Tanto vale dirlo tutto d’un fiato: quella crema o quel dopobarba dal profumo delizioso che abbiamo usato per anni potrebbero essere pieni di derivati petroliferi, siliconi, sostanze tossiche. Se questo monito non risulta inedito non è suggestione ma equazione: il totale dei consumi di cosmetici in Europa è pari a 2 milioni di tonnellate per anno; ogni giorno vengono immesse nell’ambiente 5.100 tonnellate di prodotti cosmetici.
Un utilizzo ingente e costante, per cui era chiaro che, in un’epoca così orientata al biologico, risultasse spontaneo valutarne origine ed effetti (secondo Federbio nel 2014 il fatturato relativo all’alimentazione biologica è cresciuto dell’8% rispetto al 2013; la recente ricerca dell’Osservatorio Sana 2015 a cura di Nomisma certifica che la quota di famiglie che almeno in un’occasione ha comprato un cibo bio si attesta al 59%).
Ormai si fa un gran parlare delle ombre e dei rimedi in fatto di cosmesi e sempre più dell’alternativa che rappresenta la cosmesi ecobio. Sono sempre meno i consumatori disposti a chiudere un occhio sulla discutibilità di certi elementi, spesso inseriti in prodotti cari, certamente avvolti da un ottimo packaging, protetti da un brand altisonante, ma, dannosi, o inutili. Secondo l’ultimo rapporto presentato il 1° luglio a Expo dal Gruppo cosmetici erboristeria di Cosmetica Italia, il 25 % dei consumatori è attratto dai preparati bio, green e naturali.
La pelle non perdona e non dimentica, portiamo i segni di quello che ci è successo. – spiega la Dottoressa Pucci Romano, Medico Chirurgo, specialista in Dermatologia, Docente di Tecniche Dermatologiche Applicate alla Cosmetologia all’Università Cattolica Sacro Cuore di Roma – Un concetto principale è che la pelle non è un rivestimento ma un organo e in quanto tale è inimmaginabile non aspettarsi una reazione nell’applicarle qualcosa su. La pelle è tramite tra interno ed esterno e su questo aspetto non c’è ancora abbastanza attenzione. Un esempio? Incredibilmente ci sono studi legati all’azione negativa dell’inquinamento sull’apparato digerente o respiratorio e non sulla pelle, che è il primo organo che impatta con l’ambiente. Stiamo infatti provvedendo a svilupparlo noi, con Skineco.
Di cosa si occupa Skineco?
Skineco è un’associazione scientifica che ha come perno i dermatologi, ma anche formulatori chimici, farmacisti, cosmetologi e certamente anche consumatori, dal 2008 portiamo avanti il concetto di ecodermocompatibilità, coniugando il concetto di ecologia a quello di dermocompatibilità: va bene la parte pulita dei componenti ma è altrettanto importante che faccia bene alla pelle e non produca spiacevoli reazioni. La cosmesi è una scienza.
Quello che viene definito “il passaggio all’ecobio”, con maggiore o minore slancio estremista, semplicemente prevede l’orientamento dei propri consumi in termini di cosmesi e make up su prodotti da derivazione botanica biologica e naturale biodegradabili. Suona come una conversione, un processo irreversibile e contagioso, tanto più che il modello di sviluppo perseguito fino a oggi non è più sostenibile. Basta osservare i composti: creme con effettivi principi attivi, mascara senza alcol, smalti senza formaldeide, balsami con reale olio di Argan o Macadamia, tanto per fare qualche esempio. Non resta che testare i più adatti alle proprie esigenze e poi osservare gli esiti. Per tutti coloro che sono scottati dai salassi che impongono i grandi marchi, i prezzi sono accessibili a tutte le tasche, il web è pieno di ottimi shop on line che effettuano spedizioni in ogni parte d’Italia e sono sempre più disseminate sul territorio vere e proprie bioprofumerie.
