L’inconsapevole trinità : terza Puntata del romanzo di Marcello Lippi. Qui il link della prima puntata e della seconda puntata
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PREFAZIONE
Scritto durante gli anni di permanenza in Cile dell’autore, questo romanzo racconta una storia affascinante e piena di colpi di scena, in cui agiscono fianco a fianco, secondo quella che è l’assoluta normalità nei paesi del Sudamerica uomini e spiriti, ninfe e personaggi letterari, tutti vivi di un’unica vita che da queste pagine prende corpo e significato. La vera protagonista è una donna, o meglio una creatura leggendaria della letteratura cilena, Osilas, la ninfa che oscilla (donde il nome) tra due mondi e che coinvolge, guida, illumina la vita dei protagonisti maschili. La sua voce è talmente potente e meravigliosa da muovere le onde del mare, il suo operare è benefico e potente per la vita di chi la incontra, siano esseri umani o personaggi letterari resi immortali dalla loro condizione e desiderosi invece di umanità. Il simbolo, il segno, le dimensioni dell’essere. La cattedrale nell’oceano è il racconto di tre vite, o non-vite, alla ricerca del significato del mondo: la prima attraverso la negazione della casualità e l’interpretazione estrema del reale come segno, la seconda attraverso la conflittualità dell’amore non corrisposto, la terza attraverso l’abbandono confidente ad un reale che supera i confini della normalità e ragionevolezza. Tre vite che si intersecano: quella di Pierre de Craon protagonista della pièce di Paul Claudel L’annonce faite à Marie , condannato per un gesto maldestro di violenza ai danni della giovane Violaine a peregrinare in eterno per il mondo con una lieve, ma contagiosa, forma di lebbra in corpo. Immortale perché personaggio di teatro, ma reale, più reale di altri personaggi, nella sua avventura fascinosa e ricca di sorprese, nel suo girovagare attraverso i secoli, maledicendo Dio per la punizione che gli ha inflitto, negandogli anche la redenzione, perché un reale tanto evidente nega la possibilità salvifica della fede; quella di un critico teatrale che, alle prese con un evento imprevisto e destabilizzante, il ritrovamento di una ragazza morente per overdose, si lascia coinvolgere, pensando a questo incontro come ad uno squarcio che deve spezzare la sua vita di prima e creare i presupposti per una nuova, nella quale gli si possibile intuire la ragione del suo esistere, operare ed amare; quella di un pensionato vedovo e solo che incontra uno spirito su una scogliera ed accetta di seguirne le indicazioni fino ad avere una nuova meravigliosa vita in Sudamerica accanto ad una giovane fanciulla. Cos’hanno in comune? Forse nulla, forse un mondo di sensazioni e verità che appartiene solo a loro e del quale Osilas, la creatura del mito andino che oscilla tra le due dimensioni e si coinvolge con l’esistenza di tutti e tre, possiede le chiavi. Il lettore è chiamato ad accettare in questa opera non solo l’operare congiunto di creature terrene, di esseri intermedi tra la dimensione della materia e quella dello spirito e di personaggi di teatro umanizzati, ma anche che i personaggi di una storia corrispondano a quelli dell’altra, che un personaggio possa essere nel contempo morto e vivo in uno sdoppiamento che trova le sue ragioni nel suo essere fortemente angelico e nel contempo simbolico.
Redazione Cultura
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L’inconsapevole trinità
o
La cattedrale nell’ Oceano
ROMANZO di MARCELLO LIPPI
Terza Puntata
7
“Sì”- pensava- ” il colpo d’occhio è magnifico, grazie a questi giochi che la luce del sole fa penetrando dal tetto tutto di vetro e riflettendosi sui pavimenti incerati. Non fosse per i pesanti disegni marroni che ornano il piastrellato e per quei brutti finti sentieri ciechi colleganti le colonne di metallo brunito, si avrebbe una sensazione di sospensione tra due cieli, tra due aspetti speculari della stessa porzione di immensità. Ma cosa ha a che fare con una cattedrale? Perché questo giovanotto pieno d’orgoglio strapaesano mi definisce questa costruzione “Cattedrale laica” ? Non si accorge dell’assurdità della definizione, della sua intrinseca contraddizione, dell’ossimoro?
Non sono le pietre a fare il tempio! Qui nulla invita alla preghiera: non i negozi, né le finestre delle stanze, né quelle patetiche aiuole rotonde che hanno solo la funzione di aumentare l’impressione di trovarsi in una serra, né l’atmosfera ovattata di lusso, né l’intreccio stretto delle travi metalliche che supportano le vetrate del tetto! E l’altare? Sarebbe quel punto là in fondo, tutto vetrate, con portoni dorati e due ascensori anch’essi dorati e con le pareti di vetro che salgono ai piani in modo tanto silenzioso da evocare miracolose ascensioni? Cosa ha a che fare tutto questo con il Mistero? E perché questo presuntuoso ignorante non cessa di propinarmi le sue assurde teorie e non mi porta piuttosto a pranzo in città?”
In piedi, al centro della hall dell’ albergo, Pierre sentiva di non riuscire più a controllare i propri nervi e che sarebbe presto esploso, maltrattando il giovane studente di architettura che lo era venuto a prelevare. Gli era insopportabile l’assenza totale di spiritualità in chi si riproponeva d’intraprendere la sua stessa missione! Sapeva bene che questo era il requisito primo, ciò che distingueva in modo assoluto il genio dall’artigiano e, per questo, mentre continuava in ogni città a cercare inutilmente tra le facce dei suoi allievi qualcuno nel quale si potesse intuire un barlume di genialità, il suo carattere andava peggiorando e la sua capacità di autocontrollo deteriorandosi. Inoltre non gli era gradita la compagnia maschile e non riusciva a perdonare il rettore di avergli inviato questo slavato ventenne anziché una studentessa prosperosa. Il suo cattivo umore era palese, ma l’altro non si dava per vinto e continuava a magnificare l’arditezza architettonica di quell’albergo, dando sfoggio di quei tecnicismi che gli studenti d’architettura di cultura libresca esibiscono quando vogliono che l’interlocutore non capisca assolutamente niente e si senta un idiota. Pierre, nel mentre, lo guardava da dietro le spalle e pensava al modo più feroce e disumano di ucciderlo prima che mettesse al mondo qualcuno che potesse assomigliargli e prolungare la specie. Concluse che, in tono con le sciocchezze che stava dicendo, non sarebbe stato male crocifiggerlo davanti agli ascensori. Già era venuto di malavoglia a fare questo seminario sul gotico tedesco a Köln ed il fatto che gli avessero chiesto una consulenza tecnica sui lavori di ristrutturazione di una delle due torri della cattedrale e che lui, per amore dell’edificio e niente più, avesse accettato, gli dava ancor più il disagio di sentirsi svalorizzato, svilito nella sua creatività, umiliato dai tempi che stava attraversando, così poco propensi, se non in qualche sperduto e poverissimo paese africano dotato di un sovrano megalomane, alla costruzione di nuovi grandi templi. Lui non era un tecnico, né lo sarebbe mai potuto diventare, e, quando veniva richiesto di pareri su come contrastare l’usura del tempo in edifici non costruiti da lui, soffriva pene orribili per reprimere la tentazione di correggere gli errori del collega, di dire che era tutto sbagliato, di distruggere per riedificare.
Gli capitava naturalmente anche con le proprie opere di notare le imperfezioni, dovute a volte alla scarsa qualità del materiale, altre all’imperizia delle maestranze, altre ancora ad un suo vero e proprio errore di concezione. Potevano essere perfette architettonicamente, ma non ispirare il “genio orante”, come lui diceva, non essere “casa dello spirito”. Questo gli dava momenti di depressione orribile: avrebbe potuto sopportare la condanna più facilmente, se non avesse dovuto assistere al perennizzarsi del proprio limite, della propria finitezza, del proprio peccato!
Non sopportava di sbagliare e sbagliava continuamente, avendo, per di più, un’acuta coscienza dell’errore. Questo non lo dissuadeva dall’azione, ma al contrario la rendeva violenta, rabbiosa: sfidava ogni giorno la propria incapacità alla perfezione ed il suo carattere andava così guastandosi irrimediabilmente. La sua fama di uomo scontroso, intrattabile, sempre distratto, privo d’interesse per gli altri, ormai si era così consolidata che i rettori delle università, gli stessi colleghi e le autorità ecclesiastiche preferivano limitare gli incontri, adducendo scuse varie ed inviandogli spesso studenti, assistenti o seminaristi per riceverlo ed accompagnarlo nelle sue visite. Il malumore cresceva ad ogni passaggio in una nuova città. Aveva assistito all’edificazione di città superbe, di palazzi meravigliosi creati per eternizzare il creatore ed il committente! Ora tornava nella stessa città, dopo moltissimi anni, e vedeva la rovina di ciò che era stato creato per durare ed i guasti atroci dell’incuria. Non erano tanto le guerre con la loro distruttività a sconvolgerlo, bensì il degrado quotidiano: gli orrendi palazzi costruiti “sine ratio” al fianco dei capolavori del passato, la sporcizia, l’inquinamento, il rumore! Ogni volta che ritornava in una città, faticava ad orientarsi, si smarriva, cercava disperatamente rifugio nella cattedrale, ma spesso il frastuono delle auto, degli aerei e degli stereo penetrava anche lì, perseguitandolo. Per questo amava la notte, quando questo rumore si stemperava e si faceva meno aggressivo, cosicché egli poteva almeno seguire il filo dei propri pensieri, poteva “presentire” la morte, la liberazione, il perdono.
– “Maestro, allora, che ne pensa?”
Ah, già, lo studente! Pierre contrasse il viso in una smorfia dolorosa e la sua voce si fece cupa:
– “Penso che, se ha finito con le sue sciocchezze, mi piacerebbe mangiare qualcosa.”
Lo studente passò in un secondo dall’orgoglio per i brillanti raffronti a lungo studiati per far colpo sul maestro all’imbarazzo più totale; le sue gote si fecero porporine, gli mancò il respiro, gli occhi si spalancarono in uno stupore dolente, il cuore gli impazzì nel petto e balbettò solo:
– “Ce..certo, maestro, su..subito!”
Heinrich era uno dei migliori studenti dell’ultimo anno di architettura ed incontrare il grande e misterioso maestro era stato per lui un premio insperato. Sapeva che era la sua grande occasione e non voleva sprecarla, ma aveva scelto l’approccio peggiore: voleva farsi ammirare dal maestro, voleva che si interessasse a lui, che magari gli proponesse di fargli da assistente nella costruzione di qualche capolavoro, voleva fargli vedere quanto fosse bravo. Per questo si era presentato con una cartellona zeppa di disegni, sperando ci fosse l’occasione per mostrarli al maestro. Ma Pierre, che aveva incontrato un’infinità di studenti nella propria lunga sopravvivenza, si guardò bene perfino dal lasciar cadere uno sguardo sulla cartelletta: fece sembiante di non averla vista, nonostante fosse talmente grande che Heinrich riusciva appena a tenerla sotto il braccio e ne era impedito in ogni movimento. Sapeva che avrebbe pagato caro anche un solo piccolo accenno a quell’oggetto!
Heinrich gli fece strada fino al parcheggio dell’hotel, sforzandosi di mascherare la propria delusione, di nascondere l’umiliazione ed il risentimento. Amava quell’uomo per tutto ciò che rappresentava per l’arte mondiale, ma nello stesso tempo l’odiava per la sua stessa celebrità, che lo autorizzava ad ignorare o maltrattare il prossimo; lo invidiava per tutto ciò che possedeva nell’anima e nelle mani e per la sua inarrivabile grandezza.
Lo sguardo di Pierre cercò in lontananza di scorgere le torri della sua amata cattedrale, poi si posò su un piccolo quaderno che egli portava sempre con sé e dove annotava le cose importanti per il suo lavoro. I suoi occhi sembravano non interessarsi mai ad un essere umano, se non a qualche ragazza molto graziosa che egli sceglieva come compagna per periodi che si facevano da un po’ di tempo sempre più brevi.
La frequentazione di tutto il genere maschile dell’umanità era quindi per lui un obbligo spiacevole da limitare il più possibile e non aveva mai avuto amicizie, nemmeno superficiali. Era più semplice così! Poteva cambiare identità a piacimento, senza correre il rischio di dover dare spiegazioni a qualche stupito conoscente.
Le nubi impedivano al sole di scaldare le strade del centro, che erano molto intasate dal traffico nevrotico di una mattinata lavorativa.
– “Tra qualche minuto saremo alla cattedrale, maestro!”
– “Voglio sperarlo!”
Com’era possibile che un uomo così sgradevole fosse poi l’artista che tutto il mondo riteneva essere il miglior interprete della religiosità di un’epoca? Sembrava che il suo lavoro non lasciasse traccia nella sua anima o che fosse opera di un’altra persona: non c’era unità tra spirito e creazione, solo insofferenza e tormento che trasparivano dallo sguardo infelice che passava nervosamente da un oggetto all’altro senza posarsi mai, come se quegli occhi avessero visto troppo e cose molto sgradevoli.
Il suo viso era come scavato nella pietra: i lineamenti duri, il naso prominente, la bocca stretta, aumentavano l’impressione di forza solitaria che emanava dalla figura, alta ma un poco curva, come di chi è costretto dall’altezza a guardare spesso in basso. Heinrich lo mirava di nascosto, cercando di imprimersi nella mente il suo modo di prendere appunti, le sue espressioni facciali, il suo sbuffare continuo d’impazienza, le lievi contrazioni nervose delle piccole rughe a contorno degli occhi: quelli che erano i segni della grandezza, le ferite delle guerre passate e della sua lotta per eternizzarsi o per finitizzarsi.
