Non è solo una questione di amore per gli animali, Il mio cane del Klondike di Romana Petri (Neri Pozza) e questo forte richiamo a Jack London che il titolo ci mette sotto gli occhi. Letto e riletto, nella conferma delle emozioni e delle riflessioni, si direbbe piuttosto e soprattutto, una questione di compassione, di bisogno di amore da una parte, di accudire dall’altro. O, con semplicità, di donare a chi amore non ne ha ricevuto una possibilità vera di questo sentimento.
Osac, Osacchio, o Osacchino, come piace chiamarlo a Romana nel suo romanzo, non sarà di certo il suo cane più amato, confessa l’autrice stessa nel lungo racconto, eppure – e difatti senza togliere nulla a questo cane – Romana ha e mostra nei suoi riguardi un’attenzione tanto profonda da attribuirgli anche un cognome; è così che durante una cena, dopo aver assaggiato della crème glacée, Osac finirà con il chiamarsi Monsieur Osac Trofic.
Ma da dove arriva questo “monsieur”? La Petri dedica tutta la prima parte di questo romanzo al racconto del loro incontro, della loro convivenza, di quella che diviene la loro conoscenza nel modo intimo con cui un cane e una persona si legano tra loro. Ma Osac non è un cane qualsiasi. (Ha persino una voce e parla, ma non usa le vocali). E’ vero, non è un cane qualsiasi.
“Quel cane sembra una valanga”, “Povero bestiolone solo al mondo. Povero bestiolone mio”, “Dovevo provare a educarlo…”, “Quel cane era toccato a me. Quel cane era stato preso da una famiglia che alle prime difficoltà lo aveva abbandonato affinché lo trovassi io”. Ecco da dove arriva questo cane. La sua è una storia di abbandono. La vicenda di un cane difficile, selvaggio, con comportamenti eccessivi, fuori dal comune, la vicenda di un cane difficile perché abbandonato dai padroni e prima trovato, poi preso da Romana. Romana dunque di Osac non diventa una semplice padrona, nel modo in cui un uomo si dice sia padrone del proprio cane.
No, Romana lo deve educare, insegnargli che esiste una possibilità d’amore anche per lui, sceglie dunque con dedizione, di insegnarli, nel tempo, con pazienza, a non aver paura quando lei esce da casa; e pure, deve fargli capire come si vive in quell’appartamento, deve trovare il modo di trasformare questa storia di abbandono in una storia d’amore, attraverso la cura e l’attenzione che ha per Osac, con un rapporto che sembrerebbe tra loro esclusivo e amorevole. Questo cane è pauroso, teme così tanto l’abbandono che quando Romana non c’è, e va a scuola, lui non sa attendere. Trova il modo di scappare, di andare a cercarla… Ci vorrà del tempo, quello necessario, sembrerebbe perché Osacchio acquisti fiducia nei confronti della sua padrona e così inizi persino a sognare di notte.
Ma Osac dovrà fare i conti con una grande novità e anche lì mostrerà, da una parte il suo amore per Romana, “Lui, che da quando ero madre nemmeno mi saltava più addosso”, dall’altra la gelosia nei confronti dell’autrice per questo bambino che, secondo i comportamenti del cane, parrà mettersi tra lui e l’autrice.
La tenerezza che domina le pagine di questa parte del romanzo è pari alla forza con cui l’autrice tenterà di “dividersi” tra l’uno e l’altro, finché padrona di questa storia diviene una nuova separazione. Una separazione che non è un abbandono, una separazione che Osac deve subire, a cui Romana non si può sottrarre. Osac non può più vivere con questo bambino. Una convivenza che un veterinario dice potrebbe rivelarsi pericolosa.
Ed è da questo momento che in poi che il romanzo si trasforma nel racconto di una maternità, “Non smettevo di diventare madre” racconta la Petri, eppure in questa sua nuova vita, nel suo diventare madre ogni giorno continuava a pensare a Osac, a parlarci al telefono, ad andare a trovarlo lì dov’era – in campagna dalla madre.
E’ curioso ed è interessante come questo lungo racconto della Petri durante tutta la narrazione non perda mai una certa forza, quella che la accompagna prima nella scelta di accudire e prendersi cura di Osac, quella che poi narra una separazione necessaria che ancora una volta viene narrata con intelligenza e maestria attraverso la vita e i comportamenti di Osac.
Il mio cane del Klondike è il romanzo di una storia d’amore, è il racconto di una maternità, ma sono anche le pagine in cui il lettore proverà compassione, amore, tenerezza per questo cane riconoscendo in questa storia tutta la volontà dell’essere umano di non sottrarsi ad aiutare un cane. E’ un racconto drammatico senza dubbio, ma anche sorprendente, quando narra del come i cani sanno affidarsi e donarsi agli uomini – nel modo in cui le persone, fatte anche di filtri e barriere, tra loro non sono forse capaci.
E poi c’è un’energia, una forza, nel modo non comune e meraviglioso con cui Romana, in fondo, tenta di mettere ordine alla vita di Osac, quel cane a cui ciascun lettore a fine lettura vorrà bene, quel cane, Osac, si ricordi, il cui nome è difatti l’anagramma di Caos.
Il mio cane del Klondike sarà presentato il 1 dicembre a Cave all’interno della seconda edizione del Gruppo di lettura day con Romana Petri e Isabella Borghese.
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