L’inconsapevole trinità : quarta Puntata del romanzo di Marcello Lippi. Qui il link della prima puntata , seconda puntata e terza puntata
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PREFAZIONE
Scritto durante gli anni di permanenza in Cile dell’autore, questo romanzo racconta una storia affascinante e piena di colpi di scena, in cui agiscono fianco a fianco, secondo quella che è l’assoluta normalità nei paesi del Sudamerica uomini e spiriti, ninfe e personaggi letterari, tutti vivi di un’unica vita che da queste pagine prende corpo e significato. La vera protagonista è una donna, o meglio una creatura leggendaria della letteratura cilena, Osilas, la ninfa che oscilla (donde il nome) tra due mondi e che coinvolge, guida, illumina la vita dei protagonisti maschili. La sua voce è talmente potente e meravigliosa da muovere le onde del mare, il suo operare è benefico e potente per la vita di chi la incontra, siano esseri umani o personaggi letterari resi immortali dalla loro condizione e desiderosi invece di umanità. Il simbolo, il segno, le dimensioni dell’essere. La cattedrale nell’oceano è il racconto di tre vite, o non-vite, alla ricerca del significato del mondo: la prima attraverso la negazione della casualità e l’interpretazione estrema del reale come segno, la seconda attraverso la conflittualità dell’amore non corrisposto, la terza attraverso l’abbandono confidente ad un reale che supera i confini della normalità e ragionevolezza. Tre vite che si intersecano: quella di Pierre de Craon protagonista della pièce di Paul Claudel L’annonce faite à Marie , condannato per un gesto maldestro di violenza ai danni della giovane Violaine a peregrinare in eterno per il mondo con una lieve, ma contagiosa, forma di lebbra in corpo. Immortale perché personaggio di teatro, ma reale, più reale di altri personaggi, nella sua avventura fascinosa e ricca di sorprese, nel suo girovagare attraverso i secoli, maledicendo Dio per la punizione che gli ha inflitto, negandogli anche la redenzione, perché un reale tanto evidente nega la possibilità salvifica della fede; quella di un critico teatrale che, alle prese con un evento imprevisto e destabilizzante, il ritrovamento di una ragazza morente per overdose, si lascia coinvolgere, pensando a questo incontro come ad uno squarcio che deve spezzare la sua vita di prima e creare i presupposti per una nuova, nella quale gli si possibile intuire la ragione del suo esistere, operare ed amare; quella di un pensionato vedovo e solo che incontra uno spirito su una scogliera ed accetta di seguirne le indicazioni fino ad avere una nuova meravigliosa vita in Sudamerica accanto ad una giovane fanciulla. Cos’hanno in comune? Forse nulla, forse un mondo di sensazioni e verità che appartiene solo a loro e del quale Osilas, la creatura del mito andino che oscilla tra le due dimensioni e si coinvolge con l’esistenza di tutti e tre, possiede le chiavi. Il lettore è chiamato ad accettare in questa opera non solo l’operare congiunto di creature terrene, di esseri intermedi tra la dimensione della materia e quella dello spirito e di personaggi di teatro umanizzati, ma anche che i personaggi di una storia corrispondano a quelli dell’altra, che un personaggio possa essere nel contempo morto e vivo in uno sdoppiamento che trova le sue ragioni nel suo essere fortemente angelico e nel contempo simbolico.
Redazione Cultura
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L’inconsapevole trinità
o
La cattedrale nell’ Oceano
ROMANZO di MARCELLO LIPPI
Quarta Puntata
8
– “Dottor Morlacchi, la smetta di propinarmi stupidaggini infantili! Non solo lei, ieri sera, non ha trasmesso al giornale l’articolo sulla matinée di “Conversazione con la morte” (Monologo di G.Testori), ma si è reso irreperibile, staccando il cellulare. Siamo stati costretti a riempire lo spazio in pagina con quell’inutile intervista di mesi fa in cui quel suo amico tenore disoccupato racconta le proprie laringiti come fossero fatti di interess mondiale. E, “dulcis in fundo”, lei si presenta stamattina, come nulla fosse, con due ore di ritardo e con gli occhi pesti di chi ha dormito troppo ed in buona compagnia, a raccontarmi una stupidissima storia di cronaca che ai nostri lettori non può in alcun modo interessare. Ma lei sa quante sono le ragazze che muoiono ogni giorno di overdose? E poi, via!, dov’è il suo fiuto da giornalista? La droga non fa più notizia, la società ci si è abituata: ci si convive, come con la mafia o l’aids! Sono altre le storie nei teatri cittadini, critica di cui lei, Morlacchi, (se ne ricordi bene!), è l’incaricato. Già alle 9 di stamattina mi hanno chiamato dal teatro Pierlombardo per protestare: “Come mai non c’è la critica sul vostro giornale? Eppure il vostro corrispondente era presente!” E che gli dovevo dire? Che il mio dipendente stava vegliando una sconosciuta all’ospedale invece di fare il proprio lavoro? Capirei fosse stata una parente, anche solo una conoscente, ma via, sia serio! La sua scusa è veramente puerile! “
Il direttore si fece un po’ più calmo, si sedette ed accese una sigaretta.
– “Senta, Morlacchi: lei ha sempre svolto al meglio il suo lavoro ed è solo in virtù di ciò che, per questa volta, non prenderò provvedimenti disciplinari, a patto naturalmente che resti un episodio isolato. Però mi permetta di dirle una cosa, da uomo a uomo: capita a tutti di fare una scappatella, specialmente nell’imminenza di un matrimonio; capita anche di perdere la testa per una ragazza e di far tardi al lavoro, ma che diamine! una persona normale evita di farlo sapere a tutti in questo modo! Via! Non si è neppure tolto il rossetto dal collo!”
Sorpreso, Alex portò le mani al collo, cercando di cancellarvi i segni inequivocabili dei baci disperati di Laura. Il direttore sorrise, come davanti ad un bambino inesperto e disse:
– “Senta, Morlacchi, che ne direbbe di svolgere questa operazione in bagno, come tutte le persone civilizzate? E, mi permetta di darle un ultimo consiglio di carattere, diciamo, personale: chiami la sua fidanzata; ha già tempestato di telefonate la redazione per tutta la mattina cercando di lei ed è realmente molto preoccupata per la sua salute. Nel frattempo, cerchi una scusa più credibile da raccontarle!”
– “Ma non era una scusa, glielo giuro!”
– “Insiste? E quei segni sul viso chi glieli ha lasciati? Un corpo a corpo con l’infermiera del turno di notte, magari chiusi in un ripostiglio dell’ospedale, mentre la povera ragazzina stava morendo in corsia?”
– “Ma no, lei non può capire!”
– “E non voglio capire, mi creda! Lasci perdere le sue storie strampalate e risolva fuori di qui i suoi problemi personali. Adesso chiami la sua fidanzata e poi si metta subito al lavoro: voglio entro un’ora la critica che doveva inviarmi ieri sera!”
– “Va bene! L’avrà!”
