É usanza antichissima ricordare la morte di qualcuno attraverso la sua immagine. Nel culto dei defunti però, l’immagine di chi è scomparso non ricorda la condizione presente del suo corpo, sarebbe terribile, ma quella passata e assente, quella che ha motivo di essere ricordata perché vissuta. Questa convenzione avviene perché nel ricordo della morte di qualcuno a noi caro, ciò che torna alla mente è proprio l’opposto, ossia la sua vita nel mondo dei vivi…
Il 10 marzo è l’anniversario della morte di Jan Girard, in arte Moebius, nato l’8 maggio del 1938. Tuttavia quel giorno naque, a Nogent-sur-Marne in Francia, solo una parte di ciò che ha rappresentato il cittadino Girard, l’altra metà verrà alla luce nel 1963, sulla rivista francese Hara Kiri, e assumerà il nome di Moebius. Entrambi morirono oggi, quattro anni fa, nel 2012.
Moebius è il nome di battesimo anche dello scienziato (August Ferdinand Möebius 1790-1868) che scoprì il nastro omonimo. Tale nastro rappresenta una superficie non orientabile, in cui è presente un solo lato e un solo bordo. Dopo aver percorso un giro, ci si trova dalla parte opposta e solo dopo averne percorsi due ci ritroviamo sul lato iniziale. Un sorta di nastro ritorto, una metafora semplice e precisa che descrive efficacemente il lavoro dell’artista dal momento in cui incominciò a disegnare come Moebius.
Liberatosi da un mondo confinato, come lo è la dualità sceneggiatore/disegnatore nel mondo del fumetto, Girard è voluto diventare Moebius, creatore di nuove strutture narrative, dove non esiste nessun tipo di sceneggiatura, dove il fondamento è la scrittura automatica, un proseguimento del disegno seguendo il percorso delle idee e non una fissa tabella di marcia. Da questo punto di vista si potrebbe inserire Moebius nella Storia dell’arte come l’ultimo grande Surrealista che si avvalse degli insegnamenti di André Breton. Nelle strutture narrative delle storie di Moebius non ci sono regole comunicative, ma tutto si svolge come in un sogno: senza inizio né fine. Così ad esempio, nel volgersi degli eventi, personaggi seguiti per più tavole e a cui si erano attribuiti ruoli da protagonisti, si perdono di vista; si vengono a sovvertire perciò i nessi causali che contraddistinguono una normale narrazione.
Il Garage Ermetico, un intreccio di storie uscite a puntate sulla rivista Métal Hurlant tra il 1976 e il 1980, rappresenta il punto più alto di questa rivoluzione creativa, che ha origine da necessità individuali, esistenziali. In quest’opera vengono a fondersi diversi livelli di lettura, in cui concezioni metafisiche proprie degli indiani d’America (il Nagual) possono venire a confrontarsi con la politica e il controllo del potere nelle società organizzate. L’assenza di una comunicazione lineare e l’attitudine per nuove strutture narrative, non significano infatti per Moebius un disinteresse nei confronti del mondo contemporaneo.
In linea con il Surrealismo storico, la denuncia sociale è spesso presente nelle storie dell’artista, come dimostra Incubo bianco (1974), forte e onirica denuncia del razzismo xenofobo, caratteristica subdola e sempre presente in una parte della vecchia Europa.
In fondo Girard e Moebius non possono fare a meno l’uno dell’altro. Se Moebius rappresenta la parte più irrazionale, quella più legata alla dimensione onirica e fantascientifica, la funzione di Girard è quella di ricordarci quanto è importante la realtà nella costituzione del sogno. Le due anime fanno parte di un unico processo creativo.
La scrittura automatica non riguarda solo il contenuto delle storie di Moebius, ma è elemento distintivo anche della loro forma. Moebius è in primo luogo un abilissimo disegnatore, a cui piace disegnare senza preoccuparsi di portare avanti uno stile definito, nel quale è invece necessario escludere il più possibile il controllo dell’orizzonte creativo. Così le illustrazioni delle sue storie possono svolgersi in tempi ristretti, oppure molto dilatati; in cui le tavole successive sembrano ignorare quelle precedenti. Il tratto da pulitissimo e grafico diventa di colpo pieno di sfumature, mostrando un chiaroscuro a tratti scultoreo. Anche il colore è parte integrante di questo sviluppo narrativo, utilizzato in maniera tradizionale e naturalistico o viceversa acido e psichedelico, a seconda dell’ispirazione del momento.
Il disegno diventa il vero portatore dell’istanza originaria, il mezzo con cui l’artista opera un’infaticabile fuga dalle costrizioni precostituite. Lo stesso Moebius definisce il suo metodo di lavoro come il tentativo di cadere in una leggera trance, un sogno ad occhi aperti. L’errore non è rifiutato, ma anzi sfruttato come cambio di rotta.
Tutto ciò porta a creare un universo immaginifico in cui passato, presente e futuro si sovrappongono, dove antiche architetture di origine assira (o forse di una civiltà non ancora scoperta) sono integrate in strutture provenienti da un futuro ancora da realizzare. Arcaico e moderno formano un tutt’uno, e allo stesso tempo rivelano una distinta unicità.
Nel racconto The Long Tomorrow (1975) Moebius, anticipa immagini visive che hanno influenzato molta della fantascienza da allora in poi, disegnando rappresentazioni distopiche di ambienti urbani attraverso la creazioni di città a livelli.
L’immagine di Moebius/Girard corrisponde in primo luogo all’insieme delle immagini da “loro” create e ricordarle equivale a pensare al senso originario di ciò che è comunque un’immagine: la presenza di un’assenza. Così nel culto dei defunti viene portato a manifestarsi non ciò che è nell’immagine, ma ciò che può apparire solamente nell’immagine. Un lungo domani a Moebius.