L’auto intanto scivolava a fatica per la Martinstraße tra frotte di turisti guidati da strani personaggi che agitavano al cielo ombrelli colorati, cappelli fantasia, cartelli con il nome di qualche agenzia di viaggi: il miscuglio di razze era incredibile, eppure erano tutti vestiti allo stesso modo, dicevano le stesse cose, sporcavano per terra con le loro cartacce e le deiezioni dei loro cani, si disinteressavano totalmente di quello che la guida diceva, preoccupandosi più di osservare le vetrine o le belle ragazze di passaggio, con il pensiero già rivolto alla serata da trascorrere in qualche locale a bere birra e dire volgarità.
Lo sguardo di Pierre li sfiorava come provenendo da mondi lontani, quasi avesse voluto cancellarli da quel luogo, da quel tempo che lui stava attraversando incolume e stanco. Di colpo si rivolse all’autista:
– “Fermi qui! Proseguiamo a piedi!”
Scesero con qualche intoppo dovuto alla cartelletta di Heinrich: essa si incastrò nella portiera della vettura costringendo lo studente a sforzi disumani per liberarla, tra l’ impaziente strombazzare dei clacson delle auto impedite al passaggio e le colorite imprecazioni dei conducenti, cui la lingua tedesca prestava la forza di una fonetica dura ed aspra come quella di nessun altro idioma. Soltanto per Pierre la cartelletta rimaneva invisibile! Attese pazientemente, volgendogli le spalle, che lo studente, sudato ed affannato, si dipanasse dal groviglio di braccia, gambe, sedili, cartelletta e portiera, come preso da un pensiero ineludibile, e parve perfino non udire il suono sgraziato dei clacson e le imprecazioni, che, se non brillavano per originalità, erano indubbiamente molto efficaci sul piano squisitamente onomatopeico.
Quando Heinrich finalmente riuscì a raggiungerlo, Pierre disse semplicemente:
– “Desidero pranzare in uno di questi tipici localini per turisti
prospicienti al Rheingarten; poi raggiungeremo la cattedrale
a piedi.”
Lo studente licenziò l’autista e s’incamminò, umiliato, dietro al maestro; era deciso: a costo di prenderlo per il collo gli avrebbe mostrato i disegni!
Il Rhein era molto meno azzurro di come Pierre ricordasse dall’ultima visita; molti di più erano i turisti che affollavano i giardini mangiando per terra, seduti sull’erba come un tempo facevano i miserabili; molto più assordante era il rumore dei motori che facevano sentire anche lì, nella zona pedonale, il loro rombo sordo. Mangiò di malavoglia, rallegrato solo dal comico imbarazzo dello studentello che attendeva l’occasione per esibire i propri capolavori. Si divertiva a tormentarlo, ma questo gioco l’aveva fatto già troppe volte e la sua mente vagava disperata alla ricerca del silenzio e della sua amata solitudine.
Gli era impossibile concentrarsi su un’idea con quel rumore, seduti ad un tavolo com’erano tra una comitiva di bavaresi beoni e ridanciani ed una di spagnoli con molti bambini al seguito. Per questo consumò in silenzio il pasto e si alzò, senza attendere che Heinrich finisse di pranzare: uscì e prese il cammino per l’ Altermarkt e per la cattedrale. Già da lontano vide i ponteggi in cima alla torre destra. Nessuno era al lavoro a quell’ora ed egli s’infilò nel “portico” tra le due torri. Il tempio era pieno di turisti rumorosi che conversavano ad alta voce e si chiamavano da una parte all’altra delle navate; pochi stavano seduti nelle panche in attitudine orante, molto disturbati dall’andirivieni dei visitatori.
Pierre sedette nell’ultima panca e rimase a lungo assorto, come ascoltando qualcosa, forse una musica lontana, poi balzò in piedi e con ira menò sulla panca anteriore un formidabile colpo con il bastone da passeggio che risuonò a lungo in tutta la navata centrale; certo dell’attenzione di tutti disse quindi in lingua inglese:
– “Signori, non so perché siate qui, né quello che cercate, ma questo è un luogo di silenzio!
Pertanto: rispetto e preghiera! Chi non è qui per pregare (e guardò fisso un gruppo
di giapponesi) rispetti l’orazione altrui!”
Lo sguardo di Pierre si era fatto così minaccioso che tutti abbassarono il volume della conversazione e, pur deridendolo, evitarono la sua ira e si allontanarono a gruppetti, pensando d’aver a che fare con un pazzo.
Egli si risedette e di fianco a lui prese posto Heinrich, che si era trattenuto per pagare il conto del ristorante e poi l’aveva raggiunto, trascinandosi dietro i suoi capolavori.
– “Herr Fuchs non è ancora arrivato”-disse-“siamo in anticipo”
– “Non importa, non ho nessuna voglia di vederlo, ora. Mi dica:
perché permettono questo afflusso indiscriminato al tempio?
Cosa possono capire questi animali della bellezza di questi
luoghi? Non è per loro che tutto ciò è stato creato, ma per gli
angeli del silenzio e dell’orazione. Chi li lascia entrare e
comportarsi come se fossero ad uno zoo?”
– “Ha ragione, maestro, ma sembra che sia troppo costoso
mantenere un sistema di vigilanza più stretto: richiede-
rebbe troppo personale.”
– “Non sto parlando di vigilanza, ma di coscienza! Dov’è
l’anima di questa città? Dov’è lo spirito che geme e grida
allo sposo perché giunga finalmente il tempo delle nozze?
Dove sono il mistero ed il silenzio che ne facevano una
nuova Gerusalemme? “
Heinrich restò allibito e sul suo viso si dipinse un’espressione stupida: il Maestro gli stava dando un insegnamento importante, ma come comprenderlo se parlava per enigmi?
– “Io devo sentire la voce del vento scorrere tra i contrafforti e
le navate, dentro e fuori del tempio; devo vedere le ali degli
angeli riempire di luce lo spazio sotto le arcate! Solo così
posso sapere: ora non è possibile! Non con questo rumore
molesto di passi, questo vocio irrispettoso e questi animali
grotteschi con i loro apparecchi fotografici. Dica a Herr
Fuchs che questa notte dormirò qui e voglio essere lasciato
solo.”
Heinrich prese il telefono portatile e compose il numero del Zentral-Dombau-Verein. Quando sollevò lo sguardo i suoi occhi incrociarono per la prima volta quelli di Pierre e ne fu sconvolto. Non ci fu bisogno di parole:
– “E’ meglio che vada fuori a telefonare!”
– “Ecco, bravo, vedo che qualcosa capisce!”
– “Torno subito.”
– “Se proprio deve….”
Nervosamente Pierre s’incamminò verso l’altare che quaranta anni prima aveva egli stesso fatto collocare nel punto di intersezione della navata centrale con il corpo trasversale e lo
rimirò a lungo, notando subito i segni del tempo trascorso; poi si volse a guardare il trono arcivescovile collocato nel ‘52: qui l’usura non era così evidente come quella degli intonachi delle colonne del coro, che chiedevano urgentemente una pietosa opera di restauro, dato che stavano cadendo in piccole scaglie sui preziosi scranni del quattordicesimo secolo. Il ticchettio del bastone di Pierre ed il suo fermarsi ad analizzare i singoli componenti del tempio scuotendo la testa avevano attirato l’attenzione dei turisti che ora lo seguivano, muti ed intimoriti, come un piccolo corteo. Quell’uomo, ancor giovane nonostante il vezzo di portare con sé un inutile bastone, si muoveva come se conoscesse ogni segreto andito della cattedrale, come se ci fosse vissuto.
Il suo sguardo attraversava l’umanità degli astanti. Egli pareva non accorgersi di loro e, ad alta voce, ringhiava:
-“Con la stazione a pochi metri di distanza!Cosa vogliono da me
i soci del Zdv? Chiaro che le vibrazioni nuocciano all’edificio!
Con tutto quel traffico poi! E la campana? Era necessario
avere la campana più grande del mondo? Ventiquattro
tonnellate! Vogliono che perfino san Pietro la senta suonare?
Qui si rovina tutto! Maledetto progresso!”
Il suo profumo lo colpì d’improvviso, come una frustata, e lui girò gli occhi di scatto, come un lupo in cerca della preda.
I loro sguardi si incrociarono e Pierre la scelse; le si avvicinò e le si rivolse senza inutili preamboli:
– “Lei non mi sembra una turista; vive qui?”
– “Sì, maestro, sono di Köln.”
– “Ci conosciamo?”
– “No, ma desideravo tanto conoscerla: per questo sono qui!”
– “Allora, mi accompagni a vedere la vetrata della “Conversione
di San Paolo”, la prego!”
Si avviarono in silenzio, lui annusando avidamente il suo profumo e cercando di immaginare la sua storia, lei sorridente e spensierata, per nulla intimidita né dalla sua fama, né dai suoi modi bruschi.
Si soffermarono alcuni minuti davanti alla vetrata senza scambiarsi una sola parola; il viso di Pierre esprimeva ora un inconsueto buonumore ed un profondo compiacimento per l’opera di rifacimento compiuta sulla vetrata:
– “Magnifica! Spero abbiano ricostruito con la stessa cura anche la vetrata del Milde.”
– “Mi segua!”
Stavano avviandosi al punto migliore per osservare la vetrata della facciata ovest, quando li raggiunse Heinrich trafelato:
– “Ah, vedo che vi siete già incontrati!”
– “Sì, ma non ancora presentati” – disse, ridendo, la ragazza.
– “Questa è Greta, la mia fidanzata!”
– “Ottima scelta” – disse Pierre, baciandole la mano e lasciando che lo sguardo indugiasse a lungo fisso negli occhi di lei.
Il suo viso si illuminò ed una lieve smorfia della bocca verso destra, sottolineò la sua decisione: si entrava in gioco!
– “Maestro, ho parlato con Herr Fuchs, dice che occorre
l’autorizzazione del vescovo per trattenersi in chiesa questa
notte, ma che non dovrebbero esserci problemi per ottenerla
e le ricorda che questa sera ci sarà un party in suo onore al
municipio.”
– “Un party? Io ad un party? Lei non mi conosce giovanotto!”
– “La prego, maestro! E’ molto importante per la città:
l’accompagneremo io e Greta.”
Pierre restò un attimo in silenzio: la presenza della ragazza rendeva la cosa interessante!
– “Non si annoia a queste feste mondane?” –chiese, rivolgendosi direttamente a lei.
– “No, maestro, anzi! Si incontrano persone molto importanti
che possono aiutare nella carriera” – gli rispose lei.
– “Persone…come me?”
– “No, maestro, come lei non conosco nessuno!”
Le sorrise compiaciuto e la prese sottobraccio, dimenticandosi di Heinrich.
– “Sono stanco di stare qui. Mi accompagnerebbe a fare una
piccola passeggiata in città? Mi piacerebbe rivedere
Neumarkt.”
S’incamminarono così a braccetto per la Hohe Straße, seguiti da Heinrich, sempre più patetico: era sudato per la fatica di trascinarsi appresso l’immensa cartelletta e rosso in viso per il caldo e la gelosia. Credeva di cogliere negli sguardi incrociati di Pierre e Greta i segni di un’intesa segreta dalla quale si sentiva tagliato fuori, messo in disparte, e se, da un lato, si diceva che erano sciocche supposizioni perché Pierre aveva fama di essere gay e poi, che diamine!- poteva essere suo padre!-, dall’altro lo vedeva di buon umore, incredibilmente sorridente e disposto alla facezia, mentre fino a poco prima era stato intrattabile. Inoltre lo sguardo del maestro cercava gli occhi di lei e vi si soffermava a lungo, senza imbarazzo. Era lo sguardo di una fiera, uno sguardo potente che lasciava in Greta il segno trionfante della compiacenza. E lei rispondeva con una luce negli occhi che diceva molto di più delle parole che la bocca stava pronunciando. Si erano dimenticati che lui era lì con loro? Cercò senza risultato di richiamare la loro attenzione sbuffando, lamentandosi del peso della cartelletta, della mancanza d’aria, del traffico, ma il maestro pareva non udirlo nemmeno e seguitava a parlare con Greta, tenendola al braccio e lanciandole occhiate da padrone.
Heinrich si sentì molto a disagio, anche perché si vergognava di dubitare di Greta, la creatura più solare che lui avesse mai conosciuto, incapace di mentire, sempre di buon umore, devota a lui ben oltre i suoi meriti di amante. Questa era la prima volta nella quale lei lo trascurava ostentatamente, come se non gli importasse più di lui! Lo studente provò a convincersi che fosse il fascino del grande artista, dell’ uomo vissuto e forte, ma che non ci fosse nulla di più e si vergognò dei propri pensieri. Sentì che in cuor suo l’aveva offesa con i suoi dubbi e pregustò il momento in cui sarebbero stati soli e l’avrebbe riempita di baci per farsi perdonare.
Greta, invece, era inebriata dalla luce che vedeva negli occhi di Pierre e che si riverberava sul suo corpo ovunque lo sguardo di lui si posasse: si sentiva bellissima, perché si vedeva così nell’iride chiara del nuovo amico, nel suo sorriso, nel lieve tremito di piacere che scuoteva il braccio di lui al contatto con il suo.
Sentiva l’agitazione di Pierre, o meglio la indovinava, pur senza conoscerlo, dalla rapidità con cui egli incatenava una parola all’altra e passava da un argomento all’altro senza permettere un solo attimo di silenzio, quasi temesse di rompere l’incanto di questa nuova relazione alla quale lei si stava abbandonando docilmente. Percorsero quasi meccanicamente Minoritenstraße e Richmondstraße, senza quasi distogliere lo sguardo l’uno dalla altra, studiandosi reciprocamente ed avvertendo solo con un senso di fastidio inconscio la presenza di Heinrich, il quale, vista l’inutilità dei suoi sforzi per inserirsi nella conversazione, aveva finito per camminare a capo chino, tre passi dietro la coppia. La visita a Neumarkt fu brevissima, perché l’interesse di Pierre per la piazza era del tutto scemato, e, dopo pochi attimi d’imbarazzo, egli chiamò un taxi e si dettero appuntamento a sera.