Uscì trascinando i piedi, come se fosse reduce da una sbronza colossale: il cervello faticava a funzionargli, ma almeno era riuscito a non farsi scappar detto davanti al direttore che dello spettacolo teatrale del pomeriggio precedente non ricordava assolutamente nulla! E bene aveva fatto soprattutto a trattenersi dall’urlargli in faccia che c’erano cose più importanti del suo fottuto articolo là fuori, dove c’era la vita con la sua normalità e la sua eccezionalità e che di quest’ultima era chiamato ad essere interprete dal giorno in cui aveva deciso di fare il giornalista, non a sedersi annoiato in platea per raccontare poi a lettori disinteressati le sue opinioni su ciò che aveva visto. Non era un artista, né un autore, né un testimone appassionato; non creava nulla, non aveva nulla a che fare con il miracolo dell’arte: dalla coscienza di ciò gli derivava un acuto senso d’ inferiorità e d’impotenza che gli dava, come ad altri suoi colleghi, quella cattiveria necessaria per essere ritenuto un buon critico teatrale, spesso stroncando la carriera di persone che, con tutti i loro limiti, producevano almeno, al contrario di lui, qualcosa di tangibile.
Non era questo che sognava da ragazzo: avrebbe voluto essere per le strade, sempre pronto a documentare i fatti, a raccogliere gli umori e le sensazioni della gente comune, a testimoniare l’opera quotidiana di coloro che nell’ombra lavorano duramente per il bene del prossimo. Ed invece era stato dapprima destinato alla cronaca sportiva, dove gli era toccato celebrare, come fossero eroi. nobili pedatori quando spedivano una palla all’interno di una porta sguarnita tra il tripudio degli esagitati sostenitori, oppure denigrarli quando, per aver colpito la palla con il piede un poco più o un poco meno inclinato del dovuto, le imprimevano una traiettoria diversa e per pochi centimetri fallivano il bersaglio tra gli insulti dello stadio intero.
Poiché si era complicato l’esistenza nei suoi articoli con divagazioni sul significato del rito di massa legato al gioco del calcio ed alcuni paralleli tra eventi sportivi e teorie filosofiche in voga nel periodo, era stato ritenuto troppo cerebrale e per questo rimosso e destinato a fare il critico teatrale, dapprima come assistente del titolare, condannato a vedersi tutti gli spettacoli che a costui non interessavano, e poi titolare egli stesso quando costui andò in pensione.
Ma l’acuto malessere, proprio di chi non ama ciò che fa, gli rovinava le giornate al punto da non godere neppure del fatto che, tutto sommato, il suo era un ottimo lavoro: era ben retribuito per andarsene quasi ogni sera a teatro a vedersi uno spettacolo e spesso era invitato a viaggiare per assistere a produzioni estere. Cosa avrebbero dovuto dire allora i minatori in Belgio, costretti a scendere sottoterra per una miseria?
Era un privilegiato scontento, forse viziato, forse troppo desideroso di protagonismo e di significato. Per questo stava vivendo ora questa folle avventura; per questo si era lasciato andare all’irrazionalità di una storia che con tutto l’impegno si sforzava di costruire, ma che gli appariva artefatta, finta e vuota d’ importanza. Era realmente stato chiamato da una volontà potente e creatrice o si era abbandonato miseramente ai tristi giochi della cieca casualità? Silvia era morta veramente in quel lurido andito solo per chiamare lui ad una svolta radicale? E Laura era provvidenzialmente destinata ad essere la sua compagna, nonostante lui non sapesse nulla di lei e non presumesse del suo passato nulla di positivo? Non c’era che un modo per saperlo: andare fino in fondo; lasciarsi fare, aderendo a qualunque cosa gli potesse essere prospettata, annullando la concezione stessa della casualità ed attribuendo ad ogni evento, anche al più piccolo, un’importanza pedagogica e quindi un’indissolubile positività! Ponendo come base della sua nuova vita l’assioma che gli eventi di quelle ultime ore fossero gli elementi fondanti di un nuovo progetto sulla propria esistenza, doveva attendere lo svilupparsi dei contorni del disegno, ora ignoti, e non cercare più in nessun modo di controllare la propria vita! Ne sarebbe stato capace? E questa vertigine, che si era impadronita di lui, lo avrebbe travolto o guidato ad un porto sicuro?
Uscì dal bagno come in trance, come se la sua mente fosse lontana mille miglia da ciò che lo circondava, totalmente assorto in una nuova dimensione che, per ora, non rivelava alcuna piacevolezza, ma verso la quale egli sentiva la levità della deresponsabilizzazione. Se non era padrone dei fatti, se non agiva più, ma si limitava a reagire agli stimoli esterni che ora interpretava come ordini superiori e non come giochi del caso, non era più responsabile di nulla, veniva annullato il concetto stesso di colpevolezza, perché, nel vortice vertiginoso dell’abbandono, il male ed il bene erano al di fuori di lui, schemi inutili per schiavi irrequieti. La sua dimensione ora era tutt’altra: era figlio, prole di una divinità sconosciuta che operava nel presente della sua quotidianità per indirizzarla dove essa doveva tendere secondo un disegno predisposto da sempre e precedente alla sua stessa nascita. Lì, in questa nuova avventura, avrebbe incontrato il divino o avrebbe avuto la certezza della sua inesistenza; era dunque necessario, in nome della conoscenza di sé e del proprio destino, passare queste Colonne d’Ercole con coraggio e a qualunque costo.
Raccogliendo le poche idee che lo legavano ancora a quanto aveva preceduto l’incontro con Silvia, si accinse a stendere l’articolo. Non si sentiva pronto per chiamare Anna: non avrebbe saputo cosa dirle; doveva prima prepararsi un discorso che non nuocesse alla fidanzata e non gli precludesse la possibilità di un eventuale ritorno al passato, se tutto ciò che lo stava avvolgendo si fosse rivelato col tempo una pazzia. Ma sarebbe stato possibile ritornare indietro, o qualcosa di definitivo si era già messo in moto? Tolse meccanicamente di tasca la foto di Silvia che aveva rubato in casa di Laura e la pose al posto di quella di Anna, bene in vista sulla sua scrivania. Per la prima volta la guardò e poté vedere la ragazza con gli occhi aperti e luminosi, colta sicuramente in un momento di grande felicità, come testimoniava il suo sorriso sincero. Chissà a chi stava sorridendo! A quel ragazzo che l’avrebbe uccisa o a quello che aveva tentato di salvarla? E quest’ultimo che fine aveva fatto? Egli era l’unico che avrebbe potuto smascherarlo rivelando che lui Silvia non l’aveva nemmeno conosciuta!
La sua preoccupazione gli sembrò un’imperdonabile mancanza di fiducia verso la divinità alla quale si era affidato. Era una divinità sconosciuta, non riconducibile a nessuna di quelle fatte oggetto di culto dal mondo contemporaneo, era puro mistero; nel suo nuovo cammino verso la verità egli era infatti fermamente deciso a non farsi influenzare da nessun’altra esperienza, da nessuna ritualità, da nessun invito a dare un nome all’assoluto e a cercare di interpretarlo e di conoscerlo. Sapeva bene che con le proprie forze non lo avrebbe potuto nemmeno vagamente intuire, a meno che il divino stesso non si fosse reso palpabile per sua propria e libera decisione, incarnandosi nella sua esistenza presente con la forza coattiva della sua infinita potenza. Occorreva quindi lasciarlo fare, ma al tempo stesso dargli illimitata fiducia, anche nei momenti difficili che avrebbe sicuramente dovuto affrontare. Si era volontariamente posto in balia di onde vorticose e giurava a se stesso che mai avrebbe ceduto alla vile tentazione di aggrapparsi ad uno scoglio per sentire l’abbraccio confortante della materia, un po’ come gli era capitato al risveglio, quella mattina stessa, in casa di Laura, quando aveva avuto bisogno di toccare un oggetto per sentirsi vivo.
