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Sharing economy e salute: nasce la “medicina connessa”

Postato il Agosto 17, 2015 Annette Palmieri 0

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Se siete affetti da una malattia cronica “silenziosa” come il diabete, l’ipertensione o l’obesità, saprete benissimo che le vostre scelte di vita sono probabilmente di fondamentale importanza per la salute. A tal proposito, immaginate di poter essere in costante contatto con il vostro medico senza dovervi recare in ospedale o al suo ambulatorio; fantastico no?  Ebbene, la tecnologia è arrivata anche a questo punto grazie ad una parola magica: la connettività. Con questo termine assolutamente generico si porta la medicina oltre i confini tradizionali tramite gli strumenti del web. Ad esempio, utilizzando la telemedicina a distanza, che permette di monitorare l’andamento della salute del paziente, gli specialisti sono in grado di fornire assistenza virtuale. Inoltre, si stanno sviluppando applicazioni per dispositivi mobili, inclusi gli smartphone, in grado di inviare messaggi in tempo reale circa il proprio stato di salute e di monitorare il regime farmacologico dei pazienti.

La medicina connessa ha l’obiettivo di cambiare il modo in cui ci si cura, fornendo alle persone tutti gli strumenti a loro necessari per gestire la propria cura migliore. Questo è possibile grazie all’estrazione dei dati dalle cartelle cliniche dei pazienti rispetto alle singole aree di miglioramento per la creazione di nuove soluzioni. Un esempio: identificare dei pazienti con diabete scarsamente controllato e fornire loro delle applicazioni per monitorare l’andamento della malattia e registrare altri dati importanti come la dieta alimentare e l’esercizio fisico.

E IL RAPPORTO “MEDICO-PAZIENTE”?

Cosa ne sarà del rapporto medico- paziente? Con questa tecnologia sembra che si elimini la necessità di visite faccia a faccia insieme ai suoi benefici. In realtà, secondo gli studi condotti da Joseph Kvedar, vice presidente di Connected Health e professore dermatologo alla Harvard Medical School, sembra che con un pre-esistente rapporto medico-paziente sano e consolidato, la cura virtuale possa essere considerata addirittura un vantaggio in grado di rafforzare tale rapporto, perché la convenienza di questo tipo di cure è vista come un’estensione del contatto fisico; come un elemento che potenzia quindi il dialogo tra le parti e lo rende più continuativo e meno stressante. Questo studio ha anche scoperto che le visite virtuali sono state ben accolte dai pazienti e considerate convenienti in termini di risparmio di tempo. Le prossime ricerche si concentreranno sulla cura virtuale in assenza di un rapporto già instaurato.

Attualmente l’entusiasmo verso le tecnologie indossabili che hanno lo scopo di migliorare la salute è proprio dei consumatori informati. Queste persone, in genere, sono già motivate e in buona salute; gli operatori sanitari stanno cercando di estendere questi strumenti alle persone meno in forma e meno motivate. Attraverso la ricerca condotta dal Dottor Kvedar, si è appreso che i pazienti rispondono bene rispetto all’estrazione dei propri dati sanitari personali come la pressione sanguigna, il livello di zucchero nel sangue, monitoraggio delle attività per l’obesità, raccolti tramite un sensore di monitoraggio remoto, insieme a un check-in regolare fatto da un infermiere o dal farmacista. Ci sono ancora alcune persone che rifiutano di partecipare a questa esperienza e si stanno elaborando programmi per capire cosa spinga gli individui a impegnarsi nella cura della propria persona e cosa invece freni questa attività.

GLI STATI UNITI SONO IL CANTIERE DI PARTENZA

Per cavalcare l’onda, negli Stati Uniti stanno nascendo delle società che offrono servizi medici a chiamata, come Pager, una startup nata per portare il medico a casa dei newyorkesi entro due ore dalla chiamata. C’è poi Medzed che permette tramite una mail o l’applicazione mobile di reclutare un medico in caso di emergenza. Infine citiamo True North, il servizio a disposizione dei cittadini americani che risponde alle chiamate considerate non urgenti dal 911 (il numero per il pronto soccorso negli States). Questa nuova tendenza dell’imprenditoria esprime a pieno il concetto tanto discusso della sharing economy e, a tal proposito, sta provando ad inserirsi fruttuosamente nel trend anche un’altra nota startup, che ha fatto parlare di sé proprio poichè accusa di aver operato con una distorta applicazione della filofofia dello sharing. sParliamo di Uber che, al momento solo negli Stati Uniti, ha integrato un nuovo servizio: oltre che utilizzare l’applicazione per cercare un driver che vi porti verso la vostra meta, sarà possibile utilizzarla anche per portare il medico a casa vostra e farvi curare. In tempi di magra, proteste e sanzioni, la società si addentra in un nuovo e redditizio business nella speranza di risollevarsi dalle ultime batoste giuridiche ed economiche.

Autore

  • Annette Palmieri
    Annette Palmieri

    Nata e cresciuta in provincia di Napoli, la testa sempre altrove in luoghi non ben noti. Ho scelto il campo della comunicazione senza pensarci troppo, è l'unico contenitore in cui io possa riversare le mie passioni e le mie attitudini. Amo: la tecnologia, gli animali, la cucina, i fiori, i treni, la lettura, il cinema, Twitter, gli elenchi. Sono una persona logorroica, riflessiva, pratica, volenterosa, un po' Lucy Van Pelt. Preferisco lavorare in gruppo, il lavoro individuale non mi stimola. So scrivere senza guardare la tastiera, non so guardare la tastiera senza scrivere.

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#connettività#medicina connessa#Salute#Satira#servizi medici a chiamata#sharing economy#Uber

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Annette Palmieri

Nata e cresciuta in provincia di Napoli, la testa sempre altrove in luoghi non ben noti. Ho scelto il campo della comunicazione senza pensarci troppo, è l'unico contenitore in cui io possa riversare le mie passioni e le mie attitudini. Amo: la tecnologia, gli animali, la cucina, i fiori, i treni, la lettura, il cinema, Twitter, gli elenchi. Sono una persona logorroica, riflessiva, pratica, volenterosa, un po' Lucy Van Pelt. Preferisco lavorare in gruppo, il lavoro individuale non mi stimola. So scrivere senza guardare la tastiera, non so guardare la tastiera senza scrivere.


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