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L’inconsapevole trinità – un romanzo di Marcello Lippi – quarta puntata

Postato il Maggio 3, 2017 Redazione Cultura 0

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L’inconsapevole  trinità :  quarta Puntata del romanzo di Marcello Lippi.  Qui il link della prima puntata  , seconda puntata  e terza puntata

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PREFAZIONE 

Scritto durante gli anni di permanenza in Cile dell’autore, questo romanzo racconta una storia affascinante e piena di colpi di scena, in cui agiscono fianco a fianco, secondo quella che è l’assoluta normalità nei paesi del Sudamerica uomini e spiriti, ninfe e personaggi letterari, tutti vivi di un’unica vita che da queste pagine prende corpo e significato. La vera protagonista è una donna, o meglio una creatura leggendaria della letteratura cilena, Osilas, la ninfa che oscilla (donde il nome) tra due mondi e che coinvolge, guida, illumina la vita dei protagonisti maschili. La sua voce è talmente potente e meravigliosa da muovere le onde del mare, il suo operare è benefico e potente per la vita di chi la incontra, siano esseri umani o personaggi letterari resi immortali dalla loro condizione e desiderosi invece di umanità. Il simbolo, il segno, le dimensioni dell’essere. La cattedrale nell’oceano è il racconto di tre vite, o non-vite, alla ricerca del significato del mondo: la prima attraverso la negazione della casualità e l’interpretazione estrema del reale come segno, la seconda attraverso la conflittualità dell’amore non corrisposto, la terza attraverso l’abbandono confidente ad un reale che supera i confini della normalità e ragionevolezza. Tre vite che si intersecano: quella di Pierre de Craon protagonista della pièce di Paul Claudel L’annonce faite à Marie , condannato per un gesto maldestro di violenza ai danni della giovane Violaine a peregrinare in eterno per il mondo con una lieve, ma contagiosa, forma di lebbra in corpo. Immortale perché personaggio di teatro, ma reale, più reale di altri personaggi, nella sua avventura fascinosa e ricca di sorprese, nel suo girovagare attraverso i secoli, maledicendo Dio per la punizione che gli ha inflitto, negandogli anche la redenzione, perché un reale tanto evidente nega la possibilità salvifica della fede; quella di un critico teatrale che, alle prese con un evento imprevisto e destabilizzante, il ritrovamento di una ragazza morente per overdose, si lascia coinvolgere, pensando a questo incontro come ad uno squarcio che deve spezzare la sua vita di prima e creare i presupposti per una nuova, nella quale gli si possibile intuire la ragione del suo esistere, operare ed amare; quella di un pensionato vedovo e solo che incontra uno spirito su una scogliera ed accetta di seguirne le indicazioni fino ad avere una nuova meravigliosa vita in Sudamerica accanto ad una giovane fanciulla. Cos’hanno in comune? Forse nulla, forse un mondo di sensazioni e verità che appartiene solo a loro e del quale Osilas, la creatura del mito andino che oscilla tra le due dimensioni e si coinvolge con l’esistenza di tutti e tre, possiede le chiavi. Il lettore è chiamato ad accettare in questa opera non solo l’operare congiunto di creature terrene, di esseri intermedi tra la dimensione della materia e quella dello spirito e di personaggi di teatro umanizzati, ma anche che i personaggi di una storia corrispondano a quelli dell’altra, che un personaggio possa essere nel contempo morto e vivo in uno sdoppiamento che trova le sue ragioni nel suo essere fortemente angelico e nel contempo simbolico.

Redazione Cultura

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L’inconsapevole  trinità

o

La cattedrale nell’ Oceano

ROMANZO di MARCELLO LIPPI

Quarta Puntata

8

– “Dottor    Morlacchi,  la   smetta  di  propinarmi   stupidaggini infantili!  Non  solo lei, ieri sera, non ha trasmesso al giornale l’articolo  sulla  matinée di  “Conversazione  con  la morte”   (Monologo di G.Testori), ma si è reso irreperibile,  staccando  il  cellulare.  Siamo  stati  costretti  a  riempire  lo  spazio  in   pagina   con   quell’inutile intervista di mesi fa in cui quel suo amico tenore disoccupato racconta le proprie  laringiti  come  fossero  fatti  di  interess mondiale.  E,  “dulcis  in  fundo”, lei  si  presenta   stamattina, come nulla fosse, con due ore di ritardo e con gli occhi pesti di chi ha dormito troppo ed in buona  compagnia, a raccontarmi una stupidissima storia di  cronaca  che  ai  nostri  lettori  non può  in  alcun modo  interessare.  Ma  lei   sa  quante  sono  le ragazze  che  muoiono  ogni  giorno  di  overdose? E poi,  via!, dov’è il suo fiuto da giornalista? La droga non fa  più  notizia, la società ci si è abituata:  ci  si  convive,  come  con la mafia o l’aids! Sono  altre  le  storie nei teatri cittadini,  critica  di  cui  lei,  Morlacchi,  (se  ne ricordi bene!),  è  l’incaricato. Già   alle  9   di  stamattina   mi  hanno chiamato dal teatro Pierlombardo per protestare: “Come mai non  c’è  la   critica   sul   vostro   giornale?  Eppure  il  vostro corrispondente era presente!” E che gli  dovevo  dire?  Che  il mio dipendente stava vegliando  una  sconosciuta all’ospedale invece  di  fare  il  proprio  lavoro?  Capirei   fosse   stata  una parente, anche solo  una conoscente, ma via, sia serio! La  sua scusa è veramente puerile! “

Il direttore si fece un po’ più calmo, si sedette ed accese una sigaretta.

– “Senta, Morlacchi: lei ha  sempre svolto al meglio il suo lavoro ed è solo in virtù di  ciò  che,  per  questa  volta, non prenderò provvedimenti disciplinari, a patto naturalmente  che resti un episodio isolato. Però mi permetta  di dirle una cosa, da uomo a uomo: capita  a  tutti  di fare una scappatella, specialmente nell’imminenza  di un matrimonio; capita anche di perdere la testa  per   una  ragazza   e  di   far  tardi  al   lavoro,  ma  che diamine! una persona normale evita di  farlo  sapere a tutti in questo modo! Via! Non si è neppure tolto il rossetto dal collo!”

Sorpreso, Alex portò le mani al collo, cercando di cancellarvi i segni inequivocabili dei baci disperati di Laura. Il direttore sorrise, come davanti ad un bambino inesperto e disse:

– “Senta, Morlacchi,  che  ne  direbbe di svolgere questa  operazione in  bagno,  come  tutte le persone civilizzate? E, mi  permetta  di  darle   un  ultimo  consiglio  di  carattere,  diciamo, personale: chiami  la  sua   fidanzata;  ha   già   tempestato  di  telefonate  la redazione  per  tutta  la  mattina  cercando di lei ed è realmente molto  preoccupata   per  la  sua  salute.  Nel frattempo, cerchi una scusa più credibile da raccontarle!”

– “Ma non era una scusa, glielo giuro!”

– “Insiste? E quei segni sul viso chi glieli ha lasciati? Un corpo a corpo con l’infermiera del turno di  notte, magari chiusi in un ripostiglio  dell’ospedale,  mentre  la  povera  ragazzina  stava morendo in corsia?”

– “Ma no, lei non può capire!”

– “E non  voglio  capire, mi  creda! Lasci  perdere  le  sue  storie strampalate  e  risolva  fuori di  qui i suoi problemi personali. Adesso chiami la sua fidanzata e poi si metta subito al lavoro: voglio entro un’ora la critica che  doveva inviarmi ieri sera!”

– “Va bene! L’avrà!”