Inoltre è in atto un vero e proprio fenomeno di “democratizzazione” della cosmesi bio nella grande distribuzione e sempre più spesso nei supermercati o nei discount si trovano prodotti ben formulati o addirittura dotati della certificazione Icea, il consorzio più importante in Italia, che controlla e certifica aziende che svolgono la propria attività nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente.
Con questa piccola rivoluzione in atto, anche i prodotti storicamente non certo naturali hanno iniziato a migliorare la qualità degli ingredienti: Sta accadendo una cosa importantissima. – continua la Dottoressa Romano – La coscienza del consumatore sta imponendo delle regole al marketing e anche la grande distribuzione sta iniziando ad adeguarsi. Insomma la vera rivoluzione non è endogena, ma interna al mercato e la fa il consumatore: alla base di tutto c’è la consapevolezza, il senso di appartenenza ad una problematica, così com’è accaduto con il fenomeno “allergico” rispetto all’olio di palma o alla progressiva eliminazione delle buste di plastica non biodegradabili.
Attenzione! – allerta la Dottoressa – Sempre più spesso leggiamo “senza parabeni” sulle etichette. Le aziende non si vantino di aver tolto dai loro prodotti i parabeni: sono tendenzialmente obbligati, perchè i parabeni sono dei perturbatori endocrini. Esiste una normativa che impone la limitazione o l’esclusione di queste sostanze tossiche. La Dottoressa fa riferimento al Regolamento 1223/2009 entrato in vigore nel 2013, che ha sostituito integralmente la “Direttiva cosmetici” del 1976, riordinando l’intero settore della cosmesi e introducendo un importante rafforzamento del livello di tutela dei consumatori, sia sul piano della salute e dell’informazione che in tema di sicurezza dei prodotti e di divieto di sperimentazione sugli animali. Tuttavia il Regolamento ha ancora delle lacune: non si pronuncia sulla dermocompatibilità e tanto meno sulla tossicità nei confronti degli organismi acquatici e sulla biodegradabilità. Una recente proposta di legge (a firma del presidente della Commissione Ambiente Ermete Realacci ed elaborata in collaborazione con Skineco) potrebbe risolvere questa mancanza della norma europea e servire da stimolo per gli altri Paesi della Ue.
Particolare curiosità è che le leggi che governano il mondo della detergenza sono infinitamente migliori di quelle che si occupano di cosmetici: per i detersivi esiste un Regolamento Europeo che stabilisce che i tensioattivi usati devono essere velocemente e rapidamente biodegradabili, ma non si può dire lo stesso a proposito delle sostanze utilizzate per i cosmetici.
Ad ogni modo la rivoluzione è in atto: Prodotti completamente inefficaci, ma carissimi, sono stati tolti dal mercato perché i consumatori cominciano a capire di essere presi in giro – spiega Fabrizio Zago, chimico, esperto di detergenza, consulente di Ecolabel (il marchio dell’Unione europea di qualità ecologica che premia i prodotti e i servizi migliori dal punto di vista ambientale) e ICEA, ideatore e fondatore del Biodizionario. Quest’ultimo è uno strumento insostituibile, utile anche al più inesperto tra i consumatori, affinchè possa destreggiarsi nella lettura di quello che comunemente è chiamato Inci, (International Nomenclature of Cosmetic Ingredients). L’Inci è la nomenclatura utilizzata a livello internazionale per identificare gli ingredienti presenti in un prodotto cosmetico: Sul Biodizionario sono catalogate oltre 5.000 sostanze. – continua il professor Zago – Vicino ogni ingrediente si trova un pallino verde, giallo o rosso che rivela maggiore, minore o non accettabilità, in tema di rispetto per la propria pelle e per l’ambiente.