S’impose così di smettere di riflettere eccessivamente e di cercare invece di essere puro gesto, a seconda di quanto gli era richiesto dalle circostanze. La prima cosa che gli era richiesta ora era di scrivere quella maledetta critica! Quella volontà alla quale si era sottomesso gli avrebbe detto cosa fare con Anna, avrebbe fatto succedere qualcosa!
E così avvenne! Ad un tratto, mentre scriveva un generico commento su un lavoro teatrale a cui non ricordava quasi nemmeno più d’aver assistito, ebbe l’impressione di una presenza di fronte alla porta aperta del suo ufficio. Alzò gli occhi e se la trovò di fronte, come non l’aveva vista mai; dal suo viso rigato di lacrime, dalla sua pettinatura scarmigliata che la faceva sembrare un’altra donna, tanto lei era stata sempre curatissima nel suo aspetto esteriore, dalla sua voce rotta ed aggressiva, dal suo gesticolare convulso ebbe la più evidente testimonianza del suo amore e della sua angoscia. Non era in grado di distinguere una parola di ciò che gli stava urlando: le chiuse la porta alle spalle, perché il direttore non sentisse e non si curò nemmeno di sapere come fosse giunta fin lì nel suo ufficio. Il divino l’aveva portata lì perché lui non avesse bisogno di parole, perché lei vedesse la foto di un’altra sulla sua scrivania e la scaraventasse a terra con infinita disperazione, perché a lui fosse impossibile agire, tanto gli eventi si muovevano rapidamente a prescindere da lui, senza alcuna sua responsabilità. Era veramente innocente, spettatore muto della sua stessa vita!
Il suo silenzio esasperò Anna, che vomitò un fiume di dolorose imprecazioni: prima ordinò, poi implorò e supplicò, poi lo percosse, avendo come risposta solo lo sguardo spento di due occhi troppo aperti. Alex stava guardandosi vivere, con una coscienza talmente acuta da rafforzarlo nell’impressione di essere sulla strada giusta verso la verità di sé. La ragazza infine si arrese e, prorompendo nella più femminile delle difese, pianse senza ritegno finché, in un sussulto di vergogna, uscì correndo verso la sua nuova vita senza di lui.
Alex rimase alcuni minuti guardando verso la soglia, incurante del passare divertito dei colleghi che si erano gustati la scena ascoltando al di là di fragilissime pareti ed ora fingevano importanti incombenze pur di poter passare davanti alla sua porta a guardarlo, immobile come una statua. Uno più ardito degli altri osò perfino canticchiare “Guarda don Bartolo, guarda don Bartolo, sembra una statua, sembra una statua“(Rossini- “Il barbiere di Siviglia”)
Allora tutti scoppiarono in una grassa risata trattenuta fin lì a stento e si rimisero al lavoro, molto più rasserenati di prima.
Di tutto questo Alex nemmeno si accorse. Prese un profondo respiro e pronunciò una sola parola: “Addio!”, poi raccolse la foto di Silvia, assai rovinata dalla sfuriata di Anna, e la rimise sulla scrivania. Il destino aveva deciso per lui in modo chiaro: egli non aveva fatto nulla perché ciò accadesse né perché ciò non accadesse. Si sentiva forte, perché poteva riconoscere la Volontà potente nel suo diretto operare e non aveva dubbi sulla strada da intraprendere: per ora questa era segnata da indicazioni luminose e visibilissime, per il momento era tutto fin troppo semplice! Prese il telefono e chiamò Laura: la trovò ancora addormentata ed, appena riuscì a farsi riconoscere, le chiese se desiderava sempre che lui tornasse a casa sua. Avuta risposta affermativa, le diede appuntamento per l’ora di pranzo e le disse che avrebbe pensato lui a tutte le formalità da espletare per il funerale di Silvia, che riposasse il più possibile e che ora c’era lui con lei e non le sarebbe capitato più nulla di brutto.
Deposta la cornetta, si sedette al computer ed in pochi minuti scrisse tutto l’articolo richiesto, di getto, come se un’altra intelligenza glielo stesse dettando, e fu uno dei migliori articoli da lui scritti: riuscì a nascondere le lacune mnemoniche e si mantenne brillantemente sulle generali, parlando insolitamente bene dell’interprete e dell’autore, verso il quale sentiva una profonda simpatia interiore.
Della sua opera ricordava bene ed amava particolarmente quegli immortali versi del “Senso del desiderio”:
“O amore,/ luce mia,/ mia vittoria sul nulla,/ sulla morte,/ morendo con te/ giorno dopo giorno t’amo/ come ciò che è figlio,/ padre, madre,/ come ciò che è vita”. ( Giovanni Testori: “Il senso del desiderio” Crocetti ed.)
Poteva amare anch’egli con questa assolutezza? Terminato di scrivere, non rilesse nemmeno, tanto era sicuro del fatto che neppure un termine fosse inesatto, e consegnò l’articolo in tempo. Poi, rientrato nel suo ufficio, si sedette ad osservare la foto di Silvia ed una lieve lacrima gli sfiorò la guancia, come se fossero le dita sottili della ragazza ad accarezzarlo. Era libero da tutto: poteva iniziare una vita totalmente nuova, ripartire da zero, avere una seconda chance!
Ripensò ad Anna ed a quel matrimonio verso il quale stava poco prima passivamente scivolando, coinvoltovi dalla lunga frequentazione con la casa e la famiglia di lei, come se l’aver fatto l’amore presupponesse automaticamente quel passo come conseguenza dovuta ed inevitabile ed il trascorrere del tempo non avesse fatto che confermare questa necessità.
Un po’ gli dispiacque, pensando ai momenti belli vissuti con Anna ed ai visi familiari dei suoi cari, ma subito gli si affacciò alla mente la considerazione che il problema era proprio l’abitudine, il fossilizzarsi dello spirito in una situazione fino a ritenerla necessaria per la propria sopravvivenza, fino ad avvertire che la rottura avrebbe conseguenze più vaste dell’abbandono della persona precedentemente amata, perché andrebbe a toccare le consuetudini nelle quali si è vissuto: ed è veramente difficile lasciare le proprie consuetudini, ben più di una ragazza!
Si rimproverò questi pensieri e dovette riconoscere la sua impossibilità a rinunciare alla riflessione cerebralistica sugli avvenimenti: ciò era nella sua stessa natura. Ma era un vizio estremamente pericoloso: se avesse ceduto alla tentazione di interpretare i segni del divino, li avrebbe ricondotti alla propria dimensione umana e quindi soffocati proprio nel loro messaggio chiarificatore; nello stesso tempo, ogni istante dedicato alla riflessione lo allontanava da quella pienezza di apertura al reale che voleva sperimentare senza riserve.
