avverte.
(David Colantoni)
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IL CASO BUONINCONTI E IL “SISTEMA ” DEGLI ERRORI GIUDIZIARI
di
URSULA FRANCO
“Il sistema giustizia è gravemente sofferente per le piaghe prodotte da alcuni P.M. incompetenti e da alcuni consulenti disonesti e uno dei “nuovi business” di stampa, tv e consulenti forensi è proprio quello di riscrivere i fatti di cronaca a scapito della verità e soprattutto in funzione rafforzativa di questo sistema dell’errore giudiziario consapevole. Nel nostro paese troppo spesso carente della cultura della verità i consulenti forensi sono spesso dei mercenari che si piegano alle necessità di chi li ingaggia, altrimenti non si spiegherebbe il perché, così frequentemente, consulenti di parti avverse affermino cose diametralmente opposte dopo aver analizzato gli stessi dati tecnici. E’ ormai una regola, un noto gioco delle parti che nessuno è interessato a censurare e che ha un ruolo di primo piano nelle lungaggini del nostro sistema giudiziario. Jacques Vergès nel suo libro Gli errori giudiziari sostiene che “Gli esperti sanno compiacere coloro che li fanno lavorare…”.
Innumerevoli testi americani sull’errore giudiziario definiscono partigiani i consulenti che manipolano i dati. Tra i consulenti, i più disonesti sono coloro che non hanno titoli di studio adeguati ma che nonostante tutto sono inseriti nelle procure italiane, questi millantatori, per essere competitivi, manipolano senza remore i risultati delle proprie analisi in modo da avvallare il convincimento di chi gli ha commissionato la consulenza, sono dei truffatori tout court.
I consulenti partigiani non solo allungano inevitabilmente i tempi della giustizia ma spesso viziano la soluzione di un caso mandando in galera persone innocenti o lasciando spazio alla difesa di un colpevole. Le loro menzogne hanno un costo enorme in termini di vite umane distrutte e di risarcimenti che pesano ogni anno sui contribuenti. Non è frequente che una scena del crimine venga manomessa, pertanto ciò che appare un suicidio è raramente un omicidio mascherato, tra l’altro, sottoponendo ad un’autopsia psicologica la vittima e conoscendo le dinamiche dello staging (messinscena della scena del crimine) si può facilmente distinguere un suicidio da un suicidio simulato ma, purtroppo, da qualche tempo a questa parte, la vera sfida dei finti paladini della giustizia è quella di far passare suicidi e morti accidentali per omicidi. I vantaggi? Promozioni, un ritorno d’immagine ed uno economico.
A volte sono i P.M. a prendere delle cantonate e a servirsi di consulenti disonesti per supportare le proprie ipotesi investigative, in altri casi sono i parenti di chi si suicida, che invece di elaborare il lutto, cercano un capro espiatorio cui attribuire la morte del proprio caro per evitare di confrontarsi con il proprio senso di colpa, lo stesso accade anche in casi di morti accidentali di malati psichiatrici o di bambini. I parenti inconsolabili divengono vittime di consulenti che in cambio di visibilità e di un compenso economico sono pronti a sostenere l’insostenibile, ciò non solo impedisce ai familiari di elaborare il lutto ma segna la vita di colui al quale viene ingiustamente attribuito un omicidio mai avvenuto. Un magistrato inquirente onesto, che lavora con dedizione, non ha bisogno di affidarsi a consulenti partigiani mentre vi ricorrono quei P.M. che vogliono chiudere un caso rapidamente o che sono convinti di aver in mano la soluzione pur non essendo stati in grado di raccogliere prove a sostegno della propria ipotesi. La tunnel vision che li affligge e l’idea errata che sia solo un caso che manchino riscontri alle loro ricostruzioni li induce a rivolgersi a consulenti pronti a mentire o a dissimulare. Questi magistrati sono ben consapevoli di agire in modo scorretto ma sono convinti di perseguire un importante interesse pubblico e proprio per questo, ritengono giustificabile la propria inappropriata condotta. Questo fenomeno è una sub-cultura diffusa a macchia d’olio ed è la prima causa di errore giudiziario, viene definita dagli studiosi noble cause corruption e potrebbe sintetizzarsi con “il fine giustifica i mezzi”.
