L’inconsapevole trinità : Sesta Puntata del romanzo di Marcello Lippi. Qui il link della prima puntata , seconda puntata , terza puntata e quarta puntata e quinta puntata
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PREFAZIONE
Scritto durante gli anni di permanenza in Cile dell’autore, questo romanzo racconta una storia affascinante e piena di colpi di scena, in cui agiscono fianco a fianco, secondo quella che è l’assoluta normalità nei paesi del Sudamerica uomini e spiriti, ninfe e personaggi letterari, tutti vivi di un’unica vita che da queste pagine prende corpo e significato. La vera protagonista è una donna, o meglio una creatura leggendaria della letteratura cilena, Osilas, la ninfa che oscilla (donde il nome) tra due mondi e che coinvolge, guida, illumina la vita dei protagonisti maschili. La sua voce è talmente potente e meravigliosa da muovere le onde del mare, il suo operare è benefico e potente per la vita di chi la incontra, siano esseri umani o personaggi letterari resi immortali dalla loro condizione e desiderosi invece di umanità. Il simbolo, il segno, le dimensioni dell’essere. La cattedrale nell’oceano è il racconto di tre vite, o non-vite, alla ricerca del significato del mondo: la prima attraverso la negazione della casualità e l’interpretazione estrema del reale come segno, la seconda attraverso la conflittualità dell’amore non corrisposto, la terza attraverso l’abbandono confidente ad un reale che supera i confini della normalità e ragionevolezza. Tre vite che si intersecano: quella di Pierre de Craon protagonista della pièce di Paul Claudel L’annonce faite à Marie , condannato per un gesto maldestro di violenza ai danni della giovane Violaine a peregrinare in eterno per il mondo con una lieve, ma contagiosa, forma di lebbra in corpo. Immortale perché personaggio di teatro, ma reale, più reale di altri personaggi, nella sua avventura fascinosa e ricca di sorprese, nel suo girovagare attraverso i secoli, maledicendo Dio per la punizione che gli ha inflitto, negandogli anche la redenzione, perché un reale tanto evidente nega la possibilità salvifica della fede; quella di un critico teatrale che, alle prese con un evento imprevisto e destabilizzante, il ritrovamento di una ragazza morente per overdose, si lascia coinvolgere, pensando a questo incontro come ad uno squarcio che deve spezzare la sua vita di prima e creare i presupposti per una nuova, nella quale gli si possibile intuire la ragione del suo esistere, operare ed amare; quella di un pensionato vedovo e solo che incontra uno spirito su una scogliera ed accetta di seguirne le indicazioni fino ad avere una nuova meravigliosa vita in Sudamerica accanto ad una giovane fanciulla. Cos’hanno in comune? Forse nulla, forse un mondo di sensazioni e verità che appartiene solo a loro e del quale Osilas, la creatura del mito andino che oscilla tra le due dimensioni e si coinvolge con l’esistenza di tutti e tre, possiede le chiavi. Il lettore è chiamato ad accettare in questa opera non solo l’operare congiunto di creature terrene, di esseri intermedi tra la dimensione della materia e quella dello spirito e di personaggi di teatro umanizzati, ma anche che i personaggi di una storia corrispondano a quelli dell’altra, che un personaggio possa essere nel contempo morto e vivo in uno sdoppiamento che trova le sue ragioni nel suo essere fortemente angelico e nel contempo simbolico.
Redazione Cultura
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L’inconsapevole trinità
o
La cattedrale nell’ Oceano
ROMANZO di MARCELLO LIPPI
Sesta Puntata
11
Pierre fu risvegliato da un sommesso bussare alla porta; aprì gli occhi a fatica: le palpebre erano pesanti ed il pensiero faticava a riemergere da profondità insondabili. Appena riuscì a connettere, balzò in piedi: erano loro! Catherine aveva già aperto la porta e stava aiutando il ferito ad entrare e a raggiungere il letto.
– “Come stai?” – chiese Pierre, ansiosamente.
– “Grazie a te posso ancora risponderti e grazie alla mia forza i muscoli hanno resistito ai denti di quella belva. Bisognerà un po’ riaggiustare qua e là, ma poteva andare peggio.”
– “Domani lasciamo la città e ti farò operare al sicuro.”
– “Di che parli?”
– “Del fatto che non ti posso lasciare qui. Quando troveranno il cadavere, ricorderanno il tuo ferimento e ricollegheranno i due fatti!”
– “Non hanno il mio nome.”
– “Hanno quello di Greta. E poi dimentichi il tuo amichetto padrone del cane! Quel simpaticone ti conosce: è scappato sicuramente a cercare rinforzi e sono sicuro che ti avrà denunciato alla polizia!”
– “No, quello non è il tipo che vada volontariamente in un commissariato di polizia. Il vero pericolo è il padre dell’altro: è un poliziotto nostalgico di un’altra epoca recente.”
– “Ce ne sono ancora?”
– “Molti! Specialmente tra i giovani, tra i quali l’ideologia prende il posto di una memoria storica dolorosissima e, forse per questo, rimossa. La squadra di quest’uomo, quando il
figlio e i suoi amici erano in azione, fingeva sempre di non vedere e ne copriva le malefatte o se la prendeva direttamente con gli immigrati e i poveracci assaliti.”
– “Conosco il tipo umano che mi descrivi: è gente frustrata che con un’uniforme ed un’arma in mano si crede onnipotente! Hanno bisogno dei deboli da schiacciare perché non hanno il
coraggio di affrontare chi è forte. Sono sempre esistiti: parti di un’umanità degenere!”
– “Appena saprà dell’accaduto cercherà la vendetta e non andrà certo a consultarsi con i superiori su come procedere: organizzerà uno squadrone della morte, sicuro dell’impunità,
e certamente costringerà l’altro ragazzo a raccontare e a fare il mio nome.”
– “Dunque siamo d’accordo sulla necessità della partenza?”
Carlos si fece pensieroso.
– “Non so, Pierre, in questo momento non riesco a valutare i pro e i contro: mi sento stanco ed il cervello fa fatica a funzionare, ma temo di doverti dire che correrò ugualmente il rischio
di rimanere in città.”
– “Ma sei matto!”- intervenne Greta- ” E perché mai dovresti esporti a questo rischio? Non li aiuteresti i tuoi amici, facendoti ammazzare!”
– “Che sarà di loro, se me ne vado?”- chiese Carlos, intimidito come un ragazzino di fronte ad una decisione tanto importante e rischiosa quanto complicata da valutare nelle sue conseguenze.
Pierre si fece serio e disse:
– “Guardiamo in faccia la realtà: ammesso che siano sopravvissuti all’assalto di quel gruppo di facinorosi, che stiano bene e che quei disgraziati si siano limitati a spaventarli senza
nuocere loro, si saranno dispersi. Qualcuno cambierà casa, cercando un luogo più sicuro; qualcuno starà via qualche giorno, poi tornerà sul posto; qualcuno potrebbe cercare di tornarci subito. Il primo che tornerà, cercherà di ricomporre la “casa” come l’avevate “arredata” prima, e, se la polizia non l’avrà già fatto, scoprirà il cadavere. A quel punto scapperanno tutti, si diffonderà la voce tra loro che non si deve tornare laggiù e ne staranno lontano facendo altrove la loro vita di sempre.”
Greta portò al ferito un bicchiere d’acqua.
– “E se dovessero incappare nel padre dell’ucciso?”- obiettò ancora Carlos.
– “Allora pagheranno con la vita il fatto di esserti stati amici, perc
– “Non servirebbe a niente: hanno il pretesto che cercano per fare del male agli infelici colpevoli di “sporcare” la loro città. Non se lo faranno sfuggire: tu verresti raggiunto dalla vendetta anche in prigione, o forse saresti consegnato direttamente a quel brav’uomo del poliziotto che mi hai descritto prima, perché possa fare le sue vendette su di te.
Il tuo sarebbe un sacrificio inutile, gli amici non eviterebbero comunque il loro destino e tu renderesti pieno il trionfo del tuo “nemico”!”
Carlos contrasse il viso in un’espressione dolorosa, ma non trovò nulla da rispondere immediatamente all’amico.