Si ripromise quindi di limitarsi, ma riconobbe l’esigenza di un ricondizionamento del proprio essere e questo avrebbe richiesto del tempo! Si rimise così al lavoro a testa bassa. Doveva documentarsi su un’opera contemporanea cui avrebbe dovuto assistere a sera, e lesse il copione, che al riguardo gli era stato inviato, con un’attenzione estrema, come se attraverso quelle pagine il divino stesse nuovamente per rivelarsi. Infine, stanco di tanto inusitato sforzo di concentrazione, uscì, senza notare le occhiate divertite dei colleghi, e, con un’aria assente da saggio d’oriente, si infilò nell’ascensore e si diresse a casa propria per cambiarsi d’abito prima di andare da Laura.
Per tutto il tragitto fu puro sguardo: la curiosità lo eccitava e in ogni volto che incontrava, al quale non avrebbe un tempo dato peso, leggeva un nuovo tratto del grande affresco. La negazione del caso rendeva importante persino il mendicante che chiedeva l’elemosina all’angolo della strada, perfino quel ragazzo sullo skateboard che a momenti lo travolse. Nulla aveva vita propria: tutto era in funzione di lui, tutto avveniva perché Qualcuno aveva voluto che avvenisse e con ciò gli indicava qualcosa. Lui stesso naturalmente era reciprocamente parte attiva del disegno degli altri. Così ad ogni persona regalò un sorriso, un “buongiorno”, un’attenzione insolita. Cercò di imprimersi i tratti dei visi nella memoria, convinto che ogni incontro con uno sconosciuto fosse importante. Fece l’elemosina al mendicante invece di ignorarlo come di consueto e notò un’infinità di particolari architettonici che mai aveva notato prima: osservò commosso perfino il volo dei passerotti e lo strisciare equivoco dei gatti di strada. Gli occhi della sua anima erano spalancati sulla vita tanto da dargli un’ebbrezza insostenibile.
Dovette così entrare in un bar per concedersi una tardiva prima colazione al fine di ridarsi un poco d’energia. Anche casa sua non era più la stessa; era come se gli oggetti della sua quotidianità da scapolo si fossero nel frattempo trasformati e gli apparissero sotto una nuova luce, non più belli o più brutti, semplicemente evidenti e luminosi come mai nei loro contorni: erano più definiti e colpivano i suoi sensi con l’impeto della novità.
Si trattenne pochi minuti, il tempo per una doccia ed un cambio di abito e si affrettò a raggiungere Laura; si sentiva un po’ in colpa per averla lasciata in quello stato, a poche ore dalla disgrazia, ma annullò anche questa sensazione: aveva ubbidito, niente di più! Lui non aveva meriti né colpe, come lo schiavo agli ordini del padrone.
Entrato nella via di Laura fu attratto da un gigantesco volume, all’apparenza molto antico, che faceva mostra di sé nella vetrina di un negozio di antiquariato: doveva essere un’edizione tardo-medievale della Bibbia. Si accostò e lesse con la sicurezza di chi sa che il messaggio è destinato a lui ed a lui solo:
“Così dice il Signore Dio, il Santo di Israele:- Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza”. (Isaia 30, 15)
Sorrise e riprese il cammino con maggior vigore.
Salendo per le scale ricordò quando aveva letto in un volume del Newman (J.H.Newman “Apologia pro vita sua” Jaca book-Morcelliana), cioè che la conversione non è che la scoperta più profonda di ciò cui si aderiva già prima. Questo era ciò che gli stava capitando! Stava viaggiando verso la verità di sé e questa non gli era certamente estranea: da essa egli proveniva e ad essa già partecipava incoscientemente. Ora, dai suoi occhi stava cadendo il velo! Senza disturbare lo huen-tuen dei wuisti, cioè il paradiso perduto, l’unità originaria del divino e dell’umano, né riferirsi ad alcun’altra religione da lui studiata negli anni delle faticose e sterili indagini libresche, sentiva con dolore che era stato derubato di qualcosa che gli era appartenuto sin dal principio e che, se lo avesse recuperato, questo qualcosa lo avrebbe reso nuovamente felice.
Suonò al campanello e gli aprì una sconosciuta!
Gli costò moltissima fatica abituarsi all’idea che questa donna scarmigliata ed in sottoveste che gli venne ad aprire con gli occhi grevi di chi ha esagerato con i sonniferi e che rivelava ora alla luce del giorno impietosamente la propria età, ben maggiore della sua, fosse la stessa Laura della notte precedente. Colei che gli fece strada nella casa maleodorante di sudore era la compagna del suo destino? Barcollando, Laura si diresse alla cucina e lo pregò di farle un caffè. Non si accorse del suo disorientamento, del suo disagio. Lui, raccontandole della mattinata al lavoro, le fece il caffè e poi aprì le finestre per dare aria all’appartamento. La dolce carezza dell’aria fresca gli ridestò per un istante un’acuta nostalgia di Anna, ma la respinse con orrore: era la tentazione dell’abitudine, dello scoglio cui aggrapparsi! Intanto l’aspetto di Laura, grazie al caffè ed all’aria fresca, andava migliorando:
– “Devo aver preso qualche pastiglia di troppo, ma non potevo rimanere da sola con questo
dolore”
Queste parole suonarono un po’ strane nella sua voce arrochita dal fumo, come fossero false, come fossero pronunciate per auto-convincimento a prescindere dalla presenza di Alessandro, e che lei in realtà non fosse addolorata più di quanto lo fosse lui, che la morta nemmeno conosceva.
– “In nessun momento siamo soli, la solitudine è un’illusione. Cerca di svegliarti ora, che
abbiamo molte cose da fare.”
Lei sorseggiava lentamente il caffè e lui ne studiava nel frattempo attentamente i lineamenti e le mosse; si chiedeva che rapporto avesse mai questa madre con la propria figlia per essere stata capace di amare un uomo la notte stessa della sua morte. E lui si era approfittato della sua debolezza, del suo bisogno di sentirsi viva, per provare l’ebbrezza dell’amore con una sconosciuta? Ricacciò questo sospetto con impeto: aveva ubbidito, questo era tutto; nessuna colpa, nessuna responsabilità! Il male ed il bene erano nel suo universo annullati per sempre, scomparsi con l’elisione della facoltà elettiva!
– “Dopo te ne vai di nuovo?”
– “Non fino a stasera; devo andare a teatro, ma se vuoi puoi venire con me.”
– “A teatro, con mia figlia ancora all’obitorio?”
Parlava per convenienza, per non farsi vedere dagli occhi giudicanti del prossimo, o per intima convinzione? Alex avrebbe voluto sapere tante cose su di lei, ma doveva aver pazienza e cercare di non agire per non rovinare tutto.
– “Devi reagire ora. A lei non serve il tuo, pur umanissimo, cordoglio: dov’è ora sta benissimo! Io poi a teatro devo andarci per lavoro, non per divertimento; faccio il critico teatrale e dopo la sfuriata del mio direttore per il ritardo di questa mattina, non posso proprio farne a meno!”
– “No, mi sembra orribile solo l’idea! Già quello che abbiamo fatto stanotte è stato mostruoso! Siamo due esseri spregevoli!”
– “E perché mai? Non hai pensato che proprio Silvia ci ha fatti incontrare? Ha voluto che due persone che lei amava si unissero accomunate dall’amore per lei. Tu hai volontariamente deciso di fare l’amore con me o ti ci sei trovata?”