Rimasti soli, Heinrich cercò di recuperare considerazione agli occhi dell’ amata, nonostante percepisse perfettamente la possibilità di averla perduta per sempre. Non poteva competere con il maestro; lui non era niente di definitivo, solo una vaga promessa d’umanità dall’esito incerto; non aveva la sua forza, la sua capacità di dominare gli eventi ed il prossimo, di creare, di eternizzarsi!
Se avesse saputo che in quell’esatto istante Pierre, finito il momento di eccitazione, si stava dibattendo in preda al rimorso più atroce e faceva propositi che non avrebbe poi mantenuto!
Se avesse saputo che il grande maestro, dietro l’apparenza di belva indomabile, era un naufrago sperduto, incapace di spegnere l’ardore che lo bruciava e che lo dannava, ogni giorno di più, alla ripetizione drammatica di gesti e pensieri sempre uguali! Allora, forse, Heinrich non si sarebbe tanto disperatamente arreso ed avrebbe scalfito la fragile maschera del rivale con un semplice gesto di compassione, che era quanto di più insopportabile ci fosse per Pierre, il solo atteggiamento capace di costringerlo alla resa ed alla fuga.
Pierre non aveva infatti mai permesso ad alcuno di compiangerlo per la sua vita solitaria, né per il suo carattere bilioso, né per le sue frequenti depressioni! Considerava gli uomini del tempo che stava attraversando talmente inferiori al loro destino ed al suo che non tollerava alcuna manifestazione di affetto o di stima: accettava solo la critica, meglio se feroce! Ciò lo poneva su un piano diverso, lo poneva al di fuori dell’umanità, così come il divino aveva deciso, sottraendolo al destino comune.
Immortale! Con quanto orrore ripeteva quella parola nelle sue notti insonni! Quante volte aveva cercato la via d’uscita senza trovarla. Era chiaro che non si apparteneva più, o meglio non si era mai appartenuto e per un atto di codardia, un solo atto…..
– “Sono come Lucifero: mi è impedita anche la consolazione di
negare il divino! Questa è la mia vera maledizione: aver
posseduto e poi perduto! Ed ora incolpo Dio di ciò che io
stesso ho liberamente scelto! Forse morirò solo quando
deciderò di farlo, forse sono io stesso la mia condanna!
Io stesso la mia pena: io, la vittima ed il carnefice. E’ questo
dunque l’inferno: la perennità del peccato?”
La lussuosa camera d’hotel sembrò a Pierre poco diversa da una cella: era la riproduzione di una casa, come la sua vita era un’imitazione della vera vita, un incubo amaro, senza la possibilità salvifica del risveglio. Prese con ira il libro dei salmi e cominciò a declamare il salmo 36:
“Putride e fetide sono le mie piaghe
a causa della mia stoltezza…”
Alzò lo sguardo al soffitto e, senza un gemito, si lasciò cadere, esausto, sul letto.
Greta parlava ad Heinrich, ma sembrava assente. Il suo sguardo vagava in cerca delle nubi leggere che, sospinte dal vento, lasciavano trasparire timidi squarci di sole. Egli intuiva il suo disagio, la sua voglia di correre a casa per raggomitolarsi sul ricordo di quell’incontro, per far sì che non dovesse sfuggirle mai; capiva la sua ansia, il suo desiderio che quelle ore scorressero velocissime e che la separazione dal maestro fosse brevissima.
Sapeva di vivere un istante decisivo, nel quale qualunque cosa avesse detto o fatto avrebbe avuto un peso terribile sulla sua esistenza. Ebbe paura: un brivido freddo gli corse sulla pelle, lo stomaco si contrasse e si sentì infinitamente piccolo e debole.
Non disse nulla di quanto avrebbe desiderato dire, solo le disse, spinto da un improprio, ma insopprimibile bisogno:
– “Ti trova molto simpatica il maestro!”
– “Sì, penso di piacergli..come allieva s’intende!”
– “Pensi di poter convincere il maestro stasera a guardare i miei
disegni? Sai per me è molto importante….lo faresti per amor
mio?”
Greta si fermò, lo guardò per un istante negli occhi, poi lo accarezzò dolcemente e gli disse:
– “Povero Heinrich, povero amico mio!”- e riprese a camminare verso casa.
– “Perché “povero”? Perché “povero”?” -disse lui con la voce strozzata, affannandosi ad inseguirla nonostante l’impaccio della cartelletta.
– “Perché sei morto e nemmeno lo sai!”
Rimase immobile, più patetico che mai, all’angolo della strada; non la seguì: la fissò muto finché non scomparve dietro un alto edificio ed allora tutta la sua impotenza ebbe il sopravvento ed un fiume di lacrime gli irrorò senza ritegno il viso.
Quanto rimase in quella posizione? Minuti, ore?
Poi, come se avesse preso una decisione improvvisa ed irrevocabile, prese a correre verso il Rhein.
Dopo un breve e profondo sonno, Pierre si ridestò con un acuto malessere: un cerchio gli stringeva la testa e premeva sulle tempie come un antico strumento di tortura; aveva bisogno d’aria fresca e di silenzio, ma dove trovarli?
Ripiegò meticolosamente sul letto il vestito prescelto per la serata, lucidò le scarpe personalmente, come aveva sempre amato fare, ed indossò un vestito totalmente bianco sopra una camicia arancio che, insieme alla paglietta e al bastone, gli dava un’aria da turista americano danaroso ed esibizionista. Uscì, bofonchiando ancora qualcosa contro le cattedrali laiche, e si diresse verso il Rheingarten.
Camminò un’oretta, chiuso nei propri rimorsi, lungo il Rhein, assaporandone l’umidità e l’alito da gigante malato, invano teso a odorare gli antichi profumi del passato.
Perché si era intromesso tra i due ragazzi? L’avrebbe fatto se Greta non fosse stata la ragazza di quello stupido studente?
Si stava vendicando di qualcosa? Comunque fosse, ora era impossibile tornare indietro: in camera, poco prima, aveva deciso di non presentarsi alla festa e, mentre si compiaceva della propria decisione, le sue mani piegavano il vestito per andarci e lucidavano le scarpe di vernice! Perennità del peccato! Era vittima di una forza più potente della volontà! Ma è peccato se non c’è volontà? Rise amaramente:
– “Vigliacco!…Non fuggire, guarda la realtà, guardati allo specchio, vecchio Pierre!”
D’improvviso lo colse un’idea, che, come tutte le idee geniali, scaturì dall’osservazione di un elemento esterno imprevisto: fu scoperta e non creazione! Vide alcuni clochards sotto un ponte, intenti a sistemare i cartoni destinati a fungere loro da casa.
– “Altri dannati del mio stesso inferno!”
Dapprima distolse lo sguardo come fa istintivamente ogni uomo per preservarsi dalla bruttezza, poi ebbe il moto d’animo contrario e si sedette su un piccolo muretto a distanza per studiarne i tratti e le movenze. Erano come lui dei sopravvissuti alla vita, ma loro erano incredibilmente più fortunati: avevano in retaggio la morte! Li vide agitarsi come se ogni loro gesto fosse importante per il destino del mondo, ma con quell’aria ciondolante ed affaticata di chi non sceglie più. Tra loro vide anche alcune donne, o almeno tali erano state, perché ora il loro aspetto ricordava ben poco della trascorsa femminilità e si erano totalmente mimetizzate con il gruppo degli uomini.
Il capobranco era il più giovane e dinamico: la gioventù si notava dai gesti rapidi, non dall’aspetto derelitto e senescente.
– “Lupi, lupi dispersi in città a cui sono stati strappati i denti e
le unghie! Ma l’istinto, l’anelito di libertà, sarà rimasto da
qualche parte sotto la scorza dell’umiliazione?”
Uscì allo scoperto improvvisamente, pieno d’entusiasmo come in una di quelle rare volte in cui l’estro accendeva la creazione di un nuovo tempio; tutto gli era chiaramente in testa, ogni particolare dell’idea, ogni piccolo dettaglio, ed il malessere di poco prima aveva lasciato il posto ad un’energia insospettata.
– “Scusate signori, il mio nome è Pierre: sono un architetto
francese. Se hanno la bontà di concedermi un minuto del
loro tempo, avrei una proposta da fare.”
La sua figura era del tutto fuori posto in quel luogo, lo era il suo abito bianco, lo erano le sue scarpe chiare che si infangarono subito, lo erano i suoi modi affettati e sorpassati; perciò non si stupì di essere accolto dall’ilarità generale, né se ne adombrò.
Il suo viso esprimeva una contagiosa simpatia e per questo nessuno pensò avesse cattive intenzioni: solo un paio di clochards si tennero a debita distanza, vittime della propria diffidenza.
Passò loro del denaro, non molto in verità, ma molto più di quanto essi fossero abituati a gestire, e si pose seduto in mezzo a loro, incurante di lordare l’elegante vestito bianco sedendosi su una poltroncina di vimini che aveva conosciuto anni di intemperie e desolazione. Essi si radunarono sedendo in cerchio attorno a lui, come i bambini solevano fare un tempo quando un anziano si accingeva a raccontare una fiaba.
Capivano poco di quello che Pierre stava loro dicendo, un po’per lo strano accento francese che rendeva alquanto insolita la fonetica della lingua tedesca, un po’per la loro disabitudine ad ascoltare altro che il battito del proprio cuore o l’urgenza del proprio bisogno. Quando qualcuno comprendeva, si affrettava, con grandi risate, a tradurre in dialetto o nello slang del gruppo per coloro che faticavano a comprendere; passò così un’oretta, dopo di che Pierre, vinte le resistenze e i dubbi dei suoi nuovi amici, si alzò e si mise a capo di una strana carovana di miserabili diretta, in fila indiana, verso il più vicino centro commerciale. Era di splendido umore, il viso era luminoso, giovane, gli occhi vivaci sprizzavano scintille di piacere, perfino il naso occupava una porzione meno importante della sua faccia ed il lieve incurvamento della schiena pareva scomparso. Alzò il bastone con la punta verso il cielo e lo tenne proteso all’in su, scimmiottando le guide dei tour operators, felice degli sguardi dei passanti che si posavano su di lui tra lo stupito ed il divertito. La sua combriccola aveva compreso lo spirito del gioco e chi aveva ancora la mente sveglia recitava a sua volta la parte del turista e richiamava all’ordine i molti che invece non riuscivano a rimaner concentrati su quello che stavano facendo che per pochi secondi, poi lo dimenticavano e chiedevano continuamente:
– “Ma che succede? Che vuole quello?”
L’entrata trionfale nel Kaufhof fu rimandata di qualche minuto perché il corteo non era per nulla passato inosservato e, prima che varcasse la soglia del grande magazzino, due colossi in divisa, con la testa rasata e la pistola al fianco, si erano parati davanti a Pierre con lo sguardo feroce, bloccando l’accesso.
Lui non perse la calma, perché stava pregustando finalmente qualcosa di inusuale e divertente, e fece chiamare il direttore.
Dopo un breve conciliabolo, alla vista del denaro esibito da Pierre, gli scrupoli del direttore furono messi da parte ed egli lo pregò solamente di permettere che li servissero in una sala a parte, per non disturbare la clientela.
– “Ma certo, del resto i miei “assistenti” necessitano anche di una buona toilette: avete docce qui nel Kaufhof?”
– “Veramente solo per i dipendenti…..”
– “E lei pensa che i suoi dipendenti sarebbero disposti, dietro congrua ricompensa..”
– “Quanto congrua?”- chiese l’assistente del direttore.
– “Faccia lei.”
– “Si può organizzare: chiamiamo subito gli addetti.”
Vista la quantità di denaro che Pierre aveva tratto dal portafogli, si creò subito una forza d’intervento molto organizzata: tre signore munite di guanti di plastica e mascherina erano addette a spogliare gli “assistenti” del maestro; altre sei, munite di grattaschiena montati su lunghi bastoni, provvedevano al loro lavaggio; tre uomini raccoglievano gli abiti dismessi e li ponevano in robusti sacchi per la spazzatura. Non fu facile convincere tutti gli improvvisati assistenti di Pierre a lasciarsi togliere i vestiti, perché temevano che sarebbero stati loro sottratti; qualcuno brontolò per pudore, visto che nessuno si curò di dividere gli uomini dalle donne, altri ridevano e giocavano con l’ acqua, spruzzando le inservienti, che si spazientirono in pochi minuti e terminarono il lavoro solo perché attratte irresistibilmente dal miraggio della mancia promessa. Gli “assistenti” vennero profumati ed allineati, coperti solo di un asciugamano, in una saletta che fungeva normalmente da magazzino.
Qui arrivarono i sarti e presero le misure ad ognuno. Non fu facile, perché ormai tutti i clochards, vinta la diffidenza, partecipavano al gioco divertendosi, tra lazzi osceni ed esibizioni sessuali decisamente grevi. Molti tra i maschi erano in stato di visibile eccitazione: da quanto tempo non erano stati lavati e profumati da una donna? Anche le donne del gruppo erano in preda ad un risveglio della sessualità e dopo molti anni riscoprivano il piacere del proprio corpo, potendo oltretutto misurare in modo diretto gli effetti che ottenevano sui compagni scostando il proprio asciugamano e mostrando le proprie grazie deperite. Anche i due “gorilla” avevano così il loro da fare a calmare i più agitati e mantenere l’ordine.
Non solo per Pierre, ma anche per tutti i suoi amici, quella era una giornata al di fuori della vita normale, un’eccezione, un dono da gustare fino in fondo. Nessuno poteva prevedere come sarebbe finita, ma tutti, indistintamente, si sentivano finalmente vivi.
Pierre ordinò che fossero vestiti in modo elegante, ma un poco stravagante, come si conveniva ad artisti quali essi erano.
Comparvero così anche molti foulards a sostituire le cravatte in abiti di fattura pregiata, ma non troppo seriosi, e fazzoletti da taschino dai colori sgargianti. Mentre alcuni provavano gli abiti, una squadra di parrucchieri, manicure ed estetisti, fatta venire dal direttore, si occupava della toilette degli altri, senza la pretesa di cancellare le devastazioni che la natura aveva operato negli anni, ma solo per ridare loro un aspetto che li rendesse accetti al pubblico sguardo.