Non c’è niente che sia più intollerabile all’Ego umano dell’ineluttabilità degli avvenimenti più gravi e del loro apparente dipendere sovente non da scelte ben ponderate, bensì da un singolo attimo di distrazione, da una futilità! E’ un “point of no return”, un battito di ciglia così pesante da condizionare tutta la catena degli avvenimenti futuri. Per Carlos era ancora più insopportabile perché non aveva responsabilità alcuna, quasi non aveva agito: era stato un comprimario trovatosi di colpo alla ribalta a recitare una parte non sua. La situazione in cui ora si trovava aveva i contorni dell’incubo e gli era di nuovo tolta ogni possibilità di azione o reazione. Dunque la risoluzione migliore sarebbe stata, per la prima volta in vita sua, una fuga disonorevole? O era disposto a morire per nulla, in un martirio senza utilità alcuna se non quella di soddisfare il proprio orgoglio? Aveva camminato tanto per arrivare a questa meta? Sentendosi affogare, si aggrappò come un naufrago al personaggio che si era creato per sopravvivere. Senza questa finzione avrebbe dovuto infatti affrontare a viso aperto il proprio fallimento e ciò gli era più intollerabile della morte: ora aveva una grande occasione di eroismo ed aveva un pubblico costituito dai tre amici, davanti al quale recitare fino in fondo la propria parte da protagonista. L’attore voleva morire in proscenio, trafitto dalle luci di scena, sentendosi al centro dell’attenzione dell’uditorio. La sua forza ideologica, ancora granitica nel suo dogmatismo nonostante l’evidenza di un deficit che le impediva di essergli di sostegno nella vita quotidiana, riprese vigore e rese assoluto e puro il suo anelito al martirio. Riordinò a fatica il filo dei pensieri, condizionato dal fisico sofferente, e tentò di riaffermare di fronte a Pierre la logicità ed inevitabilità del suo rimanere in città, ma Greta ed il maestro controbatterono ogni sua obiezione, finché, per nulla convinto, ma prostrato dalla stanchezza, chiese scusa e si addormentò.
– “Accidenti che testardo!” – esclamò Pierre.
Fu allora che Catherine, che era rimasta in silenzio, seduta in disparte ed apparentemente assente per tutto il tempo seguito all’arrivo di Carlos e Greta, fece udire la sua dolcissima voce e chiese che almeno ora, per favore, parlassero in inglese e che volessero essere così gentili da spiegarle il motivo di tanto discutere. Greta si voltò commossa verso di lei e la abbracciò come una sorella, cercando nella sua fragilità il riposo dall’estenuante combattimento sostenuto. La mise a parte di tutte le obiezioni di Carlos alla partenza e lo fece tenendola per mano, cercando il contatto fisico, desiderando conforto.
Qualcosa si era rotto nel muro di diffidenza che sin dall’inizio si era eretto tra le due donne. La paternità di Pierre stava imponendosi e i ruoli si trasformavano velocemente, seguendo il fuoco delle accelerazioni imposte da una realtà in pieno “Schaffensdrang”. ( impeto creativo)
Si stava creando un gruppo solidale, fraterno: una comunità strana, nata dal sangue di un evento luttuoso e di una forzosa complicità, ma piena di quel fermento che precede i grandi cambiamenti e le grandi illuminazioni. L’unico che sentiva fino in fondo la grevità della colpa era Pierre, anche se l’organizzazione del viaggio gli dava per ora la possibilità di non pensarci e rimandare a più tardi il confronto con il più temibile dei giudici. Per il momento si limitò con sollievo a notare il cambiamento nella relazione tra le due ragazze, che sembravano ora amiche di vecchia data: ciò apriva una possibilità futura per i suoi progetti.
Greta terminò il resoconto all’amica:
– “Accidenti, ed ora come facciamo?”- chiese Catherine.
– “Semplice, lo teniamo così fino all’arrivo!”
– “Che vuoi dire?”- le chiese Pierre.
– “Non lo immagini maestro?”-rispose la ragazza, sorridendo con furbesca aria di sfida.
– “Lo hai sedato? Non mi dire che in quell’acqua c’era….”
– “Certo, me lo hanno detto i medici, perché, anche se il nostro eroe non si lamenta, sta soffrendo molto. Io ho solo un po’ aumentato la dose. Del resto non intendo assolutamente aiutarlo a suicidarsi.”
– “Ma è immorale, non possiamo….non possiamo coercizzare la volontà di un amico, non possiamo.. rapirlo!”- disse Catherine, sinceramente commossa.
Pierre la guardò con infinita dolcezza:
– “Tu stessa mi hai detto poco fa, in risposta al mio dolore: “Preferiresti piangerlo morto?” Ebbene: tu cosa preferisci?”
Catherine abbassò il capo e non rispose.
– “Però occorre far davvero qualcosa per i suoi amici e forse so cosa.”
Pierre prese il telefono e compose un numero esterno: chiamò la cattedrale e chiese di parlare con il vescovo. Gli fu risposto che al momento stava celebrando la santa Messa e che lo avrebbe potuto trovare all’indomani nel suo ufficio, ma Pierre insistette tanto che gli fu passato uno dei vicari della cattedrale. Si scusò di disturbarlo e si presentò solo genericamente come “un fedele di passaggio”: chiese se conoscesse i mendicanti che vivevano sotto il ponte nelle vicinanze del tempio. Saputo che erano assistiti spesso dal gruppo di volontari della carità che opera nella parrocchia e spesso sfamati dalla cucina del vicino convento, spiegò al monsignore come fosse enormemente preoccupato per loro, visto che aveva, per caso, assistito ad un violento pestaggio dei mendicanti da parte di una brigata di “naziskin” molto vicini alle forze di polizia ed aveva motivo di credere che questi aspettassero il loro ritorno in zona per finire il lavoro incominciato. Il monsignore gli disse che lui avrebbe potuto fare ben poco personalmente, ma gli consigliò di rivolgersi ai volontari che avrebbero potuto organizzare un presidio di sorveglianza nella zona: già altre volte l’avevano fatto per salvare famiglie di immigrati turchi dalla follia xenofoba. Gli diede il loro numero di telefono e Pierre chiamò immediatamente; rispose un ragazzo molto sveglio che comprese benissimo la situazione, però sollevò un problema: non potevano entrare in azione sulla base di una segnalazione anonima, occorreva che la persona fosse conosciuta, perché molte volte avevano dovuto perdere tempo e denaro accorrendo per segnalazioni rivelatesi poi essere stupidi scherzi.
Sentendo le incertezze di Pierre, dubbioso se correre il rischio di identificarsi o meno, Greta intervenne con decisione, prese il telefono e parlò direttamente con il giovane, che conosceva bene. Gli spiegò le loro paure riguardo all’incolumità di quelle persone e gli disse che non poteva occuparsene personalmente, dovendo partire all’indomani per un nuovo lavoro come assistente di un architetto all’estero.
Raccontò di aver visto da lontano i clochards fuggire inseguiti e percossi dalla marmaglia violenta, di averne soccorso uno e di temere nuovi assalti. Il ragazzo diede subito immediata esecuzione alla denuncia e disse che, non potendo, né volendo opporsi sul piano fisico, avrebbe organizzato un presidio anti-xenofobia mediatico con fotografi, giornalisti e telecamere della televisione cattolica, pronte a riprendere qualunque atto di violenza. La zona sarebbe stata per alcuni giorni sotto protezione. Si sarebbe poi preoccupato lui di avvisare i clochards, che conosceva benissimo per averli più volte assistiti, di starne lontano. Greta ringrazio e posò il ricevitore.
– “Grazie, ma ti sei esposta molto.”- disse Pierre, che nel frattempo aveva informato Catherine del contenuto della telefonata, traducendo per sommi capi.
– “Che importa, tanto domani partiamo, e quando sarò tornata, se mai tornerò, le acque saranno più tranquille. Del resto, di cosa posso essere accusata? Di aver soccorso un clochard in fuga da un pestaggio e da una rissa con un cane. Nessuno incolperebbe mai una ragazza di aver fatto fuori un energumeno come quello, non ne avrei avuto la forza, né i mezzi.”
– “Come, parti anche tu?”- chiese Catherine, totalmente spiazzata dall’ipotesi.
– “Perché, ti dispiace?”- rispose l’altra con aria inquisitrice.
– “No, pensavo non potessi lasciare tuo padre da solo in quelle condizioni”
– “C’è la mamma, ci sono i miei fratelli. Ho già chiamato a casa dall’ospedale ed ho detto che sarei partita per alcuni giorni, perché il maestro mi aveva offerto il posto di assistente.”
– “Come, come sarebbe a dire?”- disse Catherine ormai in affanno ed incapace di simulare adeguatamente.
– “Stai tranquilla, Catherine, in realtà non ho offerto niente a Greta, ma lo faccio adesso, e lo dico anche a te: offro ad entrambe il posto di mie assistenti ed ho intenzione di
portarvi tutti e tre con me ad Amsterdam.”
– “Amsterdam?”- chiese Greta.
– “Sì, ho un lavoro laggiù. Non è troppo lontano da qui, ma, lavorando un po’ in segretezza ( tu, Greta, soprattutto, non dire ai tuoi dove andiamo), penso che saremo al sicuro da chi
ci cerca per nuocere. Accettate l’impiego?”
Le due ragazze assentirono entrambe senza un grande entusiasmo, un po’ per la situazione di pericolo in cui erano, un po’ perché non riuscivano bene a valutare cosa avrebbe comportato la convivenza con l’altra al fianco del maestro.