Uscì trascinando i piedi, come se fosse reduce da una sbronza colossale: il cervello faticava a funzionargli, ma almeno era riuscito a non farsi scappar detto davanti al direttore che dello spettacolo teatrale del pomeriggio precedente  non ricordava assolutamente nulla! E bene aveva fatto soprattutto a trattenersi dall’urlargli in faccia che c’erano cose più importanti del suo fottuto articolo là fuori, dove c’era la vita con la sua normalità e la sua eccezionalità e che di quest’ultima era chiamato ad essere interprete dal giorno in cui aveva deciso di fare il giornalista, non a sedersi annoiato in platea per raccontare poi a lettori disinteressati le sue opinioni su ciò che aveva visto. Non era un artista, né un autore, né un testimone appassionato; non creava nulla, non aveva nulla a che fare con il miracolo dell’arte: dalla coscienza di ciò gli derivava un acuto senso d’ inferiorità e d’impotenza che gli dava, come ad altri suoi colleghi, quella cattiveria necessaria per essere ritenuto un buon critico teatrale, spesso stroncando la carriera di persone che, con tutti i loro limiti, producevano almeno, al contrario di lui, qualcosa di tangibile.

Non era questo che sognava da ragazzo: avrebbe voluto essere per le strade, sempre pronto a documentare i fatti, a raccogliere gli umori e le sensazioni della gente comune, a testimoniare l’opera quotidiana di coloro che nell’ombra lavorano duramente per il bene del prossimo. Ed invece era stato dapprima destinato alla cronaca sportiva, dove  gli  era toccato celebrare, come fossero eroi.  nobili pedatori quando spedivano una palla all’interno di una porta sguarnita tra il tripudio degli esagitati sostenitori, oppure denigrarli quando, per aver colpito la palla con il piede un poco più o un poco meno inclinato del dovuto, le imprimevano una traiettoria diversa e per pochi centimetri fallivano il bersaglio tra gli insulti dello stadio intero.

Poiché si era complicato l’esistenza nei suoi articoli con divagazioni sul significato del rito di massa legato al gioco del calcio ed alcuni paralleli tra eventi sportivi e teorie filosofiche in voga nel periodo, era stato ritenuto troppo cerebrale e per questo rimosso e destinato a fare il critico teatrale, dapprima come assistente del titolare, condannato a vedersi tutti gli spettacoli che a costui non interessavano, e poi titolare egli stesso quando costui andò in pensione.

Ma l’acuto malessere, proprio di chi non ama ciò che fa, gli rovinava le giornate al punto da non godere neppure del fatto che, tutto sommato, il suo era un ottimo lavoro: era ben retribuito per andarsene quasi ogni sera a teatro a vedersi uno spettacolo e spesso era invitato a viaggiare per assistere a produzioni estere. Cosa avrebbero dovuto dire allora i minatori in Belgio, costretti a scendere sottoterra per una miseria?

Era un privilegiato scontento, forse viziato, forse troppo desideroso di protagonismo e di significato. Per questo stava vivendo ora questa folle avventura; per questo si era lasciato andare all’irrazionalità di una storia che con tutto l’impegno si sforzava di costruire, ma che gli appariva artefatta, finta e vuota d’ importanza. Era realmente stato chiamato da una volontà potente e creatrice o si era abbandonato miseramente ai tristi giochi della cieca casualità? Silvia era morta veramente in quel lurido andito solo per chiamare lui ad una svolta radicale? E Laura era provvidenzialmente destinata ad essere la sua compagna, nonostante lui non sapesse nulla di lei e non presumesse del suo passato nulla di positivo? Non c’era che un modo per saperlo: andare fino in fondo; lasciarsi fare, aderendo a qualunque cosa gli potesse essere prospettata, annullando la concezione stessa della casualità ed attribuendo ad ogni evento, anche al più piccolo, un’importanza pedagogica e quindi un’indissolubile positività! Ponendo come base della sua nuova vita l’assioma che gli eventi di quelle ultime ore fossero gli elementi fondanti di un nuovo progetto sulla propria esistenza, doveva  attendere  lo  svilupparsi  dei  contorni  del disegno, ora ignoti, e non cercare più in nessun modo di controllare la propria vita! Ne sarebbe stato capace? E questa vertigine, che si era impadronita di lui, lo avrebbe travolto o guidato ad un porto sicuro?

Uscì dal bagno come in trance, come se la sua mente fosse lontana mille miglia da ciò che lo circondava, totalmente assorto in una nuova dimensione che, per ora, non rivelava alcuna piacevolezza, ma verso la quale egli sentiva la levità della deresponsabilizzazione. Se non era padrone dei fatti, se non agiva più, ma si limitava a reagire agli stimoli esterni che ora interpretava come ordini superiori e non come giochi del caso, non era più responsabile di nulla, veniva annullato il concetto stesso di colpevolezza, perché, nel vortice vertiginoso dell’abbandono, il male ed il bene erano al di fuori di lui, schemi inutili per schiavi irrequieti. La sua dimensione ora era tutt’altra: era figlio, prole di una divinità sconosciuta che operava nel presente della sua quotidianità per indirizzarla dove essa doveva tendere secondo un disegno predisposto da sempre e precedente alla sua stessa nascita. Lì, in questa nuova avventura, avrebbe incontrato il divino o avrebbe avuto la certezza della sua inesistenza; era dunque necessario, in nome della conoscenza di sé e del proprio destino, passare queste Colonne d’Ercole con coraggio e a qualunque costo.

Raccogliendo le poche idee che lo legavano ancora a quanto aveva preceduto l’incontro con Silvia, si accinse a stendere l’articolo. Non si sentiva pronto per chiamare Anna: non avrebbe saputo cosa dirle; doveva prima prepararsi un discorso che non nuocesse alla fidanzata e non gli precludesse la possibilità di un eventuale ritorno al passato, se tutto ciò che lo stava avvolgendo si fosse rivelato col tempo una pazzia. Ma sarebbe stato possibile ritornare indietro, o qualcosa di definitivo si era già messo in moto? Tolse meccanicamente di tasca la foto di Silvia che aveva rubato in casa di Laura e la pose al posto di quella di Anna, bene in vista sulla sua scrivania. Per la prima volta la guardò e poté vedere la ragazza con gli occhi aperti e luminosi, colta sicuramente in un momento di grande felicità, come testimoniava il suo sorriso sincero. Chissà a chi stava sorridendo! A quel ragazzo che l’avrebbe uccisa o a quello che aveva tentato di salvarla? E quest’ultimo che  fine  aveva fatto? Egli era l’unico che avrebbe potuto smascherarlo rivelando che lui Silvia non l’aveva nemmeno conosciuta!

La sua preoccupazione gli sembrò un’imperdonabile mancanza di fiducia verso la divinità alla quale si era affidato. Era una divinità sconosciuta, non riconducibile a nessuna di quelle fatte oggetto di culto dal mondo contemporaneo, era puro mistero; nel suo nuovo cammino verso la verità egli era infatti fermamente deciso a non farsi influenzare da nessun’altra esperienza, da nessuna ritualità, da nessun invito a dare un nome all’assoluto e a cercare di interpretarlo e di conoscerlo. Sapeva bene che con le proprie forze non lo avrebbe potuto nemmeno vagamente intuire, a meno che il divino stesso non si fosse reso palpabile per sua propria e libera decisione, incarnandosi nella sua esistenza presente con la forza coattiva della sua infinita potenza. Occorreva quindi lasciarlo fare, ma al tempo stesso dargli illimitata fiducia, anche nei momenti difficili che avrebbe sicuramente dovuto affrontare. Si era volontariamente posto in balia di onde vorticose e giurava a se stesso che mai avrebbe ceduto alla vile tentazione di aggrapparsi ad uno scoglio per sentire l’abbraccio confortante della materia, un po’ come gli era capitato al risveglio, quella mattina stessa, in casa di Laura, quando aveva avuto bisogno di toccare un oggetto per sentirsi vivo.

