Testo di Anna Langiano
Con l’allestimento di V.I.T.R.I.O.L.U.M., Nora Lux compie in un progetto artistico coeso la sua decennale riflessione sul corpo femminile vissuto come luogo di passaggio tra umano e profondità ctonie. Un progetto labirintico e composto, che prevede un dipanarsi di esposizioni, ognuna tassello di un unico percorso interiore ed estetico.
Per Nora Lux l’atto espositivo diventa rito, nella connotazione di momento dell’accadere dotato di una temporalità autonoma e che richiede una partecipazione intensa dello spettatore. Come in una Via Crucis profana, ogni tappa del progetto espositivo di Nora Lux sarà al contempo autonoma e parte di un progetto più grande: lo spettatore non viene messo di fronte a un unico luogo in cui ogni cosa è già stata allestita dal dio-coreografo, l’artista; al contrario si troverà a condividere la temporalità interna dell’autrice, il sentimento di una ricerca in itinere e la sofferenza della gestazione e della crescita.
Lo scorrere del tempo è infatti centrale nella meditazione di Nora Lux, che a questo scopo intraprende un fitto, spesso lancinante dialogo tra il Sè e il tempo, fra i luoghi e la memoria: e lo fa tornando a distanza di anni negli stessi luoghi, nuovamente ritraendosi in tutti i cambiamenti che il tempo ha impresso nel corpo e nella terra. L’eccezionalità di un’artista che elabora un lavoro in un tempo così consapevolmente lungo fa del gesto artistico un rito, che necessita di un percorso iniziatico e della forza emotiva del ritorno. Per Nora Lux ritornare nei luoghi della propria opera vuol dire far rinascere l’emozione della prima volta in cui ha vissuto quei luoghi e al contempo metabolizzarne il cambiamento, sussumerlo su di sé artisticamente e fisicamente, imprimerlo nel proprio corpo prima ancora che nell’obiettivo.
La scelta dell’autoscatto rende ancora più incisivo questo lavoro sul tempo ciclico, sul corpo come luogo terreno: come è cambiato il corpo, così è cambiato il luogo, perché entrambi composti di terra e vita.
La fotografia può fissare l’eterno. Il proposito di Nora Lux è più ambizioso: vuole non fissare ma lasciare scorrere, permettere al tempo di passare, non fermarlo e dominarlo ma creare con esso e su di esso.
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Guardando le foto in esposizione, l’osservatore viene coinvolto in un processo conoscitivo complesso e bipolare, come davanti a un vuoto che risucchia e destabilizza. Destabilizzante è il rapporto tra dimensioni nelle foto -un albero capovolto tra le cui radici sdradicate si affaccia una figura umana-, il rapporto tra umano e natura -il braccio umano raddoppia perfettamente le radici e come esse indica il cielo-, destabilizzante è il vuoto della terra intorno al quale si incardinano le foto.
[Fino a oggi il lavoro di Nora Lux si è basato sull’autorappresentazione all’interno degli scenari naturali, in un dialogo continuo tra Sè e Mondo, tra corpo e natura: la natura infatti non è un indifferente sfondo estetico alla foto, ma un luogo di manifestazione del femminino, che il corpo dell’artista rende visibile e inserisce al tempo stesso nella ciclica temporalità del corpo femminile.]
Nora Lux sdoppia e completa questo Sè, compiendo il suo discorso sulla donna in un dialogo con Anna Langiano, che contemporaneamente appare nell’opera e la descrive come un percorso conoscitivo. La terza e la prima persona si confondono, sono l’uno il contrappunto dell’altro, l’Io unico diventa doppia esistenza. La critica guarda se stessa divenire opera. L’opera di cui ha discusso, l’opera che ha visto nascere, l’opera di cui ora scrive. Nel prendere parte al lavoro dell’artista, nel prestarle il suo corpo come esistenza, la critica osserva la creazione di qualcosa di cui fa indissolubilmente parte. Io sono quel corpo, dice la critica, ma quel corpo mi è inconoscibile e sconosciuto nel momento in cui lo guardo, perché oggettivato, perché parte di un fluire estetico al quale appartengo solo per il tempo dello scatto. Il momento di creazione e di commento all’opera non è più separato (l’artista crea e più tardi il critico analizza), ma la critica è presente durante tutto il processo di creazione, nel momento in cui viene concepita ed attuata la foto prepara in sé le parole con cui sarebbe stata commentata, all’immagine rintocca la parola e alla parola fa eco l’immagine, in un vortice di senso che ha due voci femminili. Tutto in quest’opera è doppio: l’artista è al contempo modella e modella è al contempo la critica e l’opera è nella foto e nella sua stessa descrizione, né l’una può essere concepita senza l’altra perché si riflettono l’una nell’altra, così come le due donne si riflettono in un abbraccio duale e asimmetrico, perché asimmetrici ma ugualmente compositi sono i loro corpi. Due donne. Duali e complementari. Aperte al vuoto e intrappolate nella quadratura del cerchio. Un’immagine costruita per opposti che si congiungono: radici che con uno scatto si rovesciano nel cielo, una mano protesa nella luce e una sprofondata nell’ombra. Due donne che si fondono in unità, rovesciando il ritmo naturale del parto che da una forma ne apre due.
