19 anni fa la strage del Cermis. 3 febbraio 1998, ore 15:13. Un Grumman EA-6B Prowler del Corpo dei Marine, Aereo da guerra americano di stanza ad Aviano, tranciò i cavi di una funivia carica di turisti, uccidendone 19 e un operatore. I piloti, come da accordi NATO, furono sottratti alla giustizia italiana e trasferiti immediatamente negli USA. I giornali Italiani mostrarono un grande sdegno e scandalo.
INTRODUZIONE
Tempo fa ho chiesto al giovane direttore di YOUng, Germano Milite, di aprirmi un rubrica RETROSPEZIONI, questa, dove potessi mettere degli scritti datati riguardanti cose accadute nel passato. Mi interessava fare una specie di archeologia sociale, riportando alla luce del presente questioni inghiottite nell’inarrestabile subduzione dell’informazione, delle cose dimenticate. Lo scorrere del tempo permette di tornare storicamente su ciò che fu fatto di cronaca, e permette di rileggere gli eventi anche alla luce di ciò che hanno lentamente disvelato. Credo che ciò sia interessante. Questo testo sulla strage del Cermis fu scritto nel 1998 a seguito dei fatti della tristemente famosa strage del Cermis , e avrebbe dovuto essere pubblicato, nel 1999, nel primo numero di Inchiostri, diretto da Aldo Rosselli, ne fu poi rinviata la pubblicazione per motivi di priorità editoriali e anche di spazio, ma io sospetto anche per un certo timore di spingere Inchiostri, da parte di Aldo, troppo oltre certe linee editoriali, e infine restò nelle carte mai pubblicate. Vede la luce oggi per la prima volta. All’epoca di questa scrittura ero appena trentenne, ho archeologicamente rinunciato a cancellare o a modificare il testo o parti di esso, con le sue ingenuità, con i miei limiti di allora diversi dai miei limiti di oggi, ma con il loro essere testimonianza anche e soprattutto del rapporto tra un giovane intellettuale e i fatti del proprio tempo. Insomma una archeologia a tutti gli effetti.
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GLI EROI DEL CERMIS :DEL POTERE COME TRAGEDIA DELLA CONDIZIONE UMANA
E’ necessario fare un discorso di realtà se si vogliono almeno pensare le condizioni necessarie a cambiarla.
Ricordare, al di là delle strumentazioni, l’intimo rapporto tra questa strage, ultima ed ennesima, e la condizione dell’uomo. Il fatto è questo: un aereo da guerra americano (il cui fine del resto è quello di uccidere) di stanza ad Aviano, infrangendo le norme di sicurezza di volo, durante una missione di addestramento sul territorio italiano, ha causato la morte di venti esseri umani.
Questo incidente è il frutto di una malriuscita sfida di abilità (numerosi testimoni hanno confermato trattarsi di questo e in passato c’erano state dagli abitanti della valle numerose proteste per simili manovre passate del tutto inascoltate) chiamata dai marines «flat hatting» –volo spericolato– , che i piloti militari sono soliti fare e la cui nominazione nel loro gergo denuncia la frequenza di un agire che perciò assurge a comportamento. Si e poi saputo che l’equipaggio ha immediatamente distrutto un video, prova per i commilitoni della prodezza, girato durante la manovra, gesto questo che non ha bisogno di ulteriori commenti. Il comandante e l’equipaggio, trasferiti d’urgenza negli States onde sottrarli a qualsiasi tentazione della giustizia italiana sono stati li giudicati innocenti da una corte marziale.
Questo ha scatenato, sui mass media, un coro di sdegno che ha avuto come comune denominatore lo stupore, se non la stupefazione, davanti al fatto che i marines, evidentemente colpevoli abbiano goduto in pratica di una totale immunità giuridica.
Ciò che risalta agli occhi, qui in Italia, è l’impressione di una società che in virtù del suo verdetto di sdegno, espresso tramite la pubblica opinione dei mass media, vorrebbe sottintendere ad una prassi della giustizia e dell’eguaglianza di fronte a essa infranta, appunto, da questa scandalosa eccezione.
E questa è l’insidiosa mistificazione per cui tutto ciò che è accaduto “intorno” a questa strage perde il suo vero senso e con cui viene neutralizzato il potere traumatico della rivelazione. È stata cioè sprecata l’opportunità di esercitare il diritto e il dovere della verità che è l’unica cosa che era concesso di fare.