S’impose così di smettere di riflettere eccessivamente e di cercare invece di essere puro gesto, a seconda di quanto gli era richiesto dalle circostanze. La prima cosa che gli era richiesta ora era di scrivere quella maledetta critica! Quella volontà alla quale si era sottomesso gli avrebbe detto cosa fare con Anna, avrebbe fatto succedere qualcosa!

E così avvenne! Ad un tratto, mentre scriveva un generico commento su un lavoro teatrale a cui non ricordava quasi nemmeno più d’aver assistito, ebbe l’impressione di una presenza di fronte alla porta aperta del suo ufficio. Alzò gli occhi e se la trovò di fronte, come non l’aveva vista mai; dal suo viso rigato di lacrime, dalla sua pettinatura scarmigliata che la faceva sembrare un’altra donna, tanto lei era stata sempre curatissima nel suo aspetto esteriore, dalla sua voce rotta ed aggressiva, dal suo gesticolare convulso ebbe la più evidente testimonianza del suo amore e della sua angoscia. Non era in grado di distinguere una parola di ciò che gli stava urlando: le chiuse la porta alle spalle, perché il direttore non sentisse e non si  curò  nemmeno  di  sapere  come  fosse  giunta  fin lì   nel  suo ufficio. Il divino l’aveva portata lì perché lui non avesse bisogno di parole, perché lei vedesse la foto di un’altra sulla sua scrivania e la scaraventasse a terra con infinita disperazione, perché a lui fosse impossibile agire, tanto gli eventi si muovevano rapidamente a prescindere da lui, senza alcuna sua responsabilità. Era veramente innocente, spettatore muto della sua stessa vita!

Il suo silenzio esasperò Anna, che vomitò un fiume di dolorose imprecazioni: prima ordinò, poi implorò e supplicò, poi lo percosse, avendo come risposta solo lo sguardo spento di due occhi troppo aperti. Alex stava guardandosi vivere, con una coscienza talmente acuta da rafforzarlo nell’impressione di essere sulla strada giusta verso la verità di sé. La ragazza infine si arrese e, prorompendo nella più femminile delle difese, pianse senza ritegno finché, in un sussulto di vergogna, uscì correndo verso la sua nuova vita senza di lui.

Alex rimase alcuni minuti guardando verso la soglia, incurante del passare divertito dei colleghi che si erano gustati la scena ascoltando al di là di fragilissime pareti ed ora fingevano importanti incombenze pur di poter passare davanti alla sua porta a guardarlo, immobile come una statua. Uno più ardito degli altri osò perfino canticchiare “Guarda don Bartolo, guarda don Bartolo, sembra una statua, sembra una statua“(Rossini- “Il barbiere di Siviglia”)

Allora tutti scoppiarono in una grassa risata trattenuta fin lì a stento e si rimisero al lavoro, molto più rasserenati di prima.

Di tutto questo Alex nemmeno si accorse. Prese un profondo respiro e pronunciò una sola parola: “Addio!”, poi raccolse la foto di Silvia, assai rovinata dalla sfuriata di Anna, e la rimise sulla scrivania. Il destino aveva deciso per lui in modo chiaro: egli non aveva fatto nulla perché ciò accadesse né perché ciò non accadesse. Si sentiva forte, perché poteva riconoscere la Volontà potente nel suo diretto operare e non aveva dubbi sulla strada da intraprendere: per ora questa era segnata da indicazioni luminose e visibilissime, per il momento era tutto fin troppo semplice! Prese il telefono e chiamò Laura: la trovò ancora addormentata ed, appena riuscì a farsi riconoscere, le chiese se desiderava sempre che lui tornasse a casa sua. Avuta risposta affermativa, le diede appuntamento per l’ora di pranzo e le disse che avrebbe pensato lui a tutte le formalità da espletare per il funerale di Silvia, che riposasse il più possibile e che ora c’era lui con lei e non le sarebbe capitato più nulla  di brutto.

Deposta la cornetta, si sedette al computer ed in pochi minuti scrisse tutto l’articolo richiesto, di getto, come se un’altra intelligenza glielo stesse dettando, e fu uno dei migliori articoli da lui scritti: riuscì a nascondere le lacune mnemoniche e si mantenne brillantemente sulle generali, parlando insolitamente bene dell’interprete e dell’autore, verso il quale sentiva una profonda simpatia interiore.

Della sua opera ricordava bene ed amava particolarmente quegli immortali versi del “Senso del desiderio”:

“O amore,/ luce mia,/ mia vittoria sul nulla,/ sulla morte,/ morendo con te/ giorno dopo giorno t’amo/ come ciò che è figlio,/ padre, madre,/ come ciò che è vita”. ( Giovanni Testori: “Il senso del desiderio” Crocetti ed.)

 

Poteva amare anch’egli con questa assolutezza?  Terminato di scrivere, non rilesse nemmeno, tanto era sicuro del fatto che neppure un termine fosse inesatto, e consegnò l’articolo in tempo. Poi, rientrato nel suo ufficio, si sedette ad osservare la foto di Silvia ed una lieve lacrima gli sfiorò la guancia, come se fossero le dita sottili della ragazza ad accarezzarlo. Era libero da tutto: poteva iniziare una vita totalmente nuova, ripartire da zero, avere una seconda chance!

Ripensò ad Anna ed a quel matrimonio verso il quale stava poco prima passivamente scivolando, coinvoltovi dalla lunga frequentazione con la casa e la famiglia di lei, come se l’aver fatto l’amore presupponesse automaticamente quel passo come conseguenza dovuta ed inevitabile ed il trascorrere del tempo non avesse fatto che confermare questa necessità.

Un po’ gli dispiacque, pensando ai momenti belli vissuti con Anna ed ai visi familiari dei suoi cari, ma subito gli si affacciò alla mente la considerazione che il problema era proprio l’abitudine, il fossilizzarsi dello spirito in una situazione fino a ritenerla necessaria per la propria sopravvivenza, fino ad avvertire che la rottura avrebbe conseguenze più vaste dell’abbandono della persona precedentemente amata, perché andrebbe a toccare le consuetudini nelle quali si è vissuto: ed è veramente difficile lasciare le proprie consuetudini, ben più di una ragazza!

Si rimproverò questi pensieri e dovette riconoscere la sua impossibilità a rinunciare alla riflessione cerebralistica sugli avvenimenti: ciò era  nella sua stessa natura. Ma era un vizio estremamente pericoloso: se avesse ceduto alla tentazione di interpretare i segni del divino, li avrebbe ricondotti alla propria dimensione umana e quindi soffocati proprio nel loro messaggio chiarificatore; nello stesso tempo, ogni istante dedicato alla riflessione lo allontanava da quella pienezza di apertura al reale che voleva sperimentare senza riserve.

Si ripromise quindi di limitarsi, ma riconobbe l’esigenza di un ricondizionamento del proprio essere e questo avrebbe richiesto del tempo! Si rimise così al lavoro a testa bassa. Doveva documentarsi su un’opera contemporanea cui avrebbe dovuto assistere a sera, e lesse il copione, che al riguardo gli era stato inviato, con un’attenzione estrema, come se attraverso quelle pagine il divino stesse nuovamente per rivelarsi. Infine, stanco di tanto inusitato sforzo di concentrazione, uscì, senza notare le occhiate divertite dei colleghi, e, con un’aria assente da saggio d’oriente, si infilò nell’ascensore e si diresse a casa propria per cambiarsi d’abito prima di andare da Laura.