Poi, saldato il conto, Pierre li guidò tutti ad una trattoria del Rheingarten, dove, nuovamente, dovette vincere con la forza del denaro la resistenza del proprietario che conosceva quei signori molto bene per aver loro spesso passato qualche avanzo. Si sedettero all’aperto, alquanto discosti dagli altri tavoli nei quali alcuni clienti sorseggiavano caffè e cioccolate impreziosite dalla Schlagsahne, e consumarono un pasto non troppo abbondante, perché poi non li cogliesse il sonno, e soprattutto senza vino, perché la sobrietà era assolutamente necessaria per la riuscita del piano. Pierre vinse le loro proteste promettendo che sarebbe stato loro offerto più tardi un vino prelibato. La tavolata era assai più rumorosa e scomposta di quella che poche ore prima lo aveva tanto infastidito mentre pranzava con lo studente, ma ora il buon umore di Pierre era evidente: osservava i nuovi amici con cura, in silenzio, come uno scrittore avrebbe potuto fare alla ricerca di personaggi per un romanzo. Non si soffermava tanto sul loro aspetto: non erano le fattezze esteriori che lo interessavano quanto le movenze, le risate, la loro diversità così meticolosamente costruita negli anni, che li rendeva così fuori posto dovunque andassero. Erano mostruosi nei loro costumi da ricchi, con le loro pettinature già messe a repentaglio dall’abitudine ad un contegno assai poco controllato: sembravano bambini truccati da adulti. La mascherata risaltava la potenza sconfinata della loro libertà e della loro sconfitta. Uno solo, il più giovane, non sembrava del tutto sradicato dalla propria normalità: evidentemente la scelta era recente e pareva non aver ancora intaccato a fondo la sua capacità di adattamento. Era del resto più simile ad un contestatore degli anni ‘60 che ad un clochard: aveva un supporto culturale vivo, un’intelligenza non ancora azzerata dall’abuso di alcoolici, una sufficiente capacità di nascondere a se stesso ed agli altri ciò che di coatto c’era nella sua scelta, mascherandolo per ideologico e romanzandolo. Fu lui ad avvicinarsi a Pierre, tralasciando il cibo, ed a stuzzicarlo:
– “Pierre non è il suo vero nome, ovviamente!”
– “E perché non dovrebbe esserlo?”
– “Va bene, va bene! Come vuole, non fa niente! Però la chiamerò Gérard.”
– “E perché mai?”
– “Vedo che non frequenta molto i teatri d’opera, maestro!”
– “Vero, preferisco la prosa, soprattutto le pièces di Paul Claudel che è stato un mio grande amico”
– “In che senso scusi?”
– “Nel senso che la lettura dei suoi testi ha accompagnato la mia infanzia e la mia adolescenza”- riparò in qualche modo Pierre.
– “Dunque non conosce Umberto Giordano?”
– “Mi aiuti a ricordare…”
– “Nel primo atto dell’ “Andrea Chenier”, melodramma
ambientato nella rivoluzione francese, un servo, Gérard
appunto, irrompe durante una festa a casa della sua
padrona, la contessa di Coigny, alla testa di una banda di
miserabili, annunciandoli come “Sua Maestà la miseria!”:
non è questo ciò che vuol fare?”
– “Così lei mi toglie il gusto dell’originalità!”
– “Non sa da quanto tempo nessuno mi dà più del lei!”
– “Ed ora che dovrei fare?”
– “Andare avanti, mi sembra ovvio: noi siamo con lei, alla
peggio ci tratteranno come sempre ci trattano, non rischiamo
di più. Ma ha pensato alle conseguenze sulla sua
carriera?”
– “Ho l’aria di uno che si preoccupa della carriera?”
– “No, lei ha l’aria di un vero artista!”
– “Se per questo, anche lei!”
– “Lasciamo perdere: non ho mai avuto tempo per praticare
l’arte, ho fatto politica, io! Ho vissuto e combattuto per gli
oppressi una mia personale guerra all’ ingiustizia ed
all’egoismo dei padroni! Ma poi…le interessa sapere come mi
sono ridotto così?”
– “No, per carità!! Non se la prenda, ma non ho alcun interesse
per la sua storia, tanto so già che non ci sarebbe nulla di vero!
Mi dica piuttosto il suo nome.”
– “Mi chiamo Carlos, o meglio questo è il mio nome di battaglia:
per l’anagrafe mi chiamo Hans, Hans Lebensfreund.”
– “Che splendida contraddizione! Lebensfreund:“amico della
vita”” – pensò Pierre e poi disse al giovane:
– “Bene Carlos, le offro un lavoro: che ne dice, finita la nostra
recita di stasera, di restare con me per un mesetto? Ho
giusto bisogno di un assistente: in realtà non ne ho mai avuto
uno.”
– “Ora mi sta deridendo, crede non lo capisca? Non so nulla
del suo lavoro e non so nemmeno quale sia il suo vero nome!”
– “Nemmeno io so nulla di te, ma amo il rischio. E tu?”
Carlos lo fissò per un istante e negli occhi brillò la luce di chi ama l’avventura.
– “D’accordo, ci sto!”
– “Qua la mano!”- “Parola !”
Carlos fece per tornare al tavolo:
– “Ah, a proposito, Pierre è il mio vero nome e sono costruttore
di cattedrali.
– “Di che?”
– “Cattedrali: sai cosa sono?”
– “Certo che lo so: simboli del potere!”
– “Chiaro, ma non del mio, né del tuo. Mangia ora, se no facciamo tardi!”
Aveva offerto un impiego ad uno sconosciuto, proprio lui che non aveva mai permesso ad alcuno di condividere nemmeno un breve momento della sua lunga esistenza: stava ancora solo vendicandosi dell’invadenza dello studentello a cui voleva divertirsi a preferire un clochard? Oppure dopo molto tempo aveva incontrato una persona interessante, che valesse la pena frequentare per un po’?
– “Un clochard!” – rise -“un relitto umano, per giunta talmente
greve d’ideologia da aver perduto il concetto stesso della
propria personalità: uno schiavo del tempo; ed io me lo sono
preso come assistente: sarà certamente stimolante!
Mi conforta solo pensare alla faccia che farà quel borioso
studentello!”
Carlos si cibava intanto voracemente, ma non gli toglieva gli occhi di dosso; pensava:
– “Merda, tanta fatica per conquistare la mia libertà e poi la
getto via in un minuto, per uno scherzo, solo perché
questo architetto ha una bella parlantina ed un aspetto
gioviale, zac! mi sono lasciato fregare! Non importa, la mia
parola è quella di un clochard: alla prima fregatura, non mi
vedrà più. Oltretutto è un servo della chiesa, un costruttore
di cattedrali!! Ci mancava questa! Potevo chiedergli prima
quale fosse il suo lavoro! Ed il bello è che non sa di avere
assunto un distruttore di cattedrali. Eh, eh, ci sarà da
divertirsi!”
Venne in fretta l’ora di recarsi al ricevimento in municipio e Pierre la lasciò passare accuratamente: il suo ingresso, per essere trionfale, doveva avvenire quando tutti gli invitati erano già sul posto. Decise di non tornare in albergo a cambiarsi: lui era l’ospite principale, quindi non aveva certo l’obbligo dell’abito scuro; così facendo, inoltre, rendeva vani tutti i tentativi di Herr Fuchs e dello studentello di reperirlo all’hotel: avrebbero iniziato il party festeggiandolo in contumacia! Terminato il pranzo dei suoi amici, Pierre diede loro alcune istruzioni, irritandosi un po’ perché molti di loro sembravano, a stomaco pieno, più rimbecilliti di prima e soprattutto mantenevano quella snervante attitudine giocherellona ed infantile, come fossero bambini di sei anni di fronte ad un insegnante noioso. Solo grazie all’aiuto di Carlos riuscì per lo meno a far capire che sarebbero andati ad una festa, che sarebbero stati presentati come suoi assistenti e che avrebbero potuto bere e mangiare a loro piacimento.
– “Non vuoi che si comportino bene, vero?”
– “Tu che ne dici? -rispose Pierre con una luce gioiosa negli occhi.
Appena l’usciere venne ad annunciare che il Maestro era arrivato e che chiedeva il permesso di accedere al ricevimento accompagnato dalla sua équipe tecnica, uno strano fremito corse per la sala: Herr Fuchs aveva già abbandonato la speranza di vederlo arrivare ed aveva già dato il via alle libagioni. In fretta e furia ciascuno si impegnò a far sparire le tracce del banchetto, come se si fosse atteso l’ospite: le portate rientrarono in cucina per essere reintegrate, dove possibile, delle parti mancanti, come pure i bicchieri e le bottiglie, e tutti si apprestarono, armati del migliore sorriso di circostanza, ad accogliere l’ospite illustre che li degnava della sua visita.
Fu un trionfo; tutto filò perfettamente liscio come Pierre aveva pregustato: il lavorio per far sparire le tracce del prematuro avvio dei festeggiamenti trattenne sia il sindaco che Herr Fuchs dall’andare di persona ad accoglierlo alla porta d’ingresso e tutti lo attesero nel bel mezzo del salone, girati a semicerchio verso la porta, cancellando dai visi le tracce delle malignità che
fino ad un attimo prima avevano detto sul suo conto.
Comparve lentamente nella soglia del salone, con passi misurati, scrutando i visi degli astanti per non perdersi un’espressione, un commento.
Dopo qualche istante entrò una specie di Corte dei miracoli mascherata per un triste carnevale: molti di loro non avevano mai messo piede in una sala del genere e le bocche spalancate, che lasciavano scoperte dentature trascurate da anni, con tanto di bava agli angoli, tolsero subito ogni dubbio sul fatto che essi fossero realmente un’équipe tecnica. Era uno scherzo del maestro? Si burlava di loro? Ma egli aveva fama di uomo serioso, intrattabile, non incline al sorriso né tanto meno alla burla. Cosa stava succedendo? Il silenzio era totale.
Pierre avanzò con la più grande cortesia e salutò il sindaco ed Herr Fuchs stringendo loro calorosamente la mano. Sembrava un altro: era più giovane, lo sguardo era più vivo, più pungente, e tratteneva a stento l’ilarità. Subito dopo presentò il suo assistente personale e qui Carlos dette un ulteriore conferma delle sue qualità, perché subito dopo il rispettoso saluto alle autorità, lodò la bellezza della sala e se ne rivelò un insospettato conoscitore spiegando all’esterrefatto Pierre come la Hansasaal, nella quale si trovavano, fosse il luogo dove nel 1367 le città hanseatiche istituirono la confederazione coloniense per combattere contro il danese Waldemar. Poi fece le presentazioni collettive del resto dell’équipe, che si era trattenuto sulla soglia, in atteggiamento tra lo stupito ed il terrorizzato, stringendosi l’un l’altro quasi a cercare protezione nel contatto fisico. Il sindaco richiamò a questo punto l’attenzione e fece un breve, ma noiosissimo discorso, nel quale tessé le lodi del maestro e ringraziò tutti i convenuti, citando i più importanti, che avevano così modo di distinguersi e pavoneggiarsi. Durante il discorso, Carlos, su istruzione di Pierre, s’avvicinò all’“équipe” ed instancabilmente ne richiamò l’attenzione ed il comportamento, perché molti componenti già avevano dimenticato perché fossero lì e cosa dovessero fare: si trattava di attendere il momento più propizio, di mantenere ancora nel dubbio i convenuti. Questi ultimi, abituati a giudicare sempre in base all’aspetto esteriore, erano totalmente a disagio: si sentivano offesi ed avrebbero voluto lasciar la sala, ma temevano di passar per stupidi scambiando l’eccentricità per la miseria; così stavano come sospesi, attendendo un elemento che potesse fugare il loro dubbio. Carlos pareva realmente, nonostante l’aspetto, un assistente, ma gli altri?
Pierre rispose al saluto del Burgermeister con un brevissimo discorso nel quale volle soprattutto ricordare l’avo di Herr Fuchs, quel Peter Fuchs autore nel XIX secolo della maggior parte delle figure che adornano i portali della cattedrale.
Mentre parlava, volgeva in modo inquieto lo sguardo per la sala. Per alcuni minuti quasi dimenticò il suo scherzo e la sua allegria: dov’era lei?
Finalmente la vide ed il cuore gli sussultò in petto: nel pomeriggio aveva lasciato a Neumarkt una ragazza in jeans e maglietta; quella che ora vide alla sua sinistra, poco dietro un gongolante Herr Fuchs, era una donna meravigliosa, in abito da sera lungo color azzurro intenso, con un’acconciatura curatissima ed una parure di gioielli che la definiva certamente
come appartenente alla più alta borghesia, se non alla nobiltà cittadina.
La riconobbe dallo sguardo, quello sguardo scanzonato ed irriverente da monella che lo aveva colpito da subito, non appena le si era avvicinato in cattedrale. Terminò ringraziando furbamente il vescovo per avergli dato il permesso di soffermarsi in cattedrale per la notte
( Herr Fuchs assentì con il capo) ed invitò ad iniziare il banchetto, facendo finta di non vedere i piccoli sbaffi di crema agli angoli di molte bocche.
Carlos spinse tutti i suoi compagni verso il tavolo più vicino, mentre tutti gli altri invitati se ne allontanarono, privilegiando l’altro dalla parte opposta. L’attesa era febbrile: qualcosa stava per accadere, era inevitabile, qualcosa che avrebbe rivelato la vera identità dei nuovi arrivati. Greta si avvicinò a Pierre e gli sussurrò:
– “Cosa stai combinando?”
– “Io, perché?”
– “E me lo chiedi? Dove hai trovato quella gente?”
– “Nel mio hotel, al Maritim.”
La risata argentina della ragazza riecheggiò nel salone e spezzò il silenzio imbarazzato di tutti, giusto un attimo prima che gli eventi precipitassero. Il segnale della catastrofe fu una sonora, robusta scoreggia che scappò all’improvviso ad una grassona dell’ ”équipe”, una certa Gudrun: come fosse stato lo sparo di uno starter, tutti gli assistenti, da silenziosi ed intimiditi che erano, si trasformarono nuovamente in un gruppo di bambini in gita scolastica.