Mistificatoriamente invece si è considerato i piloti come ciò che non sono e cioè individui qualsiasi soggetti alle normale “leggi” che regolano la massa, istigando ad interpretare la loro assoluzione come scandalosa eccezione, come infrazione all’eguaglianza di fronte alla legge che sembrerebbe governare il mondo occidentale.
Tanto per cominciare e necessario un atto di lealtà ed ammettere che da sempre noi comuni mortali abbiamo accettato, con i nostri privilegi, che gli esseri umani non siano affatto tutti uguali di fronte ad un principio universale di diritto umano, che esistono diverse condizioni umane: quando incontriamo un indigente nella strada, un uomo senza casa, senza cibo, senza indumenti, noi non ci sentiamo affatto lesi, nella nostra, dalla sua condizione: noi siamo diversi, l’orrore che ha attecchito sulle sue carni ormai luride, la sua disgrazia, il suo essere senza diritti, l’ingiustizia che lo ha colpito non hanno nessuna reale conseguenza sulla nostra vita se non quella di farci stringere, col terrore di perderli, e perciò di cadere nel suo stato, ai nostri privilegi che da condizione umana del diritto alla vita quali dovrebbero universalmente essere divengono tali proprio grazie all’abisso in cui egli è costretto, anche dalla nostra indifferenza, a sotto-vivere.
E questa è già espressione evidente della diseguaglianza a cui costantemente, in virtù delle altre nostre impotenze, diamo il nostro radicale consenso. Dobbiamo perciò comprendere che (allo stesso modo in cui noi consideriamo un altro un reietto, un sub umano) qualcun’altro, che deve mantenere ben altri privilegi che si chiamano potere, consideri a sua volta noi stessi inevitabili vittime di necessita superiori, le quali non possono certo essere messe in discussione dalla nostra protesta, allo stesso modo in cui noi non metteremmo mai in discussione la casa, il lavoro, i beni che di fatto possediamo semplicemente all’apparire davanti ai nostri occhi di un uomo che invece è privo di tutto ciò.
Dunque come il comandante di un aereo da guerra potrà essere mai uguale ad un uomo comune? Tra lui e noi, fossimo anche Very Important Person, passa la stessa differenza che c’è tra un immortale eroe omerico e uno schiavo oscuro alla storia, tra uno spartano ed un ilota, tra un uomo ed una cosa animata.
Quando si parla di America e quando si comprende il significato della parola superpotenza che è suo sinonimo, quando si comprende che ciò sta a definire chi domina il mondo, bisogna anche comprendere che l’ultima parola di una superpotenza è data alla sua capacità bellica di dominare gli altri popoli.
E questa soltanto è la verità.
Come è verità che le leggi che ci governano per poter concretamente esistere ancora oggi , anzi oggi più che mai, hanno bisogno di un corpo armato che dia possibilità di esecuzione a ciò che esse, scritte da alcuni uomini tra miliardi, determinano lecito e illecito, come è verità il fatto che una legge il cui rispetto è affidato, in ultima istanza, alla bocca da fuoco di un arma, non potrà mai essere sussunta a ciò che chiamiamo giustizia, a ciò che è giusto, ma sarà sempre e soltanto espressione di un rapporto di dominio tra chi detiene gli strumenti di violenza e qualcuno che in virtù di questo deterrente sublimato e formalizzato da un codice di norme è amministrato entro gli ambiti di ciò che può, che non può e che deve fare. Principio a cui la stessa pace planetaria è affidata quale espressione di equilibrio tra deterrenti antagonisti.
Per capire la verità dei fatti intorno alla strage del Cermis (verità banale ma non evidente, a quanto pare, nella sua articolazione e forse anche pericolosa), del perché i piloti siano stati assolti, cosa questo significhi e cosa questo senso comporti come conseguenza determinante, era necessario che l’attualità dell’evento non fosse stata sprecata in sensazionalistiche campagne di opinione, tutt’al più utili solo come strumento politico per la missione del primo ministro italiano (1) negli Stati Uniti, ma invece che si fosse scatenato sui quotidiani un dibattito degli intellettuali sulla condizione dell’uomo come problema fondamentale di cui questa strage assolta non ne è che una parte , la quale invece trattata come problema a se è vuota di senso.