Per tutto il tragitto fu puro sguardo: la curiosità lo eccitava e in ogni volto che incontrava, al quale non avrebbe un tempo dato peso, leggeva un nuovo tratto del grande affresco. La negazione del caso rendeva importante persino il mendicante che chiedeva l’elemosina all’angolo della strada, perfino quel ragazzo sullo skateboard che a momenti lo travolse. Nulla aveva vita propria: tutto era in funzione di lui, tutto avveniva perché Qualcuno aveva voluto che avvenisse e con ciò gli indicava qualcosa. Lui stesso naturalmente era reciprocamente parte attiva del disegno degli altri. Così ad ogni persona regalò un sorriso, un “buongiorno”, un’attenzione insolita. Cercò di imprimersi i tratti dei visi nella memoria, convinto che ogni incontro con uno sconosciuto fosse importante. Fece l’elemosina al mendicante invece di ignorarlo come di consueto e notò un’infinità di particolari architettonici che mai aveva notato prima: osservò commosso perfino il volo dei passerotti e lo strisciare equivoco dei gatti di strada. Gli occhi della sua anima erano spalancati sulla vita tanto da dargli un’ebbrezza insostenibile.

Dovette così entrare in un bar per concedersi una tardiva prima colazione al fine di ridarsi un poco d’energia. Anche casa sua non era più la stessa; era come se gli oggetti della sua quotidianità da scapolo si fossero nel frattempo trasformati e gli apparissero sotto una nuova luce, non più belli o più brutti, semplicemente evidenti e luminosi come mai nei loro contorni: erano più definiti e colpivano i suoi sensi con l’impeto della novità.

Si trattenne pochi minuti, il tempo per una doccia ed un cambio di abito e si affrettò a raggiungere Laura; si sentiva un po’ in colpa  per  averla  lasciata  in  quello  stato,  a   poche  ore  dalla disgrazia, ma annullò anche questa sensazione: aveva ubbidito, niente di più! Lui non aveva meriti né colpe, come lo schiavo agli ordini del padrone.

Entrato nella via di Laura fu attratto da un gigantesco volume, all’apparenza molto antico, che faceva mostra di sé nella vetrina di un negozio di antiquariato: doveva essere un’edizione tardo-medievale della Bibbia. Si accostò e lesse con la sicurezza di chi sa che il messaggio è destinato a lui ed a lui solo:

“Così dice il Signore Dio, il Santo di Israele:- Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza”. (Isaia 30, 15)

Sorrise e riprese il cammino con maggior vigore.

Salendo per le scale ricordò quando aveva letto in un volume del Newman (J.H.Newman  “Apologia pro vita sua” Jaca book-Morcelliana), cioè che la conversione non è che la scoperta più profonda di ciò cui si aderiva già prima. Questo era ciò che gli stava capitando! Stava viaggiando verso la verità di sé e questa non gli era certamente estranea: da essa egli proveniva e ad essa già partecipava incoscientemente. Ora, dai suoi occhi stava cadendo il velo! Senza disturbare lo huen-tuen dei wuisti, cioè il paradiso perduto, l’unità originaria del divino e dell’umano, né riferirsi ad alcun’altra religione da lui studiata negli anni delle faticose e sterili indagini libresche, sentiva con dolore che era stato derubato di qualcosa che gli era appartenuto sin dal principio e che, se lo avesse recuperato, questo qualcosa lo avrebbe reso nuovamente felice.

Suonò al campanello e gli aprì una sconosciuta!

Gli costò moltissima fatica abituarsi all’idea che questa donna scarmigliata ed in sottoveste che gli venne ad aprire con gli occhi grevi di chi ha esagerato con i sonniferi e che rivelava ora alla luce del giorno impietosamente la propria età, ben maggiore della sua, fosse la stessa Laura della notte precedente. Colei che gli fece strada nella casa maleodorante di sudore era la compagna del suo destino? Barcollando, Laura si diresse alla cucina e lo pregò di farle un caffè. Non si accorse del suo disorientamento, del suo disagio. Lui, raccontandole della mattinata al lavoro, le fece il caffè e poi aprì le finestre per dare aria all’appartamento. La dolce carezza dell’aria fresca gli ridestò per un istante un’acuta nostalgia di Anna, ma la respinse con orrore: era la tentazione dell’abitudine, dello scoglio cui aggrapparsi!  Intanto  l’aspetto  di  Laura,  grazie  al caffè ed all’aria fresca, andava migliorando:

– “Devo  aver  preso  qualche pastiglia di troppo, ma non potevo rimanere da sola con questo

    dolore”

Queste parole suonarono un po’ strane nella sua voce arrochita dal fumo, come fossero false, come fossero pronunciate per auto-convincimento a prescindere dalla presenza di Alessandro, e che lei in realtà non fosse addolorata più di quanto lo fosse lui, che la morta nemmeno conosceva.

– “In nessun momento siamo soli, la solitudine è un’illusione. Cerca di svegliarti ora, che

    abbiamo molte cose da fare.”

Lei sorseggiava lentamente il caffè e lui ne studiava nel frattempo attentamente i lineamenti e le mosse; si chiedeva che rapporto avesse mai questa madre con la propria figlia per essere stata capace di amare un uomo la notte stessa della sua morte. E lui si era approfittato della sua debolezza, del suo bisogno di sentirsi viva, per provare l’ebbrezza dell’amore con una sconosciuta? Ricacciò questo sospetto con impeto: aveva ubbidito, questo era tutto; nessuna colpa, nessuna responsabilità! Il male ed il bene erano nel suo universo annullati per sempre, scomparsi con l’elisione della facoltà elettiva!

– “Dopo te ne vai di nuovo?”

– “Non fino a  stasera;  devo  andare a  teatro,  ma  se  vuoi  puoi venire con me.”

– “A teatro, con mia figlia ancora all’obitorio?”

Parlava per convenienza, per non farsi vedere dagli occhi giudicanti del prossimo, o per intima convinzione? Alex avrebbe voluto sapere tante cose su di lei, ma doveva aver pazienza e cercare di non agire per non rovinare tutto.

– “Devi  reagire  ora.  A  lei  non  serve il  tuo,  pur  umanissimo, cordoglio:   dov’è   ora  sta  benissimo!  Io  poi  a  teatro  devo andarci per  lavoro,  non  per  divertimento;  faccio  il critico teatrale  e  dopo  la  sfuriata del mio direttore per il ritardo di  questa mattina, non posso proprio farne a meno!”

– “No,  mi  sembra  orribile  solo  l’idea! Già quello che abbiamo fatto stanotte è stato mostruoso! Siamo due esseri spregevoli!”

– “E  perché  mai? Non hai pensato che proprio Silvia ci ha fatti incontrare?  Ha   voluto  che  due  persone  che  lei  amava  si unissero  accomunate  dall’amore  per  lei.  Tu hai volontariamente deciso di fare l’amore con me o ti ci sei trovata?”

– “Mi ci sono trovata, come dici tu! E’  successo  quasi senza che me ne accorgessi e non ho avuto la forza di ritrarmi! Ne sento un rimorso orribile!”

– “Vedi? Un’altra volontà ci ha uniti e noi abbiamo ubbidito. Non c’è nulla di mostruoso in questo!”

– “Mi  sembra  una  giustificazione  debole! La verità è  che  ero fragile, che eravamo  fragili  e  ci  siamo  dati  conforto, ma la fragilità non giustifica tutto, non può giustificare tutto!”

– “Sei troppo dura, con te e con me:  mi  fai  sentire  come  se  io avessi approfittato del tuo dolore per averti!”