Quali sono i principali componenti sospetti, da cui cercare di stare alla larga? Intanto da Tensioattivi derivati dalla raffinazione del petrolio (Sodium laureth sulfate); ingredienti derivati dal petrolio (Paraffinum Liquidum, PEG e PPG, Mineral Oil, Petrolatum…), contenuti spesso sia nelle creme di maggiore consumo, ma anche nei prodotti destinati ai bambini; ingredienti altamente inquinanti (EDTA, MEA, TEA, MIPA); ingredienti altamente tossici (Triclosan); e infine loro, i famigerati Siliconi (Dimethicone), inquinanti e occlusivi, in grado di creare una pellicola su pelle o capelli (proprio come il Saratoga). Un percorso a ostacoli, quindi? No, basta un minimo di consapevolezza.
Se un prodotto non funziona o fa male al livello dermico bisognerebbe impedire che il business possa fare male al livello fisico, è ovvio no? – continua il Professor Zago – Il principio da cui parto io è che se una sostanza non ecocompatibile può essere sostituita da una che lo è, si deve assolutamente adottare quest’ultima. Un ingrediente considerato da evitare in posizione molto bassa nell’Inci (quindi alla fine dell’elenco degli ingredienti), ovviamente avrà un’invasività minore rispetto a una sua eventuale collocazione in alto, essendo i componenti elencati in ordine decrescente (da quelli contenuti in maggior percentuale fino a quelli contenuti in minore quantità).
Questa materia è così largamente in ascesa che sul web è tutto un fiorire di blog (al di là chiaramente di quelli storici, come il Forum di Lola e Saicosatispalmi, che realmente sono stati il luogo di ritrovo virtuale fertile per la propulsione delle tematiche). Molte ragazze sono “iniziate” da Carlitadolce, la quale conta circa 256mila iscritti al suo canale Youtube. Sparsi in rete ovunque si trovano siti dedicati al cosiddetto spignattamento, ovvero crearsi i cosmetici in casa con le proprie mani.
Questa storia dello spignattamento non mi convince molto. – sottolinea l’ideatore del Biodizionario – Per evitare un’ipotesi di malessere causato da un prodotto della multinazionale, si rischia di fare peggio. In casa non si hanno le caratteristiche di pulizia e gli strumenti di precisione equivalenti a quelli di un laboratorio professionale. Ci sono piuttosto delle piccole attività, senza chiamarle spignatto, che possono fare tutti. Per esempio un’ottimo struccante è il latte di mucca: non si rischia così di sbagliare il pH e realizzare dei saponi caustici.
Ci sono doverose precisazioni da fare, dunque: “da un lato non tutto ciò che ha il suffisso “bio” è garanzia di affidabilità: per citare uno di questi casi non credete a chi si fa grande esponendo il marchio dei “coniglietti” – cruelty-free – perchè è anacronistico. Ad oggi un prodotto di una multinazionale o di un fabbricante etico sono perfettamente uguali dal punto di vista dei test sugli animali semplicemente perchè è vietato per legge. Inoltre non tutti coloro che parlano di bio ne sono in grado. Siamo alla mercè di moltitudini di mietitori di fumo, sarebbe utile introdurre la certificazione dei siti, dato che si ha a che fare con la salute delle persone, conclude il professor Zago.
Al riparo inoltre, da eccessi di ogni specie: L’azione dei prodotti ecobio è molto individuale. – aggiunge la Dottoressa Pucci Romano – Quello che è valido per sé non è altrettanto valido per l’altro. Una composizione botanica al 100% potrebbe essere irritante per le pelli sensibili. Per questo Skineco offre alle aziende la possibilità di effettuare dei test sull’ecodermocompabilità: da un lato l’Inci deve rispondere ai canoni di biodegradabilità, dall’altro il prodotto deve essere vagliato da test di citotossicità. Conclude il Dottor Zago: Purtroppo ci si è dimenticati che in “natura” si trova anche il petrolio, il cianuro e la cicuta. Occorre prestare enorme attenzione agli oli essenziali, prodotti che danno allergie, intossicazioni. L’olio essenziale estratto da una pianta è talmente ricco di principi attivi, che funziona “troppo”: se non è usato sapientemente provoca problemi. Insomma affidiamoci ad aziende serie, non improvvisiamoci e ricordiamoci che “è la dose che fa il veleno”.