In primo luogo si avventarono come lupi famelici su tutto ciò che di commestibile vedevano in giro, poi andarono a distribuire strette di mano sporche di salsa, manate sulle spalle di gentiluomini compassati, palpate al sedere delle nobildonne e sonorissimi rutti sulla faccia dei soci del ZDV. Pierre osservava in disparte, vicino a Greta, l’affannarsi del Burgermeister e di Herr Fuchs: con i valletti, essi cercavano di contenere l’entusiasmo degli “assistenti”, che tuttavia non osavano allontanare dalla sala per rispetto al maestro. Porgevano scuse imbarazzate a tutti gli ospiti, che a gruppi sempre più numerosi guadagnavano l’uscita, e rivolgevano sguardi supplici all’indirizzo di Pierre che fingeva di non coglierli, impegnato com’era in una conversazione con l’ilare Greta. In pochi minuti la sala si vuotò e rimasero solo Herr Fuchs, due soci paonazzi del ZDV , i camerieri, Greta e Pierre con tutti i suoi accoliti. Fu allora che Herr Fuchs guardò minacciosamente Pierre e gli disse che se fossero stati nel medioevo lo avrebbe sfidato a duello, che non intendeva mai più avere a che fare con lui e che gli proibiva qualunque contatto con sua figlia.
Pierre, che non si era mai divertito tanto ed aveva le lacrime agli occhi, diventò a questo punto improvvisamente serio.
Sua figlia? Greta era figlia del presidente? Questo cambiava tutto, la sfida era molto intrigante…specialmente dopo quanto aveva appena combinato!
– “Le porgo le mie scuse, sa, i miei assistenti sono molto naives,
ma sul lavoro sono molto professionali ed attenti. Mi dispiace,
non avrei dovuto portarli con me stasera.”
Era stato tanto il divertimento che Pierre si rese conto di non essere riuscito a spegnere del tutto il sorriso dal proprio viso, il che rese ancora più irritanti le sue finte scuse.
– “La mia dignità, il mio onore, la mia rispettabilità!”- si lamentava disperatamente il presidente, accasciato su una poltrona sporca di crema, mentre pensava a come avrebbe potuto rimediare ad un simile sfacelo.
Quando rialzò lo sguardo, trasecolò; in fronte a lui una donna sconosciuta dal sorriso sdentato si era sollevata la gonna fino ai fianchi e gli stava mostrando il proprio sesso: le gambe pelosissime, il ventre prominente e bianco, solcato da profonde pieghe della pelle, rendevano la visione assolutamente deprimente. Egli rimase per un attimo come inebetito, finché i suoi occhi incrociarono quelli della donna, lacrimosi e tristi, che volevano esser provocanti ed erano invece profondamente sconfitti. Esplose:
– “Eh, no, questo è troppo! Signora, si ricomponga immediata-
mente. E quanto a lei, signor maestro, mi faccia il piacere di
riportare questi signori sotto il ponte dove li ha trovati.
Il divertimento è finito! Non so cosa lei abbia voluto fare
questa sera e perché abbia voluto farlo proprio a me, ma
sappia che è riuscito nel suo intento: lei mi ha distrutto
completamente! Nessuna personalità vorrà più ricevermi,
sarò la favola di tutti e, soprattutto, il mio lavoro per il
restauro della cattedrale è irrimediabilmente compromesso:
inutile meravigliarsi se gli sponsors ritireranno i loro
finanziamenti, visto che li ho messi, per causa sua, in
ridicolo!
E non creda di cavarsela così: in primo luogo lei onorerà il
contratto di consulenza che ci lega, poi darò ordine ai miei
avvocati di valutare i danni morali e materiali arrecatimi
da questa sua “bravata”.”
– “D’accordo, si calmi, ho solo voluto divertirmi un po’”- provò a dire Pierre, i cui muscoli facciali dolevano per lo sforzo di non scoppiare in una risata ancora più offensiva.
– “Divertirsi? Lo chiama “divertirsi” questo? Sappia che è stata
la più squallida esibizione d’inciviltà e d’immoralità cui
abbia assistito in vita mia e per giunta ad opera di un uomo
di Chiesa, il cui nome è tanto rispettato dall’autorità
ecclesiastica da farle avere il permesso di trascorrere le notti
in cattedrale, da solo, con tanti tesori a disposizione della sua
follia….perché non si porterà mica gli “assistenti” questa
notte in cattedrale, vero?”
– “Solo uno. Ne ho bisogno per il resoconto.”
– “E quale?”- chiese terrorizzato il pover’ uomo.
– “Carlos, il mio assistente-capo.”
– “Come?” fece questi, sorpreso, passando dall’ilarità alla preoccupazione- “ma io…”-e tacque subito, gelato da un’occhiata del maestro.
– “In questo caso niente da obiettare, ma mi auguro per lei che
il divertimento sia finito con l’aver rovinato il mio party e che
si occuperà ora delle cose serie in modo adeguato.”
– “Non ne dubiti e non tema. Con gli sponsors dia la colpa di
tutto alla mia pazzia: sono un artista, no? E per quanto
riguarda i danni, faccia quello che crede: non ho problemi
di denaro e le assicuro che la serata valeva tutti i soldi che
mi è costata e mi costerà! La ringrazio ancora per l’invito!”
– “Mi prende anche in giro, e in casa mia! Se ne vada e non si
faccia più vedere! Mi mandi domani la relazione dal suo
assistente, anzi, manderò Heinrich a prenderla…..ma dov’è?”
– “Non è venuto, papà.”
– “Non è venuto? E senza avvisare? Fa parte anche questo
dello scherzo o le è bastato un pomeriggio con lui per farne
un irresponsabile come lei?”
– “Basta, papà, calmati! Non è così grave e poi…è stato davvero
molto divertente!”
La risata grassa e spontanea della figlia sgorgò con l’esuberanza di un istinto a lungo represso e fu l’ ultimo oltraggio per il presidente. Sentì le tempie ardere, un acuto dolore impadronirsi del braccio sinistro ed una fitta repentina al centro del petto. Svenne.
– “Peccato”- pensava Pierre uscendo dal palazzo, “la serata è
stata un vero trionfo: non ci voleva questo incidente. Greta
non mi perdonerà mai!”
Uscì sulla piazza, dove un vento fuori stagione, così comune a queste latitudini, gli sferzò le tempie risvegliandogli un acuto dolore.
– “Non volevo, accidenti! Non volevo!”
Avrebbe voluto correre all’ospedale, ma proprio non era il caso: se lo avesse rivisto, il presidente avrebbe avuto senz’altro un nuovo attacco. Era sinceramente pentito. Per l’ennesima volta nella sua lunga sopravvivenza sentì il cielo pesare sul suo capo come un maglio. Era condannato! Qualunque fossero le sue intenzioni, ogni sua azione sottintendeva un esito nefasto per il prossimo: era una maledizione per il genere umano!
Perfino quello che era nato come uno scherzo si stava volgendo in tragedia e lui era impotente, come sempre, e come sempre impunito. Che facesse il bene o il male, che costruisse templi stupendi o distruggesse la vita di qualcuno, che pregasse o bestemmiasse, tutto restava senza conseguenze sulla sua sopravvivenza, tutto rimaneva sospeso tra il cielo e la terra, come indefinito, e tutto a causa di quel primo peccato, del suo peccato originale, del suo marchio d’infamia.
– “Dio, salvalo, ti prego. Fa che sulla mia anima non pesi questa
colpa. Anche questa volta ti ho offeso senza volere, con
leggerezza: è la malattia che tu mi hai dato, hai reso la mia
vita totalmente senza senso. Rispondimi, una volta almeno!
Perché tutto questo?”
Si sedette su una panchina e, con un gesto sconsolato, portò la testa tra le mani. Parve piangere. Quando risollevò lo sguardo, vide davanti a sé un capannello di esseri mostruosi, spettinati, sporchi ed ubriachi che lo fissavano da tempo senza osare disturbarlo.
– “Maestro, non hai più bisogno di noi, vero?”-chiese Carlos.
– “Ti sbagli, ho più bisogno che mai! C’è una pensione qua
vicino? Voglio che abbiano un letto decente questa notte.”
– “Maestro, ti rendi conto dello stato in cui siamo? Nessuna
pensione ci accetterebbe e poi a noi la nostra casa piace,
anzi gli amici vorrebbero sapere se fosse possibile riavere i
vecchi vestiti, ora che la recita è finita. Sai, ci sono
affezionati!”
Pierre sorrise impercettibilmente:
– “Cos’altro posso fare per loro?”
– “Tu? Non molto, maestro.”
– “E perché?”
– “Perché non è una questione di denaro, ma di dignità, e non
credo che tu possa e voglia restituirla loro, vistoà che$C2 questa
notte li hai usati come freaks per il tuo divertimento.”
– “Che storia è questa? Li ho vestiti, nutriti e divertiti e mi sono
offerto di dar loro un tetto per la notte. Cosa ho fatto di male
in tutto ciò?”
– “Tutto questo lo hanno già pagato con la loro umiliazione, facendo da clown alla tua festa!”
– “Senti Carlos, visto che avremo molte ore da passare insieme,
farai bene a tenere in mente una cosa: tieni la politica fuori
dalle nostre conversazioni. Ho vissuto abbastanza per essere
profondamente allergico a tutte le frasi mandate a memoria,
agli slogans, ai preconcetti, agli odi di classe, di razza e di
religione. Su di me hanno l’effetto di scatenare gli istinti
peggiori. Dimmi piuttosto, concretamente: cosa diavolo vuoi
che faccia per i tuoi amici?”
– “Perché non provi a passar con loro un po’ di tempo domani?
Un bicchiere di vino, una canzone, e, soprattutto, puoi
ascoltare le loro storie: ognuno di loro è malato d’inutilità,
ognuno si sente non amato, non desiderato; raccontare di sé li
fa sentire importanti, li fa sentire uomini vivi. Riesci a capire
questo?”
Pierre capiva perfettamente.
– “D’ accordo, d’ accordo: domani passerò alcune ore con
loro, ma non mi limiterò a questo, sta sicuro! Adesso portali
“a casa” e tra un’ora ti aspetto davanti alla cattedrale.”
– “Non penserai davvero di costringermi ad entrare in una
chiesa?”
– “Non solo entrare, ma passarci la notte; o la tua parola non ha
valore?”
– “Sono un clochard, che valore vuoi dare alla mia parola?”
– “Mi hai appena chiesto di riconoscere la tua dignità.
Riconoscila tu per primo! Tu, che valore dai alla parola di un
clochard? Io, per quanto mi riguarda, mi fido ciecamente. Ti
aspetto…. ma prima ripulisciti un po’. Quanto a voi, amici,
grazie di cuore per la bellissima serata: vi prometto che non
sarà l’ultima. Ora andate a riposare e ci vedremo domani.”
Così dicendo, salutato dalle esclamazioni scomposte dei pochi che avessero capito qualcosa del suo saluto, voltò le spalle al gruppo e si diresse a passo rapido verso un taxi che aspettava accanto al marciapiedi opposto. Ci si infilò rapidamente e, mentre il taxi si avviava, volse lo sguardo al gruppo che lentamente si rimetteva in cammino. Scosse la testa:
– “Sono come loro, e non lo sapevo; prima d’ora non lo sapevo!
E quel Carlos, chi accidenti è? Strana figura, a metà strada
tra l’agitatore di masse e l’assistente sociale! Mi ha chiesto se
posso capire cosa significhi essere malati d’inutilità, sentirsi
non amati e non desiderati! Certo che lo capisco! Vivo con la
solitudine dentro le ossa ad ogni ora del giorno, da tempo
immemorabile! Ma non ho rinunciato alla lotta, io, in questo,
non sono come loro! Non mi sono arreso alla povertà, che sia
materiale o spirituale, anzi, affronto il mio misterioso destino
con superbia, con l’orgoglio della mia unicità. In questo
siamo totalmente differenti!”
Di colpo uno strano senso di vertigine si impadronì della sua mente e si rese conto che tutto quello che stava pensando non era che un cumulo di sciocchezze senza senso, perché un uomo senza amore è in realtà il più povero tra i poveri e non ha diritto né all’orgoglio, né alla superbia! Si guardò le mani, immutate nella loro maturità, e desiderò ancora una volta vederle piene di rughe e tremanti; desiderò spegnersi, eclissarsi, sparire: meglio non esistere che essere perennizzati nell’incompletezza e nella sospensione.
E questo limbo esisteva solo per lui? O c’erano altre creature misteriose costrette come lui ad una fuga perenne, ad essere dei morti in vita?
“Sono come un vampiro: mi cibo dell’energia del prossimo, ne consumo l’esistenza e la distruggo, senza per questo arrivare mai a sentirmi vivo. Che Dracula ridicolo: un’imitazione mal riuscita! Un guitto di provincia interpreterebbe il personaggio meglio di me, per lo meno con un po’ di convinzione, con partecipazione. Io sono ciò che non ho mai voluto essere e non sono ciò per cui nacqui; non ho nulla di ciò che il mio nome definisce; sono un personaggio finito nella commedia sbagliata : sabbia, sabbia sporca sul fondo di uno stagno immoto!”
Pagò e scese dal taxi senza nemmeno un saluto all’autista e, a capo chino, si diresse alla hall dell’hotel, sentendosi per la prima volta un privilegiato: avrebbe potuto essere condannato a perennizzarsi come clochard e non come ricco e celebrato architetto! Ma il pensiero successivo fu opposto: se questo fosse avvenuto e lui fosse stato condannato a passare l’eternità sotto un ponte, avrebbe voluto dire che alla divinità qualcosa di lui, per un momento, sarebbe importato; che, anche solo per punirlo, Dio si sarebbe accorto di lui, l’avrebbe guardato. Egli avrebbe potuto riposare nella pace del meritato castigo. Invece nulla…solo indifferenza e silenzio..e impunità! Mai un segno che potesse aiutarlo a capire le ragioni, se esistevano, di questa anormalità della storia, del suo non invecchiare e non morire.