– “E non è così?”

– “No,  che   diamine!  Come  puoi   pensarlo?  Sarei   forse   qui, adesso?”

– “Perché no? Sembri una buona  persona: forse il rimorso ti ha disturbato la coscienza per tutta la mattina!”

– “Laura, no! Non ti permetto di dire questo!”-

– “Ma tu non sai niente di me!”

– “So che sei la mamma della mia Silvia e questo mi basta!”

Come avrebbe voluto non mentirle più, ora che la storia si era fatta seria! Ma Alex si rendeva conto che sarebbe stata da parte sua un’indebita ingerenza nell’operare del divino ed a ciò non era disposto. Ora era in gioco: troppo tardi per pensare di retrocedere!

– “E se fossi sposata? Se tra  poco  entrasse  un  uomo  da  quella porta a chiederti conto della tua presenza qui?”

– “Me lo avresti già detto! O non mi avresti lasciato entrare! Laura,  ti  prego,  il  momento  è  serio  e  doloroso. Ogni  cosa buona nasce dal dolore!”

– “Ma nessuna  buona  storia comincia dal finale e noi  abbiamo fatto  un  gesto  irrazionale  che non  si  fa  tra   sconosciuti  e soprattutto non in  queste  condizioni. Puoi capirlo? Il ricordo di averti amato  sarà  unito per sempre al ricordo della morte della mia bambina. Amore e morte: questo non suona buono!”

– “Anche la superstizione, adesso! Laura, vestiti, ti prego! Rimandiamo a dopo ogni discorso, ora sei troppo sconvolta. Ci   sono   alcune   formalità  che  dobbiamo  compiere  per   il funerale ed io non  posso sbrigarle  per  te,  perché  non  sono nemmeno un parente!”

Lei lo aggredì:

– “Cosa  ti  fa  credere  che  io  voglia  una  storia  con te? Tu eri l’uomo di mia figlia! E’ orribile! Sei un essere spregevole! Nemmeno  è  stata  sepolta  e  tu  già  l’hai tradita e con la sua stessa madre!”

– “D’accordo, è orribile” – le disse aiutandola a vestirsi- “ma ci siamo   trovati   in   questa  situazione  ed  ora  possiamo   solo accettarla o respingerla. Cosa pensi di fare? “- le disse, disposto ad accettare qualunque sua decisione.

– “Per ora nulla; ho bisogno di te! Poi vedremo.”

Il viaggio verso l’obitorio con l’auto di Laura fu penoso: ognuno dei due cercava di cancellare almeno qualche tratto del solco che si era scavato tra loro ed il  pensiero correva alla morta che stavano per rivedere.

– “Non so se riuscirò a rivederla in quello stato!”

– “Lo dici, vedrai che  sul  momento  ti  verrà  il  coraggio:  sarà l’amore a dartelo!”

– “L’amore!”- il viso di Laura si contrasse in una smorfia dolorosissima – “sai bene che  io   non  l’ho  amata   abbastanza   questa  figlia  e non  mi  sono  curata  di  lei  come  una madre dovrebbe  fare:   Silvia  ti  avrà   certamente   raccontato   che  madre disgustosa  le sia toccata in sorte!”

– “No, non ha quasi mai toccato l’argomento.”

– ” L’ho avuta senza  essere  sposata:  il  padre,  un  mio  collega (allora recitavo  in  teatro)  mi disse  che  non  aveva  nessuna intenzione   di   avere   una   relazione  seria   con   me,  né  di riconoscere il bambino; mi chiese di abortire,  parlò  di  Silvia come di un  “incidente”, ma  io  non   volli  ubbidire.  Ebbi  la bambina: persi il lavoro,  persi  la  mia  famiglia  che  si sentì disonorata, persi  tutto  ciò che possedevo, ma avevo lei ed era meraviglioso! Ero  giovane, allora,  ma  con il tempo e con gli anni  si  è  fatta  sempre  più dura: qualche  impiego saltuario, qualche  denaro  facile, senza  più pensare, senza più permettersi  il  lusso  dell’orgoglio  e della dignità, vedendo sempre le spalle degli uomini che amavo mentre se ne andavano da me. E,  lentamente,   senza   volerlo,  ho   cominciato   a   provare rancore verso colei che era la causa di tutto questo. Silvia  dovette  avvertirlo,  perché  si  fece  ribelle,  scontrosa, fragile e desiderosa soprattutto di emanciparsi  da  me in ogni modo.  Scappò  di  casa  la  prima  volta  a  quindici anni e, da allora è stato un susseguirsi di errori e di fughe: mi chiamava solo  quando  era  veramente nei   guai  ed  aveva  bisogno  di denaro. Allora si fermava in casa  un  giorno  o due, parlavamo ed era come  quando  lei  era  bambina:poi,  di  colpo, spariva  senza nemmeno salutarmi”.

-” E tu la cercavi?”

-” E  come? Non  ha  mai  avuto  una  casa sua, né una relazione più lunga  di  qualche  mese, nemmeno  con  quel  delinquente con cui ha fatto la pazzia di sposarsi di nascosto. Tutto per lei doveva   durare  per  un  po’  e  poi  basta;  doveva  cambiare, perché il bello, diceva,  è nella novità, non nel possesso. Così  viveva  in  casa dell’amico del momento, sempre  rigorosamente    tenuto   segreto   alla   madre.  A   proposito,   stava vivendo in casa tua, no? Potrei riavere le sue cose indietro?”

Alex fu preso totalmente in contropiede dalla domanda: impallidì e bofonchiò:

-” Come? Ma che dici? Ma no, io la conoscevo da poco!”

-” Ma ci uscivi o no? Hai detto che volevi sposarla!”

-” Ne ero molto innamorato, ma la relazione era iniziale.”

-” Allora non sei tu, quello di cui  lei  mi  aveva  parlato l’ultima  volta! Dio mio! E’ stata davvero l’ultima volta!” – disse queste ultime parole come sotto l’effetto di una visione: di fronte al riemergere del ricordo della ragazza viva, lo sforzo tremendo di normalità che Laura stava facendo si spezzò e lei scoppiò in un pianto dirotto.

– “Silvia, bambina mia!”

Era il pianto di chi è rimasto solo, di chi guarda alla propria vita, che, per quanto brutta, è sempre la propria vita, e sa che sarà dominata dall’assenza di una persona cara; e questo anche se con questa persona i rapporti fossero stati pessimi, perché comunque essa faceva parte di un mondo proprio, era un  “possesso” ed ora era stata detta la parola più dolorosa, la parola “fine”, quella che esclude ogni possibilità di correzione e di redenzione, ogni possibilità di dire o dimostrare al defunto ciò che non si è trovato il tempo di dirgli o dimostrargli prima.

Alex le passò teneramente la mano sui capelli.

– “Ti dispiace se fumo? Poi in ospedale non me lo lasceranno fare.”

Non poteva dire di no ad una madre in quelle condizioni e non lo fece, ma l’idea della macchina piena di fumo proprio non gli piaceva per niente. Si dispose a tollerare i gas venefici del tabacco, ma l’odore che gli giunse alle narici era ben diverso.

-” Ma cos’è quella roba?”

-” Erba, ne vuoi?”

-“Ma  sei  scema?  Butta  via quella schifezza!” – le strappò di mano la canna e la scaraventò dal finestrino.

– “Deficiente, ma lo sai quanto costa?- gli gridò la donna.

– “Ne  ho abbastanza di gente che fa stronzate! E’ appena morta tua figlia  per  colpa  di  questa roba e tu la vuoi seguire nella sua gloriosa fine?”

