Da un lato ci sono gli utenti che vogliono contenuti esclusivi e di qualità insieme ad un user experience fluida (e quindi con zero o comunque pochissima pubblicità) e non sembrano avere intenzione di pagare per assicurarseli; dall’altra ci sono i giganti del web, Google, Apple e Facebook, che si stanno dando battaglia per cercare di spremere il più possibile e ad ogni costo ogni persona che connessa ad internet. Nel centro ci sono gli editori indipendenti che rischiano in maniera mai così evidente e drammatica di sparire, vedendo il web tramutarsi in una grande televisione interconnessa dove le big company controllano la fruizione delle informazioni e dove è visibile solo chi può permettersi di generare enorme traffico ed investire centinaia di migliaia e milioni di euro per acquistare visibilità.
Del resto, qualche tempo dopo lo scrivente, anche John Herrman su The Awl ha scritto senza mezzi termini (ma con molte preoccupazioni) che “Il futuro del web è la tv”. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di spiegare al meglio cosa sta accadendo e come, a nostro avviso, internet si stia “involvendo” verso un sistema molto, troppo simile a quello proposto dagli old media.
IL MONOPOLIO DI GOOGLE SULLA PUBBLICITA’ ED I SISTEMI CHIUSI DI APPLE
Partiamo da Google, che gestisce circa il 90% della pubblicità online, tra circuito Adwords e Adsense ed ha un meccanismo di remunerazione incredibile, che di fatto permette di gestire due canali di revenue che si auto-alimentano vicendevolmente.
Mi spiego meglio: per portare traffico sul vostro sito internet voi pagate Adwords. Per monetizzare le visite che portate sul vostro sito, usate invece Adsense. Quindi succederà, ad esempio, che vi troverete a pagare 1 euro CPC (ovvero 1 euro per ogni click portato da Google sul vostro portale) e a monetizzare tali click con Adsense. In ogni caso è Big G che ci guadagna, due volte appunto. E le cifre sono paurose. Ergo Google fa soldi, tantissimi soldi, con le ricerche online e la navigazione sui siti internet. Questo è il suo core business, praticamente da quando è nato. Un core business che fino a qualche anno fa nessuno era in grado di minacciare seriamente, neppure tra le altre multinazionali della Silicon Valley.
Oggi però esiste il “traffico mobile”, ovvero quello che arriva in prevalenza dagli smartphone. E’ un traffico in crescita costante, che porta anch’esso revenue crescenti. E qui entra in gioco Apple, che con il suo ultimo aggiornamento di iOs e Safari fa la parte del leone tra i browser su mobile. In altri termini sempre più persone utilizzano apparecchi Apple e browser Apple per navigare in rete e visitare social e siti internet. E proprio attraverso i browser, con gli adblocks dei quali tanto si sta (giustamente) discutendo, soprattutto all’estero, si gioca la battaglia tra titani, con la mela morsicata che tenta di monetizzare con i propri annunci ed il proprio sistema molto chiuso a danno di Google. Gli adblockers proposti nell’Apple Store, infatti, bloccano tutti gli annunci, tranne quelli approvati da Apple (e chi l’avrebbe mai detto?). Ma non è finita qui, perché da Cupertino, con il nuovo iOS 9, hanno implementato un sistema di navigazione in rete che ti suggerisce risultati di ricerca utili a portarti su Apple News o sulle stesse app dello store. Insomma: tu digiti una keywords sul tuo I-Phone, ed il telefono ti porta sempre più lontano da Google e da quello che può considerarsi “il vecchio internet”.
In che senso? Nel senso che, come detto, verrai indirizzato in maniera sempre più insistente su piattaforme “interne” come appunto Apple News o nell’Apple store per scaricare qualche nuova app, con una navigazione sempre più “forzata” per farti rimanere all’interno dell’ambiente iOS.
E’ chiaro quindi che da Cupertino stiano tentando di creare una sorta di web alternativo a quello conosciuto ed ampiamente utilizzato fino ad oggi. Un web ben recitantato che guida in maniera sempre più preminente le scelte dell’utente.
FACEBOOK NON STA A GUARDARE, ANZI…
In tal senso Facebook non è da meno, soprattutto se consideriamo la storiella finto-umanitaria di “internet.org”, un progetto che in barba alla net neutrality, alla privacy ed alla sicurezza degli utenti mira a portare non il web in senso lato ma proprio (ed esclusivamente) Facebook ed i suoi servizi nei paesi poveri. Il progetto iniziale, che non a caso ha suscitato accese proteste in tutto il mondo, prevedeva infatti di garantire accesso libero solo ai servizi ed alle app del social in blu. Per la navigazione sul resto di internet, si sarebbero dovuto pagare. La cosa più preoccupante, però, era probabilmente la partnership che Mark voleva prendere con gli ISP, ovvero con il mezzo attraverso il quale le dittature (e i governi) di tutto il mondo controllano la rete. In altre parole, anche l’inventore di Facebook sta cercando di creare un proprio internet ridotto, più controllato e meno accessibile a chi non può permetterselo ma con la precisa intenzione di coinvolgere le fasce più povere (e tendenzialmente meno istruite e facilmente manipolabili) della popolazioni che sono ancora non connesse o poco connesse. Nulla di “umanitario”, nulla di “innovativo”. In Valley hanno un unico valore a cui sono consacrati: il profitto infinito e senza sosta.