– “Bene, allora, al lavoro! Visto che il mio assistente-uomo è momentaneamente in stato di assopimento coatto, toccherà a voi aiutarmi a stendere la relazione per il papà di Greta.
Ci metteremo un paio d’ore, poi, per precauzione, ceneremo qui in camera e stanotte voi dormirete nella camera di Carlos che ha due lettini separati. Greta, cerca di trovare sull’elenco
telefonico l’indirizzo d’un negozio d’abiti di foggia araba.”
– “E perché mai?”
– “Vorrei che ti facessi mandare in albergo, a nome di Catherine, un caffetano, talmente ampio da nascondere la fasciatura di Carlos. Non possiamo farci venire a prendere dall’ambulanza qui in hotel: ci localizzerebbero subito. Ho detto che vengano all’aeroporto, per sicurezza. Così Carlos dovrà fare in incognito un tragitto in taxi sin laggiù e non voglio che sia riconosciuto.”
– “Va bene, lo faccio subito!”
– “Catherine, vammi a prendere intanto gli appunti di Carlos, giù in camera sua; dovresti trovare due quaderni di annotazioni: prendili entrambi”
Le ragazze si muovevano agli ordini di Pierre senza discutere, come soldati, sapendo bene che un qualunque errore avrebbe messo a repentaglio la vita dell’amico e forse anche la loro. Mentre scendeva di un piano per raggiungere la stanza di Carlos, Catherine, che più di tutti sentiva la morsa feroce della tensione, sentiva il cuore battere forte; l’adrenalina le impediva di muoversi con naturalezza, sussultava ad ogni rumore e si guardava attorno ad ogni passo come se il corridoio dell’hotel fosse stato pieno di nemici in agguato pronti a ghermirla. Si calmò un poco quando richiuse dietro di sé la porta della stanza dell’amico; vide subito i due quaderni sul comò, anche perché non c’era nessuno oggetto che appartenesse a Carlos in tutta la stanza: doveva aver deciso solo all’ultimo momento di passarvi la notte precedente. Si scelse il letto in cui avrebbe voluto dormire e ne prese possesso come fanno le ragazze in gita scolastica all’arrivo in un hotel: ci si sdraiò sopra disfacendolo un poco e godendosi un breve istante di relax. Era felice di non dover dormire sola quella notte. Si sentiva protetta da Greta, un po’ perché lei era nella sua città e ben conosceva come comportarsi, un po’ perché, in fondo, ne ammirava la forza e la sicurezza: rispetto a lei si sentiva inferiore, molto più fragile, molto più impacciata e insicura. Meno male che il maestro aveva posto fine alla competizione tra loro assumendole entrambe; in caso contrario era sicura che sarebbe andata incontro ad una cocente sconfitta, sentiva di non poter competere con la rivale nemmeno in quanto a bellezza fisica: l’altra sapeva sfruttare sicuramente meglio le proprie doti e renderle più appariscenti. Rischiò di addormentarsi e fu scossa di soprassalto dal suono del telefono: era Pierre, già preoccupato del suo ritardo.
– “No, no, tutto bene, vengo subito! Mi sono distesa due minuti perché ne avevo bisogno.”
Prese i quaderni e, con gli stessi riguardi di prima, risalì le scale.
Trovò Pierre e Greta chini su Carlos, sempre addormentato.
– “Ah, Catherine, dammi una mano, vieni!”- le disse l’altra.
– “Ma io non so nulla di medicina!”
– “E cosa importa?”- rise Pierre- ” non di quello si tratta. Guarda!”
– “Lo state rasando? E senza il suo permesso? Lui ci tiene alla sua barba!”
Pierre rispose:
– “Il nostro amico non tiene neanche più alla sua vita, e per questo dobbiamo pensare noi alla sua incolumità!
Certo gli dispiacerà trovarsi senza barba, ma capirà perché l’abbiamo fatto. E se non lo capirà, pazienza! Meglio arrabbiato, ma vivo. Cercheranno un barbuto clochard ferito ed
invece quello che uscirà con noi dall’albergo sarà un arabo ubriaco fradicio, senza ferite apparenti. Potranno sospettare, ma nulla più!”
– “Lo vuoi caricare in taxi drogato?”
– “Ovvio che dobbiamo fare così, Catherine, visto che non ha nessuna intenzione di salirci volontariamente. Gli diremo che stiamo andando in un ospedale e lui, intontito dal calmante,
salirà docile sull’ambulanza senza capire nulla di quello che accade”- disse Greta un po’ stufa delle sue obiezioni. “Allora, mi aiuti?”
Dopo pochi minuti di rasatura comparve un viso giovane ed aperto: era un viso bellissimo, anche se scavato dal sole e dagli stenti, tanto che Catherine, presa dalla compassione per l’amico ferito ed in pericolo, non riuscì a trattenersi dall’accarezzarlo sulle guance, incurante dei sorrisi degli altri due. Era una carezza lieve, innocente, una richiesta di tenerezza come quella di Greta di poco prima nei suoi confronti. Il peso della riflessione e l’incertezza della situazione spingevano le ragazze alla ricerca di una fisicità primordiale, dei gesti dolci e consolatori della maternità.
Terminata l’incombenza della rasatura, ordinarono la cena e si disposero al lavoro sulla relazione per il papà di Greta. Grazie al computer portatile di Pierre essa venne redatta rapidamente e quindi chiusa in una busta, pronta per essere affidata alla reception al momento della partenza.
Per prudenza era necessario che Greta non passasse da casa a salutare la famiglia ed a prendere i bagagli, così Pierre scese con lei nell’atrio dell’hotel e provvide a comprarle tutto il vestiario ed il necessario per il viaggio.
La ragazza era in imbarazzo ad accettare tutti questi regali, ma, dati i prezzi astronomici, non avrebbe certo potuto permettersi di pagarli lei. Il receptionist intanto seguiva con attenzione laida i movimenti di colui che, entrato in albergo al fianco di una ragazza, l’aveva lasciata in camera e stava facendo costosissimi regali ad un’altra. Pierre se ne rese conto e comprese che sarebbe stato rischiosissimo per loro se la polizia l’avesse interrogato. Gli si avvicinò, lo ringraziò del servizio e gli mise in mano una sostanziosa mancia dicendogli che sarebbe potuto accadere che qualcuno, forse il padre di una delle ragazze o forse addirittura la polizia, da lui mandata, si presentasse a fare domande su di lui. Pierre contava sulla sua discrezione, anzi, gli offriva un bel mucchio di biglietti di banca se si fosse messo in malattia dal giorno dopo, diciamo per una settimana, in modo da non essere costretto a mentire nel caso di qualche visita inopportuna. Con aria complice, dando a vedere di aver capito perfettamente la situazione e di essere un “uomo di mondo”, il receptionist intascò il denaro e cominciò a tossire, ammiccandogli.
Pierre scosse il capo e si allontanò, cupo in viso come sempre accadeva quando lo spettacolo triste della stupidità umana lo feriva nell’intimo della coscienza.
– “Sabbia!”- sussurrò – “Sabbia!”
12
– “Cosa prendi?”
– “Un caffè, grazie. Nero, nerissimo!”
Alessandro sedette con un movimento impacciato, quasi i suoi muscoli, a causa dell’alcool contenuto nei molti boccali di birra trangugiati, non godessero più della normale elasticità. Lo spazio tra il tavolo e la panca su cui sedette era inoltre troppo esiguo e lo costrinse a sforzi da contorsionista per accomodarvisi. Il cuore gli batteva forte per l’emozione, il respiro affaticato gli impediva di pensare.
– “Stai maltrattando troppo il tuo fegato, amore mio.”
– “Come dici? Come mi hai chiamato?”
– “Come sempre. Perché?”
Alessandro chinò il capo: era perfettamente cosciente di star sognando ed attendeva ansiosamente l’attimo del risveglio perché quel sogno gli era insopportabile e, pur essendo conscio di non essere altro che un fantasma all’interno di qualche strano gioco della propria mente e sentendosi quindi deresponsabilizzato ed in un certo qual modo libero, avvertiva uno strano, angosciante disagio, misto a senso di colpa per tutte le menzogne di cui la sua coscienza, servendosi della ragazza, sicuramente lo stava chiamando a rispondere.
Silvia gli indicò l’amico che sedeva al tavolo con lei.
– “Alex, questo è Vittorio; il ragazzo con cui ho vissuto gli ultimi mesi prima di conoscerti.”
Vittorio gli tese la mano con un sorriso aperto e simpatico ed Alessandro la strinse, mormorando a bassissima voce:
– “Come…..conoscermi?”
– “Come è stato lo spettacolo?”
– “Inqualificabile! Ma, dimmi, non sei arrabbiata con me? E tu Vittorio, perché mi sorridi quando invece dovresti desiderare di uccidermi?”