– “Ma   che   cazzo  dici?  Silvia  si  faceva  di    ben   altro,   cosa credi? Altro che spinello. Ma tu guarda questo demente!”

– “Se  vuoi che me ne vada, va bene, ma se mi vuoi con te, guai a te se ti vedo portare alle labbra quella roba!”

– “Ma  a  chi  credi  di  dare  ordini,  tu? Sei  solo  un  ragazzino viziato con il complesso del samaritano: cos’è, ti sei messo con  mia figlia per redimerla o si  bucava per poterti sopportare?”

” Non  so  perché  frenai  di  colpo  con   violenza  tale da farle battere il capo, nonostante la cintura, contro il parabrezza. Forse la sua voce che urlava in un modo tanto sgradevole, forse l’insostenibilità della mia menzogna. Sapevo che non avrei potuto continuare a lungo senza che s’accorgesse che io Silvia nemmeno l’avevo conosciuta, però speravo di proseguire almeno un po’ nella finzione, tanto da farmi amare ed apprezzare per quello che ero. Ma una forza potente aveva suscitato in me un’ira senza motivo, che mi mordeva le viscere ed impediva qualsiasi controllo delle mie reazioni. Stavo rischiando di rovinare tutto! Le gridai che da lei non dovevo certo prender lezioni di vita, lasciandole intendere di avere un giudizio molto negativo sulla sua condotta e non mi curai di ferire una madre che aveva appena perso la figlia. Era tanto potente il mio disinteresse per lei? La porta del “Paradiso” si era già chiusa per sempre?”

Laura rimase pietrificata, tanto fu grande la sorpresa, ben superiore al dolore. Guardò Alessandro con lo sguardo gelido e dominatore che ha una tigre prima di sbranare la preda, poi disse solo:

-” Esci da questa macchina!”

Alex non disse nulla, sorpreso più di lei di aver detto quelle cose, e scese con ira dall’auto. Laura si pose al volante e partì sgommando. Tutto accadde in un attimo ed Alex rimase inebetito sul marciapiede guardando fisso davanti a sé e cercando di raccogliere le idee.

Non ebbe tempo di elaborare un qualsivoglia pensiero compiuto che vide l’auto tornare indietro in retromarcia a tutta velocità:

– “Dai,  sali!   Abbiamo   entrambi   i   nervi   scossi  dal  dolore; cerchiamo però di non morderci

    tra noi, d’accordo?”

Alessandro riprese posto accanto a lei e proseguirono in silenzio verso l’obitorio. Qui li attendeva un’amara sorpresa: non era possibile vedere Silvia perché il magistrato aveva richiesto l’autopsia e posto sotto sequestro la salma per accertarne le cause della morte. Stava iniziando un lungo periodo di attesa, che i dottori dell’ospedale non poterono quantificare. Laura reagì male a quest’ultimo sfregio operato ai danni della figlia e si accasciò svenuta tra le braccia di Alex. Fu necessario somministrarle un cardiotonico e ricoverarla per precauzione ed Alessandro si trovò nella spiacevole situazione di doverla lasciar sola a sera, in quelle condizioni, per andare a teatro. Risolse il problema chiamando un’infermiera di notte a coadiuvare quelle del reparto ed affidandole la donna fino all’indomani. Poi fece appena in tempo a cambiarsi d’abito a casa propria ed a correre al lavoro.

Fu una serata del tutto particolare per Alex perché la sua attenzione era totalmente monopolizzata dagli avvenimenti della giornata e non riusciva, se non a sprazzi, a concentrarsi su quanto avveniva sul palcoscenico. Gli attori si muovevano come automi declamando senza inflessione alcuna un testo troppo ostico per essere recitato, tanto rivoluzionario nella sintassi da essere spesso incomprensibile, anche alla lettura che pietosi sopratitoli riproponevano su un piccolo schermo posto sopra le teste degli attori. La scena scarna ed essenziale, tutta in nero e grigio, come i costumi degli attori, accentuava il carattere soporifero della pièce e stimolava la divagazione onirica.

Così Alex venne meno al più elementare dovere di un critico e si disinteressò degli attori per riflettere su Laura e sul proprio futuro con lei o senza di lei. Sarebbe stato disposto a condividere il tetto con una che si faceva le canne? Cosa erano quegli accenni al denaro facile che la donna aveva fatto? Tutto ciò lo inquietava ed una voce (la sua ragione?) gli diceva chiaramente di fuggire da questa situazione, ma aveva giurato di non agire ed a questo giuramento intendeva rimanere fedele a qualunque costo. Il Mistero gli avrebbe indicato il da farsi e, se questo non fosse successo, avrebbe atteso la nuova rivelazione rimanendo per il momento accanto a Laura. Ripensò al litigio in auto e si stupì della sua reazione: era stata per lui come una sconfitta. Nonostante i giuramenti a se stesso, aveva tentato di impadronirsi del timone della propria esistenza: aveva deciso di non poter accettare l’atto autodistruttivo (peraltro veniale) di Laura in nome di principi morali, dedotti dall’esperienza altrui ed anteposti alla libera disponibilità che aveva offerto alla Volontà suprema. La sua fiducia era limitata? Era condizionata da paletti etici o era assoluta?

Stava ancora riflettendo su queste domande quando l’applauso liberatorio del pubblico lo ridestò: era finito il primo atto e le luci della sala colpirono improvvisamente i suoi occhi. Ebbe la tentazione di unirsi alla parte numerosa del pubblico che, incurante degli avvisi delle maschere, guadagnava frettolosa l’uscita per risparmiarsi il secondo atto, ma il senso del dovere prevalse e si diresse al bar per un doppio caffè. Qui assistette ad una di quelle tipiche conversazioni tra spettatori ignoranti che, temendo di essere gli unici, per il proprio limite, a non aver capito nulla dello spettacolo, ostentano un innaturale entusiasmo, commentando ad alta voce la pièce come se la conoscessero perfettamente e criticando questo o quell’interprete come se nell’impersonalità dell’allestimento fosse possibile distinguere la pochezza attoriale dall’idiozia registica.

Alex pensò che quella era indubbiamente la forza suprema dell’arte “sperimentale”: il dubbio che insidiava nel malcapitato spettatore di non essere riuscito a cogliere il mirabile nesso intellettuale che legava frasi accostate assolutamente a caso, non per l’oggettiva incongruenza del testo, ma per la propria povertà intellettuale. Fu richiamato alla realtà dalle voci sgraziate di alcuni colleghi che, invece, non si preoccuparono di sghignazzare, definendo “schifezza” la pièce e chiedendogli se avesse dormito bene durante il primo atto. Si unì a loro perché non poté farne a meno e bevvero un caffè, inizialmente scambiandosi le impressioni su tutto ciò che avevano visto nella settimana, ma ben presto dedicandosi alle consuete chiacchiere da comari sul “chi va a letto con chi” nel mondo troppo angusto del teatro.

Il secondo atto fu un lungo incubo; ad Alex sembrò perfino più lungo del primo perché gli attori continuarono a fare esattamente ciò che avevano fatto nel primo atto, cioè unire parole a caso e fare gesti meccanici da alienati, mentre sul fondale venivano proiettate diapositive di soggetto vario, apparentemente a caso.

Questa volta, al chiudersi del sipario, i pochi spettatori rimasti, certi ormai di esser stati presi in giro per due ore, si presero l’unica    soddisfazione    concessa    alla    loro    frustrazione    e

fischiarono, inveirono e spernacchiarono i malcapitati interpreti. Fu l’unico momento divertente della serata: appena il sipario si richiudeva e  l’uragano di fischi si placava, uno sparuto gruppo di spettatori, tra i quali c’erano i critici amici di Alessandro, faceva apposta ad applaudire, d’accordo con il resto del pubblico che ammiccava complice. Sentendo gli applausi il direttore di palcoscenico rialzava il sipario e ripartiva lo spernacchiamento unito ad ogni sorta di volgarità verbali e gestuali. Grazie a questo finale, gli spettatori superstiti abbandonarono il teatro visibilmente soddisfatti e convinti che in fondo valesse la pena aver rinunciato alla consueta serata davanti al piccolo schermo.

