La Thailandia è, per la maggioranza degli occidentali, un’ambita meta turistica o poco più. Per i governi degli stessi Paesi occidentali, invece, rappresenta da tempo un alleato importante nell’area del Sud-Est asiatico, baluardo del liberismo in quella regione, che ha giocato un ruolo fondamentale soprattutto nella guerra fredda, quando la maggioranza dei Paesi dell’Asia orientale e sud-orientale si sono rivolti all’Unione Sovietica ed al comunismo.
Formalmente indipendente anche durante l’epoca del colonialismo, l’ex Siam, divenuto regno di Thailandia nel 1932 con la fine della monarchia assoluta, è in realtà sempre stato sotto l’influenza della Gran Bretagna prima e degli Stati Uniti poi, con in mezzo la parentesi dell’invasione giapponese durante la seconda guerra mondiale. Oggi Bangkok ricopre certamente un ruolo strategico meno importante rispetto al passato, ma la scena politica nazionale thailandese non desta per questo minor interesse.
Pochi lo sanno, ma dal 22 maggio 2014 la Thailandia è governata da una giunta militare guidata dal sessantunenne generale Prayut Chan-ocha, che con un colpo di stato ha rimosso il governo condotto dalla premier Yingluck Shinawatra, sorella dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, e dalla forza populista del Pheu Thai Party (PTP). Va detto che Shinawatra era già stata sostituita de facto da una decisione della corte costituzionale, e che la guida del governo era passata ad interim nelle mani di Niwatthamrong Boonsongpaisan. I militari hanno ad ogni modo interrotto ogni tipo di governo civile, istituendo il Consiglio Nazionale per la Pace e l’Ordine (Khana Raksa Khwam Sa-ngop Haeng Chat), praticamente una giunta formata dai più importanti quadri delle forze armate thailandesi. Prayut Chan-ocha approfittò allora di una grave crisi di governo e delle numerose proteste popolari che stavano sconvolgendo le strade di Bangkok per operare il golpe. Successivamente, il 22 luglio 2014, lo stesso generale ha varato una costituzione provvisoria che gli dava pieni poteri, anche nei confronti del Consiglio Nazionale per la Pace e per l’Ordine, a partire dal 24 agosto 2014.
Secondo il leader del governo militare, il colpo di stato si è reso necessario per porre fine alla corruzione del governo civile. Prayut Chan-ocha ha affermato più volte che la giunta militare rappresenterà solamente una transizione provvisoria in attesa della formazione di un nuovo governo civile, ma le misure prese sembrano voler rinforzare il suo potere. Il generale ha infatti vietato tassativamente ogni critica nei confronti del governo, e si è auto-attribuito il potere di chiudere qualsiasi organo di stampa che esprima opinioni contrarie al suo operato.
Nel frattempo, la giunta militare sta lavorando anche al progetto della nuova Costituzione, necessaria – sempre secondo Prayut Chan-ocha ed i suoi uomini – per porre fine all’instabilità politica nel Paese. Di recente ne è stata stesa una prima versione, respinta però domenica scorsa dal Consiglio Nazionale di Riforma con 135 voti contrari e 105 favorevoli. I militari dovranno dunque riscrivere la proposta di legge fondamentale, il che implicherà nuovi mesi di ritardo prima che si possano indire le elezioni per restituire il potere ad un governo civile, avvenimento che non accadrà prima del 2017. Nel caso in cui la nuova proposta dovesse ricevere un verdetto favorevole, questa diventerebbe la ventesima carta costituzionale diversa adottata dalla Thailandia dal 1932, data della fine della monarchia assoluta, ad oggi.
Secondo gli oppositori, la carta costituzionale voluta dai militari rappresenterebbe in realtà l’istituzionalizzazione del loro potere. Uno degli articoli, infatti, prevede la nascita di un nuovo comitato di ventidue membri, tutti rappresentanti dei corpi militari, dotati di poteri d’urgenza che permetterebbero loro di intervenire in qualsiasi momento nei primi cinque anni dall’adozione del testo. La situazione, oltretutto, preoccupa molto l’opposizione e gli osservatori internazionali, in quanto Prayut Chan-ocha potrebbe approfittare di una nuova situazione favorevole: il sovrano thailandese (Phra mh̄ā ks̄ʹạtriy̒ thịy), l’ottantasettenne Bhumibol Adulyadej, sta vivendo momenti difficili per il suo stato di salute, ed un’eventuale scomparsa del re aprirebbe nuovi possibili scenari per un maggiore consolidamento del potere della giunta militare.