Purtroppo l’inesperienza di chi indaga in provincia e soprattutto il fatto che molti P.M. disconoscano le tecniche d’interrogatorio, l’analisi del linguaggio e la casistica, li costringe a condurre inutili e costose indagini a 360 gradi che di sovente culminano in elaborare conclusioni che non hanno eguali nella casistica criminologia internazionale. La conoscenza delle tecniche di interrogatorio è cruciale per muovere i primi passi verso la verità ma purtroppo in Italia manca la cultura dell’analisi del linguaggio, un mezzo straordinario per impostare una strategia d’indagine. Gli americani, nei casi più difficili, affiancano esperti dell’FBI a chi indaga in provincia. Un grossolano errore giudiziario a cui tengo particolarmente e del quale mi sto occupando da più di tre anni è un caso di scomparsa seguita da una morte accidentale che è stato complicato dalla tunnel vision di chi ha indagato e di chi poi ha accolto le richieste della procura di Asti.
Si tratta della morte di Elena Ceste, una donna alla quale, attraverso un’autopsia psicologica, all’indomani della sua scomparsa, avvenuta il 24 gennaio 2014, fu diagnosticato un disturbo psicotico dallo psichiatra consulente della procura di Asti ma che, dopo il ritrovamento dei suoi resti, fu erroneamente ritenuta vittima di un omicidio da parte dei carabinieri della caserma di Motta di Costigliole.
La Ceste aveva manifestato nei mesi precedenti alla sua scomparsa i prodromi di un disturbo psicotico poi culminato in una crisi psicotica maggiore la mattina della sua scomparsa, quando, in preda ad un delirio persecutorio, fuggì da casa nuda e morì assiderata in un fosso nel quale si nascose ai suoi fantomatici persecutori. Gli uomini dell’Arma e la procura di Asti, hanno creduto, al momento del ritrovamento, che l’assenza di brandelli di vestiti sui resti della Ceste fosse la prova che era stato commesso un omicidio. Purtroppo, nonostante sia scientificamente acclarato che il denudamento è una delle anomalie comportamentali che può manifestarsi durante una crisi psicotica, gli inquirenti hanno escluso la morte accidentale per assideramento, l’unica compatibile con le risultanze investigative e hanno invece ipotizzato l’omicidio ad opera del povero marito, Michele Buoninconti, vera vittima di questo caso giudiziario insieme ai suoi 4 figli, condannato in primo ed in secondo grado a 30 anni di carcere per un omicidio mai avvenuto. Nel caso Ceste, un cruciale e imperdonabile errore si è trascinato dall’Ordinanza di custodia cautelare alle motivazioni della sentenza d’Appello che ha confermato la condanna a trent’anni inflitta a Buoninconti in primo grado.
A pag. 6 delle motivazioni dell’Appello il giudice ha scritto che il vicino di casa della famiglia Ceste- Buoninconti, Aldo Rava, riguardo alla mattina della scomparsa della Ceste, ha riferito agli inquirenti: “verso le 9.05 circa sentivo suonare il campanello di casa con insistenza e sentivo anche suonare il mio telefono di casa”. Aldo Rava è stato sentito il 6 febbraio 2014, pochi giorni dopo la scomparsa di Elena Ceste e all’epoca non erano ancora noti agli inquirenti i tabulati telefonici relativi al caso, pertanto quel “verso le 9.05 circa” detto dal signor Rava era naturalmente un orario solo approssimativo ma, una volta ottenuti i tabulati telefonici gli inquirenti hanno sempre evitato di fare riferimento all’orario esatto della telefonata cui fece riferimento ovvero le 8.57.28 e non le 9.05. L’orario della telefonata è un dato scientifico incontestabile ma purtroppo è stato da sempre omesso da chi ha accusato e da chi ha poi condannato Buoninconti in primo ed in secondo grado.
L’accusa e i giudici hanno sostenuto che Buoninconti alle 8.57.28 era in auto e si stava recando nell’area in cui fu ritrovato il cadavere della moglie per occultarne il corpo, un’operazione che, se fosse avvenuta, non poteva che collocarsi in quei minuti. I dati incontestabili dei tabulati telefonici, se incrociati con la testimonianza del vicino, provano che Buoninconti, invece, si trovava sotto casa Rava e non dove lo ha collocato l’accusa. Poiché la procura ed i giudici non accettano che la morte della Ceste sia stata accidentale hanno omesso di riportare l’orario esatto della telefonata, un dato scientifico certo e hanno invece sempre fatto riferimento all’orario approssimativo ed errato fornito dal vicino per non far crollare il castello accusatorio della P.M.; infatti, Michele Buoninconti poiché alle 8.57.28 si trovava davanti a casa Rava non poteva essere dove lo ha sempre collocato l’accusa ovvero prossimo al luogo del ritrovamento dei resti della Ceste e pertanto non può aver occultato il corpo della moglie e di conseguenza non ha commesso l’omicidio.