– “Assolutamente  ignobile,  non  trovi?   Tanto  che  temo   sarò costretto a parlarne bene sul giornale! Tra  tanta  mediocrità, tanti spettacoli fatti benino e che lasciano indifferenti, questa pièce  ha  avuto  il pregio di essere un’assoluta porcheria, tale da passare alla storia, se condita di  qualche buon articolo dei nostri. Del  resto  qual modo migliore di punire i propri simili che invogliarli ad andare al teatro, a pagamento ben inteso, a subire  l’assoluto dell’idiozia, o, come dice il programma, : “la coraggiosa  emancipazione  dalla  convenzione linguistica per un  metalinguaggio  dell’allusione  e  della  suggestione” il che non vuol dire assolutamente niente!?”

Alvise Tartini era un ometto di circa 50 anni, gioviale e sempre di buon umore, il cui aspetto non nascondeva il grande amore per la buona tavola che egli trovava modo di sfogare generosamente autoinvitandosi a tutti i party di presentazione o post-première dei vari teatri. Si vantava di dire sempre ciò che pensava e di scrivere sempre l’esatto contrario e, a differenza di Alex, era assolutamente soddisfatto del proprio lavoro e si era arricchito collaborando in modo semi-lecito con gli stessi teatri dei quali poi era chiamato a recensire gli spettacoli, i quali, per ingraziarselo, gli commissionavano ricerche storiografiche o dotte presentazioni da includere nel programma di sala, nonché conferenze e seminari tematici.

– “Almeno la presentazione  sul  programma è onesta e coerente con lo spettacolo.”

– “O con il metaspettacolo, caro Alex!”

Gli altri risero di gusto: era raro vedere un gruppo di critici affermati schiamazzare per la strada trascinati da una esplosione di allegria goliardica, incuranti dei passanti che ascoltavano  le loro battutacce. Mancavano solo Rigoni e Tenso,  che si ritenevano troppo al di sopra dei colleghi per scambiare con loro qualcosa di più di un frettoloso ed infastidito saluto.

Del resto, i due maggiori luminari della critica teatrale cittadina avevano abbandonato il teatro dopo il primo atto, come dei volgari spettatorucoli inorriditi! Domani avrebbero ovviamente recensito lo spettacolo nella sua completezza sulla base di non si sa quale preveggenza.

– “Se ci prendessimo un metabirrone al pub qui all’angolo?”

La proposta di Melchiorri fu accettata da tutti con grande entusiasmo: cosa poteva concludere meglio quell’orrenda serata che un’oretta tra amici in birreria? Del resto la rivalità fortissima che c’era tra loro era sempre accantonata quando si incontravano e, se si parlava male di qualcuno, ed era lo sport preferito del gruppo, ci si riferiva sempre agli assenti, ai quali il giorno dopo sarebbe stato riportato tutto per filo e per segno da qualche “amico” che avrebbe raccontato cose da lui stesso dette come provenienti da un’altra fonte. Era un gioco i cui giocatori conoscevano bene le regole, per cui nessun rancore era veramente durevole, per quanto gravi potessero essere state le calunnie proferite. Regola prima per tutti era comunque cercare di non essere mai l’assente di turno di cui gli altri avrebbero sparlato. La condanna al presenzialismo era normalmente faticosa, ma in questo caso, prometteva invece di garantire un piacevole e divertente svago.

– “Questa pièce ha almeno avuto un pregio indiscutibile” esclamò il Melchiorri, attendendo con una pausa sapiente che gli chiedessero: “Quale?”

– “Ci  ha  messi   tutti   di  ottimo   umore!  Viva  le  schifezze  in teatro!”

– “Viva!”

– “Quel  povero   direttore   di   palcoscenico!   L’abbiamo   fatto impazzire stasera! “

– “E questo  è  un   altro  elemento a  favore della pièce: non solo assicura   un   grande   piacereal  pubblico  quando  è  finita,  lasciandogli  una   sensazione   profonda  di   libertà,  come   il risveglio da un  incubo, ma crea forti legami di solidarietà nel pubblico, che, benché  composto  da  persone  sconosciute,  ha reagito in modo concorde, come un sol uomo!”

-” Esatto   Morlacchi, e non solo! E’ riuscita  anche  a  radunare questo   eminente  consesso di  critici  cittadini,  normalmente fieri nemici, attorno al tavolo di una birreria,  dove  tra  poco, in  omaggio  al   capolavoro   che   domani   tutti  noi dovremo recensire, avrà luogo una formidabile gara di rutti!”

-“Tartini,  per  favore,  riserva   le   volgarità   per  quello   che scriverai domani!”

-“Sentitelo,  il  Guidi,  che  fa  il puritano! Ma non sei tu che hai scritto,   di   quell’attrice  dalle  forme  e   dalla   sudorazione abbondanti che una settimana  fa ha interpretato Dalilah, che era sensuale come un paracarro su cui un cane avesse appena urinato?”

-” Nego   assolutamente  la   seconda  parte, ho   detto   solo   del paracarro!”

– ” E   perché?  Non ti eccitano i paracarri? Io li trovo semplicemente galvanizzanti!”- esclamò il Passico, che non faceva mai nulla per nascondere la sua, del resto più che risaputa, omosessualità-

– “Specialmente   ad  Amsterdam   dove   sono così allusivi!”

Una grassa risata accolse la battuta: lui stesso era ormai da tempo abituato ad ironizzare su di sé,  mettendo così a proprio agio i pochi eterosessuali del mestiere e coloro che, invece, per giusto pudore, non davano a vedere nulla della propria sfera sessuale.

-” Io   avrei  detto, nel  caso   della   suddetta   cicciona,   che  un paracarro  in  scena  sarebbe  stato  più   sensuale,   piuttosto che denigrare così  la  nobile categoria dei paracarri negando loro il diritto alla sessualità!”

-“Ma  che  stai   dicendo, Passico!  Levategli  la  birra,  che  non regge l’alcool!”

– “Giù le mani dal mio bicchiere! Lo difenderò con la vita!”

A questo punto si scatenò una vera battaglia in cui volarono tovaglioli, pezzi di pane, fette di limone e quant’altro di innocuo venisse a portata di mano. I seriosi critici ridevano come bambini, incuranti di poter essere riconosciuti da qualcuno. Melchiorri ottenne una vera ovazione cimentandosi nella consueta imitazione di una famosa attrice ottantenne, mentre Tartini sostenne, con tanto di piccoli esempi che si era annotato, che il testo che era stato appena rappresentato potesse essere letto all’incontrario senza perderci né guadagnarci alcunché, perché fondamentalmente era una metacazzata solenne.

I giri di birra al tavolo si moltiplicarono senza che nessuno facesse caso al trascorrere del tempo né al numero dei boccali. Alex si era lasciato andare all’allegria generale ed anzi confessò, su provocazione del Tartini, di aver addirittura letto attentamente nel pomeriggio il testo, convinto che potesse dargli delle illuminazioni.

– “E   sei   venuto   lo   stesso  a   teatro? Beh,  signori,   questa  è depravazione!”

– “Mi  permetto  di  dissentire: questo è senso del metadovere ed amore alla propria vocazione di metatestimone.”