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L’artista guida il critico in un dialogo con se stessa in quanto donna: essa non deve più comprendere l’opera, ma esserne compresa; lo sforzo fisico dell’attesa nella posizione richiesta dall’artista, i graffi degli aghi degli alberi e il sapore della terra fanno parte di una conoscenza dell’opera esperenziale e non puramente intellettuale. Io sono fisicamente parte dell’opera di cui parlo, così come lo sono le mie parole che la ricostruiscono intellettualmente in questo momento.
L’albero al cui interno si dissimula e rivela la figura umana è in comunicazione con terra e cielo, da esso come da una porta si affaccia il corpo umano che si tende come in opposte direzioni si tendono rami e radici. Il corpo umano sprofonda nelle radici e di esse prende il colore, la fotografia dà vita a un circolo conio tra ciò che sprofonda e ciò che riaffiora. Le radici vanno verso l’alto e i capelli verso il basso: la coincidentia oppositorum proietta l’inconscio sull’elemento naturale dell’albero. Come Antigone interrata, volutamente reclusa nelle pareti sotterranee della sua devozione alle leggi di natura, la figura umana diventa un tutt’uno con le radici: i capelli e le venature dell’albero si contaminano a vicenda del colore rosso, che al tempo stesso sancisce e rende drammatica l’alchemica convertibilità tra natura e figura umana.
Le profondità ctonie simboleggiate dalle radici svelano se stesse alla luce: l’albero diventa così il luogo del contatto dell’umano con le regioni silenziate dell’anima, e la fotografia da immagine statica diventa viaggio, il viaggio nell’Io di Persefone che per compiersi come immagine della psiche deve percorre le regioni sotterranee e qui trovare la forza rigeneratrice della primavera. E’ il rovescio dell’Omphalos, l’ombelico sacro che univa terra e cielo, lo squarcio che si apre arriva questa volta fino al mondo dell’oltretomba, percorrendo come Persefone in modo bilaterale la strada tra l’averno e la Primavera.
L’albero è sacro perché viscerale, perché è il luogo dove l’umano si confronta con l’oscurità e dà a essa un senso. Cielo e profondità non sono del resto l’uno lo specchio dell’altro, piuttosto il completamento reciproco.
Se prima esistevo, la fotografia mi ha permesso di essere. Il segno fa avverare il disegnato: nelle antiche grotte venivano dipinte scene di caccia perché si avverassero nel reale, nella fotografia di Nora Lux la Grande Madre viene rappresentata perché possa avvenire.
Nora Lux recupera così il ruolo sciamanico dell’arte: ciò che indica e non dice, ciò che apre la strada alle conoscenze profonde dell’uomo su di sé senza nominarle. Come gli antichi sciamani vivevano il loro essere guida e tramite tra due mondi -il nostro mondo e il mondo dell’invisibile- all’interno del proprio corpo, facendone una cassa di risonanza in grado di assorbire o esportare la presenza dell’invisibile, così l’artista lavora con il corpo, altare e sacrificio al tempo stesso.
Nelle culture arcaiche e popolari lo sciamano-guaritore assumeva su di sé la malattia spirituale o corporale del devoto, e solo a quel punto era in grado di disperderla; viene da chiedersi se la mancanza di queste figure nella cultura odierna non sia alla base della altissima diffusione di gesti autoadesivi o della frammentazione dell’ordine psichico di cui è afflitta la nostra società, e viene da chiedersi se questo ruolo non sia per contiguità passato alla figura dell’artista. Chi altri può guidare un’altra persona fino a ricrearla, essa rimanendo consapevole?
“Nell’oscurità della terra, scorre la luce”– Nora Lux
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QUALCOSA SU NORA LUX
Il mio è un dialogo tra corpo femminile e terra ( Grande Madre), come una donna sacerdotessa al contempo officiante e sacrificio, così sacrifico la mia immagine nell’opera.
La tecnica dell’autoscatto mi accompagna da 15 anni insieme all’elemento Terra e alle grotte che diventano luoghi di passaggi ctoni, di metamorfosi ancestrali, terra serrata nel dialogo tra il chiuso e il vuoto, come il corpo femminile è concluso nel dialogo tra luce e ombra, e l’utero nel confronto ciclico tra morte e vita.
Nelle grotte e nelle necropoli etrusce,nelle vie cave , luogo del ritorno del tempo e di rispecchiamento di terra e cielo, di capovolgimento fisico degli elementi, le macchie delle pietre si allungano in parallelo sul mio corpo come una discesa agli inferi materni, in una riappropriazione delle profondità in chiave positiva, terricola.