– “Ma che dici? E perché mai?”
– “Perdonate, ho bevuto troppo, e non so bene quello che dico, né quello che mi sta succedendo.”
– “Dimmi della mamma! Come sta?”
– “Mah, bene, credo! Ho lasciato un’infermiera con lei perché ha preso male la notizia della tua….”
– “Autopsia? La capisco, povera Laura. Si è rovinata la vita per me ed ora si chiede perché mai lo abbia fatto, visto che è andata a finire così.”
– “E’ normale!” aggiunse Vittorio.
– “Senti, Vittorio vorrebbe evitare coinvolgimenti con la mamma ed il suo dolore; visto che tu le sei stato così vicino, potresti farci il piacere di passare da casa di Vittorio domani, ritirare le mie cose e portarle alla mamma?”
– “Ce.. certo!” rispose Alessandro con le labbra impastate tanto quanto i suoi pensieri.
– “Questo è l’indirizzo. Ti aspetto domani! Va bene alle tre?” gli disse il ragazzo, porgendogli un foglietto che Alex mise in tasca meccanicamente.
– “Mi aspetti? Vuoi dire che sarai là? “
– “Ma certo! Come faresti ad entrare se no?”
Alessandro fu preso dalla tentazione di fermare questo dialogo assurdo gridando che sapeva benissimo che era un sogno e che lo lasciassero uscire, per favore, perché stava male. Ma dalla sua bocca spalancata non uscì alcun suono. Mentre i due giovani gli rivolgevano frasi che egli non riusciva a cogliere, un’avvenente cameriera gli portò un caffè che egli bevve avidamente, cercandovi conforto ed energia. La sua voce tornò ad essere udibile:
– “Silvia, non è facile trovare le parole, però io so che devo scusarmi per tutto quello che ho detto e fatto nelle ultime ore, impadronendomi di un ruolo che non era il mio. Ed anche a
te, Vittorio, devo delle scuse.”
– “Ma perché mai? Non ti capisco!”- disse il giovane sorridendogli.
– “Ma come! Hai cercato di aiutarmi, quando molti altri si sarebbero allontanati facendo finta di niente, mi hai tenuto la mano per tutto il viaggio fino all’ospedale, mi hai vegliata rischiando di perdere il posto di lavoro, hai tenuto compagnia alla mamma fino ad ora e per farlo meglio hai lasciato la tua fidanzata! Di cosa dovrei perdonarti? Di amarmi come nessuno mi ha mai amata?” – un’ombra passò sul viso di Vittorio.
Silvia si avvicinò ad Alessandro, gli prese la testa tra le mani e lo baciò sulle labbra con infinita tenerezza. Incuranti della presenza dell’altro ragazzo, rimasero a lungo uniti in quel bacio ardente. Se era un sogno, ed Alessandro cominciava a dubitarne, era sicuramente molto reale: sentiva il suo respiro, il caldo umore della sua passione, le dita che si immergevano nei suoi pochi capelli e la strinse a sé, dimentico di ogni cosa. Quando si separarono, la prima cosa che vide fu il sorriso un po’ ebete di Vittorio. Ma come, stava baciando la sua ragazza in fronte a lui e non gli importava? Forse era uno di quei pervertiti che si eccitano nel vedere la propria donna con un altro?
– “Bene!”- disse- ” Vi lascio soli perché avrete molte cose da dirvi. Alex, ti aspetto a casa per quelle cose da portare a Laura.”
– “Noi ci vediamo più tardi”- gli disse la ragazza, baciando anche lui, ma con molto meno trasporto.
– “Ti aspetto, Alex.”
Come il giovane si fu allontanato, Alessandro fissò quasi con disperazione il volto della ragazza; stava combattendo una lotta impari contro l’alcool che aveva stupidamente assunto e, poiché non era per nulla abituato a ciò, si malediceva, perché in un momento simile avrebbe voluto essere lucido e ben presente. Con le dita tremanti le accarezzò il viso, ne ripercorse i contorni che aveva fatto in tempo solo a vedere di sfuggita, la notte del loro incontro, cercò le somiglianze con la ragazza della fotografia. Non c’erano dubbi: era proprio Silvia.
– “Sei bellissima”
– “E tu sei meraviglioso! Hai fatto per me ciò che nessuno aveva mai fatto. Hai rivoluzionato tutto il tuo mondo per amore di una sconosciuta. Ma perché lo hai fatto? Per generosità o perché hai visto in me qualcosa di speciale? “- dolcemente gli posò il capo sulla spalla.
– “Non lo so, mi è difficile dirlo, era come se tu fossi lì ad aspettarmi per cambiare tutto il mio mondo. La tua presenza in quella strada era un fatto talmente potente che ho sentito di non poter fingere di ignorarlo e che forse avresti potuto aiutarmi.”
– “Io? E come?”- disse la ragazza sorridendo.
– “Facendomi capire chi sono!”
– “Vuoi dirmi che non lo sai ancora?”
– “No, non ho nessuna idea di chi io sia. Mi sento ridicolo a dirtelo, ma è così; sinora ho vissuto in un mondo di pensieri banali e gesti coatti. Tu mi hai liberato da questa orrenda
punizione; ho agito… ed il resto è stato una conseguenza.”
– “Ho perduto molti uomini nella vita perché mi sono innamorata sempre senza riserve, senza difese, perché mi affidavo alla loro forza, io che ero tanto debole. Tu sei il primo che si affidi a me. Il primo che mi ami come io ho sempre amato. Per questo ti sono grata: per la purezza del tuo amore, per la gratuità del tuo interessamento, per il
sacrificio che hai fatto.”
Le sollevò il capo e la guardò negli occhi, faticando a metterla a fuoco:
– “Ma che dici? Io ho approfittato di tua madre e per ottenere questo mi sono spacciato per Vittorio, ho mentito per vile bramosia sessuale e mi sono perduto, perché ora non ho nemmeno più la sicurezza che mi dava l’immagine di me stesso che mi ero costruita, che mi piaceva e alla quale ero sempre rimasto fedele.”
– “E che ti incatenava, costringendoti a sposare Anna, che non amavi, ad ubbidire al tuo capo che non stimi, a vivere in un mondo di sogni ad occhi aperti, perché la realtà non ti stimolava sufficientemente. Ti ricordi quando ti addormentavi sognando di avere un harem di fanciulle compiacenti?” scoppiò a ridere e fu come una frustata per Alessandro.
– “Sai anche questo? Ma come….”
– “E molto di più: ti conosco da tanti anni!”
– “Cos’è, uno scherzo? Ti stai divertendo alle mie spalle?”
– “Perché dovrei? Tu hai scelto questa vita, abbandonando la precedente. Tu mi hai reso la tua compagna. Non hai deciso tu di dirlo alla mamma?”
– “Non scherzare, ti prego, sono già troppo confuso!”
– “E con chi hai fatto l’amore questa notte?”
– “Ti ho già chiesto scusa, non infierire! E’ stato un atto stupido”
– “E bellissimo!”
– “Che dici?”
– “Con chi hai fatto l’amore stanotte?- ripeté Silvia con fare scherzoso.
– “Con tua madre!”
– “Davvero? Pensavi a lei in quel momento?”
– “No, pensavo a te, ma….”
– “Vedi! E’ me che hai amato questa notte! Me che cercavi baciando mia madre. Me che ora hai trovato!”
– “Non capisco più nulla; aspetta, ti prego, ho la testa che mi scoppia!”
– “Hai ragione, usciamo!” gettò alcune monete sul banco e, sostenendo il suo peso lo accompagnò all’uscita. L’aria fresca del mattino risvegliò i sensi di Alex, ma peggiorò il suo malessere. Presero un taxi ed in pochi minuti furono a casa sua. Qui giunti, Alex riuscì a liberare il proprio stomaco dall’esubero di residui alimentari, mentre Silvia esplorava la casa.
– “Hai bisogno di aiuto?”
– “No, ti prego, rimani lì, non è un bello spettacolo.”
La ragazza si commosse nel vedere sul comodino la propria foto, la stessa che Anna aveva tanto martoriato nell’ufficio di Alex. Pensò ancora:
– “Nessuno finora mi ha tanto amato!”
Alex intanto riuscì ad uscire dal bagno, e, vacillando, si diresse in cucina:
– “Preparo un tè! Ne vuoi?”
– “No, grazie, ti aspetto qui”
Lentamente, come ripetendo gesti abituali e muovendosi nella casa con la sicurezza di chi ci vive da molto tempo, la ragazza si tolse i vestiti e li ripose nell’armadio. Poi, con un dolcissimo sorriso sul viso, si mise sotto le coperte e si addormentò.
Alessandro, nel frattempo, libero dall’oppressione dei suoi stravizi alimentari, iniziava a realizzare quanto di assurdo avesse la situazione. Lo stordimento fisico e mentale però gli impediva di concentrarsi adeguatamente su un pensiero ed uno strano torpore gli infiacchiva le membra. Aveva sognato? Chiamò la ragazza, ma non ebbe alcuna risposta e sorrise con autocommiserazione.
– “Che cretino! Ubriacarmi così, io che non tocco mai l’alcool. Speriamo di non aver detto stupidaggini con i colleghi, se no me la faranno pagare!”
Bevve il tè, comodamente seduto al tavolo, poi tornò in bagno, gettò gli abiti aulenti di fumo ed alcool nella cesta della biancheria da lavare e si sedette nella vasca da bagno, aprì la doccia e fece scorrere l’acqua sul suo capo, sentendo con piacere che i pensieri tornavano ad affluire alla mente, come se quell’acqua avesse il potere di cancellare l’onta dell’ubriachezza e di riportarlo al suo stato di coscienza abituale. Sorrideva! Non ricordava come fosse arrivato a casa, ma ricordava benissimo di avere incontrato Silvia, di averla baciata; sentiva ancora il tepore delle sue labbra, il fremito del suo corpo accanto al suo, riascoltava quelle parole così dolci ed appassionate: l’aveva chiamato “amor mio”, l’aveva baciato, accarezzato, aveva posato il capo sulla sua spalla come avrebbe potuto fare una ragazzina. Negli occhi di Silvia non c’era traccia di quella “roba” che l’aveva svuotata e condotta a morte: era uno sguardo limpido, pulito, innocente.
L’aveva vista nel suo pensiero come avrebbe voluto che fosse?
Aveva proiettato il suo desiderio al di là dell’oscurità che avvolge il mistero della possibilità? Si era creato per un istante un punto di contatto tra i due mondi, un’oscillazione dei contorni che aveva dilatato i confini della sua esistenza rendendo reale l’irreale? No, semplicemente aveva sognato in preda ai fumi dell’alcool, capaci di far vedere miraggi anche più reali! Che malinconia lo prese a questa considerazione! Aveva sentito Silvia talmente reale da non concepire la possibilità di una sua non-esistenza; l’aveva toccata, aveva respirato il suo alito pulito, sentito il morbido ed umido contatto con le sue labbra….
Credette di impazzire dal rimpianto! Poi, in un supremo sforzo di ricollegare gli elementi della propria esistenza, si rimproverò la debolezza di rimpiangere un sogno e notò di aver perduto, per distrazione, il filo del proprio procedere verso l’assoluto. Si soffermò allora a riflettere sull’accaduto mentre, con movimenti impacciati, asciugava il proprio corpo al centro della stanza da bagno. Ripercorse gli eventi: l’orribile pièce teatrale, i colleghi, la birra, le battute salaci e le risate stupide, il corteo goliardico, l’incontro con Silvia e Vittorio….. Vittorio! Di colpo un pensiero più lucido degli altri gli attraversò la mente ed Alessandro si avventò verso la cesta della biancheria sporca. Frugò nella tasca dei pantaloni con movimenti nervosi e di colpo trovò il biglietto, la prova inconfutabile di un evento miracoloso, impossibile da comprendere. Corse allora in camera con il fiato in gola: Silvia era là, nel suo letto, addormentata e bellissima, abbandonata e sua, forse per sempre. Gli tremarono le gambe e fu tentato di aprire il mobile bar, ma il ricordo del recente malessere lo trattenne. Sedette allora in fondo al letto, ascoltando il dolce respiro dell’innamorata, con la capacità razionale azzerata da un fatto ineludibile ed inspiegabile, senza il minimo appiglio di verosimiglianza. Era stato vittima di un trucco? Tutti: Silvia, la madre, i medici, Vittorio e chissà quanti altri si erano messi d’accordo per giocargli la più atroce delle burle? Sentì l’umiliazione del proprio limite: per quanto si sforzasse di ragionare, nessun pensiero era né convincente né anche solo accettabile.
Ma il suo padrone misterioso, il Destino creatore e Fattore del presente aveva limiti? C’era qualcosa che gli fosse impossibile? Respinse questo pensiero: se ammetteva in cuor suo l’infinita possibilità della creazione ed il suo sfuggire alle leggi della prevedibilità umana, non poteva però credere che l’Ente determinante e misterioso si potesse piegare verso di lui per beneficarlo di un atto così potentemente sovvertitore dell’ordine della stessa creazione, così assolutamente incomprensibile. Cosa doveva fare? Fuggire a cercare un amico, un testimone, un confidente con gli occhi del quale rileggere la situazione? Lo avrebbero preso per pazzo! Cercare Laura in ospedale, svegliarla dal suo sonno artificiale e gridargli che la figlia era viva, che era tutto un trucco o forse che era risorta, ma che comunque fosse era lì nel suo letto, dolcemente addormentata? E se al suo ritorno non l’avesse più ritrovata? Se quel dono misterioso della divinità fosse stato solo per un breve lasso di tempo, tempo che lui stava sprecando a ragionare ancora, nonostante tutto, per sottomettere la potenza operante del creatore al vaglio del proprio intelletto? Tutto gli diceva di accettare il dono: la propria virilità, il proprio sentimento, il silenzio complice della notte, il respiro pacifico della ragazza…. tutto tranne la ragione! Forse era una prova da superare: il suo abbandono al divino era talmente totale da accettare l’assurdo? Pensò agli Ebrei quando attraversarono il mar Rosso fidando sulla parola di un santo visionario e videro il mare ritrarsi in due muraglie d’acqua ai loro lati: era meno impossibile di quanto gli stava capitando? Ed il Messia potente dei cristiani, non aveva già fatto risorgere per amore alcune sue creature e poi se stesso?
Perché credere in quei fatti lontani e non in quanto stava vedendo con i propri occhi? Credeva che la potenza di un Dio non potesse riguardare il presente, il suo presente?
Chiuse gli occhi e respirò profondamente, poi si alzò, sentendosi improvvisamente felice: aveva accettato il miracolo o il sogno o la burla. Qualunque fosse l’agente di quel fatto misterioso, gli era grato e si apprestava a trarne profitto. Entrò nel letto dalla parte opposta a Silvia e, con circospezione, temendo una reazione non positiva, cominciò ad avvicinarsi alla ragazza.
Quando le sue gambe arrivarono a toccare quelle di lei, gli sembrò d’impazzire: non c’era traccia di indumento sul corpo dell’amata. Cercò conferma dalle braccia che si posarono dolcemente sulla schiena di lei, che gli dava le spalle, infine, delicatamente, come per non svegliarla, appoggiò il proprio membro turgido al morbido fondoschiena. A questo contatto, Silvia si scosse e si girò parzialmente verso di lui:
– “Scusa, mi sono addormentata! Ma ci hai messo un’eternità a venire a letto!”
– “Lo so, perdonami, non mi sono sentito troppo bene!”
– “Sento che ora ti sei pienamente ripreso”- scherzò lei senza sottrarsi al contatto con il suo corpo.
– “Silvia?”
– “Dimmi!”
– “Sono felice che tu sia qui!”
Lei gli sorrise con la dolcezza dell’innamorata e, giratasi completamente verso di lui, cercò le sue labbra abbandonandosi al suo abbraccio. Alessandro si immerse nel piacere che gli dava
il corpo dell’amata, lo percorse completamente con le mani, con gli occhi, con i baci. Come era viva! Era viva e lo amava!
Non importa cosa fosse successo, ci avrebbe pensato all’indomani! Ora l’importante era dirle tutto il suo amore, che una forza potente le aveva destinato. La penetrò senza trovare resistenza, come se questo gesto fosse il frutto di una lunga consuetudine, e non il primo incontro di due sconosciuti. Lei si avvinghiava al suo corpo con una ferinità a lui ignota, si sentiva avvolto da lei come da un’edera e la sua virilità non si spense dopo il primo trionfo, come di solito accadeva, ma continuò fino allo sfinimento dell’amante, intervallando il fulgore amatorio con preziosi momenti di assopimento. Si dissero tutto l’amore, la gratitudine, la pienezza di quel miracolo che Alex non voleva indagare. Aveva deciso di lasciarsi andare senza aggrapparsi ad alcuno scoglio, ad alcun residuo di materialità confortante. Il prezzo, ora era chiaro, era la pazzia, la vertigine totale, il precipitare in un mistero dai contorni per nulla rassicuranti; era però un mistero agente, vivo, forse spiritoso nel suo prendersi gioco della sua fragilità.
Alessandro Morlacchi si perdeva in quel gioco amoroso con una sconosciuta o con una donna partorita dai suoi sogni, che aveva sì le fattezze di una povera ragazza morta di overdose, ma anche la sana vitalità e la purezza di una creatura dal destino ben diverso.
Quando i raggi del primo sole vennero a colpire i suoi occhi ed a spezzare il riposo seguito a tanto fuoco amoroso, il primo pensiero di Alex fu per la ragazza e la cercò inutilmente nel letto accanto a sé. Che triste risveglio!
Si lasciò cadere sul letto e richiuse gli occhi, quasi a cercare di fermare almeno nei ricordi quello che doveva essere stato un sogno meraviglioso, un’estasi onirica seguita all’abbondante libagione. Ma un gradevole odore di caffè gli giunse alle narici e balzò dal letto sicuro di rivederla. Era in cucina, seduta al tavolo, con addosso solo una sua camicia, bellissima tanto quanto lui era patetico nella sua nudità, con i capelli arruffati ed i pensieri altrettanto in disordine. Le si avvicinò con entusiastico calore e prima ancora che lei avesse terminato di dirgli “Buon giorno!” già la coprì di baci e la strinse a sé: stava piangendo di gioia.
– “Amore, non pretenderai di ricominciare, vero? Mi hai distrutta questa notte!”
Alex non rispose: non poteva; le lacrime scendevano copiose sulle sue gote e riuscì solo a mormorare piagnucolando qualcosa di comprensibile solo a lui.
– “Amore, amore mio, non fare così! E’ normale essere felici quando finalmente s’incontra l’amore vero, ma non dobbiamo dimenticarci dei nostri doveri. Sbrigati, se no va a finire che il tuo capo questa volta ti licenzia!”
– “L’articolo!!”
Si era totalmente dimenticato di scriverlo!
– “Fa niente, lo scriverò là in pochi minuti! Quando ti rivedo?”
– “Qui, a pranzo; penso io alla spesa. Tu non tardare, ti prego! Mi mancherai moltissimo! Da Vittorio andremo questo pomeriggio.”
Alex fece colazione ed uscì correndo verso una normale giornata di lavoro di un’esistenza che non aveva più nulla di normale.
Scrisse rapidamente l’articolo che, benché fosse per l’edizione successiva, doveva tuttavia passare al vaglio del direttore: costui, infatti, temendo ancora troppo le sue uscite di tema di quando era alla cronaca sportiva, lo sottoponeva alla mortificante correzione di ogni suo scritto. Nell’articolo Alex parlò ironicamente benissimo della pièce, ricalcando le cose dette con i colleghi la sera precedente che, incredibilmente, gli erano ben presenti alla mente. Poi si sbrigò a consegnarlo; apportò, come sempre senza discutere, le modifiche richieste e si prese un momento per se stesso nell’unico luogo dell’ufficio che permettesse un po’ di privacy. Lì giunto, si sforzò ancora di riflettere. L’ipotesi della burla era possibile, perché era evidente che Silvia non avesse nulla a che fare con il mondo dei fantasmi: la sua corporeità era fuori discussione! Ma perché lo scherzo sarebbe stato protratto tanto a lungo?
L’idea di una resurrezione gli parve invece enormemente stupida e si rimproverò di non essere libero nel rapporto con l’assoluto, ma, anzi, di farsi condizionare da religioni canoniche alle quali aveva pur irrevocabilmente scelto di non aderire. Di fronte alla manifestazione dell’assurdo non gli erano scaturiti forse paragoni tratti dalla sua educazione cattolica e dai suoi lontani studi biblici? Ora era il momento di liberarsi di questa zavorra, mostrando il proprio coraggio ed osando guardare in faccia il Mistero, la Divinità. Ma qualcosa in lui era cambiato e qualcosa di assolutamente decisivo, se dovette riconoscere a malincuore che al termine “divinità” aveva finora corrisposto nella sua mente un vago concetto di forza naturale, di primo moto, di energia vivificante e creatrice, che, quasi come un meccanismo impersonale, determinava il mondo senza entrare direttamente in contatto con gli uomini, anzi non curandosene proprio. Ora invece era stato forzato da un avvenimento incomprensibile ad ammettere il proprio errore: era evidente che questa “forza” avesse una mente pensante e libera anche di autocontraddirsi, cioè di negare le stesse leggi creaturali, e che si mischiasse anche troppo con la vita dell’uomo, a volte perfino con senso dell’umorismo. Era dunque un Essere animato e pensante?
Riconoscergli la possibilità di un’azione volontaria era automaticamente una risposta affermativa alla domanda. Ma lui, Alex, cosa stava cercando? Perché aveva questa evidenza feroce, questa convinzione invincibile che se avesse scoperto qualcosa sul divino avrebbe nello stesso tempo scoperto qualcosa su se stesso che gli avrebbe aperto la possibilità di una vera autocoscienza? Non poté rispondersi, perché un importuno, animato da impellenti bisogni, bussò impazientemente alla porta e gli intimò di uscire da quel luogo pubblico destinato a ben altri usi che ad una meditazione esistenziale. Uscì, innervosito per il contrattempo, e per tutta la mattinata fu assorto nei propri pensieri, infastidito per essere stato ancora una volta disturbato, come già dalla vecchietta del caffè all’ospedale, quando stava intravvedendo la possibilità di una scoperta importante su di sé.
Giunta finalmente l’ora di pranzo, dopo aver verificato telefonicamente le condizioni di Laura, si affrettò verso casa, temendo sempre che qualche evento sgradito lo costringesse a svegliarsi da quel sogno meraviglioso. Ebbe invece una graditissima sorpresa: la casa era perfettamente in ordine, profumata di aromi d’oriente, con mobili e pavimenti lucidati a cera ed i vetri puliti come non erano mai stati. Sul tavolo della sala era pronto un pranzo succulento e lei lo aspettava lì, in mezzo alla stanza, con un vestitino che doveva aver comprato quella mattina stessa e con il più dolce dei sorrisi. La baciò e mangiarono felici, chiacchierando del suo lavoro ed evitando accuratamente ogni accenno a quanto era accaduto il giorno prima. Alex, che aveva sempre vissuto solo, perché gelosissimo del proprio disordine e della propria intimità, notò che Silvia era la prima donna a mettere piede in casa sua, perché nemmeno Anna……. un momento: donna? Il viso di Alex si incupì ed egli non poté evitare di affrontare la questione pendente tra loro:
– “Silvia, ma tu….. sei veramente una donna?”
Ebbe in risposta una risata fresca ed argentina; la ragazza si alzò e disse solo:
– “Vado a prendere il pollo!”
Poi, giunta sulla soglia della porta della cucina, si voltò di colpo e, sporgendosi dallo stipite con il solo viso, gli disse:
– “Pssst…. non lo dire a nessuno, però!…….Sono una tigre feroce” – ed accompagnò queste parole con un ruggito, imitando una zampata, poi, con un’altra risata che gli parve assolutamente sincera, entrò in cucina.
Non c’erano dubbi! Lei sapeva bene come stessero le cose!
In caso contrario si sarebbe stupita della sua domanda ed invece l’aveva accolta come normale, pur evitando la risposta.
Il cammino era chiaro: gli era chiesto di tacere e di seguire senza capire! Avendo fissato come postulato, come dogma incontestabile, che è nell’atto incosciente che si rivela l’operare del divino in noi, cioè la nostra natura primordiale ed incorrotta di creatura, doveva ora sopportarne le logiche conseguenze e piegare la ragione ad assecondare l’avvenimento di una presenza in lui diversa da ciò che aveva considerato fino ad allora essere il proprio “se stesso”, assecondare questo istinto che lo portava ad agire contro la sua stessa capacità di riduzione intellettuale, contro il suo raziocinio, contro la sua stessa coscienza.
Come aveva potuto abbandonare Anna così di punto in bianco, senza un rimorso, amare una madre la notte stessa della morte della figlia ed ubriacarsi poi in compagnia? Tutto ciò ripugnava a ciò che egli aveva imparato a conoscere come la propria coscienza, il senso del bene e del male, del lecito e dell’illecito e nello stesso tempo la viscerale sensazione di appartenere a qualcuno o qualcosa che si sarebbe potuto offendere con un comportamento non consono, con un’irregolarità di condotta. Erano solo retaggi di un’educazione plagiante? E se quel Dio che aveva amato da bambino e conosciuto come buono e severo fosse stato lo stesso che gli si stava rivelando ora come suprema e giocosa libertà da ogni regola, con quale credibilità avrebbe Egli potuto chiedere a generazioni di fedeli la rigorosa osservanza di norme etiche, quando lui stesso le travalicava impetuosamente?
Silvia tornò e con lei la serenità e la fiducia. Alessandro, sopraffatto dalla dolcezza della sua vista, si abbandonò ancora una volta al disegno del quale era destinato ad essere un piccolo segno, forse solo un punto, necessario però alla sua completezza. Le sorrise e pensò che lei doveva essere sicuramente il premio della sua adesione. Ma da parte di chi? Chi avrebbe potuto garantirgli che quella volontà potente in azione fosse quella benigna della quale era in cerca e non la sua opposta, feroce nemica? E non stava barattando la sua vita come Faust, inseguendo un miraggio di felicità terrena?
