LE CONVERSAZIONI 2016- ANTONIO MONDA-DAVIDE AZZOLINI-SERGIO CASTELLITTO-MARGARET MAZZANTINI-EDOARDO ALBINATI-NICOLO’ AMMANITI-PUPI AVATI-VALERIA LUISELLI-DONATO CARRISI-GARY SHTEYNGART-ERICA JONG-HANAH AL SHAYKH-GARTH RISK HALLBERG-MARLON JAMES
Le conversazioni che da alcuni anni ormai, quest’anno si celebra la undicesima edizione, si snodano attraverso tre città, un’isola e tre continenti sono degli incontri con vari importanti protagonisti della Letteratura e dell’arte mondiali che si riuniscono pubblicamente per discutere intorno a temi di straordinaria importanza. Incontri con questi scrittori ma anche, importantissimo, incontri -tra- questi scrittori. New York, Bogotà, Roma , Capri. A Roma alla Rai Sala degli Arazzi 13-16 Giugno, e a Capri nella piazzetta Tragara 24 giugno -3 luglio. E’ questa idea delle conversazioni, come spesso accade, una importante idea tutta italiana scaturita anni or sono dalle fertili menti di Antonio Monda e Davide Azzolini che insieme le hanno pensate fondate e che insieme le dirigono, e che nel cosmopolitismo italiano rinascimentale traggono, a mio avviso, il loro profondo codice genetico e la loro ragion d’essere. Basti pensare alla straordinaria rete intellettuale internazionale e ai viaggi attraverso tutta Europa, quasi incredibile a crederci immaginando un mondo senza aerei e treni superveloci, che aveva avuto e che aveva fatto Giordano Bruno, e basti pensare all’idea ante litteram di Europa come entità politico culturale in Machiavelli e il gioco è fatto per iscrivere in questa grande corrente del cosmopolitismo culturale umanistico italiano l’idea, il progetto, la realizzazione, la perseveranza e il successo delle Conversazioni.
Conversazioni che, sempre secondo il mio parere, sono oggi particolarmente importanti, perché fondamentalmente, all’essenza della cosa, fatta la tara di tutto ciò che è collaterale all’evento, ivi inclusa anche una fisiologica mondanità, esse rappresentano in questo momento uno dei rari baluardi della dimensione della letteratura mondiale intesa come motore primo della civiltà. La democrazia vagamente fallita del nostro tempo infatti ha espresso cosi tanto disprezzo verso le proprie élites culturali da vederle ormai prossime alla totale estinzione, quanto ha espresso contemporaneamente assoluto asservimento invece alle élites industrial-spettacolari, élites queste ultime che sono andate via via riempiendo gli spazi lasciati vuoti dall’estinzione delle élites culturali vere e proprie. La nostra epoca si è ferocemente accanita nel deridere e ridicolizzare i suoi intellettuali quanto si è ferocemente accanita nel perseguire i conformismi spettacolari. Il prestigio e l’autorità sociale degli scrittori è stata spazzata via dalla intolleranza sociale, spesso un vero e proprio disprezzo verso loro figura, senza che ciò abbia significato che le masse abbiano per ciò smesso di avere delle élites, di ben altra natura, comunque al loro comando, la cultura occidentale con ciò iniziando un moto regressivo a oggi non interrotto. Gli intellettuali e gli scrittori si sono disgregati, hanno perso, potremmo dire, il proprio orgoglio, il cultural pride , e come i cavalieri Jedi sconfitti dall’impero del male nella celebra saga di guerre stellari si sono dispersi e nascosti, perdendo i contatti, nelle tenebre galattiche in attesa di migliori tempi futuri , semmai verranno.
In questa epoca che in realtà appena tollera pur celebrando i propri scrittori, quando diventano buoni affari per l’industria culturale, istituire una “boulè” di scrittori chiamati periodicamente a dialogare davanti alla “ecclesia“ della polis di morale, etica, politica e arte, quando oggi sono invece i semplicemente enormemente famosi i chiamati a farlo, famosi non importa perché, anche se molto spesso veri e propri semianalfabeti, richiede quindi una certa dose di coraggio: coraggio nell’affrontare l’imbarazzo di rivendicare un orgoglio non già sessuale bensì letterario e culturale, nel rivendicare il ruolo di auctores in seno alla società che è stato usurpato alle élites della cultura, usurpazione che ha fatto poi decadere la qualità delle persone di queste stesse sconfitte élites in conseguenza della perdita di rapporto erotico, ovvero di reciproco desiderio, come scriveva in “La lanterna magica” Bergman, tra artista e società, tra scrittore e epoca –pensiamo a Emile Zola, al suo J’accuse ad esempio, alla sua eroica strenua lotta per la verità e la giustizia nella vicenda dell’affare Dreyfus e al peso immenso che egli ebbe in quel feroce dibattito , o pensiamo a Goethe, o riandiamo alle faraoniche esequie di Victor Hugo per capire cosa era ancora solo cento anni fa uno scrittore per il proprio tempo- temibile effetto collaterale che ha a sua volta scatenato la reazione a catena della devastante regressione culturale. Stiamo sintetizzando ovviamente quasi al limite della decenza tutta una serie di enormi temi, ma tant’è solo per dire che la dimensione culturale è una questione assolutamente vitale. Che è per una questione culturale che qualcuno un giorno spingerà o rifiuterà invece di farlo il bottone dell’olocausto nucleare. Che è innanzi tutto per una questione di spaventosa regressione culturale che un uomo come Donald Trump diventa improvvisamente il riflesso in cui la massa si identifica e riconosce se stessa, la sua essenza più viscerale.