– “Mi dia la chiave per favore, e dia ordine di non disturbarmi
per nessun motivo: questa notte lavoro ed ora ho bisogno di
riposare mezz’ora.”
– “Benissimo, maestro. Desidera essere svegliato?”
– “Sì, grazie!”
– “Ah, maestro, hanno telefonato per lei alcuni minuti fa: una
signorina. Qui c’è il messaggio.”
– “Grazie”
Un tuffo al cuore, un sollievo impagabile. Sul foglio poche righe:
“Papà sta bene, non ti preoccupare, era solo una crisi passeggera. Se posso ti vengo a cercare domattina. Baci, Greta.”
Entrando in ascensore fece un paio di grandi sospiri per rilassarsi dopo le troppe emozioni della giornata. Buttò i vestiti con noncuranza sul letto e guardò l’orribile quadro di un certo Eismann che troneggiava al centro della parete, intitolato con un po’ di fantasia “Autoritratto”, nonostante fosse impossibile distinguervi fattezze umane. Si mise a ridere, finalmente di buon umore:
– “Meno male che non sono Dorian Gray: se quello fosse il mio
ritratto, avrei un’anima spaventosa!”
Dormì un sonno agitato, ben poco ristoratore, e quando suonò il telefono per la sveglia, ebbe un sobbalzo e scattò a sollevare la cornetta pensando potesse essere Greta.
Il suo corpo avrebbe desiderato dormire una notte intera, non pochi minuti: le giunture gli dolevano, gli occhi faticavano ad aprirsi e la coscienza a destarsi. Fece un’accurata toilette e si pose gli abiti di lavoro, meticolosamente, senza trascurare alcun particolare, nemmeno il foulard di seta che era solito porsi attorno al collo.
Riprese un taxi meccanicamente, con il pensiero fisso alla ragazza, e si fece condurre alla cattedrale.
Vi giunse con molti minuti d’anticipo sull’appuntamento fissato col sacrestano per l’ingresso: aveva deliberatamente accelerato i tempi, un po’ perché non si fidava della puntualità di Carlos e un po’ perché intendeva mostrargli anche i particolari della struttura esterna. Se doveva fargli da assistente, doveva essere bene istruito! Carlos non era ancora sul posto.
– “Comincia bene, il ragazzo! Primo giorno di lavoro e già in
ritardo!”
Per ingannare l’attesa si mise a passeggiare lungo il perimetro esterno del tempio. Nonostante la buona illuminazione dell’esterno della cattedrale, le zone d’ombra sulla facciata e sulla piazza erano molte ed il gioco di luci che si creava dava al contesto un aspetto profondamente differente, come se potesse modificarne la struttura, ed aggiungeva mistero al mistero di questo frutto d’una superba genialità umana. Pareva come se spiriti burloni giocassero a mostrare al viandante non le linee architettoniche originali, bensì il loro riflesso distorto in specchi deformanti. A seconda del punto di visuale di Pierre le ombre si ingrandivano o rimpicciolivano, un particolare veniva celato o esaltato, uno spazio dilatato o ristretto.
– “La luce, il segno del divino, la sua caratteristica prima!
Nessuna creazione umana può fare a meno di confrontarsi
con l’azione della luce, nemmeno con questa sua riproduzione
artificiale.”
Quante volte aveva rifatto l’inclinazione di un altare, dopo aver studiato i riflessi della luce nelle varie ore del giorno! Quante vetrate aveva aperto e quante chiuso, perché i raggi del sole scendessero, in alcuni giorni dell’anno, esattamente sull’altare al momento della Consacrazione!
– “Lo stupore è la molla che fa scattare il desiderio di conoscenza. Quindi il buon architetto è come uno scenografo in un teatro: deve stupire con la bellezza ed ispirare con colpi di
genio, con un deus-ex-machina, con un effetto speciale che sorprenda e coinvolga, non con la grevità di certi templi spagnoli dove tutto invita alla penitenza ed alla mortificazione. La cattedrale deve essere luogo d’amore, di gioia dei sensi, di colore, di giochi di luce; deve avere un’ acustica avvolgente ed un’aerazione limpida capace d’evocare uno spazio aperto.”
Pensando così, Pierre arrivò alla parte posteriore del tempio, laddove si aprono i giardini prospicienti al Rhein e si fermò stupito a guardare l’intensa colorazione verde che l’illuminazione artificiale dava alla chiesa, facendone un tutt’uno con gli alberi, i prati ed il fiume stesso.
– “Che bell’effetto! Come se il tempio facesse parte della natura e da essa sorgesse spontaneamente, senza l’intervento di alcuna mano d’uomo.”
Fu in questo momento che udì dei passi alle sue spalle.
– “Maestro, scusi il ritardo!”
– “Alla buon’ora, Carlos!”- rispose senza togliere lo sguardo dai giochi di luce sulle pareti della cattedrale. – “Sappi che alla puntualità io tengo moltissimo.”
– “La morte è sempre puntuale!”
Pierre si voltò di scatto e rimase allibito: davanti a lui stava un ragazzo totalmente fradicio, con lo sguardo allucinato e il braccio destro teso verso di lui con una pistola nel pugno. Non lo riconobbe subito:
– “Heinrich?”
– “Contento di rivedermi, caro don Giovanni?”
– “Cosa dici? Sei impazzito?”
– “Speravi di soffiarmi la ragazza, vero? Poi il signorino, fatti i suoi comodi, sarebbe partito senza più neanche ricordarsi di lei. E la mia vita? E la mia vita distrutta?”
– “Non so di che parli, sciocco! Vai a casa, hai bevuto troppo!”
– “No, bello mio. Non sono venuto qui per salutarti, ma per ucciderti e per pisciare sul tuo cadavere!”
– “Oddio, che squallore: teatro di ultima categoria! Che recitazione amatoriale! Che bisogno hai di indugiare su particolari del genere? Mi vuoi uccidere, no? Limitati a dirmi questo
senza scadere nella trivialità; piuttosto parla del tuo onore ferito, del tuo fallimento professionale, di quei disegni che ti sei portato dietro tutto il giorno per costringermi a vederli e che io mi sono ostinato a non vedere per farti dispetto e perché già sapevo essere orribili. Sì, orribili! Perché nulla di buono può uscire da un borioso saputello come te! Vuoi sapere una cosa? Oggi ti ho trovato incredibilmente ridicolo con Greta, patetico, senza spina dorsale.”
– “Taci, maledetto, taci o ti faccio tacere io con questa.”
– “Tu, farmi tacere? Magari potessi, amico mio. Tu non puoi farmi nulla, perché non appartengo al tuo mondo di falliti e moribondi; non puoi neanche vedermi tanto il mio mondo
sovrasta il tuo.”
– “Smettila di provocarmi, smettila!”
– “Guardatelo, il killer con la mano che trema! Hai paura! Tu hai sempre paura!”
– “Tu invece no, vero? Nemmeno adesso?”
– “Guardami. Ho il viso di chi ha paura?”- lo sguardo di Pierre si fissò negli occhi smarriti del ragazzo e li bruciò: esprimeva tutta la forza della sua disperata rivolta. Quante volte aveva già vissuto questa situazione? Un tempo egli avrebbe potuto anche sperare che questa potesse essere la fine dell’incubo, ma ora già conosceva il suo destino e sapeva che questo incontro era solo una spiacevole perdita di tempo, che oltre tutto l’aveva distratto in un momento di contemplazione particolarmente gradevole.
– “Credi che io non lo faccia, vero? Dimmi, non mi credi capace?”
– “Di cosa? Di premere un grilletto? Bel coraggio! Bravo! Bastasse questo a fare di te un uomo! Ma tu non sei un uomo e lo sarai ancora meno dopo aver sparato, perché sarai tu a morire, non io!”
– “Che dici?”
– “Smettila, vattene, sono stanco di perdere il mio tempo con te!”
Si voltò e si rimise a contemplare la chiesa, però questa volta con uno spirito greve, collerico.
– “Guardami, non puoi ignorarmi anche adesso, che sono padrone della tua vita!”
– “Ah,ah,ah! Padrone di che?”- il disprezzo trasparì chiaramente dal tono di voce.
– “Di darti la morte.”
– “Che aspetti? Dai, che ho fretta, ho del lavoro da fare questa notte
– “Che dici? Smettila di deridermi! Parla piuttosto! Voglio sapere la verità, tutta!”
– “Che noia! Sono stanco di queste idiozie!”
– “Dimmi se hai fatto l’amore con lei, stasera.”
– “Hai qualche dubbio al riguardo? L’hai detto tu: sono un dongiovanni. E allora sappi che l’ho amata nell’ufficio del sindaco, sulla sua scrivania, ed è stato bellissimo, perché mi si
è donata totalmente e mi ha detto che nessuno le ha mai dato un tale piacere. Soddisfatto?”
Heinrich indietreggiò, incapace di rapportarsi al fuoco che usciva dalla bocca di Pierre: se lo era immaginato tremante ai suoi piedi, intento a chiedergli perdono ed a supplicarlo di non ucciderlo e se lo ritrovava di fronte in tutta la sua potenza, tanto che era lui ad averne paura, nonostante la pistola fosse nelle sue mani. Ancora una volta era spiazzato e sconfitto.
Ora doveva ucciderlo, perché, se non avesse avuto il coraggio di sparare, egli avrebbe riso ancora di lui e gli avrebbe dato del vigliacco. Doveva farlo tacere.
– “Greta mi ha detto delle dimensioni ridicole del tuo sesso e che sei un omuncolo insignificante, una nullità. Se non ti ha lasciato finora, è solo per non farti soffrire, perché sei tanto, tanto buono, come un fratello per lei!” – lo incalzava Pierre senza pietà.
Avanzava verso Heinrich da dominatore con il disprezzo nella voce; nei suoi occhi brillava una luce sinistra: stava per ucciderlo. In quel momento, proprio in quel momento, suonò una campana. Un ombra passò rapida negli occhi di Pierre che si arrestò come se quel segnale fosse stato per lui. No, era sicuramente un caso: il campanile aveva suonato la nuova ora. Respirò profondamente e riprese il controllo di sé. Tornò quindi a voltargli le spalle e disse:
– “Vuoi sapere l’ultima? Il tuo mancato suocero ci ha sorpresi mentre facevamo l’amore e gli è venuto un infarto!”
– “Cosa? E come sta?”
– “Patetico: il killer che si preoccupa della salute del suocero! Stai recitando come un cane, ragazzo. Ogni attore sa che non deve mai distrarsi dalla sua parte: tu sei l’amante tradito
vendicatore del proprio onore, no? Concentrati e cerca di dire qualcosa di sensato! Dimmi che ho tradito la tua fiducia e la tua stima, che ero per te una guida anche morale ed ora sei sopraffatto dall’ abisso della mia depravazione. Dimmi che ho tradito la mia missione, che sono un costruttore e non un distruttore, che sono troppo vecchio per Greta ed anch’io patetico nel tentativo perdente d’intromettermi nella vita degli altri per averne una mia propria, rubando gli affetti altrui, esattamente come rubo le immagini e i colori alla natura. Che sono un ladro, un vampiro, un satana travestito da sant’uomo. Dì qualcosa, accidenti!, e smettila di piangere come una bambina!”
– “Io la amavo, lo puoi capire questo?”
– “Sì, perché è una ragazza meravigliosa. Ma chi ti impedisce di amarla ora?”
– “Ora che è stata a letto con te, con il primo venuto?”
– “Ecco il vendicatore! Sei così rigoroso nel giudicare anche te stesso? Mi hai creduto subito, senza dubitare neppure per un secondo delle mie parole: hai creduto ad uno sconosciuto
ritenendo subito colpevole la tua ragazza. Già, perché è donna, quindi puttana! Vero, mio miserabile amico? E’ questo ciò che pensi? E se io ti avessi mentito?”
– “Non capisco più niente, io non so cosa pensare.”
– “Ecco, bravo, non pensare e vattene a casa.”
– “Ti piacerebbe cavartela così, vero? Il grande maestro è talmente sicuro della propria eloquenza da riuscire a confondere perfino la mente del suo assassino.”
– “Non sei un assassino, sei un bambino con un giocattolo in mano!”
– “Ti faccio vedere io, se questo è un giocattolo!”
– “Ebbene, spara, una buona volta: finiamo questa recita che devo fare il lavoro in cattedrale e poi Greta mi aspetta.”
– “Cosa hai detto?”
– “Che Greta mi aspetta.”
– “La mia Greta? La mia Greta? Muori, dannato!”
Nello stesso istante in cui Heinrich premette il grilletto, un robusto bastone si abbatté sul suo capo ed il proiettile si perse nel vuoto ad un paio di metri da Pierre. Il colpo di pistola riecheggiò violentissimo nella tranquillità della notte. Prima che la gente cominciasse ad accorrere, Pierre prese la pistola e corse a buttarla nel Rhein. Carlos intanto, preoccupato di aver colpito il ragazzo troppo forte, cercava di rianimarlo. Alla poca gente accorsa, che guardava a debita distanza perché ognuno tende naturalmente a farsi gli affari suoi, spiegarono che era stato un petardo a scoppiare molto vicino al ragazzo, sì da averlo stordito.
– “Potevi aspettare ancora un po’ ad intervenire!”
– “Beh, come ringraziamento non c’è male! Ti ho salvato la vita, mi pare.”
– “Sì, sì, va bene. Grazie di cuore, ma non hai salvato la mia vita, bensì la sua.”
– “Non ti capisco.”
– “Dammi una mano, portiamolo su quella panchina. Lo hai picchiato ben forte: non si è ancora risvegliato!”
– “E dài! In una situazione così dovevo pensare a non fargli male?”
– “Non ero in pericolo, Carlos, non lo sono mai stato.”
– “Che?”
– “Non fa niente, non puoi capire. Facciamo così: portiamolo alla fermata dei taxi: gli paghiamo la corsa e lo facciamo condurre all’ospedale.”
