Facebook censura
Prima di affondare il colpo contro Facebook ed il suo incontrastato, crescente e per questo preoccupante monopolio del mondo dell’informazione online (solo gli inetti e le persone in malafede ancora negano che di fatto, il social di Zuckerberg, sia un diretto ed agguerrito concorrente delle testate online), devo però seguire il precetto Cristiano che impone di dare a Cesare quel che e di Cesare e, cioè, ringraziare questo strepitoso strumento per tutto ciò che mi ha permesso di realizzare dal 2008 ad oggi.
Tutte le mie più importanti occasioni lavorative ed i miei incarichi come consulente, la mia prima startup e persino alcuni amori ritrovati, li devo infatti proprio alla creatura di Zuckerberg ed alle sue potenzialità. In quasi 8 anni di presenza sulla più diffusa piattaforma social al mondo, posso dire di aver sfruttato molte opportunità umane e professionali grazie a Facebook e di aver potuto conoscere ed incontrare persone e professionalità che altrimenti non penso avrei mai raggiunto tanto agevolmente.
Bene, fatta queste doverosa premessa, richiesta a gran forza dall’onestà intellettuale che anche i miei più convinti haters spero mi riconosceranno, vado a raccontarvi l’episodio gravissimo, o meglio la serie di episodi gravissimi che mi sono capitati e che mi hanno visto, fino ad ora, dover subire inerme scelte censorie del tutto arbitrarie, irragionevoli, inique e finanche inappellabili (aspetto forse più grave). Badate: quello che vi racconterò è il classico episodio che oggi riguarda me ma che, domani, potrebbe riguardare chiunque di voi, senza alcuna distinzione.
Questo perché, le multinazionali monopoliste come Facebook e Google, hanno un potere che a volte sovrasta anche quello di veri e propri Stati e che, in ogni caso, è sempre infinitamente superiore a quello delle aziende non digital, anche se molto grandi. Sono quasi divinità trascendenti, che dettano tavole di legge e decidono vita e morte di utenti ed aziende e, come vedremo, tentano anche di mettere le mani sull’informazione online.
IL PRIMO BLOCCO, DOPO IMPUNITI AUGURI DI MORTE E STUPRI
Ma andiamo con ordine e partiamo dal principio: lo scorso 12 novembre, un mio commento viene segnalato e ritenuto contrario ai famosi “standard della community” del social in blu. La rimozione mi provoca anche il ban del profilo personale per un mese intero. Il tutto accade perché, in precedenza, il mio profilo aveva già subito diverse sospensioni a causa di contenuti postati da altri amministratori su alcune fanpage che co-gestisco. Avete letto bene: Facebook blocca (o almeno bloccava) tutti gli amministratori di una fanpage, indistintamente, se uno o più contenuti della pagina venivano ritenuti contrari agli standard della community. Esempio per i non addetti ai lavori: Tizio, Caio e Sempronio sono amministratori della pagina fan “W il Calcio”. Un contenuto postato da Tizio sulla fanpage viene segnalato e rimosso. Bene: ad essere bloccati sono sia Tizio, sia Caio; sia Sempronio, senza alcuna distinzione.
Nel mio caso, considerate che io utilizzo il mio profilo per lavoro e che quindi, il ban di un mese, rappresenta per me anche un danno economico diretto ed indiretto, impendendomi di diffondere le mie iniziative, di fare campagne ads, di pubblicare post e commenti ecc. Ma cosa avrò pubblicato di tanto disdicevole per meritare una censura così feroce, inappellabile e lunga? Avrò incitato all’odio contro immigrati ed omosessuali? Avrò molestato in privato e/o in pubblico qualche utente? Avrò minacciato di morte qualcuno? Ho diffuso bufale razziste per raccattare click e/o voti come fanno Salvini o siti come Imola Oggi? Nulla di tutto questo: semplicemente ho scritto un editoriale contro la liberalizzazione delle armi in Italia e contro coloro che, invocando la pena di morte con fucilazione sul posto per i ladri, scrivono: “Se qualcuno entra in casa mia prima gli sparo e poi gli chiedo chi è”.