Inoltre, a conferma del fatto che Buoninconti non abbia occultato un corpo sono agli atti le risultanze delle analisi dei RIS, mai citate dai giudici, che hanno escluso che un cadavere fosse stato trasportato sulle auto dei due coniugi. C’è un solo modo per riconoscere un errore giudiziario, studiare gli atti d’indagine, la verità nel caso Ceste non è nella richiesta di misura cautelare, non è nell’ordinanza di custodia cautelare e non si trova nelle motivazioni delle sentenze. Nel caso Buoninconti- Ceste, gli atti d’indagine parlano chiaro e forniscono una spiegazione logica della morte accidentale della Ceste e le innumerevoli testimonianze di parenti, amici ed amanti di Elena Ceste provano senza ombra di dubbio che nei mesi precedenti al suo allontanamento la donna aveva manifestato i prodromi della crisi psicotica che la uccise il 24 gennaio 2014.
La procura ha accusato Buoninconti di aver premeditato l’omicidio senza provarlo, tanto che la premeditazione è stata esclusa dai giudici del riesame. Nonostante tutto l’aggravante della premeditazione è stata riconosciuta a Buoninconti dai giudici. Quando una procura o un giudice non riesce a giustificare ‘tempi impossibili’ rispetto alla commissione di un omicidio da parte di un imputato, poiché gli innocenti hanno sempre un alibi insormontabile, gioca sempre questa carta. Ho analizzato il caso Buoninconti-Ceste secondo una logica simil cabalistica, ecco il risultato: Se provassimo a seguire il ragionamento della procura e a concordare con loro sulla causa di morte dovremmo supporre che Elena Ceste sia morta in seguito ad asfissia nonostante non siano stati rilevati segni sul cadavere in grado di accreditare tale ipotesi; a causa di questa assenza saremmo costretti a cercare conferme a questa ricostruzione altrove, ad esempio segni di una eventuale colluttazione sul corpo di Michele Buoninconti o in casa, suppellettili o mobili rotti ma anche in questo caso non li troveremo; a questo punto l’assenza di ulteriori conferme dovrebbe farci ricredere sulla nostra ipotesi ma assumiamo che per un qualche motivo a noi sconosciuto, manchino sia i segni sul cadavere che sul presunto omicida che nelle due presunte scene del crimine, non ci resterebbe quindi che cercare nuove possibili conferme alla nostra ipotesi quali potrebbero essere graffi sulle mani e sul volto dell’accusato prodotti dai rovi del Rio Mersa durante il presunto occultamento o tracce di fango sulle sue calzature dovute sempre al presunto occultamento o segni del trasporto in auto di un cadavere ma nulla di tutto ciò è stato mai descritto o repertato, nulla quindi proverebbe l’occultamento così come nulla prova l’omicidio, l’ulteriore assenza di conferme dovrebbe far collassare irrimediabilmente la nostra teoria ma volendo ancora sostenerla dovremmo cercare almeno un movente che come il resto è introvabile. A questo punto dovremmo rassegnarci, sembra alquanto difficile infatti sostenere l’ipotesi omicidiaria.
Questo caso e tutti i suoi protagonisti mi hanno aperto ancor di più gli occhi sul “sistema” errori giudiziari, che ormai identifico velocemente per il semplice motivo che sostanzialmente gli errori giudiziari sono tutti figli degli stessi meccanismi; nell’ottobre 2014 ho pubblicato la soluzione del caso Ceste sul mio blog, da quel momento non ho avuto paura della verità anche se in questi anni mi sono fatta più nemici del povero Buoninconti ma ho il dovere civico e morale di non mollare, finché Michele Buoninconti non sarà libero, finché non verrà risarcito dallo Stato italiano e finché chi ha sbagliato non pagherà, lotterò perché emerga la verità”.
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LINK DI APPROFONDIMENTO
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