– “Mi ci sono trovata, come dici tu! E’ successo quasi senza che me ne accorgessi e non ho avuto la forza di ritrarmi! Ne sento un rimorso orribile!”
– “Vedi? Un’altra volontà ci ha uniti e noi abbiamo ubbidito. Non c’è nulla di mostruoso in questo!”
– “Mi sembra una giustificazione debole! La verità è che ero fragile, che eravamo fragili e ci siamo dati conforto, ma la fragilità non giustifica tutto, non può giustificare tutto!”
– “Sei troppo dura, con te e con me: mi fai sentire come se io avessi approfittato del tuo dolore per averti!”
– “E non è così?”
– “No, che diamine! Come puoi pensarlo? Sarei forse qui, adesso?”
– “Perché no? Sembri una buona persona: forse il rimorso ti ha disturbato la coscienza per tutta la mattina!”
– “Laura, no! Non ti permetto di dire questo!”-
– “Ma tu non sai niente di me!”
– “So che sei la mamma della mia Silvia e questo mi basta!”
Come avrebbe voluto non mentirle più, ora che la storia si era fatta seria! Ma Alex si rendeva conto che sarebbe stata da parte sua un’indebita ingerenza nell’operare del divino ed a ciò non era disposto. Ora era in gioco: troppo tardi per pensare di retrocedere!
– “E se fossi sposata? Se tra poco entrasse un uomo da quella porta a chiederti conto della tua presenza qui?”
– “Me lo avresti già detto! O non mi avresti lasciato entrare! Laura, ti prego, il momento è serio e doloroso. Ogni cosa buona nasce dal dolore!”
– “Ma nessuna buona storia comincia dal finale e noi abbiamo fatto un gesto irrazionale che non si fa tra sconosciuti e soprattutto non in queste condizioni. Puoi capirlo? Il ricordo di averti amato sarà unito per sempre al ricordo della morte della mia bambina. Amore e morte: questo non suona buono!”
– “Anche la superstizione, adesso! Laura, vestiti, ti prego! Rimandiamo a dopo ogni discorso, ora sei troppo sconvolta. Ci sono alcune formalità che dobbiamo compiere per il funerale ed io non posso sbrigarle per te, perché non sono nemmeno un parente!”
Lei lo aggredì:
– “Cosa ti fa credere che io voglia una storia con te? Tu eri l’uomo di mia figlia! E’ orribile! Sei un essere spregevole! Nemmeno è stata sepolta e tu già l’hai tradita e con la sua stessa madre!”
– “D’accordo, è orribile” – le disse aiutandola a vestirsi- “ma ci siamo trovati in questa situazione ed ora possiamo solo accettarla o respingerla. Cosa pensi di fare? “- le disse, disposto ad accettare qualunque sua decisione.
– “Per ora nulla; ho bisogno di te! Poi vedremo.”
Il viaggio verso l’obitorio con l’auto di Laura fu penoso: ognuno dei due cercava di cancellare almeno qualche tratto del solco che si era scavato tra loro ed il pensiero correva alla morta che stavano per rivedere.
– “Non so se riuscirò a rivederla in quello stato!”
– “Lo dici, vedrai che sul momento ti verrà il coraggio: sarà l’amore a dartelo!”
– “L’amore!”- il viso di Laura si contrasse in una smorfia dolorosissima – “sai bene che io non l’ho amata abbastanza questa figlia e non mi sono curata di lei come una madre dovrebbe fare: Silvia ti avrà certamente raccontato che madre disgustosa le sia toccata in sorte!”
– “No, non ha quasi mai toccato l’argomento.”
– ” L’ho avuta senza essere sposata: il padre, un mio collega (allora recitavo in teatro) mi disse che non aveva nessuna intenzione di avere una relazione seria con me, né di riconoscere il bambino; mi chiese di abortire, parlò di Silvia come di un “incidente”, ma io non volli ubbidire. Ebbi la bambina: persi il lavoro, persi la mia famiglia che si sentì disonorata, persi tutto ciò che possedevo, ma avevo lei ed era meraviglioso! Ero giovane, allora, ma con il tempo e con gli anni si è fatta sempre più dura: qualche impiego saltuario, qualche denaro facile, senza più pensare, senza più permettersi il lusso dell’orgoglio e della dignità, vedendo sempre le spalle degli uomini che amavo mentre se ne andavano da me. E, lentamente, senza volerlo, ho cominciato a provare rancore verso colei che era la causa di tutto questo. Silvia dovette avvertirlo, perché si fece ribelle, scontrosa, fragile e desiderosa soprattutto di emanciparsi da me in ogni modo. Scappò di casa la prima volta a quindici anni e, da allora è stato un susseguirsi di errori e di fughe: mi chiamava solo quando era veramente nei guai ed aveva bisogno di denaro. Allora si fermava in casa un giorno o due, parlavamo ed era come quando lei era bambina:poi, di colpo, spariva senza nemmeno salutarmi”.
-” E tu la cercavi?”
-” E come? Non ha mai avuto una casa sua, né una relazione più lunga di qualche mese, nemmeno con quel delinquente con cui ha fatto la pazzia di sposarsi di nascosto. Tutto per lei doveva durare per un po’ e poi basta; doveva cambiare, perché il bello, diceva, è nella novità, non nel possesso. Così viveva in casa dell’amico del momento, sempre rigorosamente tenuto segreto alla madre. A proposito, stava vivendo in casa tua, no? Potrei riavere le sue cose indietro?”
Alex fu preso totalmente in contropiede dalla domanda: impallidì e bofonchiò:
-” Come? Ma che dici? Ma no, io la conoscevo da poco!”
-” Ma ci uscivi o no? Hai detto che volevi sposarla!”
-” Ne ero molto innamorato, ma la relazione era iniziale.”
-” Allora non sei tu, quello di cui lei mi aveva parlato l’ultima volta! Dio mio! E’ stata davvero l’ultima volta!” – disse queste ultime parole come sotto l’effetto di una visione: di fronte al riemergere del ricordo della ragazza viva, lo sforzo tremendo di normalità che Laura stava facendo si spezzò e lei scoppiò in un pianto dirotto.
– “Silvia, bambina mia!”
Era il pianto di chi è rimasto solo, di chi guarda alla propria vita, che, per quanto brutta, è sempre la propria vita, e sa che sarà dominata dall’assenza di una persona cara; e questo anche se con questa persona i rapporti fossero stati pessimi, perché comunque essa faceva parte di un mondo proprio, era un “possesso” ed ora era stata detta la parola più dolorosa, la parola “fine”, quella che esclude ogni possibilità di correzione e di redenzione, ogni possibilità di dire o dimostrare al defunto ciò che non si è trovato il tempo di dirgli o dimostrargli prima.
Alex le passò teneramente la mano sui capelli.
– “Ti dispiace se fumo? Poi in ospedale non me lo lasceranno fare.”
Non poteva dire di no ad una madre in quelle condizioni e non lo fece, ma l’idea della macchina piena di fumo proprio non gli piaceva per niente. Si dispose a tollerare i gas venefici del tabacco, ma l’odore che gli giunse alle narici era ben diverso.
-” Ma cos’è quella roba?”
-” Erba, ne vuoi?”
-“Ma sei scema? Butta via quella schifezza!” – le strappò di mano la canna e la scaraventò dal finestrino.