Ritorno negli stessi luoghi a distanza di pochi anni e sono di fronte all’immutabilità e alla radicale diversità di un paesaggio che è soprattutto magico-emotivo: la grotta è la stessa, ma questa volta il mio corpo è come assorbito e intrappolato, il mio corpo che anni prima si era collocato iconicamente al centro di una scena adesso è ridotto a un balugino fuggevole.
La grotta che prima era silenzioso oggetto di una manifestazione epifanica, con lo scorrere del tempo è diventata essa stessa corpo vibrante con la sua porosità e cavità, le stesse porosità e cavità di un corpo umano, di un’anima umana. Seguo le ferite e le irregolarità,come fossero informazioni del mio corpo del mio vissuto in un dialoghi tra l’infero e la luce, con la mia ombra, tra ciò che sprofonda e ciò che riaffiora.
Una vocalità eterna impregna questa roccia,la GRANDE DEA, e tale vocalità viene liberata dal mio occhio diaframma autonomo, e dal mio corpo , restituendo voce al tempo, forma al peso dei ricordi ancestrali di cui è impregnata la grotta,luogo dell’anima prima di qualunque anima umana, sacello di una divinità cancellata dai secoli umani eppure viva negli sprofondi.
Nel tacito eccheggiare di discesa e risalita, di morte e rinascita, di sangue e terra, sacrificio e concepimento. Luoghi di perdita e di riconoscimento di sé, del mio corpo di donna come labirinto-caverna iniziatica, ma soprattutto del mio essere , dell’insopprimibile, indicibile confronto tra la morte e la vita, tra il noto e l’ignoto cui ogni uomo è chiamato.
Per me ritornare nei luoghi della mia opera vuol dire far rinascere l’emozione della prima volta in cui ho vissuto quei luoghi e al contempo posso metabolizzarne il cambiamento, sussumerlo su di me artisticamente e fisicamente, imprimerlo nel mio corpo prima ancora che nell’obiettivo.
La scelta dell’autoscatto rende ancora più incisivo questo lavoro sul tempo ciclico, sul corpo come luogo terreno: come è cambiato il corpo, così è cambiato il luogo, perché entrambi composti di terra e vita.
La fotografia può fissare l’eterno. Il mio proposito è più ambizioso: vorrei non fissare ma lasciare scorrere, permettere al tempo di passare, non fermarlo e dominarlo ma creare con esso e su di esso.
Guardare la mie foto significa anche inserirsi in un dialogo al femminile, ripercorrendo il lavoro svolto sulla Dea Madre secondo gli studi di Maria Gimbutas e Erich Neumann
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INFO SULLA MOSTRA E PERFORMANCE DI DOMANI
inaugurazione venerdì 24 febbraio 2017 ore 19.00
performance ore 20.00
Core Gallery via dei Fienaroli 31a
V.I.T.R.I.O.L.U.M è il titolo scelto da Nora Lux per questo evento espositivo intermediale, che presenta quattro fotografie inedite, una performance anch’essa inedita e un video, collegati dal riferimento all’alchimia: Visita Interiora Terrae Rectificando Inveniens Occultum Lapidem Veram Medicinam – “Visita l’interno della terra, e rettificando troverai la pietra nascosta che è la vera medicina”. La performance è ispirata alla nigredo o opera al nero, prima delle tre fasi alchemiche ed è pensata come la prima di tre o più eventi futuri. Nella varietà dei tre media che danno vita all’evento, un secondo motivo di continuità è una narrazione che, sia nel rapporto tra le quattro fotografie, realizzate in un bosco della Finlandia, sia in quello che hanno con la performance – cui prende parte un corvo imperiale – narra il passaggio tra diversi gradi di finzione e l’avverarsi di un rito. Un terzo, consentaneo elemento che attraversa le modalità espressive del progetto è il soggetto. Il soggetto ritratto nelle fotografie insieme all’artista che vive la sua vita fittizia sia nell’immagine che nella realtà (partecipando alla performance) come un attore cross mediale, è al contempo il centro emotivo del racconto. Un quarto elemento di questa prismatica messa in scena è la rottura del confine della finzione nel dialogo tra il soggetto e l’artista: attraverso un testo critico del soggetto attore, Anna Langiano, che non può fare a meno di parlare di sé parlando della fotografia in cui è ritratta e oggettivata. Il rosso e il nero, sono i colori ricorrenti che fanno da controcanto estetico a questo insieme concettuale che non si esaurisce nell’illustrazione del tema ma ne coglie la forza rigenerante come un movimento di piani ontologici.
La performance è realizzata da Nora Lux con la partecipazione di Anna Langiano e l’accompagnamento musicale di Roberto Laneri. Testi di Anna Langiano e Giancarlo Carpi.
a cura di Giancarlo Carpi e Raffaele Soligo
Core Gallery
dal 24 febbraio al 4 marzo 2017 – aperto dal martedì al sabato dalle 16.00 alle 20.00