Chiamare a queste conversazioni importanti scrittori di tutto il mondo, deterritorializzandoli dalle loro postazioni quotidiane dove sono ipostatizzati nella loro public figure per collocarli in una boulè, in una assemblea di loro pari, davanti a una polis e intorno a un argomento importante e vitale per la vita inter homine esse, quest’anno ad esempio la Diversità, significa attuare da una parte una loro liberazione, organizzare una loro evasione dal loro essere assurti a public figure culturali ma isolate in un sistema industriale culturale, che ahinoi ci coinvolge tutti i volenti come i nolenti, per riconsegnargli, seppur temporaneamente, una provvida contaminazione però, la antica e persa dignità di appartenenti a una corporazione – meglio, a una koinè sacra- non meno importante di quella dei medici per la salute della polis e della società, essendo la diversità umana –quest’anno appunto discussa nelle Conversazioni come tema proposto da Azzolini e Monda– la materia prima della letteratura come amava ricordarci il transfugo dai gulag sovietici Brodskij, e con ciò rappresentando la letteratura uno degli antidoti migliori a ogni tentazione di soluzione finale, e dall’altra significa compiere un fondamentale tentativo di rifondare, quanto meno affermare, che la cultura e la letteratura sono, dovrebbero assolutamente tornare ad essere, motore primo della società e non il rimorchio pieno di ogni feticcio scaricatogli dentro dalla società spettacolare. Questa è la più profonda essenza che mi è sembrato identificare nella sostanza fondamentale delle Conversazioni. Ho creduto in ultimo di fare cosa gradita al lettore che vorrà seguire qualcuno di questi appuntamenti pubblicare qui di seguito la riflessione di Antonio Monda sul tema delle Conversazioni di quest’anno, che avranno luogo, qui in Italia a Roma e a Capri, come un’ottimo strumento per orientarvisi.
David Colantoni
QUALCHE NOTA SULL’IDEA DI DIVERSITÀ
Ricercando il termine Diversità sull’Enciclopedia Treccani ho trovato queste tre definizioni:
Diversità s. f. [dal lat. diversĭtas -atis]. –
- L’esser diverso, non uguale né simile.
- In filosofia, termine che indica la negazione dell’identità e che, soprattutto nella filosofia scolastica, è usato con riferimento a realtà di genere diverso.
- La condizione di chi è, o considera sé stesso, o è considerato da altri, «diverso» (omosessuali, disabili, emarginati, ecc.).
Si tratta ovviamente di definizioni ineccepibili, che tuttavia non credo possano aiutare a chiarire quanto il concetto sia portatore di un’ambivalenza, che si ripercuote su temi antropologici ed etici, e, conseguentemente, sia oggi al centro del dibattito intellettuale.
Chi conosce il lavoro svolto alle Conversazioni sa che mettiamo al centro della nostra riflessione temi che ci sembrano imprescindibili, cercando di affrontarli nella loro più intima essenza: prima ancora che un festival, il nostro vuole essere un laboratorio di idee, dove la discussione viene intrapresa con semplicità e, speriamo, anche con profondità.
Sin dal primo anno alle Conversazioni sono state accolte idee diverse e a volte anche diametralmente opposte, generando confronti accesi che hanno allargato gli orizzonti culturali ed intellettuali di chi ha avuto modo di fruirne. Non è certamente un caso che abbia usato proprio l’aggettivo “diverse”: ogni forma di differenza e di rispetto per l’unicità dell’individuo va di pari passo con la libertà. Anzi ne è la linfa vitale, oltre che la fonte di continuo e principale arricchimento.
Seguendo i canoni del nostro stile diretto pongo quindi immediatamente le domande fondamentali sul tema prescelto quest’anno: la diversità è un valore da difendere e celebrare, o viviamo invece in un periodo nel quale si tende all’avvicinamento e all’omologazione? Cosa si guadagna e cosa si rischia in questa seconda ipotesi?
Quali sono le battaglie necessarie affinché ogni forma di diversità sia rispettata? Esiste parallelamente un confine che non bisogna mai attraversare affinché la diversità non sia snaturata, rischiando di perdere le caratteristiche fondanti dell’identità?