– “D’accordo.”
Fecero in quel modo e poi di corsa raggiunsero il sagrestano che, non vedendo nessuno, stava per andarsene a dormire.
– “Ti piace la vita movimentata, vero?”- chiese Carlos sorridendo.
– “A te no?”
– “Sì, ma tu sei un architetto famoso. Immaginavo vivessi in tutt’altra maniera!”
– “Non ti chiedo quale, per non sentire altre sciocchezze. Piuttosto, che ci facevi nascosto dietro quel cespuglio?”
– “Sono venuto puntuale all’appuntamento, però l’idea di entrare in una chiesa…. beh, insomma, tu sai come sono fatto. Così mi ero nascosto lì per spiarti e vedere se dovevo o no
seguirti in questa pazzia dell’apprendistato.”
– “E…?”
– “E sono qui: sto entrando in una chiesa, io, Hans il rosso! E tutto questo, perché ho incontrato una persona che vale la pena incontrare.”
– “Carlos, sai una cosa? Ho incontrato anch’ io una persona così.”
– “Grazie, Pierre.”
– “Ma non parlavo mica di te!”
Scoppiarono a ridere allo stesso tempo, sfogando la tensione accumulata nei minuti precedenti. Poi, richiamati al silenzio dal sacrestano che diede loro le ultime raccomandazioni, recuperarono la serietà e la concentrazione necessarie ed entrarono in chiesa. Sulla soglia, Carlos, fece ancora a tempo a dire:
– “Poi però mi racconti di quella ragazza!”
– “Impertinente, hai ascoltato tutto?”
– “Tutto. E so che non c’è nulla di vero.”
– “Ma per la gente la verità è quella che vuole sentire, no?”
– “Esatto!”
– “Al lavoro, ora!”
Salutarono il sagrestano, che fu ben felice di poter finalmente andare a dormire, e si sedettero su una delle panche della navata centrale. Qui Pierre aprì la sua valigetta da lavoro, ne trasse due blocchi di fogli, alcuni lapis ed una pila.
– “Su questo blocco scriverai quello che ti dirò e che serve a me, per il mio archivio; su quest’altro quello che finirà nella relazione destinata al Zdv. Non ti sbagliare! Nel dubbio chiedimi sempre su quale dei due blocchi devi scrivere. Sul blocco per l’archivio ti prego di scrivere anche cose tue: sensazioni, stati d’animo, domande che vorresti pormi. C’è poco tempo e molto da fare: ora non posso spiegarti nulla del mio lavoro, lo farò da domani, se avrai la pazienza di ascoltarmi. Tutto chiaro?”
– “Chiarissimo.”
– “Vieni.”
Si sedette per terra al punto di intersezione della navata principale con i rami trasversali, su un minuscolo e logoro tappetino che trasse dalla valigetta, e si concentrò.
– “Ora ho bisogno di assoluto silenzio: ti prego di non rivolgermi la parola finché non sarò io a farlo. Devo ascoltare il muoversi del vento nelle navate, le sottili correnti d’aria che portano gli angeli in volo: saranno loro a dirci quello che vogliamo sapere.”
– “Gli angeli o le correnti?”- chiese ironicamente Carlos.
– “Le correnti, le correnti d’aria che hai tu nella testa! Accidenti a te! Ora taci: non ho mai avuto un assistente e non sono abituato ad essere interrotto!”
– “Va bene, va bene, scusa!”- e si sedette sulla prima panca.
Pierre rimase immobile per un tempo che a Carlos parve interminabile. La città combatteva con i suoi rumori contro il silenzio notturno della cattedrale: pochi i viandanti, pochi i treni e gli altri mezzi di locomozione ancora in giro, ma i loro rumori erano amplificati dal silenzio stesso della notte ed erano ancora più fastidiosi ed importuni. Il viso di Pierre spesso si contraeva in una smorfia di nervosismo, forse di rabbia per questi tempi assassini del silenzio. In uno di questi scatti si voltò verso Carlos, forse per cercare appoggio nel suo sforzo di concentrazione e si attardò alcuni istanti a guardarlo, non visto. Sul viso dell’assistente scorrevano lacrime copiose. Pierre sapeva molto bene di che si trattasse:
– “Non temere, è l’effetto del silenzio: è nel silenzio che l’assoluto ci parla e la sua voce ci raggiunge. Abbandonati: ascolta e riposa.”
Passò un’ora, forse più, senza che Pierre si muovesse, poi di colpo si alzò. A Carlos il suo volto parve bellissimo, illuminato da una luce interiore che gli dava un aspetto di forza e di grandezza; stette per alcuni istanti ritto in fronte all’altare, in silenzio, poi cominciò a cantare: dapprima suoni isolati, poi piccole melodie di antichi canti liturgici o di nenie in antichi idiomi, che Carlos non aveva mai sentito prima. Tra una melodia e l’altra cominciò a dettare le sue annotazioni, specificando ogni volta per quale uso erano e, continuando ad emettere suoni che parevano piccoli richiami d’amore, s’incamminò lungo la navata laterale nord, accarezzando ogni metro della parete ed ogni colonna con la dolcezza di un innamorato. La sua voce, fattasi suadente, illustrava ogni punto della costruzione, ne indicava le pecche, suggeriva gli interventi, esprimeva compiacimento per le sapienti opere di restauro. Carlos sentiva in cuor suo che quella persona, ora in sua compagnia, era divenuta “altro” dal maestro che aveva conosciuto, era come un uomo senza tempo che parlava di ogni particolare della chiesa come se fosse stato presente alla sua edificazione. Colse la diversità nel tono della voce, nella dolcezza languida dello sguardo, nella leggerezza del passo. Percorsero il braccio laterale senza soffermarsi a visitare il tesoro e, passando sotto la tribuna del coro, fecero il giro delle cappelle che circondano l’altare: la cappella della croce, quelle di S.Engelbert, di Maternus, di S.Giovanni, dei Re Magi, di S.Agnese, di S.Michele, di S.Stefano ed infine quella della Vergine Maria. Pierre era intento solo a controllare la struttura del tempio e la sua voce, Carlos invece guardava sbalordito la bellezza sconvolgente degli arredi, degli altari, delle tombe degli arcivescovi. Annotava velocemente le proprie impressioni per chiedere poi al maestro le spiegazioni necessarie. Fu colpito al cuore dalla dolcezza infinita del viso del Salvatore nella vetrata detta “Del lamento di Cristo”, una delle “Vetrate Bavaresi” della navata laterale della parte sud, e fu altrettanto affascinato dall’opulenza del reliquario “dei Re Magi” contenuto nell’omonima cappella. Aveva sempre pensato che una delle colpe maggiori del clero fosse quella di circondarsi di oggetti preziosissimi ed inutili quando tanta povera gente moriva di fame ed in molte rancorose discussioni con compagni ed avversari di partito si era fatto forte della propria cultura citando una celebre omelia di S.Giovanni Crisostomo: “….vuoi onorare il corpo di Cristo? …..non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità” ( “Omelie sul vangelo di Matteo” omelia 50, 3;PG 58,508).
Davanti a questo capolavoro non poté però non pensare che fonderlo sarebbe stato un delitto contro tutta l’umanità a cui questo oggetto ed il suo significato appartenevano. Scrisse in fretta:
“C’è qualcosa di più, c’è qualcosa “oltre” il limite della mia vista, qualcosa che ha saputo generare questo oggetto e l’ha reso “segno”. Tu sai dirmi, onestamente e ragionevolmente,
cosa sia?”
Entrarono anche nella cappella sacramentale, dove Pierre parve intento ad ascoltare qualcosa, forse una voce lontana, quindi si soffermarono a lungo nella zona dell’altare e nel coro antistante e Pierre si fece più pensieroso, constatando il deterioramento dei mosaici, degli intonaci e degli scranni.
– “Tutto rimediabile, per fortuna. Questa cattedrale gode d’ottima salute, per ora, ma non so a quante migliaia di turisti maleducati è disposta a resistere”.
La stessa sensazione di disagio l’aveva colto nella cappella dei Re Magi al constatare i danni del tempo e dei furti nel reliquario. Pierre ascoltava il respiro del gigante, la sua voce interiore, accarezzava i marmi e le pietre, spesso li percuoteva con le nocche e vi appoggiava l’orecchio, alternava le misurazioni strumentali a rilevazioni che sembravano a Carlos totalmente irrazionali, basate com’erano sulle sue percezioni e sensazioni: pareva instancabile. Le ultime ore della notte trascorsero esaminando con la potente pila e la strumentazione elettronica il triforium, le arcate e le torri, fin dove l’occhio poteva arrivare. Carlos pareva sopraffatto dalla stanchezza e dalla bellezza del luogo e non riusciva più a concentrarsi su altro che non fosse lo scrivere fedelmente quanto gli era dettato. I piedi gli dolevano; il freddo gli era talmente entrato nelle ossa da fargli persino rimpiangere lo scatolone rimasto sotto il ponte con le povere cose affidate alla cura degli amici.
L’aria frizzante del mattino colpì il loro viso come una sferzata ed uscirono come automi sotto un cielo nuvoloso che faceva presagire un’imminente pioggia.
– “Hai scritto tutto ?”
– “Tutto”
– “Immagino tu sia troppo stanco per parlarne. Vieni, prendiamoci un buon caffè ed andiamo a dormire un po’ in albergo.”
– “Da quando in qua io vivo in un albergo?”
– “Da ora, accidenti!, come può il mio assistente dormire sotto un ponte? Ti ho riservato una camera nel mio hotel.”
– “Ma tu sei matto! Io in un posto così?”
– “Per poco, giusto una dormita per riprenderti dalla fatica.”
– “Dubito di riuscire a dormirci, ma proviamo!”
– “Poi andremo insieme a salutare gli amici, come ti ho promesso.”
– “E la relazione quando la scrivi?”
– “Nel pomeriggio. Il buon vecchio Fuchs ha altro a cui pensare ora.”
Salutarono un sacerdote, pregandolo di ringraziare per loro l’arcivescovo e dando assicurazioni sul buono stato dell’edificio; quindi scesero alla stazione, dove, attirati dal profumo di brioches calde e caffè, trovarono un piccolo bar già aperto nonostante l’ora molto mattutina e consumarono una piacevole prima colazione. Da lì presero un taxi e si fecero condurre all’hotel.
La stanchezza si era ora impadronita totalmente di Carlos: era una grevità interiore, un senso di spiazzamento, di dislocazione.
Sentiva di dover rispondere a qualcosa che lo aveva interpellato, ma questo qualcosa era tanto viscerale, tanto profondo, da non essere intellegibile e da tradursi in un disagio inesprimibile, in un bisogno di consolazione ed aiuto, in una povertà nuova, che nulla aveva a che fare con quella materiale a cui si era, per scelta, consacrato. Si sentiva svuotato, perché l’intuizione gli diceva che l’eroismo della sua scelta di vita era poggiato su una convinzione di superiorità intellettuale che non aveva riscontro nella realtà: lui non era niente di fronte alla maestosità dello spettacolo cui aveva appena assistito. Seduto nella navata centrale al cospetto del sacro, si era sentito infinitamente piccolo e bisognoso di tenerezza. Lui era un uomo, come amava egli stesso definirsi, dalle poche domande e dalle molte risposte, anzi si compiaceva che non esistesse una sola discussione nella quale fosse stato messo in difficoltà da un interlocutore: la sua abilità dialettica, la forza della sua coerenza di vita, la possibilità di essere additato ad esempio di un’ incarnazione dell’ideale comunista tratto alle estreme conseguenze, alla rinuncia di sé per abbracciare i più poveri tra i poveri, lo rendevano dogmatico, di un dogmatismo assoluto, di una certezza granitica che del resto nulla aveva mai contraddetto, insinuando anche il più piccolo dei dubbi. Era un puro, un vero uomo di fede, la sua adesione all’ideale era incondizionata ed imprescindibile, determinava ogni suo atteggiamento ed ogni suo pensiero, era il vero fulcro della sua esistenza, la luce che ne illuminava ogni aspetto decidendo quale sfaccettatura porre in rilievo e quale in secondo piano.
La delusione cocente ricevuta dai compagni di partito, così lesti a mettersi in tasca l’ideale quando premevano le esigenze del tornaconto personale, l’aveva reso anarchico ed un poco cinico, ma la sua solitudine intellettuale lo aveva temprato e reso eroico ed onestamente predisposto al martirio in nome della sola verità dell’uomo sull’uomo che egli si sentisse di affermare.
In quel taxi, però, qualcosa premeva alle sue tempie ed un dubbio si era affacciato alla mente stanca: aveva sempre creduto il dogma antitetico alla domanda esistenziale dell’uomo, la negazione stessa della domanda e del bisogno di porsela; ora prendeva in considerazione l’ipotesi opposta: che il dogma non fosse, cioè, nulla senza l’energia creatrice della domanda e da questa traesse la sua essenza; che la vita dell’uomo fosse quindi una ricerca indomabile di una risposta esaustiva e che negare la domanda e la possibilità di cambiamento insita in questa significasse negare la vita stessa e rendere vane le risposte da tempo mandate a memoria e fatte carne, svuotandone di significato i termini ultimi: popolo, giustizia, uguaglianza, socialismo. Questo pensiero lo colse impreparato e decise di annotarlo brevemente per affrontarlo il giorno seguente a mente fresca.
“Ricordo una stanchezza infinita, che andava ben oltre i confini di un affaticamento fisico o di uno stress emotivo: tutto il mio essere, niente escluso, si raggomitolava su se stesso nella ricerca di un focolare, di un affetto, di un respiro più grande. Mi sentivo fragile e provavo vergogna di me stesso; non era certo la prima volta che mi deludevo ed avvertivo un senso angoscioso d’inadeguatezza alla vita o per lo meno alle cose per me importanti della vita: la scorza ruvida del condottiero era sempre più andata assomigliando, con gli anni, ad una maschera sgualcita. Nulla di fisico mi incuteva timore, nemmeno la privazione cui mi ero costretto per ripartire tutto ciò che avevo con chi non aveva niente, non il freddo che d’inverno a volte era feroce, non la fame, ma contro il rovello interiore che a volte mi assaliva all’improvviso alle spalle, ero totalmente indifeso.