– “Bravo,  Alessandro,  così  si parla! Occorre proprio qualcuno che difenda gli ideali del giornalismo da questa accozzaglia di mercenari della carta stampata!”

– “Sentilo, il Tartini! Proprio  lui  che  fa le  critiche  in base alla qualità  della  cena  che  gli  è stata  offerta  al  termine  dello spettacolo.”

– “Certo,  non  lo  nego   ed  anzi  me  ne  vanto!  Se lo stomaco è contento  lo  sono  anche  gli altri sensi ed ecco che davanti al computer  anche  il  più  cane  degli attori diventa uno “che si farà”, anche  se ha già novant’anni, o che ha avuto una serata poco felice, mentre, dopo un orrendo party in piedi a  base  di panini freddi e coca-cola, anche la migliore delle commedie mi sembra un prodotto d’avanspettacolo.”

– “Se ti sentissero i tuoi lettori!”

– “Sarebbero  d’accordo!  Il  gusto  è  il  principe dei sensi, amici cari. Provate  ad  andare  a  teatro  dopo  aver  mangiato  una casseruola di peperoni: tra una colica e l’altra scommetto che non  notereste  perfino   la   differenza  tra  l’ “Enrico IV”  e “L’albergo del libero scambio”!”

– “Beh, allora  bisogna  tener  presente anche la vita sessuale del critico, che, se mi permetti, è più importante del tuo cibo. Vai a teatro dopo essere andato “in bianco” e vacci di nuovo dopo un    trionfo   amatorio:   lo   stesso    spettacolo   ti   sembrerà  tutt’altro!”

– “Se ragionassimo così non dovremmo  più  scrivere! Noi siamo come gli attori  che  devono  lasciar  fuori  dal  palcoscenico le proprie   sofferenze  ed  essere  personaggi. Anche  noi siamo parte del gioco  ed  anche  noi,  in  un  certo  senso,  dobbiamo recitare!”

– “Sentilo il Morlacchi, che ha dormito per tutta la sera, come è fresco di cervello!”

– “Nego  assolutamente  di  essermi  addormentato anche per un solo istante!”

– “Allora hai pensato ai  cavoli  tuoi,  perché  guardavi  in  basso invece di guardare il palcoscenico.”

– “Ma non capisci? Stava assaporandosi il testo!”

Un’altra grassa risata esplose nella compagnia.

– “E’  da  molto  tempo  che  non  mi   divertivo  così:  penso  che  scriverò proprio un bell’articolo sulla porcheria di stasera. Dirò che lo spettatore  viene  inondato  dall’ottimismo, perché lasciando il teatro si rende conto che la realtà non  potrà  mai  essere  così brutta come ciò che ha appena visto!”

– “Propongo  un  brindisi  al  capolavoro  di  stasera   ed  al   suo ignobile autore!”

– “Evviva!”

Che ora era quando uscirono dal pub? Probabilmente era già mattina: le due o le tre, quell’ora morta in cui il traffico è diradato e non si vedono passanti per strada sotto un cielo nero che rende impossibile pensare alla possibilità di un’aurora. La preoccupazione di tutti era soprattutto quella di mantenere l’equilibrio dopo l’abbondante bevuta, mentre in nessun modo riuscivano a placare quell’irrefrenabile allegria che si era impadronita di loro: un’ilarità stupida, infantile, nella quale l’impulso alla risata prescindeva dalla comicità delle battute o delle situazioni per essere puro sfogo di quanto si era accumulato durante le ore di tortura in teatro. Tutto ciò era sicuramente terapeutico, specialmente per Alessandro che poteva così sfogare la spaventosa tensione degli ultimi avvenimenti. Decisero di andare a piedi fino alla fermata dei taxi per cercare di smaltire un poco la sbornia e si incamminarono tenendosi a braccetto per sostenersi, continuando a dire stupidaggini.

Alessandro si sentiva di vivere come in un sogno: era lontanissimo dalla sua vecchia quotidianità, slegato dalla realtà esterna, in preda ad una vertigine in questo momento piacevole, ma certamente insidiosa per il futuro. Avvertiva distintamente la concreta possibilità d’impazzire, di perdere totalmente il legame con se stesso e la coscienza del proprio agire o reagire. Aveva azzerato troppo rapidamente tutte le sue consuetudini, abbandonandosi ad una volontà sconosciuta, per di più con la consapevolezza che non gli sarebbe stata possibile neppure una conoscenza parziale di questa Verità coagente, a meno che Essa stessa avesse deciso di rivelarglisi. E se questo non fosse avvenuto cosa sarebbe stato di lui? Il suo destino era quello di perdersi nel nulla come una foglia trascinata dalla corrente del fiume fino all’immenso oceano? Aveva fatto bene a staccarsi deliberatamente dal ramo che, se da un  lato  gli negava il libero volo,   gli    assicurava   però    dall’altro   un    destino   certo   e confortante?

Ma era il conforto ciò che cercava? Nell’offuscamento dei sensi indotto dall’alcool si sentì smarrito finché gli venne in mente un efficace paragone: Cristoforo Colombo! Era come lui: aveva lasciato la terra ferma per cercare un nuovo mondo; e non era importante il fatto che, a differenza del grande genovese, egli non avesse nessuna teoria da verificare, nessun sogno da realizzare. Era in viaggio verso la verità di sé o verso la propria perdizione, qualora avesse dovuto scoprire che semplicemente non esisteva nessun divino e nessun senso alla propria esistenza. Stava forzando il suo destino: stava chiedendo un evento epifanico, senza sapere se questo fosse o meno nei piani della Suprema Volontà Creatrice. Egli era pura domanda e nello stesso momento, per il fatto stesso di porre questa domanda con la propria vita, presupponeva la ragionevole possibilità di una risposta.

Meditava così in silenzio nell’aria frizzante del mattino, incurante delle risate sguaiate dei suoi ebbri colleghi ed aveva la sensazione che tutto potesse accadere, che nulla egli potesse ragionevolmente escludere dall’infinita possibilità di azione del divino e che ogni minuto poteva essere l’occasione di uno svelarsi imprevedibile dell’Altro da sé. Per questo non si stupì assolutamente, passando davanti alla vetrina di un altro pub, di vedervi all’interno Silvia, la “sua” Silvia. La ragazza era di spalle, ma si voltò esattamente al momento del suo passaggio e gli fece cenno di entrare. Sentì le risate volgari dei colleghi, il loro greve scherzare su questo incontro notturno:

– “E  bravo il  Morlacchi  che  si  dà  da  fare!  Ma  non  sta  per sposarsi?” – ma quando si voltò per salutare, non vide più nessuno dei colleghi: era solo nella strada.

Fece uno sforzo potente per mettere a fuoco la vista sulla ragazza: Silvia gli sorrise e lo invitò nuovamente a raggiungerla. Alessandro entrò.

– “Ciao!”

– “Ciao! Vieni, siediti qui che ti devo parlare!”

FINE QUARTA PUNTATA

(prossima puntata Sabato 13 Maggio)

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Marcello Lippi.
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi),  Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
 
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio a La Spezia, Alessandria, Udine, Ferrara e ora a  Rovigo
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario    2012; Alla presenza di quel Santo   2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner…   2006;  Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga   2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto   2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione   2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana”   2005; Un verista poco convinto  2005; Dalla parte di don Pasquale  2005; Ti baciai prima di ucciderti    2006 e 2013;  Del mondo anima e vita è l’amor   2007 e 2014Vita gaia e terribile   2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili?   2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa  2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette    2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra  2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor        2015; Da Triboulet a Rigoletto   2011;  Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato  “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov  Mozart e Salieri; Telemann  Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra  rappresentata al teatro Verdi di Pisa

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