– “Deficiente, ma lo sai quanto costa?- gli gridò la donna.
– “Ne ho abbastanza di gente che fa stronzate! E’ appena morta tua figlia per colpa di questa roba e tu la vuoi seguire nella sua gloriosa fine?”
– “Ma che cazzo dici? Silvia si faceva di ben altro, cosa credi? Altro che spinello. Ma tu guarda questo demente!”
– “Se vuoi che me ne vada, va bene, ma se mi vuoi con te, guai a te se ti vedo portare alle labbra quella roba!”
– “Ma a chi credi di dare ordini, tu? Sei solo un ragazzino viziato con il complesso del samaritano: cos’è, ti sei messo con mia figlia per redimerla o si bucava per poterti sopportare?”
” Non so perché frenai di colpo con violenza tale da farle battere il capo, nonostante la cintura, contro il parabrezza. Forse la sua voce che urlava in un modo tanto sgradevole, forse l’insostenibilità della mia menzogna. Sapevo che non avrei potuto continuare a lungo senza che s’accorgesse che io Silvia nemmeno l’avevo conosciuta, però speravo di proseguire almeno un po’ nella finzione, tanto da farmi amare ed apprezzare per quello che ero. Ma una forza potente aveva suscitato in me un’ira senza motivo, che mi mordeva le viscere ed impediva qualsiasi controllo delle mie reazioni. Stavo rischiando di rovinare tutto! Le gridai che da lei non dovevo certo prender lezioni di vita, lasciandole intendere di avere un giudizio molto negativo sulla sua condotta e non mi curai di ferire una madre che aveva appena perso la figlia. Era tanto potente il mio disinteresse per lei? La porta del “Paradiso” si era già chiusa per sempre?”
Laura rimase pietrificata, tanto fu grande la sorpresa, ben superiore al dolore. Guardò Alessandro con lo sguardo gelido e dominatore che ha una tigre prima di sbranare la preda, poi disse solo:
-” Esci da questa macchina!”
Alex non disse nulla, sorpreso più di lei di aver detto quelle cose, e scese con ira dall’auto. Laura si pose al volante e partì sgommando. Tutto accadde in un attimo ed Alex rimase inebetito sul marciapiede guardando fisso davanti a sé e cercando di raccogliere le idee.
Non ebbe tempo di elaborare un qualsivoglia pensiero compiuto che vide l’auto tornare indietro in retromarcia a tutta velocità:
– “Dai, sali! Abbiamo entrambi i nervi scossi dal dolore; cerchiamo però di non morderci
tra noi, d’accordo?”
Alessandro riprese posto accanto a lei e proseguirono in silenzio verso l’obitorio. Qui li attendeva un’amara sorpresa: non era possibile vedere Silvia perché il magistrato aveva richiesto l’autopsia e posto sotto sequestro la salma per accertarne le cause della morte. Stava iniziando un lungo periodo di attesa, che i dottori dell’ospedale non poterono quantificare. Laura reagì male a quest’ultimo sfregio operato ai danni della figlia e si accasciò svenuta tra le braccia di Alex. Fu necessario somministrarle un cardiotonico e ricoverarla per precauzione ed Alessandro si trovò nella spiacevole situazione di doverla lasciar sola a sera, in quelle condizioni, per andare a teatro. Risolse il problema chiamando un’infermiera di notte a coadiuvare quelle del reparto ed affidandole la donna fino all’indomani. Poi fece appena in tempo a cambiarsi d’abito a casa propria ed a correre al lavoro.
Fu una serata del tutto particolare per Alex perché la sua attenzione era totalmente monopolizzata dagli avvenimenti della giornata e non riusciva, se non a sprazzi, a concentrarsi su quanto avveniva sul palcoscenico. Gli attori si muovevano come automi declamando senza inflessione alcuna un testo troppo ostico per essere recitato, tanto rivoluzionario nella sintassi da essere spesso incomprensibile, anche alla lettura che pietosi sopratitoli riproponevano su un piccolo schermo posto sopra le teste degli attori. La scena scarna ed essenziale, tutta in nero e grigio, come i costumi degli attori, accentuava il carattere soporifero della pièce e stimolava la divagazione onirica.
Così Alex venne meno al più elementare dovere di un critico e si disinteressò degli attori per riflettere su Laura e sul proprio futuro con lei o senza di lei. Sarebbe stato disposto a condividere il tetto con una che si faceva le canne? Cosa erano quegli accenni al denaro facile che la donna aveva fatto? Tutto ciò lo inquietava ed una voce (la sua ragione?) gli diceva chiaramente di fuggire da questa situazione, ma aveva giurato di non agire ed a questo giuramento intendeva rimanere fedele a qualunque costo. Il Mistero gli avrebbe indicato il da farsi e, se questo non fosse successo, avrebbe atteso la nuova rivelazione rimanendo per il momento accanto a Laura. Ripensò al litigio in auto e si stupì della sua reazione: era stata per lui come una sconfitta. Nonostante i giuramenti a se stesso, aveva tentato di impadronirsi del timone della propria esistenza: aveva deciso di non poter accettare l’atto autodistruttivo (peraltro veniale) di Laura in nome di principi morali, dedotti dall’esperienza altrui ed anteposti alla libera disponibilità che aveva offerto alla Volontà suprema. La sua fiducia era limitata? Era condizionata da paletti etici o era assoluta?
Stava ancora riflettendo su queste domande quando l’applauso liberatorio del pubblico lo ridestò: era finito il primo atto e le luci della sala colpirono improvvisamente i suoi occhi. Ebbe la tentazione di unirsi alla parte numerosa del pubblico che, incurante degli avvisi delle maschere, guadagnava frettolosa l’uscita per risparmiarsi il secondo atto, ma il senso del dovere prevalse e si diresse al bar per un doppio caffè. Qui assistette ad una di quelle tipiche conversazioni tra spettatori ignoranti che, temendo di essere gli unici, per il proprio limite, a non aver capito nulla dello spettacolo, ostentano un innaturale entusiasmo, commentando ad alta voce la pièce come se la conoscessero perfettamente e criticando questo o quell’interprete come se nell’impersonalità dell’allestimento fosse possibile distinguere la pochezza attoriale dall’idiozia registica.
Alex pensò che quella era indubbiamente la forza suprema dell’arte “sperimentale”: il dubbio che insidiava nel malcapitato spettatore di non essere riuscito a cogliere il mirabile nesso intellettuale che legava frasi accostate assolutamente a caso, non per l’oggettiva incongruenza del testo, ma per la propria povertà intellettuale. Fu richiamato alla realtà dalle voci sgraziate di alcuni colleghi che, invece, non si preoccuparono di sghignazzare, definendo “schifezza” la pièce e chiedendogli se avesse dormito bene durante il primo atto. Si unì a loro perché non poté farne a meno e bevvero un caffè, inizialmente scambiandosi le impressioni su tutto ciò che avevano visto nella settimana, ma ben presto dedicandosi alle consuete chiacchiere da comari sul “chi va a letto con chi” nel mondo troppo angusto del teatro.
Il secondo atto fu un lungo incubo; ad Alex sembrò perfino più lungo del primo perché gli attori continuarono a fare esattamente ciò che avevano fatto nel primo atto, cioè unire parole a caso e fare gesti meccanici da alienati, mentre sul fondale venivano proiettate diapositive di soggetto vario, apparentemente a caso.