Ma sempre a proposito di Facebook ed informazione, questa volta rimanendo nel mondo ricco dove la net neutrality ancora resiste, c’è da dire che il colosso americano ce la sta mettendo tutta per trasformarsi in un luogo virtuale nel quale gli utenti rimangono inchiodati più a lungo possibile, senza visitare altri siti, o meglio visitando solo quelli che pagano (tanto) per farsi visitare. Da Istant Article a Notes, insieme ai nuovi cambi di algoritmo che penalizzano sempre più i link esterni in favore di status, foto e soprattutto video, il segnale è chiaro: Facebook vuole diventare una sorta d’organo d’informazione ed intrattenimento in grado di catturare sempre più attenzione (e tempo passato online) dei suoi utenti. In questo, sarà ed in buona parte già è concorrente diretto di quelle testate che oggi lo finanziano cospicuamente per promuovere i propri articoli.
IL BAGNO DI SANGUE DEGLI EDITORI MEDIO-PICCOLI
La situazione che si prospetta per i media indipendenti alla luce di questa battaglia tra giganti ingordi, è ben sintetizzata da un passaggio dell’ottimo pezzo scritto da Nilay Patel su The Verge: “the collateral damage of that war — of Apple going after Google’s revenue platform — is going to include the web, and in particular any small publisher on the web that can’t invest in proprietary platform distribution, native advertising, and the type of media wining-and-dining it takes to secure favorable distribution deals on proprietary platforms. It is going to be a bloodbath of independent media”
Tradotto in sintesi, significa che questa guerra cambierà internet e rappresenterà un bagno di sangue per tutti gli editori indipendenti ed in generale per quelli che non hanno budget (tanto budget) disponibile per creare piattaforme avanzate e proprietarie, facendosi poi ampia e costante promozione per acquisire visibilità. E di questo aspetto ne ho parlato in un altro editoriale dove analizzavo il caso italiano di Fanpage,it e delle cifre considerevoli che il gruppo Ciao People spende per assicurarsi il giusto traffico proveniente proprio da Facebook.
Ancora una volta, dunque, come sottolinea anche il sempre acuto Evgeny Morozov sul Guardian, ci duole riscontrare come dalla Silycon Valley ben più che l’innovazione arrivi una sempre più insistente opera di demolizione della social-democrazia. Del resto, quando l’unica cosa che conta sono i soldi guadagnati ed il profitto tendente all’infinito e non c’è spazio per nient’altro, non ci troviamo dinanzi alla semplice teoria capitalista ma al cospetto di una sua degenerazione delirante, megalomane e priva di umanità e reale spirito rivoluzionario.
ALTRO CHE MORTA: LA TV HA VINTO
L’internet di domani, come già detto, rischia quindi seriamente di essere molto meno aperta, molto meno neutrale e molto meno differente dalla televisione rispetto a quella che abbiamo conosciuto. E, a proposito di quest’ultima, anche noi che viviamo di web e comunicazione digitale, piantiamola di dire che “la tv è morta” e che “la rete ha vinto”. La tv non è per niente morta e, anzi, ancora nel 2015, serve inesorabilmente a consacrare anche le cosiddette “webstars”. Dai Guglielmo Scilla ai Frank Matano, passando per i Francesco Sole e i Favij, sono difatti tv e cinema che consegnano la celebrità mediatica completa a chi nasce e diviene famoso in rete. Diremmo, senza timore di smentita, che è ancora la televisione l’obiettivo di molti di quelli che cercano e trovano fama su internet. Anche considerando Beppe Grillo e Marco Travaglio, con i loro rispettivi progetti d’informazione digitale, è impossibile non notare che grossa parte del loro successo immediato è da attribuirsi alla loro ampia e continuata presenza televisiva, sulle reti che contano. Insomma: il web, più che alternativa alle formule del vetusto “mainstream”, sembra comporarsi da ancella di quest’ultimo e da sistema complementare e non antagonista. Complementare, ma in forma ancora minoritaria, visto che è ancora la tv a portare ulteriore visibilità a chi lavora online e non certo vicerversa.
E sarà per questo, probabilmente; per questo intrinseco “prestigio” che riconosciamo ai media che concedono una visibilità molto selettiva e molto poco “dal basso”, che i più grandi operatori del mercato online dell’informazione e dell’intrattenimento mirano in maniera sempre più chiara a rendere internet via via più simile a quello che un tempo chiamavamo “tubo catodico”. Che ciò sia molto poco positivo per il mondo “indie” ed in generale per il pluralismo dell’informazione e per la libertà della stessa da manipolazioni di sorta (Facebook potrebbe ad esempio “oscurare” il nostro network di fanpage a sua discrezione e farci perdere il 40% del traffico in un istante), sembra abbastanza chiaro anche agli occhi di chi, quando anni fa su questo sito lanciavamo l’allarme e prevedevamo un calo sensibile di traffico su tutti i portali medio-piccoli, ci scherniva.
Ora le risate sono finite e restano, probabilmente, solo le lacrime.