Si assolse. Si disse che aveva agito sempre con lealtà aderendo a ciò che gli era stato indicato e che (ma certo!) il diavolo, o come si voglia chiamare l’energia negativa, erano creazioni del cattolicesimo, puri fantasmi per spaventare i credenti ed indurli al bene con la paura piuttosto che con l’amore. Lui era libero da ciò, ma la constatazione fatta lo rese da quel momento più prudente: doveva aguzzare ancora più la sua capacità di attenzione verso il reale per analizzarlo e, senza censurare nulla, arrivare ad una più esatta definizione del carattere di quel divino al quale si era sottomesso. Ma Silvia era reale? Era talmente bella e perfetta, così diversa da quella ragazza che era morta laggiù in strada, che si aprivano due distinte possibilità: o l’energia maligna si adoperava per sedurlo con ciò che era di suo gradimento, o quella benigna aveva redento Silvia attraverso il lavacro della morte per poi offrirgliela in dono. In ogni caso era esclusa ormai l’esistenza di un’energia indifferente ed involontaria: essa agiva nella sua vita servendosi di lui e di coloro che lo circondavano; si voleva qualcosa da lui: aveva un compito!
Passarono da Vittorio, che aveva preparato tutte le cose di Silvia ben ordinate dentro scatoloni di cartone e, mentre la ragazza si intratteneva con l’amico, Alex caricò l’auto.
Poi la chiamò, salutò Vittorio e si misero in cammino verso casa.
– “Silvia, ma perché hai voluto che passassi anch’io da Vittorio? Non potevi prendertele da sola le tue cose? E poi ora la mamma è in ospedale!”
– “Hai ragione, scusa, ma non me la sono sentita di farle trovare le cose in casa senza spiegazioni. Così è più accettabile per lei perché sei tu che le restituisci: ciò rende anche più credibili le tue invenzioni. Io non ho ancora deciso se farmi rivedere da lei! Sai, non mi sono comportata molto bene ultimamente!”
– “E con questo? Non merita forse di sapere che non sei….”
– “Che non sono cosa? – lo interruppe la ragazza con energia.
– “..morta?”
– “E chi ha detto che non lo sono?”
Alex si sentì gelare il sangue.
– “Che dici?”
– “Che di questo è meglio non parlare, va bene? “
– “Ma come pensi che io possa…”
Con un gesto semplice, da ragazzina gli pose due dita sulla bocca imponendogli il silenzio.
– “Se mi vuoi con te questa è la condizione!”- gli sorrise e, mentre lui continuava a guidare, cambiò discorso.
– “E’ assurdo”- pensava Alessandro – “ho iniziato questo cammino per conoscere la verità di me ed ora mi è preclusa ogni conoscenza: non posso interrogare la realtà e devo accettarla come mistero insondabile. Ma se Dio è mistero, anche io sono tale? O è come per l’albero del bene e del male una prova di fedeltà da superare, perché la mia natura non potrebbe sopportare una rivelazione totale? Se è così però è tutto inutile, non saprò mai nulla!”
– “Senti, signor filosofo, a me non piace parlare senza che tu mi dia ascolto! Smetti di tormentarti e vivi felice! O ti manca qualcosa per esserlo?”
– “C’è felicità senza conoscenza?”
– “E c’è conoscenza senza felicità? Se non si vive con gioia, ogni conoscenza è preclusa, perché manca la condizione prima dell’adesione: la capacità di meravigliarsi di fronte alla bellezza. La conoscenza nasce dall’ amore, dall’ adesione incondizionata alla realtà, non dall’ analisi seriosa o dallo sforzo di interpretare a partire da teorie preconcette. Allora, vogliamo o no essere felici insieme?”
Mai Alex avrebbe potuto immaginare di udire queste parole uscire dalla bocca di una giovane ragazza! Lei lo conosceva perfettamente, ma lui non sapeva nulla di lei: con una simile disparità avrebbe potuto costruire un rapporto duraturo? E se lei fosse poi sparita di colpo lasciandolo nella disperazione?
Forse egli doveva limitare l’adesione per porsi al riparo da eventi dolorosi; doveva fornirsi di un paracadute, di qualcosa di alternativo che potesse salvarlo dalla perdizione se tutto ciò non fosse provenuto dall’energia buona che egli ricercava, o se, semplicemente, fosse stata una situazione precaria, propedeutica a qualcosa di diverso. Decise ancora una volta di affidarsi e di cercare di non pensare più.
– “Penso che tua madre meriti di sapere che tu sei qui!”
– “Forse, ma sta soffrendo troppo e devo confessare che non me lo sarei aspettato! Certe persone faticano davvero a manifestare i propri sentimenti! A lungo ho creduto che non
le importasse niente di me e che il grande sacrificio fatto lasciando famiglia e lavoro per me non fosse stato altro che un modo per appagare il proprio egotismo.”
– “Non credo proprio, da quel poco che ho conosciuto di lei!”
– “E se reagisse male? Se impazzisse nel rivedermi?”
– “Io non sono impazzito, almeno…. credo!”
– “Ma tu non mi conoscevi prima!”
– “Prima?”
– “Sì, hai capito perfettamente!”
Tutti i sensi di Alex erano al massimo grado d’attenzione per carpire anche il minimo segnale che lo potesse persuadere della burla o del miracolo ed ogni sua parola si manteneva saggiamente equidistante dai due estremi, pur provocando la ragazza a lasciarsi scappare qualche indicazione.
– “Facciamo così: vai tu da solo a prenderla e la prepari! Io vi aspetto a casa.”
– “A casa sua?”
– “No, a casa nostra, così se ti rendi conto che qualcosa non va e lei reagisce male, non mi faccio vedere!”
– “Mi sembra assurdo, ma farò come dici: ubbidirò fino in fondo!”
Al sentire la ragazza chiamare “nostra” la sua casa era stato pervaso da un brivido di piacere, da un miraggio di stabilità, ma l’irrealtà della situazione aveva subito smorzato il suo entusiasmo. Scesero a casa di Laura ed Alex scaricò la macchina aiutato da Silvia, poi la accompagnò a casa sua e si recò, da solo, all’ospedale per prelevarvi Laura. Arrivato in ospedale, Alex venne però preso da uno scrupolo di cui dovette poi vergognarsi e cercò il medico legale: non era lo stesso del giorno precedente e questo si dimostrò più comprensivo delle sue esigenze, tanto che gli concesse l’accesso, accompagnandolo, alla sezione dell’obitorio dove erano conservati i cadaveri in attesa d’autopsia. Cercarono il nome della ragazza, aprirono il comparto frigorifero ed Alessandro credette di svenire.
– “E’ lei?”
– “Sì, è proprio lei! La ringrazio dottore, avevo bisogno di vederla un’ ultima volta, prima che il suo corpo venisse straziato.”
– “La capisco, non si preoccupi, ho molto rispetto per il dolore altrui: lei deve averla amata molto.”
Alessandro stava piangendo: sentì il braccio del dottore posarsi sulla sua spalla e gli chiese:
– “Posso darle un ultimo bacio?”
– “Si, ma faccia presto! Ciò che le ho permesso è assolutamente irregolare e non vorrei avere dei problemi.”
Se il dottore avesse saputo che ciò che spingeva Alex a questo gesto non era un amore disperato, ma il desiderio di constatare se quello fosse realmente un cadavere o un manichino, strumento di una burla atroce, non si sarebbe certo tanto commosso nel vederlo accarezzare il viso della ragazza e riempirlo di baci. Egli ebbe la prova che escludeva l’ipotesi della burla e si alzò turbato e vergognoso del proprio dubbio, ma sollevato nell’animo dall’aver acquisito una certezza, per quanto impossibile alla ragione.
Tuttavia, nel momento stesso in cui si allontanò dal cadavere di quella sconosciuta così simile nel fisico alla sua Silvia eppure così diversa, un nuovo dubbio incrinò la recente sicurezza.
Gemelle? La sua Silvia poteva essere gemella di questa! Sì, questo avrebbe spiegato tutto, anche se lo avrebbe reso meno interessante, anzi stupido come certe trame di letteratura “trash”. Salutò il medico e raggiunse Laura.