Questa volta, al chiudersi del sipario, i pochi spettatori rimasti, certi ormai di esser stati presi in giro per due ore, si presero l’unica soddisfazione concessa alla loro frustrazione e
fischiarono, inveirono e spernacchiarono i malcapitati interpreti. Fu l’unico momento divertente della serata: appena il sipario si richiudeva e l’uragano di fischi si placava, uno sparuto gruppo di spettatori, tra i quali c’erano i critici amici di Alessandro, faceva apposta ad applaudire, d’accordo con il resto del pubblico che ammiccava complice. Sentendo gli applausi il direttore di palcoscenico rialzava il sipario e ripartiva lo spernacchiamento unito ad ogni sorta di volgarità verbali e gestuali. Grazie a questo finale, gli spettatori superstiti abbandonarono il teatro visibilmente soddisfatti e convinti che in fondo valesse la pena aver rinunciato alla consueta serata davanti al piccolo schermo.
– “Assolutamente ignobile, non trovi? Tanto che temo sarò costretto a parlarne bene sul giornale! Tra tanta mediocrità, tanti spettacoli fatti benino e che lasciano indifferenti, questa pièce ha avuto il pregio di essere un’assoluta porcheria, tale da passare alla storia, se condita di qualche buon articolo dei nostri. Del resto qual modo migliore di punire i propri simili che invogliarli ad andare al teatro, a pagamento ben inteso, a subire l’assoluto dell’idiozia, o, come dice il programma, : “la coraggiosa emancipazione dalla convenzione linguistica per un metalinguaggio dell’allusione e della suggestione” il che non vuol dire assolutamente niente!?”
Alvise Tartini era un ometto di circa 50 anni, gioviale e sempre di buon umore, il cui aspetto non nascondeva il grande amore per la buona tavola che egli trovava modo di sfogare generosamente autoinvitandosi a tutti i party di presentazione o post-première dei vari teatri. Si vantava di dire sempre ciò che pensava e di scrivere sempre l’esatto contrario e, a differenza di Alex, era assolutamente soddisfatto del proprio lavoro e si era arricchito collaborando in modo semi-lecito con gli stessi teatri dei quali poi era chiamato a recensire gli spettacoli, i quali, per ingraziarselo, gli commissionavano ricerche storiografiche o dotte presentazioni da includere nel programma di sala, nonché conferenze e seminari tematici.
– “Almeno la presentazione sul programma è onesta e coerente con lo spettacolo.”
– “O con il metaspettacolo, caro Alex!”
Gli altri risero di gusto: era raro vedere un gruppo di critici affermati schiamazzare per la strada trascinati da una esplosione di allegria goliardica, incuranti dei passanti che ascoltavano le loro battutacce. Mancavano solo Rigoni e Tenso, che si ritenevano troppo al di sopra dei colleghi per scambiare con loro qualcosa di più di un frettoloso ed infastidito saluto.
Del resto, i due maggiori luminari della critica teatrale cittadina avevano abbandonato il teatro dopo il primo atto, come dei volgari spettatorucoli inorriditi! Domani avrebbero ovviamente recensito lo spettacolo nella sua completezza sulla base di non si sa quale preveggenza.
– “Se ci prendessimo un metabirrone al pub qui all’angolo?”
La proposta di Melchiorri fu accettata da tutti con grande entusiasmo: cosa poteva concludere meglio quell’orrenda serata che un’oretta tra amici in birreria? Del resto la rivalità fortissima che c’era tra loro era sempre accantonata quando si incontravano e, se si parlava male di qualcuno, ed era lo sport preferito del gruppo, ci si riferiva sempre agli assenti, ai quali il giorno dopo sarebbe stato riportato tutto per filo e per segno da qualche “amico” che avrebbe raccontato cose da lui stesso dette come provenienti da un’altra fonte. Era un gioco i cui giocatori conoscevano bene le regole, per cui nessun rancore era veramente durevole, per quanto gravi potessero essere state le calunnie proferite. Regola prima per tutti era comunque cercare di non essere mai l’assente di turno di cui gli altri avrebbero sparlato. La condanna al presenzialismo era normalmente faticosa, ma in questo caso, prometteva invece di garantire un piacevole e divertente svago.
– “Questa pièce ha almeno avuto un pregio indiscutibile” esclamò il Melchiorri, attendendo con una pausa sapiente che gli chiedessero: “Quale?”
– “Ci ha messi tutti di ottimo umore! Viva le schifezze in teatro!”
– “Viva!”
– “Quel povero direttore di palcoscenico! L’abbiamo fatto impazzire stasera! “
– “E questo è un altro elemento a favore della pièce: non solo assicura un grande piacereal pubblico quando è finita, lasciandogli una sensazione profonda di libertà, come il risveglio da un incubo, ma crea forti legami di solidarietà nel pubblico, che, benché composto da persone sconosciute, ha reagito in modo concorde, come un sol uomo!”
-” Esatto Morlacchi, e non solo! E’ riuscita anche a radunare questo eminente consesso di critici cittadini, normalmente fieri nemici, attorno al tavolo di una birreria, dove tra poco, in omaggio al capolavoro che domani tutti noi dovremo recensire, avrà luogo una formidabile gara di rutti!”
-“Tartini, per favore, riserva le volgarità per quello che scriverai domani!”
-“Sentitelo, il Guidi, che fa il puritano! Ma non sei tu che hai scritto, di quell’attrice dalle forme e dalla sudorazione abbondanti che una settimana fa ha interpretato Dalilah, che era sensuale come un paracarro su cui un cane avesse appena urinato?”
-” Nego assolutamente la seconda parte, ho detto solo del paracarro!”
– ” E perché? Non ti eccitano i paracarri? Io li trovo semplicemente galvanizzanti!”- esclamò il Passico, che non faceva mai nulla per nascondere la sua, del resto più che risaputa, omosessualità-
– “Specialmente ad Amsterdam dove sono così allusivi!”
Una grassa risata accolse la battuta: lui stesso era ormai da tempo abituato ad ironizzare su di sé, mettendo così a proprio agio i pochi eterosessuali del mestiere e coloro che, invece, per giusto pudore, non davano a vedere nulla della propria sfera sessuale.
-” Io avrei detto, nel caso della suddetta cicciona, che un paracarro in scena sarebbe stato più sensuale, piuttosto che denigrare così la nobile categoria dei paracarri negando loro il diritto alla sessualità!”
-“Ma che stai dicendo, Passico! Levategli la birra, che non regge l’alcool!”
– “Giù le mani dal mio bicchiere! Lo difenderò con la vita!”
A questo punto si scatenò una vera battaglia in cui volarono tovaglioli, pezzi di pane, fette di limone e quant’altro di innocuo venisse a portata di mano. I seriosi critici ridevano come bambini, incuranti di poter essere riconosciuti da qualcuno. Melchiorri ottenne una vera ovazione cimentandosi nella consueta imitazione di una famosa attrice ottantenne, mentre Tartini sostenne, con tanto di piccoli esempi che si era annotato, che il testo che era stato appena rappresentato potesse essere letto all’incontrario senza perderci né guadagnarci alcunché, perché fondamentalmente era una metacazzata solenne.