Tale editoriale, con il quale naturalmente si può essere in totale quanto legittimo disaccordo, mi ha provocato, letteralmente, una valanga di commenti sia pubblici che privati, contenenti auguri di morte e stupro subito da me e dalla mia famiglia. Un linciaggio pubblico, insomma, subito solo perché avevo espresso un parere diverso da chi vorrebbe poter comprare una pistola al supermarket ed usarla per sparare a vista. Ebbene: ho definito come un’idea “da ritardati” il simpatico augurio di furto e stupro lasciatomi sul mio profilo Facebook da una delle tante “utentesse”. Così la tipa ha segnalato il commento e Facebook, che resta indifferente a contenuti di raccapricciante violenza verbale, incitamento all’odio razziale, minacce ecc, ha provveduto con grande solerzia a rimuoverlo e a bloccarmi senza possibilità di appello per un mese. Dico senza possibilità di appello perché, di fatto, anche se puoi segnalare il ban avvenuto per errore, nessuno risponde mai alla tua rimostranza. Ma se pensate che la mia disavventura censoria sia finita qui vi sbagliate, di grosso. Dopo aver scontato la mia pena inflitta unilateralmente e senza contradditorio, sono finalmente tornato libero di scrivere e pubblicare, solo per qualche giorno però. Un’altra tizia, infatti, anch’essa convinta che il far west sia la risposta ai ladrocini subiti in casa, ha subito provveduto ad insultarmi pubblicamente sotto un mio nuovo status e a definirmi come un personaggio che “si spaccia per professionista”. Le ho risposto a tono, precisando che simili considerazioni la facevano apparire “idiota”. Apriti cielo: mister Facebook è di nuovo intervenuto con impeccabile solerzia a rimuovere, censurare e bloccarmi per altri 30 giorni.
LA CENSURA DI FACEBOOK FUNZIONA “A CASO”?
E’ finita qui? Assolutamente no e, anzi, la parte più scandalosa ed al contempo stimolante soprattutto per qualche giurista un po’ meno ingessato della media, deve ancora venire. In pratica, avendo creato un secondo profilo, ho denunciato con uno status l’accaduto e linkato il profilo della seconda tizia che mi aveva segnalato.
Ecco: qui arriva il bello, o meglio il brutto di questa nuova, vera e propria dittatura digitale di ispirazione cinese, dove un professionista dell’informazione o un intero giornale online possono di fatto essere oscurati ad unica discrezione di una multinazionale con sede in America del Nord. Il mio commento (del quale per fortuna ho conservato screenshot per lasciare a chiunque giudicare la maniera becera, folle e dannosa con la quale Facebook gestisce le segnalazioni) è stato anch’esso rimosso immediatamente e con la solita spiegazione secondo la quale avrebbe violato gli standard della comunità.
Il contenuto, privo della minima offesa, minaccia o insulto, potete leggerlo voi stessi di seguito
L’aspetto molto preoccupante è che, appunto, queste censure arbitrarie non hanno alcuna reale possibilità di appello. Chiunque può essere giudicato, proprio come avviene nelle care e vecchie dittature, per un suo pensiero ed una sua opinione e veder sparire nel nulla, nel caso di cancellazione definitiva del profilo dovuta a ripetute segnalazioni, il lavoro fatto nel corso di anni di attività online. Come ho detto e ci tengo a ribadire, questi episodi odiosi possono capitare a chiunque ed è dunque un interesse collettivo quello di chiedere ad uno strumento tanto diffuso ed utilizzato come Facebook di adoperare filtri meno grossolani e grezzi, oltre che iniqui. Voglio infatti pensare che sia uno stupidissimo “robot” a valutare in automatico tutte le segnalazioni che arrivano giornalmente e non un gruppo di persone capaci di intendere e di volere o, magari, di “puntare” un singolo utente ritenuto scomodo o semplicemente poco simpatico e purgarlo ogni volta che se ne presenti l’occasione. In entrambi i casi, comunque, è gravissimo che un semplice termine come “idiota” o “stupido” o “cretino”, anche se inserito tra virgolette e scritto in senso esemplificativo, subisca una censura automatica, mentre pagine razziste, violente e foriere di bufale e disinformazione continuino impunite la loro attività.