La trovò abbastanza bene: i medicinali avevano fatto il loro effetto e, a parte un grande torpore, non aveva alcuna traccia del malore subito. Fu lieta di rivederlo e lo rimproverò di essersi presentato così tardi. Egli si scusò adducendo impegni di lavoro e la condusse alla macchina. Solo qui, dopo aver parlato dello spettacolo della sera precedente per dar modo a Laura di riabituarsi alla sua compagnia, le chiese ciò che gli urgeva nel cuore, ma Laura negò di aver avuto un’altra figlia: Silvia era figlia unica. Fu contento di questa risposta che eliminava la possibilità più stupida. Durante la guida, si divertì a liberare la propria fantasia melodrammatica, immaginando che Laura avesse avuto in realtà, senza saperlo, due figlie, ma che la seconda le fosse stata sottratta ancora all’ospedale da medici disonesti e venduta ad un’altra famiglia. Pensò ad un colpo di scena finale in cui la figlia, la cui esistenza era sconosciuta alla stessa madre, si presenta alla porta di casa all’indomani della morte della sorella. Sorrise delle proprie stupide fantasie e questo fu tanto evidente che Laura lo notò e gli chiese da dove venisse il suo buon umore. Alex, allora, colse l’occasione per parlare:
– “Laura, è successa una cosa inspiegabile!”
Passarono alcuni giorni di una bellezza incredibile per tutti e tre. Anche Laura si trasferì a casa di Alex e fece di tutto per farsi perdonare dalla figlia d’aver amato il suo ragazzo. Silvia, da parte sua, fu amorosa e tenera come non mai, attenta alle esigenze della madre e del suo uomo; andò anche a teatro varie volte con Alex che si divertì molto ascoltando i suoi commenti, a volte pertinenti, a volte strampalati. Conobbe i critici colleghi del compagno e provò una grande corrente di simpatia per il Passico, che in sua presenza aveva cancellato l’abitudine delle battutacce volgari e si era trasformato in una perfetta dama di compagnia, come ebbe a dire il Tartini in sua assenza.
Alex si era completamente abituato a questa nuova situazione familiare e non sognava più ad occhi aperti, ma convogliava ogni energia nell’amare Silvia e nel proteggere l’integrità mentale di Laura che gli appariva più compromessa della propria.
Era stato molto bravo nell’evitarle il trauma iniziale: l’aveva condotta passo a passo all’incontro con la figlia; aveva creato un’aura di normalità nella quale i confini del reale si erano dilatati sino ad abbracciare possibilità impensate per lei come per lui. Nonostante questo, però, Laura non riusciva ad abbandonarsi all’accettazione pura e semplice del fatto e spesso la sorprendevano a spiarli, anche nell’intimità, per assicurarsi che fosse vero, che quella fosse davvero sua figlia e fosse viva!
Si dimenticarono totalmente di quel povero corpo abbandonato allo strazio dell’autopsia, tanto da essere considerati cinici dal personale dell’ospedale e fu con vera sorpresa che Laura ricevette un giorno la telefonata dal centralino che la informava della concessione dell’autorizzazione a celebrare il funerale della figlia.
– “Ma se tu sei qui, di chi è quel corpo?”
– “Niente domande, mamma, non tentarmi! Se mi sfuggisse detto qualcosa dovrei andarmene per sempre! Rispetta il mio mistero, non c’è altra strada per rimanere unite!”
Una strana ilarità si impadronì di tutti e tre nel preparare il funerale:
– “Voglio un bel funerale, mi raccomando! E voglio vedervi piangere.”
– “Temo invece che mi scapperà da ridere!”
– “Non ci mancherebbe che questo! Già ci considerano dei depravati perché ci siamo disinteressati della salma!”
– “E credo che la polizia abbia ancora dei sospetti su di me! E’ abbastanza normale, li capisco, non capita di frequente vedere una persona interessarsi tanto di una sconosciuta!”
– “Se penso a tutte le menzogne che mi hai raccontato!” disse Laura.
– “Sei ancora arrabbiata?”
– “No, però mi hai fatto veramente passare per una stupida!”
– “Tu, Silvia, ovviamente non devi farti vedere; ci aspetterai qui!”
– “Vuoi scherzare? Figurati se mi perdo il mio funerale!”
– “Ma non puoi!”
– “Mi vestirò in nero con una veletta in capo; se qualcuno dovesse riconoscermi diremo che sono la sorella gemella!”
Alex, a queste parole, voltò il capo improvvisamente e la fissò, ma non vide nel suo sguardo altro che un’infantile ilarità: stava scherzando oppure no? Il suo nobile cammino spirituale stava per mutarsi in una triste comparsata in un “feuilleton” di infima categoria? Tutti i suoi sensi si concentrarono sulla ragazza per capire qualcosa di più, ma nulla trapelò e quella frase mantenne il peso di un’innocente battuta scherzosa.
Il giorno del funerale, dunque, Alessandro dovette spesso rimproverare Silvia, perché, protetta dalla veletta e fingendo di piangere, si era più volte lasciata andare ad attacchi silenziosi di riso, specialmente durante la predica generosa e generica che il prete, non conoscendo assolutamente la morta, fece dipingendola come una figlia esemplare. Alessandro, che non godeva del privilegio di una copertura del viso, fu costretto invece a simulare attacchi di disperazione per allontanarsi e sfogare, lontano da occhi indiscreti, la propria incontenibile
ilarità. Solo Laura rimase imperturbabile, grazie ai sedativi che aveva preso prima della cerimonia, e stette immobile per tutto il tempo del funerale senza rendersi conto di nulla, senza soprattutto chiedersi se stesse o non stesse seppellendo la figlia.
Fu al termine della cerimonia, mentre i pochi intervenuti le porgevano le condoglianze, che lo sguardo di Laura si spense ed i primi segni di pazzia si manifestarono.
Doveva aver esagerato con le dosi del medicinale o forse l’assurdità della situazione aveva avuto ragione della sua fragilità emotiva. Dapprima furono solo frasi fuori luogo che lasciarono allibiti gli astanti per la totale illogicità, poi, quando i due giovani l’ebbero riportata frettolosamente a casa, giustificando con il dolore eccessivo la momentanea perdita di lucidità della congiunta, si manifestò con grida, lunghe grida roche che turbarono il sonno dei vicini per tutta la notte. Verso l’alba, vincendo la paura di essere scoperti, chiamarono il dottore di turno che visitò la malata e ne ordinò il ricovero per intossicazione da farmaci.
I medici non si stupirono nell’udirla parlare di Silvia come se fosse viva oppure ridere del funerale e della predica del prete: erano i deliri di una madre che non riusciva ad accettare di aver perso la figlia. Intanto Silvia passava con lei molte ore al giorno, aiutandola a mantenere vivo un tenue barlume di coscienza: Laura la riconosceva, chiedeva di Alessandro, poi si immergeva in un suo mondo di sogni e regressioni infantili, destinato a proteggerla dall’insostenibilità del suo presente. Cantava canzoni da bambina e spesso si rivolgeva a Silvia chiamandola “mamma” e chiedendole protezione: parlava con gli angeli e pregava la luce, che assumeva ai suoi occhi vari colori a seconda dell’intensità della sua meditazione. Dopo i giorni della gioia vennero quelli del dolore per la ragazza, che non si dava pace di essere stata la causa di tanta sofferenza per la madre. Terminato il lungo periodo di disintossicazione, Laura fu rimandata a casa, con molte raccomandazioni alla famiglia perché le fossero evitati ulteriori traumi ed il terapeuta raccomandò a Silvia, che credeva essere la sorella della morta, di far vivere la madre in una sorta di campana di vetro, proteggendola da ogni problema per evitare ricadute e tenendola rigorosamente lontana dai farmaci, dall’alcool e dal “fumo”. Meglio sarebbe stato cercare di distrarla, forse con una nuova occupazione, forse con un viaggio. Fu così che, chiesto per la madre un periodo di aspettativa dall’ufficio, i due ragazzi decisero di approfittare di un viaggio di lavoro di Alex a Parigi per portarvi la madre in cerca di distrazione. Laura aveva fino ad allora viaggiato pochissimo perché non aveva mai avuto abbastanza denaro per poterselo permettere; sembrò quindi una buona idea.
– “Ma, per i tuoi documenti, come facciamo?”
– “I miei sono sempre validi, non c’è scritto se sono viva o no e vedendomi non credo che ad alcun doganiere venga in mente di controllare se esisto.”- rispose Silvia ridendo.
– “Tu lo trovi ancora divertente?”
– “No, non ora che la mamma non sta bene! Però penso che dopo questo viaggio si riprenderà”
– “Speriamo!”
Non la lasciarono sola un minuto fino al giorno della partenza.
Laura non era mai stata sull’aereo ed i ragazzi temevano che la paura del volo potesse turbarla nuovamente, ma non fu così: quando furono in quota di crociera, Laura si addormentò pesantemente ed al suo risveglio lo sguardo era di nuovo quello che aveva tanto colpito Alessandro al loro primo incontro.
– “Credo di aver fatto un incubo! Ho sognato che eri morta!”- disse e si mise a leggere il giornale.
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FINE SESTA PUNTATA
prossima puntata Sabato 17 Giugno
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Marcello Lippi.