Ma sperare questo è allo stato attuale delle cose già un dire utopico che immediatamente si tinge di mistificazione: già, sperare in un intervento del genere di filosofi , storici , scrittori, etc, sui quotidiani significa di fatto credere in una realtà dove quello che è accaduto non sarebbe stato possibile se non a prezzo di gravissime conseguenze sul piano del conflitto sociale.
Lo zoon politikon e la polis sono chimere che brillano sempre più deboli nella costellazione dei miti occidentali.
Questi ipotetici intellettuali su questi ipotetici liberi mezzi di informazione ci avrebbero dovuto infatti dire che la crisi in atto determinata dall’assoluzione dei piloti stragisti del Cermis non era una crisi tra sovranità nazionali, tra gli USA e Italia , ma una crisi del potere dovuta alla strage e alla sua impunibilità che hanno determinato una condizione di aleteia (disvelamento) di questo stesso potere: e cioè la strage del Cermis, con i suoi corollari, sta al potere come la catastrofe alla tragedia, ovvero il momento in cui nella tragedia si svelano gli intrecci e a cui segue l’agnizione.
Gli “Eroi del Cermis” – i militari immuni dalla legge- hanno commesso un errore, ma questo errore, come quello di Edipo dell’uccisone del padre, non può essere moralmente imputabile, in una umanità reificata, dove al destino si è sostituita l’azione del potere, all’essere umano come soggetto indipendente dalla coercizione del potere, ma ciò è eticamente imputabile solo al potere stesso che ha nei piloti il suo grado di coincidenza più forte, in quanto essi sono quelli che , positivamente, lo esercitano nel massimo grado , quello delle armi e in questo caso armi massimamente distruttive, l’aviazione.
Questo significa che il potere che è tale in quanto , in ultima istanza, potere degli strumenti di violenza, è propriamente se stesso nei piloti (del Cermis) che si comportano secondo il comportamento proprio del potere e che in virtù di ciò sono completamente spogliati della loro autonomia morale , ed è conseguente alla propria logica che il potere non possa che assolversi nel suo essere ciò che è: esercizio della violenza.
Il fatto che essi abbiano causato una strage, e che questa sia rimasta impunita , fuori dai confini della loro nazione, ha solo disvelato che il potere , che è una categoria, ha per suo oggetto positivo il governo americano e il suo esercito, che sono due manifestazioni differite della stessa sostanza, mentre l’assoluzione dei piloti è semplicemente aleteia della modalità d’essere del potere stesso.
Se il caso si fosse verificato all’interno della nazione americana, se i piloti avessero ucciso cittadini americani, molto probabilmente non sarebbero sfuggiti ad una sentenza di colpevolezza, questo è stato detto è vero, ma non è stato detto il perché: essi sarebbero stati reintegrati nel loro essere soggetti autonomi e quindi responsabili delle proprie azioni perché il loro errore (causa di strage) sarebbe stato un errore del potere sul proprio oggetto necessario ad esercitarsi positivamente sul mondo, cioè la nazione americana la quale contiene in se stessa, in forma latente, i futuri presidenti, i futuri piloti, i futuri strateghi e via dicendo, e in questo caso il potere non avrebbe condannato se stesso, ma disintegrando il soggetto (Il pilota) dalla coincidenza con se stesso avrebbe semplicemente corretto una propria espressione fallimentare e pericolosa.
È solo il disvelamento del “chi” del potere che nasce dunque dal fatto che la strage sia accaduta in un paese straniero che è altro dall’oggetto che fa da positivum attuale al concetto del potere.
Paese, in questo caso l’Italia, che tuttavia partecipa in grado minore positivamente nell’avere anch’esso un governo ed un esercito, al potere assoluto americano e che quindi diventa metafora positiva del potere di massimo grado, mentre l’assoluzione è disvelamento del suo come.
La messa in scena del processo ai piloti non è stata che una necessaria funzione (Attuata proprio nella mistificazione della verità con l’istituzione di un processo fittizio) di riequilibrio “fisiologico” tra il potere assoluto americano e il potere relativo italiano, perché allo stesso modo che il governo italiano è metafora del governo americano così anche il popolo italiano e metafora di quell’altro e il riflesso formale di quanto sarebbe accaduto in America se la strage fosse avvenuta lì, un reale processo, deve essere rispettato, ritualmente rispettato, per ricucire lo strappo delle apparenze che hanno mostrato il “come” del potere essere causa di primo grado dell’assoluzione e causa di secondo grado della strage .