Era forse il rimpianto per aver perso Barbara per sempre e con lei la possibilità di un amore, di una casa, di una famiglia? Lei non mi aveva capito quando le dissi come avrei voluto vivere: condivideva le mie idee, questo sì, ma per lei dovevano rimanere idee, guai se avessero cercato di incarnarsi e diventare vita vissuta. Un generico socialismo che non turbasse troppo l’agiatezza in cui viveva, un po’ di volontariato, un po’ di elemosina e la convinzione di essere nel giusto: questo per lei bastava.
Non per me, che persino davanti alla colazione del mattino in quella misera Kneipe dei dintorni di München dove ci eravamo conosciuti e dove lei, che era italiana, lavorava per apprendere il tedesco, pensavo con dolore a chi non poteva permettersi di mangiare e nascondevo sempre nel pastrano qualcosa da portare ai compagni meno fortunati. E poi l’amore per la poesia che avvelenava la sua vita, riempiendola di malinconie decadenti! Non era la sana poesia sociale di Majakovskji o di Neruda la sua! Non c’erano messaggi : solo il racconto di uno stato d’animo e la ricerca di un estetismo puramente inutile, perché inefficace ad operare un cambiamento. Persino quel suo soprannome era così infantile: Osilas, il mito indio della creatura oscillante tra due mondi, perennemente alla ricerca di una propria dimensione, di un significato. Carlos ed Osilas, due ragazzi poco più che ventenni, che si fregiavano di due nomi esotici, si erano divertiti a spacciarsi per profughi cileni nella Germania della ricostruzione, in quel tempo che degli idioti hanno battezzato postcomunismo, come se tutto ciò per cui ho combattuto e tanti han dato la vita potesse essere cancellato così, con un colpo di spugna, con il crollo del muro della vergogna.
Carlos l’eroe, il puro, che godeva il rispetto di tutto il partito, anche se non aveva nessun seguito sulla sua strada pericolosa di estremismo anarchico, di pacifismo esasperato, di rifiuto di ogni convenzione, Carlos il barbone, finito sotto un ponte del Rhein per condividere fino in fondo l’anima dei miseri, stava per entrare nell’hotel più lussuoso di Köln e non per imbrattare i vetri con scritte rivoluzionarie, bensì per dormirvi come il più squallido dei borghesi!
Cosa avevo trovato in Pierre per ubbidirgli in tutto come uno scolaretto? Mi è difficile dirlo anche ora, che sono passati molti anni e lui non c’è più. Da quel momento, dal preciso istante in cui l’ho incontrato, ho smesso di avere un controllo sulla mia vita, ho smesso di pensare a ciò a cui pensavo, di essere ciò che ero, rafforzandomi nelle mie idee e nello stesso tempo scavalcandole per andare al fondo di una cosa molto importante: la mia missione. Pierre era la contraddizione più folle: un dissoluto cinico, animato da una feroce volontà distruttiva verso tutto ciò che gli era negato, superbo, impietoso verso la mediocrità e rabbioso verso le convenzioni sociali tanto da parere un anarchico e poi, nella cattedrale, che era veramente la sua casa, avevo assistito ad una trasformazione radicale in uomo pio, capace di una genialità soprannaturale e di udire i cori angelici.
Sembrava cercare Dio con tutto il proprio essere, ma il suo non era un canto di gioia, bensì un grido feroce, il grido del lupo incatenato che chiama la sua foresta e la sua compagna, il grido del figlio abbandonato e diseredato che implora perdono ed ha in risposta il silenzio. Questa contraddizione mi affascinò subito anche se allora non conoscevo ancora il suo segreto, né potevo presagirlo. Vedevo il personaggio pubblico che si era creato per sopravvivere e lo avevo mal giudicato, senza capirlo. Per fortuna ebbi poi modo di chiedergli scusa.”
Pierre si buttò sul letto pesantemente: era veramente esausto; il lavoro assorbiva ogni sua energia emotiva e lo lasciava svuotato, con un profondo senso d’insoddisfazione e fallimento, perché aveva sempre la percezione che molto ancora restasse incompiuto nonostante tutti i suoi sforzi e che tutto fosse, in ultima analisi, inutile. La stanchezza gli impediva di godere del riposo e lo lasciava come inebetito, incapace di pensare, di gioire, di soffrire e per di più di pessimo umore. Non tollerava il proprio limite, quel senso di torpore che si impadroniva di lui e ne offuscava le sensazioni; non sopportava più di coricarsi da solo dopo una giornata trascorsa nell’eccitazione e nell’iperattivismo; non ne poteva più di sopravvivere a se stesso in un gioco crudele di nobili aspirazioni e passioni malate.
“Life’s but a walking shadow…it is a tale told by an idiot, full of sound and fury,signifying nothing.” (Shakespeare : “Macbeth” atto V, scena V : “La vita è soltanto un’ombra errante………una storia narrata da un idiota, colma di suoni e di furia, senza significato.”)
Quante volte aveva riletto questo passo con rabbia feroce, contestandolo, aggredendolo, imponendogli di tacere nella sua anima e di non risuonare così affascinante alle sue orecchie!
Tutto é già deciso dall’Infinito? E’ tutto come un immenso spettacolo teatrale ideato dall’Assente per suo divertimento? E quale significato, senza l’Assoluto? Quale dignità per l’uomo in una parzialità umiliante? Ed infine: se la vita dell’uomo è tanto miserabile da non essere che un soffio, perché questo assurdo privilegio d’essere lui solo considerato tanto importante da subire la prigione della perennità? Doveva leggervi l’amore speciale riservato agli eletti o la maledizione che portava nel suo sangue impuro, nella sua malattia, che lo rendeva mostruoso a sé stesso e lo costringeva a nascondersi?
“Life’s …..a poor player that struts and frets his hour upon the stage and then is heard no more” (ibidem: “La vita è…un guitto che in scena si agita un’ora pavoneggiandosi, e poi tace per sempre” )
Lui solo era condannato a recitare per sempre lo stesso copione!
Dormì qualche ora, facendo sogni agitati, anche perché il temporale si era scatenato in tutta la sua violenza, come fosse la voce della collera divina, e trapassava i muri in un infernale concento di suoni e luci, sovrastando persino la voce asmatica del traffico nella mattinata lavorativa. Tutto sembrava chinare il capo di fronte alla potenza degli elementi. Fu così che Pierre non percepì subito il lieve bussare alla porta della sua stanza.
Il disturbatore, deciso a farsi sentire, prese coraggio e forza finché la ebbe vinta sul sonno di Pierre. Egli emerse faticosamente dal letto, la voce gli uscì dal petto a fatica e riuscì solo a dire “Vengo!”. Gli occhi non si aprivano, gli pareva di essersi appena coricato, ma non c’erano dubbi: non poteva essere che Greta, visto che aveva dato ordine in portineria di lasciar passare solo la ragazza e di non disturbarlo per alcun altro motivo. Indossò la vestaglia delle grandi occasioni, si lavò rapidamente il viso ed aprì la porta.
Davanti a lui una ragazza zuppa di pioggia con due occhi meravigliosamente luminosi si scostò con un gesto a lui familiare la ciocca di capelli che le copriva il viso.
– “ Catherine!!!”
FINE TERZA PUNTATA
(prossima puntata Sabato 30 Aprile)
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Marcello Lippi.
Baritono. Nato a Genova, si è diplomato presso il conservatorio Paganini; e laureato presso l’istituto Braga di Teramo con il massimo dei voti. E’ anche laureato in lettere moderne presso l’Università degli studi di Genova. La sua carriera comincia nel 1988 con La notte di un nevrastenico e I due timidi di Nino Rota e subito debutta a Pesaro al Festival Rossini in La gazza ladra e La scala di seta. In seguito canta in Italia nei teatri dell’opera di Roma (Simon Boccanegra, La vedova allegra, Amica), Napoli (Carmina Burana), Genova (Le siège de Corinthe, Lucia di Lammermoor, Bohème, Carmen, Elisir d’amore, Simon Boccanegra, La vida breve, The prodigal son, Die Fledermaus, La fanciulla del west), Venezia (I Capuleti e i Montecchi), Palermo (Tosca, La vedova allegra, Orphée aux enfers, Cin-ci-là, Barbiere di Siviglia), Catania (Wienerblut, Der Schulmeister, das Land des Lächelns), Firenze (Il finanziere e il ciabattino, Pollicino), Milano ( Adelaide di Borgogna), Torino (The consul, Hamlet, Elisir d’amore), Verona (La vedova allegra), Piacenza (Don Giovanni), Modena (Elisir d’amore), Ravenna (Elisir d’amore), Savona (Medea, Il combattimento, Torvaldo e Dorliska), Fano (Madama Butterfly), Bari (Traviata, La Cecchina), Lecce (Werther, Tosca), Trieste (I Pagliacci, Der Zigeuner Baron, Die Fledermaus, Al cavallino bianco, La vedova allegra), Cagliari (Die Fledermaus- La vida breve), Rovigo (Werther, Mozart e Salieri, The tell-tale heart, Amica), Pisa (Il barbiere di Siviglia- La vedova allegra), Lucca (Il barbiere di Siviglia) eccetera. All’estero si è esibito a Bruxelles (La Calisto), Berlin Staatsoper (Madama Butterfly, La Calisto), Wien (La Calisto), Atene (Il barbiere di Siviglia- Madama Butterfly), Dublin (Nozze di Figaro, Capuleti e Montecchi), Muenchen (Giulio Cesare in Egitto), Barcelona (La gazza ladra, La Calisto, Linda di Chamounix), Lyon (Nozze di Figaro, Calisto), Paris (Traviata, Nozze di Figaro), Dresden (Il re Teodoro in Venezia, Serse), Nice (Nozze di Figaro, The Tell-tale heart), Ludwigshafen (Il re Teodoro, Serse), Jerez de la Frontera (Nozze di Figaro), Granada (Nozze, Tosca), Montpellier (Calisto, Serse), Alicante (Traviata, Don Giovanni, Rigoletto, Bohème), Tel Aviv (Don Pasquale, Elisir d’amore, Traviata), Genève (Xerses, La purpura de la rosa), Festival Salzburg (La Calisto), Madrid (La purpura de la rosa, don Giovanni), Basel (Maria Stuarda), Toronto (Aida), Tokio (Traviata, Adriana Lecouvreur), Hong Kong (Traviata), Frankfurt (Madama Butterfly), Dubrovnik (Tosca), Cannes (Tosca), Ciudad de Mexico (La purpura de la rosa), Palma de Mallorca (Turandot e Fanciulla del west), Limoges (Tosca), Toulon (Linda di Chamounix) ed altre decine di teatri in differenti nazioni del mondo.
Dal 2004 al 2009 ha ricoperto l’incarico di Direttore Artistico e Sovrintendente del Teatro Sociale di Rovigo. Nel 2010 è stato direttore dell’Italian Opera Festival di Londra. Dal 2011 al 2016 è stato direttore artistico della Fondazione Teatro Verdi di Pisa.
Dal 2015 firma come regista importanti spettacoli operistici in tutto il mondo: ha appena terminato il Trittico di Puccini ad Osaka (Giappone), Cavalleria rusticana di Mascagni, Traviata di Verdi, Don Giovanni a Pafos, Tosca, Rigoletto e sarà presto impegnato in altre importanti produzioni estere ed italiane come Jolanta e Aleko. Ha firmato la regia anche di opere moderne come Salvo d’Acquisto al Verdi di Pisa e barocche come Il Flaminio con il Maggio Formazione di Firenze
Docente di canto lirico in conservatorio a La Spezia, Alessandria, Udine, Ferrara e ora a Rovigo
Ha insegnato Management del Teatro all’Accademia del Teatro alla Scala di Milano.
Ha fatto Master Class in varie parti del mondo, per esempio Kiev (accademia Ciaikovski), Shangai, Chengdu, Osaka, San Pietroburgo, San Josè de Costarica ed in moltissime città italiane.
Musicologo, ha pubblicato molti saggi: Rigoletto, dramma rivoluzionario 2012; Alla presenza di quel Santo 2005 quattro edizioni e 2013; Era detto che io dovessi rimaner… 2006; Da Santa a Pina, le grandi donne di Verga 2006 due edizioni; Puccini ha un bel libretto 2005 e 2013, A favore dello scherzo, fate grazia alla ragione 2006 e 2013; La favola della ”Cavalleria rusticana” 2005; Un verista poco convinto 2005; Dalla parte di don Pasquale 2005; Ti baciai prima di ucciderti 2006 e 2013; Del mondo anima e vita è l’amor 2007 e 2014Vita gaia e terribile 2007; Genio e delitto sono proprio incompatibili? 2006 e 2012; Le ossessioni della Principessa 2008 e 2012; Dal Burlador de Sevilla al dissoluto punito: l’avventura di un immortale 2014; L’uomo di sabbia e il re delle operette 2014; Un grande tema con variazioni: il convitato di pietra 2015; E vo’ gridando pace e vo’ gridando amor 2015; Da Triboulet a Rigoletto 2011; Editi da Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Verdi di Padova, Teatro Comunale di Modena, Festival di Bassano del Grappa, Teatro Verdi di Pisa.
Ha pubblicato “una gigantesca follia” Sguardi sul don Giovanni per la casa editrice ETS. Nel 2012 Ha edito un libro di poesie “Poesie 1996-2011” presso la casa editrice ABEdizioni. E’ nell’antologia di poeti contemporanei “Tempi moderni” edito da Libroitaliano World. E’ iscritto Siae ed autore delle versioni italiane del libretto delle opere: Rimskji-Korsakov Mozart e Salieri; Telemann Il maestro di scuola; Entrambe rappresentate al Teatro Sociale di Rovigo ed al teatro Verdi di Pisa. Dargomiskji Il convitato di pietra rappresentata al teatro Verdi di Pisa