Non vi possono sfuggire le eco che questa riflessione riverbera sul piano dei costumi, della morale, della politica e della religione. Chi decide ad esempio cosa è diverso? Perché la diversità è stata ripetutamente e ignobilmente utilizzata come forma di segregazione? È possibile d’altro canto equiparare qualunque elemento caratterizzante? O invece esistono situazioni, azioni, attitudini o comportamenti che la natura (o per chi ha fede, Dio) prevede che rimangano diverse, senza alcuna possibilità di omologazione?
Sull’onda di questo ragionamento si possono sviluppare ulteriori riflessioni, controverse ed estremamente spigolose: la diversità è causa imprescindibile per la fertilità? Non mi riferisco evidentemente soltanto a questioni sessuali; la possibilità di creare e procreare è da intendere anche in termini culturali e artistici. Tuttavia, faccio nello stesso tempo un ennesimo passo avanti: tutto ciò che è possibile è anche lecito? Esiste anche in questo caso un confine?
È fin troppo facile ghettizzare le opinioni opposte alle nostre in rappresentazioni macchiettistiche: sui temi che hanno rilevanza etica, o investono la sfera privata, si scivola spesso in caricature che raffigurano nei rispettivi lati opposti retrogradi medievali e corrotti degenerati: sarà mio impegno, in questi giorni di riflessione, evitare che la conversazione trovi questa scorciatoia retorica che ha da sempre avuto il fine di non affrontare il cuore delle questioni scottanti.
La riflessione sulla diversità induce a pensare anche al termine opposto: uguaglianza, valore celebrato dalla rivoluzione francese ed elemento fondante e ancora una volta imprescindibile del progresso della civiltà moderna, in particolare quella occidentale. È impossibile tuttavia non riflettere che la celebrazione assoluta dell’uguaglianza ha portato ripetutamente a tragiche aberrazioni. È fondato ad esempio su questo principio il comunismo: le macerie di quell’ideologia devono farci riflettere se il fallimento sia dovuto alla degenerazione di un’idea nobile o invece a un problema insito all’interno di una concezione illusoria, destinata inevitabilmente alla catastrofe. Con l’ovvia eccezione dei diritti fondamentali, sono tra coloro che considerano non solo rischiosa, ma perversa l’imposizione dell’uguaglianza, anche quando è generata da valide motivazioni ideali. L’unicità di ogni individuo si misura anche dalla diversità del rispettivo talento, dall’intelligenza, l’ambizione, l’audacia e quello che con termine yiddish si chiama chutzpah. Il riconoscimento di questa diversità è qualcosa che diventa legittima aspirazione per ciascuna persona, che non può che soffrire se tale unicità non trova piena realizzazione o quantomeno espressione. Pochi scrittori sono stati illuminanti su questo tema quanto George Orwell, e mi permetto di chiedere, insieme a lui: che rapporto c’è tra uguaglianza e libertà?
A questo riguardo risulta illuminante un riferimento prettamente religioso: la parabola evangelica dei talenti indica infatti proprio la diversità radicale di ogni persona umana (chi riceve uno, chi tre, chi cinque talenti), e sottolinea la consolante realtà che non esiste una persona priva di talenti.
Vorrei concludere queste brevi note con una considerazione: ritengo che ogni persona si senta nell’intimo diverso. E credo che ciò vada ben oltre l’unicità di ogni essere umano. GK Chesterton ha scritto: «La più semplice verità sull’uomo è che egli è un essere veramente strano: strano quasi nel senso che è straniero a questa terra… solo, fra tutti gli animali, è scosso dalla benefica follia del riso; quasi avesse afferrato qualche segreto di una più vera forma dell’universo e lo volesse celare all’universo stesso».
Io credo intimamente in questo concetto di alienità e “stranezza”: sono i termini in cui decliniamo l’entusiasmante mistero della nostra unicità.
Pochi scrittori come Ray Bradbury hanno intuito i rischi di un mondo che comprime la libertà generata dalle differenze e la vita che nasce dalla diversità: in Fahrenheit 451 ha scritto: «Oh Dio, la terribile tirannia della maggioranza. Abbiamo tutti un’arpa da suonare, e spetta a te sapere con quale orecchio ascolterai».
ANTONIO MONDA maggio 2016
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Le Conversazioni – ROMA :13/06 Sergio Castellitto 13/06 Margaret Mazzantini 14/06 Edoardo Albinati 15/06 Niccolò Ammaniti 16/06 Pupi Avati. CAPRI : 24/06 Valeria Luiselli 25/06 Donato Carrisi 26/06 Gary Shteyngart 01/07 Erica Jong 01/07 Hanan Al-Shaykh 02/07 Garth Risk Hallberg 03/07 Marlon James