In quanto proprio perché impunita la morte dei venti individui si definisce come strage, e in cui l’elemento della violenza è proprio del dominio come violenza portata nel torto.
Proprio non determinando la responsabilità individuale , la strage del Cermis viene intrinsecamente determinata come vero e proprio atto di guerra contro la popolazione civile di un paese dominato.
Istituire il processo, il processo fittizio, significa permettere allo stato delle cose di riconcrezionarsi nel loro normale e necessario stato di latenza. L’istituzione del processo fittizio ha specificatamente la funzione di sospensione del “nesso di colpa”, di oscuramento della sua gestalt, tra potere e strage, e agisce utilizzando il tempo che produce esperienza comunque , come strumento di ricostruzione della conditio per quam con cui il potere agisce, l’oscuramento della sua modalità, la cui conditio sine qua non è invece la reificazione dell’uomo: il tempo cancella le tracce più evidenti della reificazione umana disvelata dalla deresponsabilizzazione dei piloti militari, ridicolizzando con il suo scorrere comunque (che porta il senso chiarito della reificazione , però come cosa immanente, a legarsi alla vita) l’urgenza di un qualcosa che nel suo attimo di apparizione si era presentata con il carattere della necessità, cioè emanciparsi dalla reificazione stessa.
Il verdetto della corte marziale giungendo dopo diversi mesi dalla strage dice implicitamente, con la prova che empiricamente il tempo ha portato dimostrando che il mondo ha potuto continuare ad esistere (vedi legge dell’usucapione) senza la necessità di un verdetto di responsabilità, che l’uomo è ormai una cosa che non chiede più giustizia come sua condizione necessaria di vita: la strage aveva sollevato il limo del fondale della realtà intorbidendo l’acqua dell’apparenza da esso sostenuta; ora il limo e precipitato rischiarando di nuovo l’acqua e tutti vi hanno attinto per bere prima che la sentenza di assoluzione avesse comunicato la tossicità delle sostanze in essa disciolte.
Quella parte del mondo lacerata nel suo intimo, i consanguinei delle vittime, ha continuato a vivere per tutto questo tempo in cui il nesso di colpa è stato sospeso nell’attesa del giudizio, lavorando, nutrendosi e partecipando col proprio lavoro a quel mondo stesso che li ha contenuti nel loro stato di reificazione.
La sospensione del nesso di colpa ha dimostrato, come in un pubblico esperimento, che persino per loro la vita è potuta continuare in nome del bisogno (ananke) piuttosto che arrestarsi per la necessita di giustizia inadempiuta, inadempiuta nella sospensione del nesso di colpa prima e dell’assoluzione poi.
Dopo questa dimostrazione verrà il risarcimento economico alle famiglie che non corrisponde alla impronunciabile ammissione di responsabilità dei piloti (impronunciabile diremmo per ragion di Stato), come potrebbe invece sembrare a prima vista ma che ha tutt’altro fine: il risarcimento in denaro è la prova flagrante e costruita ad hoc che chi leva alte grida per l’ingiustizia che lo ha colpito è in realtà fazioso e che l’essere umano fa parte del concetto di proprietà, cioè è cosa.
Accettare denaro dallo Stato come risarcimento di un assassinio, che lo stesso stato che risarcisce non condanna come tale ma classifica come incidente, significa per le famiglie delle vittime del Cermis cadere in una trappola in cui è disvelato un patto ( che solo nella sua natura di trappola risulta tale) un patto implicito tra potere e uomo reificato, che è quello per cui tutti i valori, che così possono essere definiti, possano essere trasformati e soluti nel valore del denaro (valore di scambio) ivi compreso il valore assoluto della vita umana.
Accettando i soldi del risarcimento (che sono stati addirittura chiesti tramite atti legali) tutto il processo giudicante delle famiglie delle vittime, che per estensione dovrebbe riguardare l’intera umanità, finisce nella sua trasformazione della domanda di giustizia in domanda di denaro, nello svelarsi, de facto, essere una macchinazione finalistica verso il denaro, la qual cosa darà la possibilità di eccedere, da parte del potere, il senso della strage virando a un senso sarcastico; sottointendendo in sè il fatto che per le famiglie delle vittime la strage si è trasformata in una immensa fortuna sinistramente rassomigliante ad una vincita ai giochi d’azzardo di Stato, tanto in voga nei nostri tempi e in tutte le culture occidentali, e producendo così un gap incolmabile tra la vittima che ha perso la vita e il suo congiunto che spende in beni di consumo la fortuna in denaro proveniente da quella vita uccisa.
Per questo motivo cade ogni possibilità per il consanguineo, che essendo nello stesso sangue poteva eternare nel suo essere in vita chiedente giustizia l’esperienza della morte per violenza del suo parente e in nome di ciò gridare con la propria bocca il grido del morto, di chiedere giustizia senza cadere nel ridicolo in cui invece è palesemente caduto.
Solo tramite un anatema, una solenne scomunica, e solo rifiutando qualsiasi forma di risarcimento che non sia l’emancipazione dalla reificazione dell’essere umano, le famiglie delle vittime potrebbero uscire pulite da ogni sospetto di complicità con ciò che ha ucciso i loro familiari, solo tramite un anatema al potere in genere, queste famiglie potrebbero assurgere a condanna storica incontrovertibile.
Ma le cose andranno nel modo consueto, le famiglie accetteranno i soldi che hanno esse stesse richiesto e, come in una atmosfera shakespeariana, tornando a casa da una qualche banca avranno le proprie mani macchiate di quel sangue per cui avevano chiesto giustizia. Varrà a nulla sognare di averle alacremente lavate.
In quanto al coro di indignazione degli uomini politici italiani, enfatizzato dalla stampa delle diverse correnti, solo una coscienza ottenebrata può dargli credito: e immanente al fare politico stesso (da quando la politica non è più inter homine esse ma semplicemente manipolazione di masse alienate) attenersi solo ed unicamente all’unica politica in questo senso possibile come pratica: la real politik e cioè quella che opera solo entro gli ambiti di un possibile che non modifichi le regole del gioco determinate da chi comanda.
Il politico in questo è per sua natura volontà di potere, in ognuno che eserciti la politica in questo senso c’è in nuce un presidente degli Stati Unit o un Caesar che sogna di annientare la res publica per istituire l’imperium, e soltanto la relativa lontananza positiva dalla coincidenza con la potenza stessa gli permette un dire che concentricamente si differenzia dall’agire con violenza sul materiale usato dal potere stesso che è l’uomo reificato.
La protesta dei politici italiani, identici nella sostanza ai politici americani o a qualsiasi altro politico che si attenga alla real politik, non è stato in realtà che un impercettibile osmosi tra il loro potere relativo e quello assoluto degli americani, il loro protestare contro l’ingiustizia in un mondo fondato sull’ingiustizia stessa della condizione dell’uomo e da essi in ciò amministrato, non è stato altro che un mettere in scacco l’errore politico degli americani, errore che ha consistito nell’aver danneggiato con l’assoluzione dei piloti (assoluzione però a loro necessaria a quel processo fondamentale di deresponsabilizzazione di chi usa positivamente gli strumenti di violenza, squisitamente sviluppato e perfezionato dai regimi totalitari per lo sviluppo e la pratica del progetto di sterminio e senza il quale non è dato a nessun potere di organizzarsi in quanto tale) non tanto la sostanza di una democrazia che non esiste, se non definendo chi appartiene al popolo degli uomini e chi a quello degli schiavi, ma la sua forma senza la quale è impossibile la pseudomorfosi con cui il potere ha realizzato la sua più perfetta forma di sopravvivenza alla resistenza dell’essere umano a farsi dominare e amministrare semplicemente come una cosa: l’agire della violenza entro la forma della democrazia.
Rompere questa struttura di superficie ha significato portare alla luce l’organon della violenza con il quale il potere, quando non può più ricorrere ad altri espedienti, amministra il mondo da sempre e sempre più perfettamente, e con ciò mettere in pericolo l’eternità possibile del dominio.