GLI OBBLIGHI DI UN MONOPOLISTA E L’ABUSO DI POSIZIONE DOMINANTE
Ancora oggi, qualche persona dotata di scarsa capacità cognitiva ma stracarica di ignoranza, intona la filastrocca per bimbi scemi secondo la quale: ”Se non ti piace Facebook, non usarlo e basta”. Per farmi intendere da queste menti semplici, userò dunque una metafora. Anzi più di una metafora, partendo da alcune considerazioni che si fondano su dati di fatto e non su opinioni, antipatie e simpatie personali che nulla contano quando si parla di mercato, economia e legge. In primis, occorre considerare che Facebook non è un’azienda qualunque ma un’azienda che, di fatto, acquistando anche altre realtà come Instagram e WhatsApp, ha guadagnato il monopolio dei social network ed è seconda solo a Google per la gestione dei Big Data. Non possiamo, quindi, ottusamente convincerci che se non ci piacciono le sue assurde policy basta non usarlo. Oramai, infatti, la maggioranza delle persone utilizza Facebook per informarsi e per comunicare ed ha addirittura modificato il proprio modo di vivere il web, navigando esclusivamente o quasi sul social per antonomasia. Ergo, un operatore dell’informazione o un professionista della comunicazione online che non usa Facebok, inevitabilmente, perde un enorme fetta di pubblico e di visibilità. In questo senso, quindi, non ha scelta: deve usare questo mezzo, se vuole lavorare come gli altri suoi colleghi ed avere le stesse opportunità.
MA LE AUTORITY DORMONO?
E qui arriviamo alla metafora per menti semplici: mettiamo che, un giorno, l’ANAS decida di “bandire” per un mese un automobilista da tutte le sue strade. Ovviamente la decisione si basa su una scelta arbitraria ed iniqua, operata da un bot azionato dalla segnalazione di un altro automobilista, che ha agito per fare un dispetto al primo. Bene: per andare da Salerno a Bolzano, quindi, questo sventurato signore non potrà utilizzare la rete autostradale. Mettiamo anche che non ci siano aerei e/o treni disponibili e che l’unica, vera alternativa siano le strade interne. Una scelta diversa quindi esiste, ma è incredibilmente più scomoda e penalizzante rispetto alla prima.
L’abuso di posizione dominante, non a caso, è un concetto praticamente sacro quando si parla di “libero mercato”, almeno se per libero non intendiamo “in mano all’anarchia di oligopolisti e monopolisti”. Facebook non può semplicemente macinare miliardi di euro, eludere il fisco e vedere il suo fondatore donare decine di miliardi di dollari alla sua associazione benefica e quindi a se stesso, con in più la possibilità di non pagare le tasse sul suo sconfinato patrimonio. In un mondo normale e realmente preoccupato di tutelare il mercato libero, simili giganti digitali, dovrebbero anche avere l’obbligo di legge di assumere molto più personale per gestire i propri utenti e clienti, fornendo reali servizi di assistenza, limitando al massimo l’utilizzo di robot e quelle che definisco tecnologie ottuse e non avendo il potere di fare il brutto ed il cattivo tempo, senza temere alcuna conseguenza.
IL FUTURO (E PRESENTE) POCO RASSICURANTE
Parimenti, senza volersi lasciare andare a teorie dietrologiche troppo spinte, è agevole pensare che Facebook (così come Google) potrebbe decidere arbitrariamente e volontariamente di oscurare certi organi di stampa e di favorirne altri, di punire (tagliando la reach dei post, bloccando pagine fan e profili o penalizzandone l’indicizzazione) testate che si permettono di criticare duramente, come del resto ho fatto innumerevoli volte anche io qui su YOUng, certe pratiche e certi abusi odiosi. Ricordiamo una cosa banale quanto vera: chi controlla l’informazione e la sua erogazione, controlla le masse, le loro idee, le loro opinioni e finanche le loro azioni. Mai prima d’ora, nella nostra storia moderna e contemporanea, due sole entità mastodontiche potevano decidere il destino di qualsiasi testata online e di qualsiasi giornalista. Chi ci dice che, già oggi, parlare male di simili realtà e farlo con insistenza, non provochi ripercussioni come quelle subite dal sottoscritto? Al momento la pratica censoria sembra piuttosto casuale e cialtrona, piuttosto che mirata e volta ad imbavagliare le voci scomode. Tuttavia, se lasciamo questi giganti ancora così liberi di operare scelte più che discutibili senza incorrere in nessun controllo o tanto meno in nessuna sanzione da parte delle varie autority che dovrebbero vigilare su mercato, utenti e consumatori, il futuro che ci attende non sarà certo roseo e non solo per noi che facciamo, tra difficoltà crescenti, informazione indipendenti ma anche per coloro che usufruiscono di tale informazione, sempre più confusi e condizionati da algoritmi che dicono di voler premiare la “qualità dei contenuti” ma, nei fatti, sembrano premiare prima di tutto chi paga molto per acquistare visibilità e chi evita di denunciare certe porcate.