Si chiama “partenariato trans-atlantico per gli scambi e gli investimenti”, per gli amici (e i nemici) più semplicemente Ttip. E a dispetto del rassicurante acronimo da personaggio della Disney, è avvolto da un alone di inquietante mistero, tanto da aver convinto migliaia di persone a scendere in piazza in Francia e in Germania per protestare contro la sua attuazione, o almeno per saperne di più. In Italia il sommovimento popolare ancora non c’è stato, ma anche tra i produttori nostrani serpeggiano dubbi e perplessità per un accordo che dovrebbe garantire la libera circolazione di prodotti gastronomici tra Unione Europea e Stati Uniti con potenziali enormi conseguenze sulle economie locali, ma anche sugli standard produttivi, tendenzialmente molto stringenti nel Vecchio Continente. “Si dice che il Ttip divide la gente tra le 30 persone che da mesi ci lavorano segretamente, e gli 850 milioni che protestano per la mancanza di conoscenza dei contenuti – dice Gaetano Pasquale, presidente di Slow Food – ebbene, anche noi siamo tra questi 850 milioni. Vorremmo avere gli strumenti di lettura necessari, non li abbiamo”. Come dire: neanche i produttori, ovvero i diretti interessanti, sono al corrente dei termini esatti della questione, come confermano anche Coldiretti, Confagricultura e CoopAgri, tra le principali associazioni italiane di produttori. Che nel frattempo provano a far luce sui pochi punti che sicuramente fanno parte della questione: Ogm, salute, regole, guadagni, implicazioni sul made in Italy.
CARNI E OGM.
La sirena d’allarme fatta scattare dall’Oms per insaccati e carni rosse non si è ancora spenta del tutto, ma in pochi hanno fatto notare che il Ttip rischia di sdoganare l’approdo dagli Usa di prodotti, soprattutto carni, molto più trattate rispetto agli standard europei. Senza contare che la questione Ogm. Stefano Masini, responsabile Ambiente e territorio di Coldiretti, ed Enrico Fravilli, di Coopagri ricordano allora che “è lo stesso Parlamento europeo che raccomanda che non vi sia alcun accordo proprio in questi settori, bisognerà vigilare sul punto”. E per lo stesso Pascale “preoccupa molto la questione Ogm e carni, ma finché non sappiamo cosa conterrà l’accordo non possiamo fare valutazioni. Certo, si dice che gli Ogm resteranno fuori, ma su quali basi possiamo pensare di porre delle barriere?”.
USA VS. UE
Ma volendo prescindere dalla questione ‘salute’, a chi conviene il Ttip? Ne gioverà di più l’America o l’Europa? Il più ottimista è Vincenzo Lenucci (Confagricoltura) per il quale “il trattato non va demonizzato ma visto come una possibile opportunità al pari di tutti gli altri accordi bilaterali e multilaterali internazionali e tutto il processo di globalizzazione che sta riguardando l’economia. Guardare solo il rischio è un approccio minimalista”. Lenucci ammette comunque che “la scomparsa di barriere tariffarie porterà vantaggi soprattutto per gli esportatori statunitensi, perché noi abbiamo attualmente tariffe più alte. Quindi per l’Ue sarà meglio concentrarsi sulle regolamentazioni: oggi ci sono ostacoli statunitensi all’import che possono essere eliminati, qui si gioca il successo del trattato per l’Europa”. Ma Pascale (Slow Food) ha da obiettare, sulla scorta di un punto di vista naturalmente più ‘a km 0’: “Se vogliamo diventare altamente competitivi, il trattato può operare benefici, ma se vogliamo puntare sulla piccola scala, che è quella che ci contraddistingue, il nostro timore è che questo trattato possa mettere fuori mercato tante piccole realtà, anche volendo dare per certi gli effettivi positivi economici, che potrebbero essere appannaggio di realtà già consolidate”. Insomma: che fine faranno i piccoli produttori?
MADE IN ITALY
E a proposito di made in Italy, che impatto avrà il Ttip sul ‘marchio Italia’. Masini (Coldiretti) prende ad esempio il trattato già negoziato con il Canada “e suscettibile di ratifica, nel quale l’Italia vedrebbe oggi riconosciute 274 indicazioni, 100 in meno di quelle esistenti. Non è forse una forma di limitazione?”. E anche se tra gli indubbi vantaggi del Ttip ci sarebbe quello del netto giro di vite contro la falsificazione di marchi dop italiani (olio e formaggi sono tra i prodotti più imitati) Slow Food ricorda che “solo quest’anno abbiamo registrato un + 4 miliardi di export, proprio perché siamo piccoli e inseguiamo l’elevazione della qualità: così rischiamo di uscirne con le ossa rotte. Senza contare le politiche sostitutive”.
POLITICHE SOSTITUTIVE.
Di cosa si tratta? E’ presto detto. I Paesi di maggiore esportazione per l’Italia sono Germania e Regno Unito, e l’introduzione con il Ttip di prodotti in arrivo da Oltreoceano avrebbe un impatto, appunto, ‘sostitutivo’ dei prodotti italiani anche in Europa. Si tratta, a ragione, di uno dei fattori più temuti dai produttori italiani. Anche se il responsabile di Confagricoltura Vincenzo Lenucci non è così pessimista, contando sulla peculiarità della produzione italiana, che tenderà a rimanere inimitabile: in tal senso “le politiche di sostituzione potrebbero sfavorire più i Paesi del Nord che i prodotti mediterranei”.