Per gli americani questa strage avvenuta in un paese alleato e culturalmente affine è un gravissimo fattore di crisi tra la necessità di richiudere nella latenza il manifesto essere del potere, per cui avrebbero dovuto immediatamente condannare i piloti, e la necessità, per loro, come per qualsiasi Stato, evidentemente prioritaria rispetto a tutto, di non rompere la promessa fondamentale per l’esercizio del potere della non responsabilità soggettiva a chi in nome del potere, quando serve, deve uccidere e farlo senza scrupoli.
Questa crisis del potere americano ha ridato un guizzo di vitalità al potere relativo degli altri stati , si ricorda che nella strage del Cermis hanno perso la vita persone di diverse nazionalità europee, compreso e specialmente quello italiano sul cui territorio è avvenuta la strage, allineandoli, rispetto al concetto di potere, per il momento, su una linea teorica di parità, il che ha permesso al nostro primo ministro (2) di far la voce grossa con il presidente degli Stati Uniti dal momento (3) dicendo che la strage, con ciò che ha comportato come disvelamento del “come” autentico del potere e del “chi” dell’uomo-cosa, ha pericolosamente creato le condizioni di possibilità di un scatenamento concreto della democrazia (sommosse e tumulti e la minaccia di insurrezione) fatto questo che è stato implicitamente prospettato dal primo ministro italiano, come minaccia verso l’America di perdita di influenza politico-militare “in Italia la gente dice di togliere le basi americane…bisogna dire qualcosa alla gente...” ha detto al presidente americano il nostro primo ministro in missione.
Questo significa che ora il primo ministro italiano può attingere per se qualcosa in più dal potere assoluto americano come mezzo necessario per scongiurare un avvento della democrazia in Italia.
E ciò garantirà al potere in generale di superare questa empasse, perché ciò che è stato perduto dal potere americano in Italia sarà riguadagnato dal maggior potere di uno degli elementi del sistema di potere italiano, il quale lavorerà con questo surplus di energia affinché le cose parlanti “dimentichino” ciò che la strage aveva illuminato.
Dunque è molto importante di non cadere nell’illusione, sviante ai fini della comprensione, della personalizzazione dei processi di potere: non è fondamentale sostituire il primo ministro italiano o il presidente degli stati uniti, dal momento che qualsiasi persona che arrivasse ai vertici di un organismo di dominio si dovrebbe giocoforza identificare con la necessaria violenza per attuarlo, il presidente degli stati uniti é anche il capo supremo delle loro forze armate, come lo è da noi il presidente della repubblica, allo stesso modo che chiunque salga su una macchina sarebbe costretto, a prescindere dalle proprie convinzioni, per poterla guidare ad una serie di operazioni necessarie, mettere in moto, mettere la prima, tenere il volante e via dicendo, operazioni che consistono nel fondamento del guidare e che sono imprescindibilmente uguali per chiunque voglia fare uso del veicolo. Quello che va urgentemente ridiscusso è altro, è la condizione dell’essere umano.
Fintanto che gli intellettuali ( 4) si accaniranno in feroci dissertazioni filosofiche sui crimini dei ragazzi del cavalcavia tacendo invece tremanti di fronte a ciò che urge e che ha prodotto quei ragazzi cosi come sono, e cioè del potere come tragedia della condizione umana, non sarà avvenuto nulla di fatto.
Se questi intellettuali avessero conservato traccia di dignità umana di fronte a questo disvelamento così schiacciante dello stato di cosità dell’uomo come lo è stato il caso della strage impunita del Cermis oggi, in Italia, e in Europa si sarebbe dovuto almeno aver corso il rischio serio di una rivoluzione, si fa per dire .
Resta una certezza però : a qualsiasi uomo di potere che a gran voce chieda giustizia per questa strage dovrebbe rispondersi come fu risposto a quel re di Tebe : sei tu l’uomo che cerchi!
Fino a quando ciò non sarà adempiuto i piloti americani del Cermis rimarranno omericamente degli eroi e le loro vittime, noi, soltanto delle cose parlanti.
( Roma, tra il 1998 e il 1999)
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note;
1 – MAssimo D’alema
2- Massimo D’alema
3- Bill Clinton
4 – Vattimo e Monsignor Ravasi sulle pagine di La repubblica
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Approfondimenti sulla vicenda
Articolo del 4 marzo 1999 dove si da notizia dell’assoluzione del pilota
Dichiarazione del Presidente dell‘associazione dei Parenti delle Vittime del Cermis