I giri di birra al tavolo si moltiplicarono senza che nessuno facesse caso al trascorrere del tempo né al numero dei boccali. Alex si era lasciato andare all’allegria generale ed anzi confessò, su provocazione del Tartini, di aver addirittura letto attentamente nel pomeriggio il testo, convinto che potesse dargli delle illuminazioni.
– “E sei venuto lo stesso a teatro? Beh, signori, questa è depravazione!”
– “Mi permetto di dissentire: questo è senso del metadovere ed amore alla propria vocazione di metatestimone.”
– “Bravo, Alessandro, così si parla! Occorre proprio qualcuno che difenda gli ideali del giornalismo da questa accozzaglia di mercenari della carta stampata!”
– “Sentilo, il Tartini! Proprio lui che fa le critiche in base alla qualità della cena che gli è stata offerta al termine dello spettacolo.”
– “Certo, non lo nego ed anzi me ne vanto! Se lo stomaco è contento lo sono anche gli altri sensi ed ecco che davanti al computer anche il più cane degli attori diventa uno “che si farà”, anche se ha già novant’anni, o che ha avuto una serata poco felice, mentre, dopo un orrendo party in piedi a base di panini freddi e coca-cola, anche la migliore delle commedie mi sembra un prodotto d’avanspettacolo.”
– “Se ti sentissero i tuoi lettori!”
– “Sarebbero d’accordo! Il gusto è il principe dei sensi, amici cari. Provate ad andare a teatro dopo aver mangiato una casseruola di peperoni: tra una colica e l’altra scommetto che non notereste perfino la differenza tra l’ “Enrico IV” e “L’albergo del libero scambio”!”
– “Beh, allora bisogna tener presente anche la vita sessuale del critico, che, se mi permetti, è più importante del tuo cibo. Vai a teatro dopo essere andato “in bianco” e vacci di nuovo dopo un trionfo amatorio: lo stesso spettacolo ti sembrerà tutt’altro!”
– “Se ragionassimo così non dovremmo più scrivere! Noi siamo come gli attori che devono lasciar fuori dal palcoscenico le proprie sofferenze ed essere personaggi. Anche noi siamo parte del gioco ed anche noi, in un certo senso, dobbiamo recitare!”
– “Sentilo il Morlacchi, che ha dormito per tutta la sera, come è fresco di cervello!”
– “Nego assolutamente di essermi addormentato anche per un solo istante!”
– “Allora hai pensato ai cavoli tuoi, perché guardavi in basso invece di guardare il palcoscenico.”
– “Ma non capisci? Stava assaporandosi il testo!”
Un’altra grassa risata esplose nella compagnia.
– “E’ da molto tempo che non mi divertivo così: penso che scriverò proprio un bell’articolo sulla porcheria di stasera. Dirò che lo spettatore viene inondato dall’ottimismo, perché lasciando il teatro si rende conto che la realtà non potrà mai essere così brutta come ciò che ha appena visto!”
– “Propongo un brindisi al capolavoro di stasera ed al suo ignobile autore!”
– “Evviva!”
Che ora era quando uscirono dal pub? Probabilmente era già mattina: le due o le tre, quell’ora morta in cui il traffico è diradato e non si vedono passanti per strada sotto un cielo nero che rende impossibile pensare alla possibilità di un’aurora. La preoccupazione di tutti era soprattutto quella di mantenere l’equilibrio dopo l’abbondante bevuta, mentre in nessun modo riuscivano a placare quell’irrefrenabile allegria che si era impadronita di loro: un’ilarità stupida, infantile, nella quale l’impulso alla risata prescindeva dalla comicità delle battute o delle situazioni per essere puro sfogo di quanto si era accumulato durante le ore di tortura in teatro. Tutto ciò era sicuramente terapeutico, specialmente per Alessandro che poteva così sfogare la spaventosa tensione degli ultimi avvenimenti. Decisero di andare a piedi fino alla fermata dei taxi per cercare di smaltire un poco la sbornia e si incamminarono tenendosi a braccetto per sostenersi, continuando a dire stupidaggini.
Alessandro si sentiva di vivere come in un sogno: era lontanissimo dalla sua vecchia quotidianità, slegato dalla realtà esterna, in preda ad una vertigine in questo momento piacevole, ma certamente insidiosa per il futuro. Avvertiva distintamente la concreta possibilità d’impazzire, di perdere totalmente il legame con se stesso e la coscienza del proprio agire o reagire. Aveva azzerato troppo rapidamente tutte le sue consuetudini, abbandonandosi ad una volontà sconosciuta, per di più con la consapevolezza che non gli sarebbe stata possibile neppure una conoscenza parziale di questa Verità coagente, a meno che Essa stessa avesse deciso di rivelarglisi. E se questo non fosse avvenuto cosa sarebbe stato di lui? Il suo destino era quello di perdersi nel nulla come una foglia trascinata dalla corrente del fiume fino all’immenso oceano? Aveva fatto bene a staccarsi deliberatamente dal ramo che, se da un lato gli negava il libero volo, gli assicurava però dall’altro un destino certo e confortante?
Ma era il conforto ciò che cercava? Nell’offuscamento dei sensi indotto dall’alcool si sentì smarrito finché gli venne in mente un efficace paragone: Cristoforo Colombo! Era come lui: aveva lasciato la terra ferma per cercare un nuovo mondo; e non era importante il fatto che, a differenza del grande genovese, egli non avesse nessuna teoria da verificare, nessun sogno da realizzare. Era in viaggio verso la verità di sé o verso la propria perdizione, qualora avesse dovuto scoprire che semplicemente non esisteva nessun divino e nessun senso alla propria esistenza. Stava forzando il suo destino: stava chiedendo un evento epifanico, senza sapere se questo fosse o meno nei piani della Suprema Volontà Creatrice. Egli era pura domanda e nello stesso momento, per il fatto stesso di porre questa domanda con la propria vita, presupponeva la ragionevole possibilità di una risposta.
Meditava così in silenzio nell’aria frizzante del mattino, incurante delle risate sguaiate dei suoi ebbri colleghi ed aveva la sensazione che tutto potesse accadere, che nulla egli potesse ragionevolmente escludere dall’infinita possibilità di azione del divino e che ogni minuto poteva essere l’occasione di uno svelarsi imprevedibile dell’Altro da sé. Per questo non si stupì assolutamente, passando davanti alla vetrina di un altro pub, di vedervi all’interno Silvia, la “sua” Silvia. La ragazza era di spalle, ma si voltò esattamente al momento del suo passaggio e gli fece cenno di entrare. Sentì le risate volgari dei colleghi, il loro greve scherzare su questo incontro notturno:
– “E bravo il Morlacchi che si dà da fare! Ma non sta per sposarsi?” – ma quando si voltò per salutare, non vide più nessuno dei colleghi: era solo nella strada.
Fece uno sforzo potente per mettere a fuoco la vista sulla ragazza: Silvia gli sorrise e lo invitò nuovamente a raggiungerla. Alessandro entrò.
– “Ciao!”
– “Ciao! Vieni, siediti qui che ti devo parlare!”
FINE QUARTA PUNTATA
(prossima puntata Sabato 13 Maggio)
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Marcello Lippi.
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio a La Spezia, Alessandria, Udine, Ferrara e ora a Rovigo
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa